La riforma dell'ordinamento portuale. L'autonomia finanziaria delle Autorita portuali
L’effettiva realizzazione di un regime di autonomia finanziaria in capo alle Autorità portuali, solo formalmente introdotta dalla l. 28.1.1994, n. 84, è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi interventi legislativi, volti per l’appunto a consentire a tali enti di poter usufruire direttamente (e non in base a scelte ministeriali o regionali) dei mezzi finanziari necessari per attuare quei compiti di gestione e promozione dello scalo che l’ordinamento riconosce loro. Tale processo sembra essersi completato con la recente istituzione di un fondo ministeriale, alimentato su base annuale attraverso il gettito IVA delle operazioni di sdoganamento portuale, introdotto dal nuovo art. 18 bis della l. n. 84/1994.
È attualmente in discussione in Parlamento una riforma del sistema portuale destinata ad incidere, tra l’altro, sul ruolo delle autorità portuali, soggetti pubblici cui è affidato il compito di amministrare i beni e le attività connesse alla vita del porto, attraverso l’esercizio di funzioni di regolazione, vigilanza programmazione e promozione. In particolare, si segnalano diversi interventi volti ad incrementare complessivamente il livello di autonomia di tali enti, sia da un punto di vista amministrativo che organizzativo.
In tale contesto, il riconoscimento di una reale autonomia finanziaria alle autorità portuali rappresenta, probabilmente, il profilo attorno cui si è maggiormente incentrato il dibattito e non è un caso, quindi, che il Governo abbia ritenuto opportuno – attesa l’urgenza di un intervento su tale questione – stralciare il tema dell’autonomia finanziaria dal testo della riforma, inserendo la relativa disciplina all’interno dell’art. 14 del Decreto sviluppo del giugno 20121. Antecedentemente – sebbene l’art. 6, co. 2, l. 28.1.1994, n. 84 già sancisse formalmente l’autonomia di bilancio e finanziaria delle autorità portuali – tale aspetto non aveva mai visto una effettiva concretizzazione e ciò soprattutto a causa della inadeguatezza delle entrate dirette di cui le autorità portuali potevano disporre. Queste erano, infatti, costituite unicamente dai canoni di concessione delle aree demaniali e delle banchine, dai proventi di autorizzazioni per operazioni portuali, dalla metà del gettito delle tasse sulle merci sbarcate e imbarcate, nonché da eventuali ulteriori contributi di regioni, enti locali ed altri organismi pubblici (cfr. art. 13, l. n. 84/1994).
L’art. 14 cit. introduce all’interno della l. n. 84/1994 l’art. 18 bis – rubricato Autonomia finanziaria delle autorità portuali e finanziamento della realizzazione di opere nei porti – con il quale si provvede innanzitutto ad istituire un fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti, al fine specifico di agevolare la realizzazione delle opere previste negli strumenti di pianificazione e potenziare la rete dei servizi e dei collegamenti portuali. Tale fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è alimentato dall’1% delle riscossioni dell’IVA relative alle operazioni nei porti (per un ammontare massimo annuo pari a 70 milioni di euro) e prevede un meccanismo di riparto che mira innanzitutto a premiare la competitività e l’efficienza dello scalo (a ciascun porto è attribuito l’80% della quota dell’IVA da esso stesso prodotte), contenendo, nel contempo, un correttivo di tipo perequativo consistente nel conferimento del restante 20% ai porti (evidentemente più «deboli» dal punto di vista commerciale) tenendo conto delle previsioni dei rispettivi strumenti di pianificazione2.
Nella consapevolezza della probabile insufficienza del gettito derivante da suddetto fondo, a fronte della realizzazione e manutenzione delle numerose opere necessarie ad incrementare il livello di efficienza dell’intero sistema portuale, il co. 5 del medesimo art. 18 bis cit. consente, altresì, alle autorità portuali di ricorrere a capitali privati mediante la tecnica della finanza di progetto, stipulando contratti di finanziamento a medio e lungo termine con istituti di credito nazionali ed internazionali abilitati, compresa la Cassa depositi e presiti s.p.a.
Come già accennato, anche prima dell’introduzione dell’art. 18 bis cit. l’ordinamento riconosceva un regime di autonomia finanziaria in capo alle autorità portuali, ma solo in via teorica. Ciò innanzitutto in ragione del forte regime di vigilanza e controllo cui è subordinata l’attività di tali enti: la gestione patrimoniale e finanziaria è, infatti, disciplinata da un regolamento di contabilità approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; il conto consuntivo è allegato allo stato di previsione dello stesso Ministero e il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte dei Conti.
In ordine al profilo delle entrate, è evidente che l’esiguità delle stesse permetteva alle autorità portuali con fatica di affrontare la gestione ordinaria dello scalo, finendo in tal modo per dipendere in toto da scelte ministeriali e regionali l’eventuale realizzazione di investimenti di più ampio respiro (costruzione di nuovi terminal, effettuazione di operazioni di dragaggio, implementazione del sistema logistico)3. Il modello ora descritto, tra l’altro, si differenziava da quello dei principali sistemi europei: in particolare, le diverse entrate legate al maggiore o minore traffico realizzato (tassa erariale, tassa sulle merci e tassa di ancoraggio) – generalmente attribuite alle autorità di gestione degli scali – sono state per lungo tempo in Italia totalmente o parzialmente acquisite dallo Stato4.
Una prima modifica di tale assetto si è avuta ad opera della l. 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), con la quale, da un lato, è stata disposta l’attribuzione alle autorità portuali degli introiti derivanti dalla tassa erariale e dalla tassa di ancoraggio (art. 1, co. 982)5 e, dall’altro, si è rinviato ad un successivo decreto ministeriale per la determinazione della quota dei «tributi diversi dalle tasse e diritti portuali da devolvere a ciascuna autorità portuale, al fine della realizzazione di opere e servizi previsti nei rispettivi piani regolatori portuali e piani operativi triennali con contestuale soppressione dei trasferimenti dello Stato» (art. 1, co. 990). In seguito, ai sensi dell’art. 1, co. 247-250, l. 27.12.2007, n. 244 (oggi abrogati), era stata disposta l’istituzione – invero mai concretizzatasi – di un fondo nazionale (da ripartire, poi, tra le varie regioni) alimentato dall’incremento delle riscossioni dell’imposta sul valore aggiunto e delle accise relative alle operazioni in porti e interporti6. Il legislatore è, poi, intervenuto con il d.l. 25.3.2010, n. 40, il cui art. 4, co. 6, istituisce un ulteriore «Fondo per le infrastrutture portuali» destinato ai porti di rilevanza nazionale e finanziato con una quota di un precedente finanziamento statale previsto per la realizzazione della metropolitana della città di Parma, poi revocato.
Da ultimo, l’introduzione dell’art. 18 bis cit. sembra porsi sulla scia dei precedenti interventi normativi, portando a completamento quel processo di effettiva autonomia finanziaria delle autorità portuali, necessaria al fine di consentire loro di svolgere (con i poteri e le responsabilità che ne conseguono) il ruolo di gestore e promotore dello sviluppo complessivo dello scalo, riducendo nel contempo il grado di dipendenza nei confronti dell’apparato statale7. Il legislatore sembra finalmente intenzionato a risolvere quella contraddizione interna fino ad oggi presente nella disciplina portuale, laddove, da un lato, le autorità portuali erano considerate responsabili dell’efficienza del porto e delle sue infrastrutture la cui manutenzione e implementazione deve essere pianificata con i Piani operativi triennali e i Piani regolatori portuali, dall’altro, finiva per derivare da scelte statali e regionali l’attività di finanziamento della realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione. L’aspetto di maggior interesse è senza dubbio rappresentato dall’introduzione di un legame diretto tra ricchezza prodotta e finanziamenti ottenuti: è evidente che dotare le autorità portuali di risorse proporzionali ai traffici è una scelta destinata ad instaurare un circolo virtuoso, in base al quale ogni autorità – in una logica di costi/benefici – sarà portata a selezionare solo quei progetti di sviluppo infrastrutturale destinati ad incrementare effettivamente la competitività dello scalo, nella consapevolezza che l’ottimizzazione degli investimenti è la condizione imprescindibile per il conseguimento di ulteriori finanziamenti.
Pur dovendo senza dubbio salutare con favore l’istituzione del suddetto fondo ministeriale, non può non osservarsi come il tetto di 70 milioni di euro annui rischi di non consentire alle autorità portuali di far fronte alle urgenti esigenze di crescita ed adeguamento infrastrutturale che il nostro sistema portuale necessita. È auspicabile, pertanto, un innalzamento del suddetto limite anche in ragione della considerazione che il gettito complessivo dell’IVA generata dalle operazioni di sdoganamento portuale risulta essere tendenzialmente ben maggiore.
Deve sottolinearsi, poi, che l’art. 46, d.l. 6.12.2011, n. 201 (cd. decreto Salva-Italia) rischia di ridurre notevolmente la portata innovativa dell’art. 18 bis cit. e, di conseguenza, di frustrare le aspettative di autonomia finanziaria. Ivi, infatti – nel consentire alle autorità portuali di costituire sistemi logistici d’intesa con altri soggetti pubblici – viene stabilito che «il servizio di sdoganamento è svolto di norma dalla medesima articolazione territoriale dell’amministrazione competente che esercita il servizio nei porti di riferimento». Qualora l’interpretazione attuativa della locuzione «di norma» dovesse comportare l’arretramento di gran parte delle dogane verso i sistemi retroportuali, le autorità portuali si vedrebbero private del gettito derivante dalle operazioni doganali, che, come si è appena osservato, è destinato a rappresentare la voce principale delle entrate dei porti.
Diverso, ma non meno grave, è il problema relativo ai cd. porti di transhipment, nei quali non avviene alcuna operazione di sdoganamento, essendo essi essenzialmente funzionali al trasbordo dei container dalle grandi navi ad unità di più ridotte dimensioni. Ebbene, il criterio prescelto dal legislatore per realizzare l’autonomia finanziaria delle autorità portuali finisce per penalizzare tali realtà, le quali potranno contare quasi unicamente su quel restante 20% del fondo distribuito con criteri perequativi.
1 Cfr. l’art. 14 del d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. in l. 7.8.2012, n. 134, con il quale si è provveduto ad inserire un art. 18 bis nella l. n. 84/1994.
2 Per una critica al precedente modello di distribuzione dei finanziamenti pubblici, svincolato dalla valutazione delle performance dei singoli scali cfr. Musso, E.-Ferrari, C., Verso la riforma portuale, in Quaderni Regionali, 2009, 1003.
3 Né, come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza, le autorità portuali – a fronte di eventuali esigenze di incremento delle proprie entrate – sono legittimate a introdurre forme di tassazione ulteriori rispetto a quelle imposte per legge (Cons. Giust. Amm., 5.6.2008, n. 503).
4 A favore del riconoscimento di una maggiore autonomia finanziaria in capo alle autorità portuali Longobardi, R., I porti marittimi, Torino, 1997, 241 e Sirianni, G., I porti marittimi, in S. Cassese, a cura di, Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, II, Milano, 2003, 2252 ss. Contra Vezzoso, G., Le occasioni mancate di una proposta di riforma portuale, in Dir. marittimo, 2010, 456.
5 Tale disposizione viene confermata dal progetto di riforma in discussione in Parlamento.
6 Sul punto cfr. Baccelli, O.-Tedeschi, A., Il ruolo delle autorità portuali: scenari per la promozione dell’intermodalità e l’autonomia finanziaria, in Quaderni regionali, 2009, 1067.
7 Analizza le criticità di un sistema che pone le autorità portuali nella condizione di dover dipendere fortemente da un punto di vista economico dai finanziamenti statali e regionali Marchese, U., Riforma portuale in Italia. Centralismo, autonomie, autogoverno, in Studi mar.,1994, 25.