La riforma della Banca d’Italia
La l. 29 gennaio 2014, n. 5 ha modificato diversi aspetti della disciplina relativa alla proprietà delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia. In particolare, la normativa amplia la sfera ed il numero dei soggetti partecipanti al capitale e ne circoscrive le capacità di intervento sul piano gestionale. In questo senso si collocano l’introduzione di un limite massimo di partecipazione e la definizione di puntuali criteri di identificazione dei dividendi. Ne derivano significative innovazioni nell’assetto partecipativo della Banca d’Italia e nel contesto delle relazioni con i soggetti appartenenti all’ordinamento creditizio. Sul piano dell’analisi critica, emergono due questioni fondamentali: il definirsi di un mercato secondario delle quote e l’incidenza del nuovo assetto proprietario sulla governance della Banca.
Il d.l. 30.11.2013, n. 133, convertito con modificazioni dalla l. 29.1.2014, n. 5 modifica diversi aspetti della disciplina relativa alla proprietà delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia e, di conseguenza, lo Statuto dell’ente, incidendo in particolare sulla governance in termini di ridefinizione dei diritti amministrativi e patrimoniali dei titolari delle quote.
Il previgente modello proprietario della Banca d’Italia era anch’esso basato sulla configurazione privatistica del capitale e su limitazioni in capo ai suoi azionisti – banche, imprese di assicurazione ed istituti di previdenza – che ne impedissero l’ingerenza nelle attività istituzionali, ma trovava nella concentrazione di partecipazioni particolarmente rilevanti in capo ai gruppi bancari di maggiori dimensioni la sua anomalia, sia pure “formale”, che già rappresentava la ratio dei passati tentativi di ridefinizione degli assetti proprietari dell’Istituto. La presenza di partecipazioni particolarmente significative in capo ad un limitato numero di soggetti risultava, come noto, dal processo di consolidamento e privatizzazione che ha caratterizzato il sistema bancario italiano a partire dagli anni novanta e, pur trovando ampi correttivi nei meccanismi istituzionali tali da impedire profili di conflitto di interesse, poneva comunque l’esigenza di eliminare del tutto la pur ipotetica e peraltro non fondata percezione che la Banca potesse essere influenzata dai suoi maggiori azionisti1.
Il percorso evolutivo che ha condotto alla definizione del nuovo assetto proprietario, come individuato nella l. n. 5/2014, vede il suo più immediato precedente normativo nell’art. 19 della l. 28.12.2005, n. 262 (la c.d. Legge sul Risparmio), mai attuato, che aveva disposto una ricollocazione in ambito pubblico (Stato o altri enti pubblici) delle quote di capitale, demandando all’emanazione di futuro regolamento le modalità attuative della riforma che nasceva così già incompiuta2. Di fatto, la legge del 2005 trovava limiti intrinseci in primo luogo nella mancata indicazione da parte del legislatore dei criteri contabili da applicare per la valorizzazione delle quote, nonché nelle problematicità legate al passaggio del capitale sociale da soggetti bancari privati ad enti pubblici, con la conseguente necessità, da un lato, di garantire il mantenimento dell’indipendenza della Banca d’Italia, sancita e tutelata dal Trattato europeo sull’Unione economica e monetaria e, dall’altro, dal sorgere di un diritto di equo indennizzo in capo ai titolari delle quote da rapportare al valore delle stesse e quindi, di fatto, incerto e indeterminato3.
Sul piano della ricognizione, i principali contenuti della l. n. 5/2014 sono: l’ampliamento della platea dei partecipanti al capitale (non soltanto banche e compagnie assicurative,ma anche fondazioni, enti ed istituti di previdenza e fondi pensione) e la relativa introduzione di un limite massimo di partecipazione (quantificato nella misura del 3 per cento del capitale); la definizione di puntuali criteri di identificazione dei dividendi; la tutela del carattere “misto” della struttura societaria che offre ai partecipanti diritti patrimoniali, ma circoscrive la portata dei diritti amministrativi, in ordine all’ingerenza sulle funzioni istituzionali della Banca. Ne derivano significative innovazioni nell’assetto partecipativo della Banca d’Italia e nella sfera delle relazioni con i soggetti appartenenti all’ordinamento creditizio.
Il punto di partenza delle considerazioni che seguono è dato dall’art. 4 della l. n. 5/2014 che, al co. 2, autorizza la Banca d’Italia ad «aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all’importo di euro 7.500.000.000» rideterminando in modo molto significativo la definizione del capitale sociale stabilendo che «a seguito dell’aumento il capitale è rappresentato da quote nominative di partecipazione di nuova emissione, di euro 25.000 ciascuna». La ridefinizione del capitale della Banca (prima prettamente simbolico) trova pertanto realizzazione attraverso il trasferimento di una parte delle riserve a capitale, restando quindi inalterato il patrimonio della Banca, rappresentato dalla somma di capitale e riserve.
Il successivo co. 3 dell’articolo in parola stabilisce infatti che «ai partecipanti possono essere distribuiti esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale».
Infine, assume rilevante portata innovativa la finalità perseguita dal legislatore di diluire la base azionaria stabilendo, al co. 5 dell’art. citato, che «ciascun partecipante non può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 3 per cento. […] Per le quote possedute in eccesso non spetta il diritto di voto ed i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d’Italia». Ciò al fine di eliminare ogni dubbio, sia pure virtuale, legato alla concentrazione di quote in capo a singoli partecipanti, nei termini di potenziale influenza sull’azione della Banca centrale.
Sulla base di questa ricognizione dei principali contenuti della riforma del 2014 si possono ora indicare alcuni temi sollecitati dalla normativa sul piano dell’analisi critica.
In modo particolare, emergono due questioni: il definirsi di un mercato secondario delle quote e l’incidenza del nuovo assetto proprietario sulla governance della Banca.
Quanto alla prima, la l. n. 5/2014, introducendo il limite di partecipazione al capitale della Banca d’Italia (fissato al co. 5), attribuisce alla stessa la possibilità di acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione – subordinatamente all’autorizzazione del Consiglio Superiore ed al parere favorevole del Collegio Sindacale – al fine di ricollocare al più presto le quote sul mercato (co. 6). La Banca d’Italia si limiterebbe quindi a esercitare un ruolo di intermediazione.
L’eventualità del riacquisto sarebbe associata, per il periodo di tempo in cui le quote restino nella disponibilità della Banca d’Italia, alla sospensione dei diritti di voto,mentre i relativi dividendi verrebbero riversati nei fondi di riserva, sui quali i partecipanti non hanno diritti.
La configurazione del possibile riacquisto delle quote da parte della Banca d’Italia, in assenza di acquirenti delle quote in eccesso, ha portato a sollevare il timore che tale operazione possa costituire un trasferimento di denaro pubblico alle banche venditrici; tuttavia, la questione appare puramente ipotetica se si considera l’elevato numero di potenziali acquirenti a fronte di investimenti relativamente limitati per ciascuno di essi4.
Il meccanismo previsto dalla normativa darà luogo pertanto a veri e propri “scambi”, nei quali si evidenzia il ruolo centrale di intermediazione affidato alla Banca d’Italia, che sull’andamento degli scambi in questione dovrà comunque annualmente riferire al Parlamento.
Ne risulterebbe quindi, sia pure solo nella prima fase di implementazione della riforma, un mercato secondario delle quote nel quale la Banca manterrebbe per se stessa il ruolo di collocatore del proprio capitale nelle situazioni di eccedenza delle partecipazioni rispetto alla quota del 3 per cento. A ciò si aggiunga che la nuova disciplina, nel porre un limite massimo, non soltanto alla soglia di partecipazione,ma anche all’erogazione dei dividendi, avvicina le quote in questione più ad un titolo obbligazionario, che partecipativo, ferma restando la presenza di diritti amministrativi.
Ai quotisti, infatti, è rimessa l’approvazione del bilancio ed il potere di nomina di alcuni organi dell’Istituto.
Tuttavia, considerati i limiti partecipativi del nuovo assetto proprietario, appare presumibilmente ridotta la facoltà dei singoli quotisti di incidere sulla governance della Banca5.
Da qui una prima conclusione in merito alla dibattuta configurazione dei partecipanti al capitale nel duplice ruolo di controllori/controllati: la problematica dell’indipendenza della Banca centrale non sussiste laddove questa sia tutelata da regole di governance istituzionali che ne salvaguardino i profili di autonomia funzionale e finanziaria, attraverso la definizione di uno status giuridico dei partecipanti che prescinde dalla natura pubblica o privata degli stessi.
La questione dell’incidenza del nuovo assetto proprietario sulla governance della Banca d’Italia, pertanto, non sembra doversi porre nei termini di tradeoff tra proprietà pubblica (e quindi potenziale influenza politica sulle funzioni istituzionali della Banca) e privata (da cui il potenziale conflitto di interessi tra controllati e controllante), quanto nei termini di inquadramento disciplinare della proprietà che assicuri gli opportuni presidi al mantenimento dell’indipendenza. Come già accennato sopra, la normativa circoscrive le capacità di intervento dei partecipanti sul piano gestionale ed amplia, al tempo stesso, la sfera e il numero di soggetti cui le quote di partecipazione possono appartenere.
Ne deriva un assetto societario che avvicina la Banca ad una peculiare public company di investitori istituzionali, caratterizzata, infatti, da un azionariato diffuso di istituzionali, da un lato, e da una qualificazione giuridica all’ingresso, dall’altro, che condiziona la partecipazione degli acquirenti a requisiti di nazionalità e appartenenza a determinate categorie professionali.
In questo senso, la nuova legge può essere interpretata, rispetto alla precedente disciplina contenuta nella riforma del risparmio del 2005, come configurante una sorta di riserva di partecipazione al capitale a favore di soggetti specificamente legittimati in via esclusiva.
Ciò ha fatto ritenere che la ratio della norma sia quella di ricondurre ai soggetti dell’ordinamento finanziario il compito di controllo/riscontro dell’agere dell’Istituto, innovando le modalità attraverso cui realizzare tale obiettivo6.
Alla luce dell’excursus sui profili di novità derivanti per la Banca d’Italia dalla l. n. 5/2014, emerge la validità della scelta della rivalutazione del capitale che ha consentito di superare il suo anacronistico riferimento al valore simbolico del precedente importo nominale.
Operazione quest’ultima, tuttavia, non esente da critiche anche nel quadro del dibattito giornalistico in materia, scaturite dagli effetti da essa derivanti sui bilanci delle banche partecipanti, nel timore di un “artificiale” aumento dei patrimoni delle stesse. In realtà, si è trattato sul piano tecnico, piuttosto, di riportare il valore di bilancio della partecipazione (già oggetto di un diritto in capo ai partecipanti) su livelli più coerenti con la realtà dei fatti, sia pure dando luogo ad un dividendo presumibilmente accresciuto nell’immediato (ma non nel tempo) rispetto a quello percepito negli anni recenti7.
Valutando, infine, la portata disciplinare della l. n. 5/2014 nel contesto del processo in atto di europeizzazione dell’ordinamento finanziario è da considerare positivamente quindi la rimozione dei profili di arretratezza che caratterizzavano gli assetti proprietari della Banca d’Italia ed il conseguente rafforzamento patrimoniale.
L’emblematico cambiamento che progressivamente si sta attuando, su scala europea, nella posizione delle Autorità domestiche di supervisione in una chiave di maggiore integrazione e cooperazione tra le stesse e la Banca Centrale Europea ha posto infatti il tema di una ricerca delle specificità nazionali degli organismi deputati alle funzioni pubbliche di controllo.
La BCE, nel rilasciare il proprio parere prima della conclusione dell’iter parlamentare relativo al provvedimento normativo in esame (27.12.2013)8, ne ha dato valutazione sostanzialmente positiva, in particolar modo sul piano dell’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia esprimendo la raccomandazione che quest’ultima sia «sempre sufficientemente capitalizzata». In questo senso, interventi di rafforzamento patrimoniale delle Autorità domestiche di supervisione contribuiscono a salvaguardarne lo svolgimento delle funzioni, in relazione anche al livello di rischio emergente dalla natura delle attività istituzionali, rappresentando l’adeguatezza patrimoniale un canone ordinatorio dell’ordinamento finanziario europeo.
Anche in interventi successivi (21.2.2014)9 sulle modifiche alla governance della Banca d’Italia la BCE ha avallato la normativa in questione, consacrandone, come pure è stato detto10, la conformità giuridico-formale alle prescrizioni UE.
La riforma qui esaminata, pur rappresentando un punto di arrivo di un processo di definizione istituzionale della veste societaria e proprietaria della Banca d’Italia – tema che ha comunque rappresentato un punto sensibile del relativo ordinamento almeno negli ultimi vent’anni (a partire dagli anni novanta quando è iniziato il processo di consolidamento bancario che ha condotto alla concentrazione delle quote proprietarie) – non costituisce, peraltro, una soluzione definitiva dei temi ordinamentali della Banca d’Italia.
Occorre, infatti, tener presente che il processo in questione si colloca in un arco temporale avviatosi nello stesso periodo con gli atti normativi che hanno dato il via all’Unione bancaria11 e di cui è attesa l’entrata in vigore, con relativi meccanismi di supervisione bancaria europea, a partire dalla fine del 2014.
Il relativo trasferimento di funzioni di vigilanza bancaria dalle Banche centrali degli stati membri alla BCE non potrà, infatti, non avere conseguenze anche sugli assetti ordinamentali della nostra Autorità di vigilanza, aprendo ulteriori prospettive per il futuro.
1 Per l’inquadramento del tema antecedentemente agli interventi legislativi in materia dell’ultimo decennio, v. per tutti, Catapano, V., Assetti partecipativi della Banca d’Italia, in Capriglione, F.-Catapano, V., a cura di, Scritti in memoria di Pietro De Vecchis, I, Roma, 1999, 19 ss.
2 In questo senso,Minervini, G., La Banca d’Italia, oggi, in Banca, borsa e titoli di credito, 2006, I, 630 ss. Il tema generale dell’ordinamento societario di Banca d’Italia nel contesto della legge di riforma del risparmio è trattato da Ferro-Luzzi, P., La «ridefìnizione» dell’assetto proprietario della Banca d’Italia, in RDS, 2010, II, 385 ss.
3 La materia ha, infatti, richiesto un approfondimento attraverso il rapporto redatto, su richiesta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, dalla stessa Banca d’Italia con l’ausilio di un comitato di esperti composto dai professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi e pubblicato con il titolo Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia, in bancaditalia.it. Sul tema della valutazione delle quote di partecipazione sia consentito rinviare a Cardi, M., Prospettive di ridefinizione degli assetti proprietari del capitale della Banca d’Italia: profili giuridici e valutativi, in Economia e diritto del terziario, 2009, III, 437 ss.
4 Sul punto v. la posizione della stessa Banca d’Italia, Conseguenze per la Banca d’Italia della legge 29 gennaio 2014, n. 5, nota del 3.2.2014, in bancaditalia.it.
5 Cfr.: Capriglione, F., Riflessioni sull’Unione Bancaria Europea in una prospettiva di riforme, in apertacontrada.it, 2014.
6 In questo senso, Alpa, G., La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia e le regole del diritto privato, in Riv. trim. dir. econ., 2014, II, 56 ss.
7 Sul piano tecnico queste valutazioni sono state espresse tra l’altro in occasione della tavola rotonda La Rivalutazione del capitale della banca d’Italia tenutasi a Roma, il 9.4.2014 presso l’Università Luiss G. Carli, in particolare, con interventi di F. Capriglione, R. Masera, P. Reichlin, M. Pellegrini, M. Sepe, V. Troiano, F.Merusi, le cui relazioni hanno trovato successivamente pubblicazione in Capriglione, F.-Pellegrini, M., a cura di, La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, Padova, 2014.
8 Cfr.: Parere della Banca Centrale Europea del 27 dicembre 2013 relativo all’aumento di capitale della Banca d’Italia (CON/2013/96), visionabile sul sito web ecb.europa.eu.
9 Cfr.: Parere della Banca Centrale Europea del 21 febbraio 2014 sulle modifiche alla governance della Banca d’Italia (CON/2014/19), visionabile sul sito web ecb.europa.eu.
10 In questo senso, Capriglione, F., La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia. Una complessa vicenda meritevole di chiarimenti, in apertacontrada.it, 2014.
11 In particolare, v. Regolamento UE n. 1024/2013 del Consiglio del 15.10.2013, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alla vigilanza prudenziale degli enti creditizi, cui hanno fatto seguito alcuni atti ulteriori (v. in particolare, l’entrata in vigore, il 12.12.2013, del Memorandum d’intesa tra il Consiglio dell’Unione europea e la BCE sugli aspetti di cooperazione nell’ambito delle procedure legate al Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) e l’entrata in vigore, il 15.5.2014, del Regolamento UE n. 468/2014 (Regolamento quadro sul MVU), che definisce la struttura giuridica per la cooperazione con le autorità nazionali competenti nell’ambito del MVU e disciplina le relazioni tra queste ultime e la BCE) cui qui può essere fatto solo rinvio non potendo essere trattati in questa sede.