La “riforma Orlando” sul processo penale
È largamente condivisa l’opinione che la giustizia penale abbia bisogno di profonde trasformazioni, accentuatasi per i ritardi che le riforme necessarie hanno subito. Il dato interessa sia il diritto penale sostanziale, sovraccaricato dalle emergenze e dalle istanze sicuritarie, sia il processo penale che, perduta la sua impostazione originaria, ha visto una stratificazione normativa e giurisprudenziale che ne ha pregiudicato l’efficienza.
Si rende quindi necessario un intervento in profondità, peraltro, reso difficile dai capisaldi di un sistema rigido che non consente troppi spazi di manovra: principio di legalità, obbligatorietà dell’azione penale, giusto processo. Entro questo schema cerca di riempire spazi di agibilità la riforma del Ministro della giustizia, attualmente in discussione in Parlamento che, tuttavia, nonostante i tentativi – pur apprezzabili – manca di quella forza innovativa del sistema sanzionatorio che potrebbe essere il propulsore per quei ripensamenti di sistema che sarebbero necessari.
È attualmente in discussione in Parlamento un disegno di legge di iniziativa del Ministro della giustizia contenente modifiche al codice penale ed a quello di procedura penale ed una ampia delega al Governo per la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario.
Si tratta di un provvedimento articolato nei contenuti e negli strumenti di intervento; sono toccati aspetti anche molto diversi della giustizia penale, temi pure omogenei sono oggetto di interventi sia diretti, sia con la delega; i profili interessati dalle modifiche sono a volte soltanto puntuali, a volte anche, seppur parzialmente, sistematici.
Nella impossibilità di analizzare tutti gli aspetti investiti dalla riforma appare necessario isolare alcuni nuclei, cercando di cogliere la “filosofia” dell’intervento normativo al di là della sola necessità di superare alcune distorsioni della disciplina urgente (esempi sintomatici di quest’ultimo aspetto sono le modifiche all’art. 360 c.p.p., con fissazione del tempo della richiesta di incidente probatorio; all’art. 130 c.p.p. in punto di errore di computo nella determinazione della pena patteggiata), ovvero di introdurre dei meri aggiustamenti formali (fra questi, vanno segnalati alcuni aspetti legati ai tempi e alle formalità della procedura archiviativa, ex artt. 408, 409 e 412 c.p.p.; la durata delle indagini dopo la decisione del g.i.p. nel caso di procedura contro ignoti ex art. 415 c.p.p.).
Va sottolineato come una parte del disegno di legge originario – quello relativo al codice penale – sia stata stralciata, perché oggetto di separati provvedimenti – si tratta dell’intervento sanzionatorio in tema di corruzione e di ipotesi particolari di confisca (l. 27.5.2015, n. 69), nonché dell’ampia riforma del corso della prescrizione e delle ipotesi di sospensione del suo corso legate a precise tempistiche dello svolgimento dei gradi di impugnazione – mentre resta oggetto della riforma una delega per la revisione del regime di procedibilità a querela per i reati contro la persona ed il patrimonio, di scarsa offensività, quella per la revisione della disciplina delle misure di sicurezza, nonché quella per l’indicazione dei settori di tutela penale che richiedono l’inserimento delle disposizioni incriminatrici nel codice penale al fine di rendere omogenea la materia e conosciuti i precetti e le sanzioni. Nel corso dei lavori parlamentari è stata introdotta una più rigorosa disciplina dei cd. reati predatori.
La parte sicuramente più corposa dell’intervento riformatore è costituita sicuramente dalle ipotizzate modifiche al codice di procedura penale.
2.1 La definizione anticipata del procedimento
Un primo nucleo dell’intervento, connotato da una certa omogeneità, è sicuramente costituito dalla introduzione e dalla rimodulazione di alcune ipotesi di definizione anticipata del procedimento.
Il riferimento si indirizza alla nuova ipotesi di estinzione del reato per condotte riparatorie, ma anche alla riscrittura dei riti del patteggiamento e del giudizio abbreviato, mentre risulta superata, per le forti resistenze emerse da più parti, per fondati motivi, l’ipotesi dell’introduzione della richiesta di condanna da parte dell’imputato.
Al di là delle specifiche riserve sulle ricadute in punto di valore della confessione, dell’utilità dello strumento, ritenuto appetibile soprattutto per coloro che risultano “colpevoli” al di là di ogni ragionevole dubbio, delle incertezze sul raggio di operatività dello strumento, in relazione al fatto ovvero all’imputazione, all’ammissione parziale o per fatto diverso, all’indeterminatezza della premialità e della conseguente pena, proprio l’istituto in sé non era ritenuto adeguato alla dialettica processuale e al sistema della nostra giustizia, anche per le sue facili strumentalizzazioni o distorsioni.
Il dato ha implicato il ripensamento delle modifiche che si volevano apportare al patteggiamento che – già interessato dalla modifica da parte della l. n. 69/2015 – è stato ricondotto di larga parte alla sua configurazione originaria. Mentre il giudizio abbreviato è stato interessato da puntuali modifiche – peraltro non marginali – come quelle relative al materiale invalido, utilizzabile a seguito della richiesta del rito e alla definizione della premialità per le contravvenzioni. Più incisivamente, in sede dei lavori di commissione, al fine di rendere appetibile il rito, è stato ridisegnato il profilo sanzionatorio del procedimento per decreto, attraverso la rideterminazione dei criteri di ragguaglio della pena detentiva in pena pecuniaria (art. 459 c.p.p.; art. 135 c.p.).
L’ipotesi riformatrice sembra saldarsi con altri due riti recentemente introdotti: quello della sospensione e messa alla prova e quello della definizione per non punibilità in ragione della particolare tenuità del fatto. Sia attraverso una riscrittura dell’apparato sanzionatorio del sistema penale, con ricadute procedurali (artt. 131 bis, 162 ter, 168 bis c.p. ed artt. 411, 464 bis 464 nonies, 469, 651 bis c.p.p.), sia attraverso i percorsi procedurali introdotti dalla riforma del 1988, il legislatore – nell’intento di decongestionare il carico processuale, nella ritenuta impossibilità di realizzare una significativa depenalizzazione e di introdurre la discrezionalità dell’azione penale – ricerca strumenti di definizione anticipata del giudizio di responsabilità. Nella stessa logica si prevede di reintrodurre il concordato sui motivi e sulla pena in appello (artt. 599 bis e 602 c.p.p.), nonché di definire il procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato (art. 72 bis c.p.p.).
Attraverso una sempre più ampia gamma di strumenti di definizione processuale – concordata, consensuale, volontaria, spesso premiale, come nei già previsti rimedi del procedimento per decreto e dell’oblazione – si cerca di perseguire, oltre a quello già indicato del decongestionamento giudiziario, anche obiettivi indiretti, fra questi: l’alleggerimento dei dibattimenti, la durata ragionevole dei processi, la riduzione dell’affollamento penitenziario.
Non mancano, in relazione ad alcuni di questi percorsi, anche obiettivi più ambiziosi: il passaggio da una giustizia punitiva ad una riparativa; la vocazione mediativa e conciliativa tra imputati e vittime; l’adozione di percorsi sanzionatori, anche alternativi allo strumento più rigoroso.
2.2 La disciplina delle impugnazioni
Un secondo nucleo dell’azione riformatrice – peraltro suscettibile di ulteriore integrazione secondo le indicazioni della legge delega – riguarda la disciplina delle impugnazioni.
Si tratta di un panorama alquanto composito.
Sotto il profilo della razionalizzazione si può, infatti, indicare la rinnovata disciplina delle nullità del procedimento di archiviazione che sarà deducibile davanti alla Corte d’appello; le modifiche alla disciplina delle impugnazioni delle sentenze di non luogo procedere per le quali si prevede la reintroduzione dell’appello e l’eliminazione del ricorso della persona offesa costituita parte civile, l’attribuzione alla Corte d’appello della competenza in tema di rescissione del giudicato di cui all’art. 625 ter c.p.p. attraverso la sostituzione con l’art. 629 bis c.p.p.
Si tratta di disposizioni che conservano l’impugnabilità delle situazioni suscettibili di ledere i diritti delle parti, puntando a decongestionare il lavoro del Supremo Collegio.
Nella stessa logica si inseriscono la già ricordata reintroduzione del concordato in appello sui motivi e sulla pena, attraverso la riproposizione degli artt. 539 bis e 602 c.p.p.; la più generale direttiva della delega ove si prevede di fissare la ricorribilità per Cassazione soltanto per violazione di legge sia della doppia conforme di proscioglimento, sia delle sentenze d’appello del procedimento davanti al giudice di pace; l’eliminazione della possibilità che il ricorso in cassazione sia presentato personalmente dalla parte ex art. 613, co. 1, c.p.p.
Alla riferita finalità, sono tese le previsioni che modificano l’art. 610 c.p.p., consentendo uno spazio più ampio alle situazioni suscettibili di una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
Alla riferita logica di disincentivazione dei ricorsi è sicuramente orientata la previsione che inasprisce sensibilmente la condanna alla cassa delle ammende nei casi di inammissibilità dei ricorsi e delle domande di rimessione.
Sempre con riferimento al giudizio di Cassazione, va sottolineata la modifica dell’art. 618 c.p.p. ove si prevede, al fine di rafforzare la funzione nomofilattica del Supremo Collegio, l’intervento delle Sezioni Unite da parte di una sezione della Corte che non condivida la questione di diritto decisa dal Collegio riunito, il quale potrà fissare la questione anche d’ufficio pur in presenza di un ricorso inammissibile per una causa sopravvenuta; quella dell’art. 600, co. 1, lett. e), c.p.p., che allarga le ipotesi di annullamento senza rinvio; quella dell’art. 625 bis c.p.p. che consente alla Cassazione di rilevare d’ufficio, entro novanta giorni dalla deliberazione, la presenza d’un eventuale errore di fatto.
È, invece, conferito al Governo, attraverso la delega, l’intervento riformatore del giudizio d’appello già interessato dalla riferita reintroduzione del concordato sui motivi e sulla pena. Gli snodi dell’ipotizzata azione novellistica sono costituiti da un ridimensionamento delle situazioni nelle quali è prevista la legittimazione ad appellare del procuratore generale e quella del procuratore della repubblica nel caso in cui in primo grado sia stata emessa una sentenza di condanna; la titolarità in capo al solo imputato, in situazioni predeterminate, della legittimazione a proporre appello incidentale; la previsione della proponibilità dell’appello per motivi tassativamente previsti con onere della indicazione specifica delle prove di cui si richiede la rinnovazione. L’insieme di queste rinnovate condizioni di attivazione del giudizio di secondo grado si incanala nella prevista dichiarazione di inammissibilità nella procedura camerale partecipata.
I riferiti principi e criteri direttivi si saldano con la previsione della riforma relativa ai requisiti della sentenza ex art. 546 c.p.p. che, nell’intento di rendere più chiari i punti della sentenza oggetto del gravame, richiede una più precisa e strutturata articolazione della decisione in relazione ai fatti di cui all’imputazione ed alla loro qualificazione giuridica; alla punibilità e alla determinazione della pena; alla responsabilità civile; ai fatti da cui dipende l’applicazione delle norme processuali.
Peraltro, il quadro delineato va completato con l’espressa previsione della modifica dell’art. 603 c.p.p. ove si stabilisce che, in caso di appello del p.m. contro una sentenza di proscioglimento, sia disposta la rinnovazione, se l’appello è connesso a motivi legati all’attendibilità della prova dichiarativa e più in generale con la previsione che l’inammissibilità dell’impugnazione può essere riconosciuta – nei casi di violazioni formali – anche dal giudice a quo (art. 591 c.p.p.).
2.3 Le ulteriori modifiche
Seppur sparse e non omologabili, per il loro contenuto e la loro finalità, non mancano alcune significative modifiche ad aspetti non del tutto marginali.
Si può, a tale proposito, fare riferimento alla riforma dell’art. 104 c.p.p. ove si precisano le ipotesi criminose per le quali è possibile disporre il differimento del colloquio del soggetto in vinculis con il suo difensore; all’eliminazione dei poteri officiosi di integrazione probatoria del g.u.p. nell’udienza preliminare ex artt. 421 bis e 422 c.p.p.; alla previsione in dibattimento dell’esposizione introduttiva dei fatti che si intende provare ai fini della valutazione della pertinenza e rilevanza delle prove di cui le parti chiedono l’ammissione (art. 493 c.p.p.); alle modifiche alla disciplina della partecipazione al dibattimento a distanza (artt. 45 bis, 134 bis e 146 bis disp. att. c.p.p.); al diritto della persona offesa di essere informata, decorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia, circa lo stato del procedimento (art. 335, co. 3-bis, c.p.p.); al reclamo al Tribunale in composizione monocratica in caso di nullità della procedura archiviativa (art. 410 bis c.p.p.).
Nella predisposizione del testo per l’Aula è stata inserita la disposizione – molto opportuna, ma fortemente contestata dalla magistratura – di un termine per l’esercizio dell’azione penale scaduti i tempi delle attività di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Non appare priva di significato, seppur solo simbolico, la previsione in materia di poteri di controllo del procuratore della repubblica e di contenuti della relazione del procuratore generale presso la Corte di cassazione dove, a fianco alle indicazioni sull’esercizio dell’azione penale, è inserita anche quella riguardante l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato.
2.4 Le deleghe legislative
Quanto alle deleghe, queste, oltre a quanto si è già detto con riferimento alle impugnazioni, nonché alle tematiche inerenti il codice penale, riguardano la riforma dell’ordinamento penitenziario, la disciplina delle intercettazioni telefoniche, il casellario giudiziale.
Per quanto attiene a quest’ultimo aspetto (indefettibile strumento, se aggiornato, per le decisioni che devono essere assunte nei vari segmenti della giustizia penale), si prevede la necessità dell’adeguamento della sua disciplina alle modifiche intervenute in materia penale e processuale, tenuto conto della necessità di rispettare il diritto dell’Unione europea in materia di protezione dei dati personali.
Risultano finalizzati all’effettività della funzione rieducativa i principi della delega dell’ordinamento penitenziario: oltre alla semplificazione delle procedure del contraddittorio per le decisioni del magistrato o del Tribunale di sorveglianza, il legislatore delegato dovrà rivedere i presupposti dell’accesso alle misure alternative; revisionare i meccanismi automatici che ostacolano l’individualizzazione del trattamento rieducativo; favorire le attività di giustizia riparativa; valorizzare il lavoro inframurario ed i collegamenti audiovisivi esterni; disciplinare (anche in relazione alle relazioni familiari) il diritto all’affettività; ampliare il ricorso al volontariato sia dentro, sia fuori dal carcere; rafforzare gli strumenti di supporto alle esigenze rieducative dei minorenni detenuti (quest’ultimo aspetto è stato significativamente irrobustito di indicazioni durante i lavori di Commissione).
I principi ed i criteri direttivi in materia di intercettazioni prevedono garanzie per l’acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, telematico e informatico, modellate su quelle previste per le captazioni di comunicazioni; semplificazioni per l’impiego delle intercettazioni per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione; garanzie a tutela della riservatezza; previsione di una udienza di selezione del materiale a tutela delle persone occasionalmente coinvolte; garanzie per le comunicazioni tra i difensori e i propri assistiti, nonché la previsione di un reato (fatte salve le finalità probatorie e difensive), per chi diffonde riprese o registrazioni svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate, per recare danno alla reputazione o all’immagine altrui.
Appare difficile anticipare giudizi a fronte d’un prodotto “semilavorato” come quello oggetto della presente riforma governativa, anche in considerazione dei possibili apporti – difficilmente ipotizzabili – da parte del Parlamento. Sarà comunque necessaria un’armonizzazione degli strumenti processuali tesi alla definizione anticipata del processo, che non appaiono coordinati ed anzi, spesso, risultano sovrapposti.
Si ha la sensazione di interventi emergenziali tesi a risolvere una situazione sicuramente complessa ma privi della capacità e la tensione capaci di governarli adeguatamente: il tutto, al di là dell’inadeguatezza tecnica e culturale del prodotto normativo, che spesso crea molta confusione, difficoltà sistematiche, risposte giurisprudenziali disparate.
Alla riforma qui considerata manca sicuramente quella del sistema sanzionatorio che, pur ipotizzata, non è stata realizzata, anche per le non poche resistenze che si sono manifestate. Senza quest’intervento, tuttavia, con il suo adeguato coordinamento con il processo, si continuerà a navigare “ a vista”.