La rilevanza costituzionale dei Patti Lateranensi tra ordinamento fascista e Carta repubblicana
L’interpretazione dell’art. 71 della Costituzione, e in particolare quella del secondo comma, è stata e rimane, una delle questioni più ampiamente e polemicamente discusse dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche dopo il tardivo riconoscimento, da parte della Corte costituzionale, dell’ammissibilità di un sindacato sulla conformità costituzionale delle disposizioni di derivazione pattizia2. Nella generale problematica dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, l’art. 7 cpv. cost., ha finito, quindi, per assumere un ruolo centrale, forse sproporzionato allo stesso originario significato di norma. Com’è stato osservato, mentre i costituenti contrari all’approvazione della formula proposta per richiamare i protocolli del 1929 sostennero la tesi della cosiddetta ‘costituzionalizzazione’ dei patti attraverso la formula stessa, i fautori della necessità di riferirsi espressamente, nella nuova costituzione, agli accordi Lateranensi e, in particolare, il relatore di maggioranza Giuseppe Dossetti, negarono decisamente che tale riferimento valesse ad attribuire alle norme di derivazione pattizia caratteri di norme costituzionali3. La dottrina, peraltro, è stata concorde nel ritenere che l’art. 7 cost. sia stato un fatto nuovo e, per molti, sconcertante nella storia costituzionale italiana4.
In realtà va osservato che tale disposizione della Carta repubblicana è certamente un fatto nuovo e sconcertante – il quale si è tradotto in un elemento portante della continuità istituzionale –, ma più a livello di testi costituzionali formali che sul piano dell’esperienza costituzionale propriamente detta.
Prescinderei – ovviamente – dallo schema di accordo (Capitolato) predisposto da Cavour, nel febbraio 1861, «come base di negoziati puramente officiosi» con la Santa Sede, nel quale si prevede espressamente che «i capitoli», firmati, approvati dal Parlamento e sanzionati dal re e dal papa, non solo «formeranno Legge, ma faranno parte dello Statuto fondamentale del Regno», pur mantenendo la natura di «un trattato bilaterale» (art. 9)5. Ma ricorderei che la legge 13 maggio 1871 «sulle guarentigie pontificie e le relazioni fra Stato e Chiesa» veniva definita «quasi costituzionale» dalla dottrina6 e che il Consiglio di Stato, nell’adunanza generale del 2 marzo 1978, alla richiesta del ministro dell’interno Crispi – il quale poneva il quesito «se codesta legge speciale faccia parte delle leggi fondamentali dello Stato», e se, pur escludendo che «possa supporsi essere cotali leggi intangibili», la legge delle guarentigie potesse ricomprendersi «in quell’ordine di sanzioni che diconsi leggi costitutive dell’organismo dello Stato»7 – rispondeva che la legge, in quanto «legge […] delle più importanti, ed […] organica e politica», poteva essere qualificata «come legge fondamentale dello Stato»8. Ciò non comportava, naturalmente, la necessità di una ‘costituente’ per modificarla o abrogarla, non necessaria, del resto, neppure «per abrogare o modificare un articolo dello Statuto»9.
Maggiore rilevanza avrebbe dovuto assumere il concetto di «legge costituzionale» – espressamente riferito anche ai «rapporti tra lo Stato e la Santa Sede» (art. 12, n. 6) – con la legge 9 dicembre 1928 n. 2693 (non mutata in quella parte delle successive modificazioni) sull’ordinamento e le attribuzioni del Gran consiglio del Fascismo10. Vi si prevedeva, infatti, onde «circondare di una nuova e maggior garanzia la disciplina di alcune materie particolarmente delicate» e assicurare «maggiore stabilità agli ordinamenti fondamentali dello Stato», l’obbligo di sentire il parere del Gran consiglio «su tutte le proposte di legge di carattere costituzionale» e sempre, in ogni caso, su quelle concernenti le materie contemplate nei paragrafi 16 dell’art. 12, creandosi, in tal modo «un nuovo tipo di legislazione, la legislazione costituzionale», e, addirittura, prevedendosi il potere dell’autorità giudiziaria di «negare osservanza alle leggi costituzionali emanate senza la formalità del previo esame del Gran Consiglio»11. Se la dottrina mise immediatamente in discussione che il testo della legge potesse implicare tal potere12, finì ben presto per oscillare anche la prassi di sottoporre al parere del Gran consiglio – in ogni caso strettamente controllato dal capo del governo – le proposte di legge sulle questioni di «carattere costituzionale»13.
In particolare per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Santa Sede – ai quali si era, appunto, espressamente conferito tale carattere –, se in effetti sugli Accordi Lateranensi, dopo la loro conclusione e prima della loro presentazione al Parlamento, venne sentito il parere del Gran consiglio, né nel disegno di legge, né nella legge per l’esecuzione del Trattato e del Concordato dell’11 febbraio 1929 si fece cenno alcuno a tale parere14. E non risulta che la successiva legislazione emanata per l’applicazione degli Accordi sia stata in qualche modo «rinforzata» dal parere di quell’organo attraverso il quale – come osserva Gentile – «la volontà di un uomo straordinariamente dotato diventa un istituto organico e perenne»15.
Di «riforma costituzionale» e «leggi costituzionali» si parlò nuovamente nell’o.d.g. 14 marzo 1938 del Gran consiglio e quando, avviandosi a conclusione la redazione dei nuovi codici, la necessità di «sottolineare il loro carattere di opere del regime […] si fece sentire in maniera sempre più accentuata nelle superiori gerarchie e si concretò nel disegno di una Carta del diritto ossia in una definizione dei principi generali del diritto fascista, che avrebbero dovuto coronare l’opera codificatrice del regime»16. Fu Grandi, in qualità di ministro guardasigilli e in occasione del Rapporto tenuto dal Duce, il 31 gennaio 1940, alle Commissioni per la Riforma dei Codici, a manifestare il proposito di portare alla approvazione del Gran consiglio i ‘Principi generali dell’ordinamento giuridico fascista’ che avrebbero dovuto servire da guida all’interpretazione e al successivo sviluppo nonché di chiarimento della natura e finalità «dei diversi istituti dei Codici mussoliniani»17. Uno schema di ‘Carta fondamentale’ venne rapidamente predisposto da Giacomo Perticone che precisò di essersi limitato ad un «semplice accostamento», in ordine «naturale e logico», di posizioni e formule desunte dalle «leggi costituzionali del nostro regime» e dalle «dichiarazioni di principi regolativi, consegnati in documenti ormai storici»; esso avrebbe dovuto essere la base di un successivo «lavoro di revisione» che consentisse di riportare le disposizioni «sullo stesso piano di astrattezza, di generalità, cioè di valore normativo»18.
Sotto il profilo che qui interessa lo schema Perticone si limitava a ribadire (art. 1) il principio della religione cattolica come «sola religione dello Stato» e della «ammissione» degli altri culti19, e a riprodurre gli artt. 1, 12 e 13 della legge 9 dicembre 1928 sulle attribuzioni del Gran consiglio (artt. IX-XI), confermando alle proposte di legge concernenti i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede il carattere «costituzionale» (art. X, n. 6).
Le dichiarazioni di Grandi provocarono, è ben noto, una ricca serie di studi e dibattiti, coronati, nel maggio del 1940, da un ‘Convegno Nazionale Universitario’ organizzato dalla Facoltà giuridica di Pisa e dalla Scuola di Perfezionamento in discipline corporative di quell’università. Agli atti tempestivamente pubblicati20 fece seguito un ricco volume di «Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista» curato da G.B. Funaioli, edito ad iniziativa dei due organismi nel 1943, che adempiva al voto, con il quale si era concluso il Convegno del 1940, che «quanti avevano aderito esprimessero il loro compiuto pensiero sull’argomento in scritti, […] ed altresì che fosse avviato un progetto di principi generali»21. Principi generali che, nel frattempo, avevano trovato una loro collocazione nella legge 30 gennaio 1941 n. 14 dove si affermava: «Le dichiarazioni della Carta del Lavoro costituiscono principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e dànno il criterio direttivo per l’interpretazione e l’applicazione della legge» (art. 1).
Tra gli studi raccolti nel volume pisano del 1943 quello dello Jannaccone, ordinario di diritto ecclesiastico in quell’università, faceva un cenno, a proposito di ‘principi generali’, a quelli del riconoscimento del matrimonio canonico agli effetti civili, della cattolica come religione dello Stato, della libertà di coscienza e della «coesistenza della potestà della Chiesa e della sovranità dello Stato, senza confusione dei relativi poteri, per l’attuazione della cooperazione reciproca»22, richiamando l’attenzione sulla necessità di coordinare i principi inerenti all’organizzazione dello Stato quelli relativi «alle relazioni tra lo Stato e la Chiesa e alla specie di confessionismo eventualmente professato dallo Stato». Confessionismo i cui principi generali avrebbero dovuto essere, però, armonizzati con quelli concernenti le relazioni «tra lo Stato e le comunità religiose, quali quelle inerenti alla libertà di coscienza»23. Anche Carlo Alberto Biggini – nello schema di massima pubblicato nello stesso volume, a conclusione del suo scritto, in vista della «emanazione di un unico solenne organico documento, ossia della Carta costituzionale dello Stato Corporativo fascista» – affrontava i problemi di diritto ecclesiastico, riproducendo gli artt. 3 e 4, il principio albertino-lateranense della religione cattolica come sola religione dello Stato e quello sui culti diversi dal cattolicesimo-romano – ammessi purché non professanti principi e non praticanti riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume – desunto dalla legge 24 giugno 1929 n. 1159. Ribadiva, inoltre, nel successivo art. 21, il carattere di leggi costituzionali per quelle concernenti i rapporti tra lo Stato e la Santa Sede24 nei termini della ricordata disposizione 9 dicembre 1928.
Ad una enunciazione legislativa ufficiale di tali ‘principi generali’ non si giunse, né il Gran consiglio venne investito, come preannunciato da Grandi, di un problema che pure – così notava Crisafulli25 – era ormai stato posto «all’ordine del giorno della scienza giuridica italiana» e che, nella ricordata legge 30 gennaio 1941, aveva trovato ulteriori motivi di studio e di esaltazione.
Sarà, invece, il primo Consiglio dei ministri riunito da Mussolini il 27 settembre 1943 alla Rocca delle Caminate, dopo essere stato rimesso in libertà dai tedeschi, a riparlare di Assemblea Costituente; sarà il cosiddetto Manifesto di Verona26, approvato dalla prima assemblea del Partito fascista repubblicano il 15 novembre 1943 ad auspicarne la convocazione, ricalcando, al punto programmatico sei, il ricordato principio della religione di Stato e il concetto del ‘rispetto’ per ogni altro culto «che non contrasti con le leggi»27; sarà ancora il Consiglio dei ministri, dopo aver approvato la denominazione di «Repubblica Sociale Italiana»28 per il nuovo stato fascista, a incaricare, nella seduta del 25 novembre, il ministro dell’Educazione nazionale, Carlo Alberto Biggini, ordinario di diritto costituzionale dell’Università di Pisa, della relazione di un progetto di Costituzione della Rsi da sottoporre al Consiglio stesso e, quindi, alla Costituente29.
Di questo progetto si è parlato, direttamente o indirettamente, in più di una fonte, soprattutto di carattere memorialistico30, con riferimento anche ad una redazione elaborata dal vecchio senatore Vittorio Rolandi Ricci31, e con l’indicazione, sotto il profilo che qui interessa, – non colta peraltro dagli studiosi del problema32 – di una disposizione costituzionale che sanciva il rispetto dei Patti Lateranensi, «i quali erano dichiarati costituzionalmente invariabili unilateralmente»33 sviluppando compiutamente quella linea di rilevanza statutaria dei rapporti Stato-Chiesa in generale e, in particolare dei protocolli del 1929 che, come si è ricordato, risaliva alla legge del 1928 sul Gran consiglio del Fascismo.
Solo ora – con la integrale pubblicazione da parte di Luciano Garibaldi dello schema di ‘Carta costituzionale della Repubblica sociale italiana’ nel recentissimo, organico volume sul Biggini34 – è possibile conoscere, in un contesto di eccezionale rilievo giuridico-culturale, i termini nei quali Mussolini, che restituì lo schema al Biggini con sottolineature e correzioni autografe, e il suo ‘esperto’ – al quale, non va dimenticato, aveva affidato nel dicembre del 1939 tutta la documentazione riservata sui negoziati con il Vaticano per la Conciliazione perché ne scrivesse quella Storia inedita che apparve nel febbraio 194235 – intendevano regolare i rapporti tra Stato e Chiesa. Termini che, come si porrà vedere, troveranno non previsti ma significativi riscontri nei lavori preparatori nella vigente Costituzione dell’Italia democratica.
Secondo la ricostruzione fatta da Garibaldi attraverso la documentazione dell’Archivio Biggini, il ministro avrebbe presentato al Duce una prima bozza affrettatamente dattiloscritta in occasione del Consiglio dei ministri del 18 dicembre, quando però Mussolini aveva già deciso il rinvio della Costituente a quando l’Italia «repubblicana e fascista» avesse potuto riprendere «il suo posto di combattimento»36. Mussolini trattenne il documento e lo restituì a Biggini, con una lettera del 27 maggio 1944, conservata in minuta nelle Carte della Segreteria del Duce all’Archivio Centrale dello Stato37, nella quale dichiarava di non avere «nulla da osservare» sulle linee essenziali del progetto di Costituzione, «meno i punti sottolineati» dei quali si riservava di discutere a voce; accludeva, peraltro, la Costituzione della Repubblica Romana del 184938. Nel discorso al Lirico del 16 dicembre successivo, Mussolini avrebbe rinviato la convocazione della Costituente a dopo la fine della guerra39.
Nello schema della Carta costituzionale della Repubblica sociale più di una delle disposizioni redatte dal Biggini allo scopo di indicare non solo «le basi della Rsi, ma anche le linee fondamentali dello sviluppo legislativo» (premessa), tratta problemi connessi ai rapporti tra Stato e Chiesa e alla natura delle norme giuridiche italiane di derivazione ‘lateranense’. Così l’art. 6 ribadisce il principio che «La religione cattolica apostolica romana è la sola religione della RSI», mentre l’art. 9 dispone che «Gli altri culti sono ammessi, purché non professino principî e non seguano riti contrari al buon costume», specificando, al secondo comma, che «L’esercizio anche pubblico degli altri culti è libero, con le sole limitazioni e responsabilità stabilite dalla legge», ma affermando, nel successivo art. 92, che «Tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge» e riconoscendo anche la libertà di culto, «come attributo essenziale della personalità umana e come strumento utile per gli interessi e per lo sviluppo della Nazione», da garantirsi, peraltro, «fino al limite in cui è compatibile con le preminenti esigenze dello Stato e con la libertà degli altri individui» (art. 97).
Gli articoli 7 e 8 regolano espressamente le relazioni tra Stato e Chiesa cattolica. Nel primo, ricalcando gli artt. 2 e 3 del Trattato Lateranense, si afferma che: «La Rsi riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua mansione nel mondo», e le riconosce anche «la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano». Con il secondo si sancisce costituzionalmente che: «I rapporti tra la Santa Sede e la Rsi si svolgono nel sistema concordatario, in conformità dei Trattati e del Concordato vigenti».
Per quanto riguarda la legislazione ulteriore in materia si prevede che sia – insieme ai disegni di legge di maggiore rilevanza indicati dall’art. 29 – riservata alla «competenza esclusiva» dell’Assemblea planetaria della costituenda «Camera dei Rappresentanti del Lavoro»40 composta anche da una Commissione generale del bilancio e delle Commissioni legislative (art. 28) competenti a deliberare sugli oggetti di ordinario rilievo previsti dall’art. 32 che può essere ricollegato all’art. 16 della legge 19 gennaio 1939 n. 129 che aveva istituito la nuova Camera dei fasci e delle corporazioni.
Connessa al principio stabilito dall’art. 8 la disposizione dell’art. 73 secondo comma, che impegna la Rsi a difendere la famiglia – «presupposto della politica demografica» – «proteggendo e consolidando tutti i valori religiosi, e morali che [la] cementano» e, in particolare riconoscendo gli effetti civili al «sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto canonico»41. Una trascrizione costituzionale, anche in questo caso, delle disposizioni concordatarie (art. 34, primo comma), che troviamo riciclate pure nel successivo art. 83 dove si riprende, modificandolo in senso obbligatorio, il principio stabilito nell’art. 36 del Concordato:
«La Rsi considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica; perciò l’insegnamento religioso è obbligatorio nelle scuole pubbliche elementari e medie. La legge può stabilire particolari casi di esecuzione».
Riservando ulteriori approfondimenti della problematica che si è richiamata, è possibile osservare che la rilevanza costituzionale attribuita ai Patti del Laterano dallo schema di Carta costituzionale della Rsi predisposto da Biggini e rivisto da Mussolini si articolava su un duplice livello.
Sul piano generale si ‘costituzionalizzava’ il sistema concordatario di relazioni Stato-Chiesa e si richiamavano i Patti Lateranensi; su quello particolare si inserivano nella Costituzione come disposizioni unilaterali alcuni dei principi bilateralmente concordati nei protocolli del 1929 (matrimonio canonico/istruzione religiosa) consacrandoli statutariamente, ma sganciandoli, in un certo senso, dalla logica pattizia.
Quanto alle eventuali modificazioni dei Patti Lateranensi è da presumersi – sulla base del par. 1 dell’art. 29 – che fosse da riservarsi alla Camera dei Rappresentanti, riunita in Assemblea plenaria, l’approvazione dei relativi accordi con la Santa Sede; che, in altri termini, nella ricordata linea di tendenza inaugurata dalla legge del 1929 sul Gran consiglio le norme di derivazione pattizia avrebbero assunto il carattere di norme primarie vincolate o rinforzate, come quelle, appunto, sottratte dall’art. 30 alla competenza delle Commissioni legislative della Camera.
Una chiave di lettura dei principî costituzionali in materia di rapporti Stato-Chiesa delineati dal Biggini per Salò può essere trovata attraverso alcuni riferimenti alla elaborazione di idee e programmi, nella medesima materia che, quasi contemporaneamente, andava iniziandosi da parte dei ricostituiti partiti politici e che si concluderà con il congelamento istituzionale e normativo del sistema e delle strutture elaborati dal fascismo nei vent’anni del suo regime, operato dalla Costituzione del 1948.
In particolare è nel cosiddetto ‘Programma di Milano’ della Democrazia cristiana, risalente al 25 luglio 1943, che si parla di ispirazione cristiana dell’attività dello Stato, di ‘intangibilità’ dei Patti Lateranensi fino ad eventuali modifiche concordate tra le parti, di riconoscimento della «indipendenza e sovranità della Chiesa e dello Stato, in ordine ai loro fini rispettivi»42. Nel programma della Dc, scritto da De Gasperi alla fine del novembre successivo e pubblicato nel dicembre 1943 e nel gennaio 1944 con lievi aggiunte e modifiche, si afferma che nello Stato democratico la pace tra Stato e Chiesa «raggiunta e codificata nei Trattati del Laterano», deve costituire «una pietra basilare anche dell’Italia di domani»43; ad esso De Gasperi fece seguire, nel febbraio, un altro opuscolo, che raccoglieva due suoi scritti pubblicati su «Il Popolo» clandestino, nel quale ribadiva che i Trattati del 1929 andavano difesi anche per assicurare alla ricostruzione nazionale «il libero e prezioso apporto delle coscienze religiose»44.
Ma è al I Congresso nazionale del 24-27 aprile 1946 che Guido Gonella delinea organicamente il programma della Dc per la nuova Costituzione, proponendo l’ispirazione cristiana delle libertà costituzionali e affermando che, essendo l’italiano un popolo cristiano, non può pensarsi ad uno Stato laico o agnostico, ma ad uno Stato conforme all’etica cristiana.
In tale prospettiva si chiede che nella Costituzione venga «invocato il nome di Dio» e si riconosca la cattolica come «Religione del popolo italiano», che si tengano presenti, nell’elaborazione dei singoli istituti, gli impegni assunti con il Concordato Lateranense, tra i quali, oltre alla libertà di culto, di esercizio del potere spirituale e della giurisdizione ecclesiastica ecc., il «riconoscimento degli effetti civili del sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico» (punto f) e «il mantenimento dell’insegnamento religioso nelle pubbliche scuole, inteso veramente quale fondamento e coronamento dell’istruzione» (punto g). Si specifica, inoltre, che «La Santa Sede deve godere la assoluta indipendenza per l’adempimento della sua alta missione nel mondo» e che, essendo lo Stato e la Chiesa potestà «distinte ma non separate», devono essere respinti «il paratismo e il laicismo statale»45.
A parte alcuni dettagli tecnici e la provvisorietà delle formulazioni, le analogie tra le proposte formulate dalla Dc per la Costituzione dell’Italia democratica e di quelle preparate dal Biggini per la Costituzione della Repubblica sociale, sono non poche e certo non prive di interesse per un approfondimento della dimensione ideologica del sistema di rapporti Stato-Chiesa successivamente consacrato dalla Corte del 1948.
Analogie appaiono anche più stringenti se si ripercorrono gli Atti della Costituente seguendo l’iter laborioso e combattuto dell’elaborazione e dell’approvazione dell’attuale art. 7 della Costituzione. Se prescindiamo dai lavori della Commissione Forti – dove pure si nota Mario Stolfi sostenere la necessità di affermare il principio della religione cattolica come religione di Stato e la pregiudizialità dei rapporti Stato-Chiesa rispetto al problema delle libertà religiose, polemizzando con Mortati (che non vuole riconoscere che il Concordato rappresenta «un limite per la Costituzione») e con Piga, per il quale il Concordato «non può costituire un ostacolo al riconoscimento costituzionale di quelle che sono le manifestazioni essenziali del diritto di libertà religiosa per tutte le confessioni religiose»46 –, troviamo nella proposta del relatore Dossetti alla prima Sottocommissione della Commissione dei settantacinque una serie di specifici riferimenti.
A parte il riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa come ordinamento originario al pari di quello internazionale e di quello di altri Stati (art. 4) – che può essere equiparato al riconoscimento della «sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura» dell’art. 7 del testo della Rsi –, nella proposta Dossetti si stabiliva che, «fermi restando i principi della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei cittadini», la religione cattolica, in quanto professata dalla quasi totalità degli italiani, «è la religione dello Stato» e che le relazioni tra Stato e Chiesa restavano «regolate dagli Accordi Lateranensi» (art. 7)47. Principi certamente analoghi a quelli sanciti nei menzionati artt. 6, 8 e 92 dello schema Bigini-Mussolini del 1943, che, appunto, tendevano a riconoscere costituzionalmente la cattolica come religione dello Stato e ad inserire nella Costituzione il riferimento diretto ai Patti del Laterano, pur affermando il principio dell’eguaglianza giuridica dei cittadini. È questo della rilevanza costituzionale degli Accordi del 1929 il punto di maggiore interesse nel raffronto tra le diverse ipotesi statutarie; una rilevanza che si trova anche nell’art. 3 proposto da Tupini nella seduta del 5 dicembre 1946 della I Sottocommissione («I patti lateranensi […] sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato»)48, e nella ulteriore formulazione della norma, predisposta dallo stesso Tupini il 18 dicembre, che, dopo un primo comma – frutto, a quanto ha riferito La Pira, di un suggerimento dell’allora mons. Montini, riservatamente accolto da Togliatti49 – nel quale si stabiliva che «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», disponeva: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi»50.
Una rilevanza che – rinforzata dall’approvazione dell’emendamento Lucifero sulla non necessità del procedimento di revisione costituzionale per la «modifica di essi bilateralmente accettata»51 – rimase integrate nel testo votato dalla Commissione per la Costituzione nella seduta del 23 gennaio 194752 e in quello definitivamente approvato dalla maggioranza dell’Assemblea Costituente il 25 marzo successivo, dopo ulteriori tentativi (Rodinò-Coppa, Patricolo), di inserire un articolo che riconoscesse la cattolica come religione ufficiale della Repubblica o, quanto meno, della enorme maggioranza del popolo italiano53. Una rilevanza, infine, che raccorda, lasciando qualche sconcerto, i supporti del congelamento statutario del sistema lateranense del 1929 con la dimensione ideologica, certo in sé più omogenea e coerente, del modello costituzionale della Repubblica sociale, il quale non poteva prescindere nel sancire, finalmente, i principi giuridici fondamentali della ‘Nazione Italiana’, da quei Patti del Laterano che erano stati uno dei ‘pilastri’ del regime fascista e che quindi, difficilmente avrebbero potuto non essere ‘costituzionalizzati’.
Queste brevi e provvisorie considerazioni stanno ad indicare come il problema storico dell’art. 7 della Costituzione sia ancora aperto e come il fortunato ritrovamento dello schema di Carta costituzionale della Rsi contribuisca ad aumentare gli interrogativi sulla paternità non putativa di una norma di cui si è voluto, con limitato approfondimento, attribuire, in genere, la responsabilità essenziale a quel Dossetti che, tra l’altro, si trovò a votare, con la minoranza della I Sottocommissione, contro l’emendamento Lucifero54. Sembra da escludere, d’altro canto, che i termini del progetto Biggini-Mussolini potessero, in qualche modo, essere venuti a conoscenza dei costituenti. Certo la Santa Sede, dal canto suo, si era mossa, in un primo momento, nel senso della «internazionalizzazione» dei Patti del Laterano più che in quello di una loro «costituzionalizzazione»55.
Si tratta in definitiva, di uno degli aspetti centrali della generale problematica della continuità nell’evoluzione politico-costituzionale dello Stato italiano, nel quale le «profonde differenze esistenti fra il progetto politico che stava alla base del movimento liberale che fu protagonista del Risorgimento, quello perseguitato dall’opposizione cattolica nella fine del secolo XIX, […] quello perseguitato dal movimento nazionalista e dagli altri gruppi, poi confluiti nel fascismo etc.»56, sembrano diluirsi, lasciando aperto, in ogni caso, il discorso sul rapporto continuità-rottura, tra «la fase di costruzione dell’impianto repubblicano e le precedenti fasi, liberale e fascista dell’esperienza unitaria italiana»57, e integrando le considerazioni, da più parti formulate, sulla «continuità giuridica tra il vecchio e il nuovo Stato italiano»58.
È nell’impostazione delle risposte da dare a questo insieme di interrogativi che si pone – come è stato osservato – «la chiave di lettura principale per la comprensione storica non solo della costituente, ma anche del prodotto costituzionale, per la valutazione, cioè, del rendimento e dell’attualità della Carta repubblicana del 1948»59. Una valutazione che, nonostante i lodevoli interventi della Corte costituzionale, si rivela particolarmente necessaria e delicata in ordine alla portata del richiamo statutario agli Accordi Lateranensi del 1929, contenuto nell’art. 7, secondo comma della Camera, che ha innestato nella legge fondamentale della Repubblica «un corpo di norme datato in modo così significativo da renderlo inconciliabile […] con i valori in materia religiosa costituzionalizzati nel 1947»60.
Anche in questa prospettiva appare essenziale ed estremamente utile il progetto di Camera costituzionale della Rsi del 1943 fortunosamente ritrovato e recentemente pubblicato61.
1 Il saggio «Il problema storico dell’art. 7 Cost. e il rapporto continuità-rottura tra vecchio e nuovo ordinamento giuridico italiano» è stato pubblicato in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 4.4, 1983, pp. 1332-1346, e ora rieditato in quest’opera con un aggiornamento bibliografico.
2 Per una bibliografia aggiornata ma non completa cfr. P. Lillo, Commento all’art. 7, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, I, Torino 2006, pp. 171-172; S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, Padova 1978, pp. 78 segg. con ampie indicazioni bibliografiche, pp. 385-386, 401-408 alle quali si rinvia anche per la giurisprudenza della Corte costituzionale; F. Finocchiaro, Art. 7 e 8, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Art. 1-12, Principi fondamentali, Bologna-Roma 1975, pp. 321-434; G. Catalano, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella Costituzione repubblicana, Milano 1968.
3 Sul dibattito nato in merito alla costituzionalizzazione dell’art. 7 cfr. L. Elia, G. Dossetti e l’art. 7 della Costituzione, in La storia, il dialogo, il rispetto della persona. Scritti in onore del Cardinale Achille Silvestrini, a cura di L. Monteferrante, D. Nocilla, Roma 2009, pp. 433-451; U. Mazzone, Tra resistenza e ragion di Stato: momenti del pensiero politico di Giuseppe Dossetti, in Giuseppe Dossetti: la fede e la storia. Studi nel decennale della morte, a cura di A. Melloni, Bologna 2007, pp. 311-342; A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), Bologna 2003, pp. 65-78; A. Melloni, L’utopia come utopia, in G. Dossetti, La ricerca della Costituente (1945-1952), a cura di A. Melloni, Bologna 1994, pp. 13-59, in partic. da pp. 30 segg.; Atti della Costituzione sull’art. 7, a cura di A. Capitini, P. Lacaita, Manduria-Perugia 1959, pp. 406 segg., e, soprattutto, F. Finocchiaro, Art. 7 e 8, cit., pp. 342-343.
4 Si vedano gli autori indicati nella nota bibliografica di S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, cit.
5 La questione romana negli anni 1860-61. Carteggio del conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, o Vimercati, a cura della Commissione Reale editrice, I, Bologna 1929, pp. 308-314; un’edizione critica – integrata da importanti testi inediti – in M. Tedeschi, I capitolati Cavour-Ricasoli. Documenti sui primi tentativi per il componimento della questione romana, in Vecchi e nuovi saggi di diritto ecclesiastico, Milano 1990, pp. 243 segg. Più in generale sulla questione romana ed i rivolgimenti conseguiti al processo di unificazione nazionale cfr. S. Marotta, L’occupazione di Roma e della città leonina: rapporti tra santa Sede e autorità italiane dal 20 settembre alla vigilia del plebiscito del 2 ottobre 1870, «Cristianesimo nella storia», 31, 2010, 1, pp. 33-77; Le pontificat de Léon XIII. Renaissances du Saint-Siège? Études réunies par Philippe Levillain et Jean-Marc Ticchi, Actes du colloque de Paris du 2003, Roma 2006; Jean-Marc Ticchi, Aux frontiers de la paix. Bons offices, médiations, arbitrages du Saint-Siège (1878-1922), Rome 2002.
6 Per tutti F. Scaduto, s.v. Santa Sede, in Digesto italiano, XXI, 1, Milano-Roma-Napoli 1891, pp. 696-699.
7 G. Saredo, Codice ecclesiastico, I, Torino 1887, pp. 22-23 (nota 19 febbraio 1878 al presidente del Consiglio di Stato).
8 Ibidem, pp. 24-26.
9 F. Scaduto, s.v. Santa Sede, cit., p. 698; cfr. anche S. Romano, Corso di diritto costituzionale, Padova 1926, pp. 227-331. Sulla distinzione tra legislazione libera e legislazione vincolata prima e dopo la stipulazione dei Accordi Lateranensi, con specifico riferimento alla legge 2693/1928, cfr. per tutti, M. Falco, Corso di diritto ecclesiastico, Padova 1930, pp. 299-302.
10 Fra i commenti particolarmente interessante quello di G. Gentile, La legge del Gran Consiglio, «Educazione Fascista», VI, 1928, pp. 513-517.
11 A. Rocco, Relazione ministeriale al disegno di legge, in Id., La formazione dello Stato fascista (1925-34), Milano 1938, pp. 943-954.
12 Per tutti: B. Liuzzi, Sulle leggi costituzionali di cui all’art. 12 della legge sul G.C., «Annali dell’Università di Camerino», 3, 1929; A. Ferraciu, Le leggi di carattere costituzionale, «Rivista di diritto pubblico», 1, 1930, pp. 69-81; A.C. Jemolo, La legge 9 dicembre 1938, n. 2693 e il carattere di «legge costituzionale», in Studi di diritto pubblico in onore di Oreste Ranelletti nel trentacinquesimo anno di insegnamento, II, Padova 1931, pp. 75-90.
13 Cfr. P. Biscaretti di Ruffia, Le attribuzioni del Gran Consiglio del Fascismo, Milano 1940; Id., Le attribuzioni del G.C. del Fascismo secondo la dottrina e la prassi più recente, «Archivio Giuridico», CXXV, 1941, pp. 120 segg.; C. Mortati, Sulle attribuzioni del G.C., ibidem, CXXIV, pp. 96-104.
14 M. Falco, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 301.
15 G. Gentile, La legge del Gran Consiglio, cit., p. 516.
16 A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, ed. Reprints, I, Torino 1978, p. 248. L’o.d.g. 14 marzo è in Atti del Pnf, VII, I, 85. In proposito L. Rossi, Scritti vari di diritto pubblico, VI, Milano 1941, p. 22.
17 D. Grandi, Tradizione e rivoluzione nei Codici Mussoliniani, Roma 1940, p. 7.
18 G. Perticone, Ancora sui principi generali dell’ordinamento giuridico, «Archivio Giuridico», CXXIII, 1940, pp. 58-59.
19 G. Perticone, Ancora sui principi generali dell’ordinamento giuridico, cit., p. 58.
20 Atti del Convegno Nazionale Universitario sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista tenuto in Pisa nei giorni 18 e 19 maggio 1940-XVIII, Pisa 1940.
21 G.B. Funaioli, Premessa, in Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, a cura della Facoltà di Giurisprudenza e della scuola di perfezionamento nelle discipline corporative della R. Università di Pisa, Pisa 1949-XXI, V; autori dei saggi: Panunzio, Perticone, Maggiore, Cesarini, Sforza, Mortati, Lucifredi, Crisafulli, Pergolesi, Jannaccone, Santori Ferrara, Betti, Santoro-Passarelli, Allara, Grosso, Pugliatti, Mossa, Funaioli, Biggini. Ordinatore del convegno e del volume il Funaioli.
22 C. Jannaccone, I principi generali dell’ordinamento giuridico statale enunciabili in un sistema di precetti lavorativi, in Studi sui principi generali, cit., pp. 283, 288, 293.
23 Ibidem, pp. 293-294.
24 C.A. Biggini, Dei principi generali dell’ordinamento giuridico fascista (contributo alla loro formulazione), in Studi sui principi generali, cit., pp. 405-423.
25 V. Crisafulli, Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, in Studi sui principi generali, cit., p. 175.
26 Sull’argomento si veda M. Viganò, Il Congresso di Verona (14 novembre 1943). Documenti e testimonianze, Roma 1994.
27 A. Fappani, F. Molinari, Chiesa e Repubblica di Salò. Fonti edite ed inedite, Torino 1981, pp. 56-58.
28 Sulla Rsi si vedano i recenti: M. Fioravanzo, Mussolini e Hitler. La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma 2009; La Repubblica di Salò, a cura di D. Meldi, Santarcangelo di Romagna 2008.
29 L. Garibaldi, Mussolini e il professore. Vita e diari di Carlo Alberto Biggini, Milano 1983, p. 107; A. Tamaro, Due anni di storia, II, Roma 1948, p. 229; E. Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, Roma 1948, p. 56.
30 E. Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, cit., pp. 188-189; A. Cicchitti-Suriani, La «Rsi» e il Concordato, «Nuova Antologia», 86, 1951, pp. 118-127; Id., La «Rsi» e il clero cattolico, «Nuova Antologia», 87, 1952, pp. 21-22; A. Fappani, F. Molinari, Chiesa e Repubblica di Salò. Fonti edite ed inedite, cit., p. 58; L. Pietra, La «Rsi» e i patti del laterano, Brescia 1946; G. Perticone, La Repubblica di Salò, Roma 1947, p. 158; M. Liberati, La Repubblica di Salò, Roma 1952.
31 Al quale, probabilmente, Mussolini aveva sottoposto per un parere il progetto di Biggini che, come dimostra L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit., p. 109, fu l’unica redazione organica presentata al Consiglio dei ministri ed esaminata e rivista personalmente da Mussolini; del Rolandi-Ricci di veda: Vaticano, Repubblica, Clero, Milano 1945, che raccoglie, in massima parte, gli articoli pubblicati nel 1943-1944 sul «Corriere della sera», diretto da Amicucci.
32 Non sono, però, sfuggiti all’attenzione di S. Lariccia gli scritti ricordati del Cicchitti-Scriani (Diritto ecclesiastico italiano, Bibliografia 1929-1972, Milano 1974, nn. 1245, 1246).
33 E. Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, cit., pp. 188-189.
34 L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit., dove vengono pubblicati i passi più importanti del diario di Biggini, il cosiddetto Memoriale di Padova, il progetto di Costituzione e alcune importanti lettere di Orlando, Gentile, De Ruggiero, Jemolo, Segni, Bottai, Grandi.
35 C.A. Biggini, Storia inedita della Conciliazione, Milano 1942.
36 L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit., p. 107.
37 Ibidem, p. 108; cfr. anche p. 350.
38 Ibidem; cfr. anche p. 350.
39 Ibidem, p. 350.
40 Tale Camera sarebbe stata composta «di un numero di membri pari a 1 ogni 100.000 abitanti, eletti col sistema del suffragio universale diretto da tutti i cittadini lavoratori maggiori degli anni 18»; membri di diritto il Capo del Governo, i ministri e i sottosegretari di Stato.
41 Questa disposizione era inserita nel par. VI «La difesa della stirpe» ove si ribadiva il divieto di matrimonio con sudditi di razza ebraica e la necessità di una speciale disciplina per matrimoni con stranieri o sudditi di altre razze.
42 Atti e documenti della Democrazia Cristiana, 1943-1967, a cura di A. Damilano, I, Roma 1968, p. 9.
43 Ibidem, p. 23.
44 Ibidem, p. 43.
45 Ibidem, pp. 231-236.
46 Alle origini della Costituzione Italiana. I lavori preparatori della «Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato» (1945-1946), a cura di G. D’Alessio, Bologna 1979, pp. 282-286.
47 Atti della Costituente sull’art. 7, cit., pp. 87 segg., 105 segg.
48 Ibidem, p. 122; preceduto da un art. 2: «La Repubblica riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nella sfera dell’ordinamento giuridico di essa».
49 Cfr. G. La Pira, La Casa comune, una costituzione per l’uomo, a cura di U. De Siervo, Firenze 1979, pp. 52-53.
50 Atti della Costituente, cit., pp. 131, 133.
51 Ibidem, p. 142.
52 Ibidem, pp. 145-177.
53 Ibidem, pp. 435-436, 450, 518-522.
54 Ibidem, p. 142; cfr. in proposito P. Pombeni, Il gruppo dossettiano e la fondazione della Democrazia cristana (1938-1948), Bologna 1979, pp. 259-260; Id., Il gruppo dossettiano, in Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, tomo I, a cura di R. Ruffilli, Bologna 1979, pp. 472-492.
55 Può essere significativo richiamare quanto ebbe a dichiarare il Guardasigilli, nel suo discorso alla Camera dei deputati, il 14 maggio 1929 in occasione della ratifica dei Patti Lateranensi: «Il nuovo sistema si incardina su tre principi: reciproca indipendenza con piena sovranità della Santa Sede, organo centrale e supernazionale della Chiesa cattolica, da una parte, dello Stato italiano dall’altra; sottoposizione della organizzazione cattolica in Italia alla sovranità dello Stato, con una condizione di particolare favore a categorie del carattere religioso e cattolico dello Stato; collaborazione cordiale tra la Santa Sede e lo Stato, l’organizzazione cattolica italiana e lo Stato.
Questi principî non sono nuovi, come non è nuovo il sistema concordatario. Ma, come negli altri concordati recenti, essi assumono forme nuove e ricevono nuove applicazioni, in confronto dei concordati più antichi.
In primo luogo la dichiarazione solenne di confessionalità dello Stato, la riaffermazione cioè del suo carattere religioso e cattolico, non importa più abolizione della libertà di coscienza e di culto, obbligo di propagare e di imporre coattivamente la fede, costituzione dei seguaci di altri culti in una condizione di inferiorità giuridica. E neppure importa denuncia, da parte dello Stato, all’esercizio di alcuna delle funzioni proprie della sovranità e abdicazione di esse nelle mani del clero. Lo Stato impartisce l’istruzione religiosa cattolica nelle sue scuole, nelle organizzazioni giovanili, ma non rinuncia al compito, per esso essenziale, di istruire ed educare la gioventù. Lo Stato riconosce effetti civili al matrimonio religioso, ma non rinuncia a costituire e regolare il matrimonio civile e a conservare ad esso, una volta celebrato, efficacia giuridica, anche di fronte ad un altro matrimonio celebrato religiosamente».
Si veda inoltre F. Margiotta Broglio, Ancora sulle origini dell’art. 7 della Costituzione: un progetto di Jacques Maritain per l’internazionalizzazione dei patti lateranensi e propositi della Santa Sede per l’ampliamento della Città del Vaticano (1944-1948), in Studi in onore di Lorenzo Spinelli, Modena 1989, III, pp. 851-888.
56 A. Pizzorusso, L. Violante, Dal Regno d’Italia alla Repubblica Italiana: il ruolo dell’Assemblea Costituente, in La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all’Assemblea Costituente, a cura di E. Cheli, Bologna 1973, p. 23.
57 E. Cheli, Introduzione a La fondazione della Repubblica, a cura di E. Cheli, cit., p. 14.
58 Per tutti, da ultimo, A. Pizzorusso, L. Violante, Dal Regno d’Italia alla Repubblica Italiana, cit., p. 23, da cui si cita.
59 E. Cheli, Introduzione a La fondazione della Repubblica, a cura di E. Cheli, cit., p. 14.
60 T. Martines, Ordine dello Stato e «Principi supremi» della Costituzione, in Stato democratico e regime pattizio, a cura di S. Berlingò, G. Casuscelli, Milano 1977, pp. 74-75. In questa prospettiva si spiega quello che U. De Siervo ha definito «il perdurante riemergere di una tendenza interpretativa fortemente riduttiva della funzione svolta [alla Costituente] delle forze politiche di ispirazione cristiana» (U. De Siervo, L. Elia, Costituzione e movimento cattolico, in DSMC, I, 2, pp. 237-238), specialmente se non si tralascia, nel valutare l’art. 7 Cost., di correlare tutta la questione alla ricordata problematica del rapporto rottura-continuità tra regime fascista e ordinamento della Repubblica. Per una interessante angolazione di analisi di questa problematica cfr., A. Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione, Milano 1982, pp. 453-456.
61 L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit., pp. 107 segg.