La rinascita della scienza giuridica e la genesi del diritto comune
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dalle trasformazioni economico-sociali dei secoli XI e XII emerge l’esigenza di nuovi strumenti di regolazione giuridica, cui si impegna a fornire risposta l’elaborazione dottrinale avviata dalla scuola bolognese dei glossatori a partire dal recupero e dallo studio del Corpus iuris civilis. Attraverso la proliferazione delle università, la nuova scienza giuridica si proietta autorevolmente a livello europeo, diventando matrice di un diritto nuovo: il “diritto comune”.
L’evoluzione della società europea nei secoli XI e XII non sconvolge i tratti tipici e profondi della sua complessa fisionomia giuridica. Perdura la coesistenza di una pluralità di ordinamenti eterogenei; resiste la centralità della consuetudine tra le fonti del diritto; permane entro confini materiali ristretti la portata normativa delle leggi emanate dai poteri pubblici. Sullo sfondo di simili elementi di continuità, si staglia tuttavia una novità rilevantissima, che progressivamente occupa la scena del diritto: la nascita di una nuova scienza giuridica, a partire dalla riscoperta e dallo studio della grande compilazione giustinianea (ribattezzata, proprio in quest’epoca, Corpus iuris civilis).
Molteplici sono le connessioni e le implicazioni di questa fioritura culturale, che va compresa, innanzitutto, nel contesto dei cospicui mutamenti socio-economici caratterizzanti l’avvio del secondo millennio. Urbanizzazione, espansione dell’attività manifatturiera, commercializzazione dell’accresciuta produzione agraria, rompendo gli assetti statici dell’Europa protomedievale, mettono in movimento uomini e cose all’interno di circuiti mercantili aperti e dinamici.
Le nuove relazioni economiche, debordando dalla dimensione locale, non trovano adeguata copertura nel tessuto frammentario del diritto consuetudinario e perciò esigono nuovi strumenti di regolazione giuridica, idonei a inquadrare la varietà degli usi e delle regole particolari in categorie e istituti generali.
In assenza di un potere politico agente come sovrano potere legislativo, la civiltà del Medioevo maturo ritrova nell’elaborazione dottrinale la risposta a tali esigenze, affidando alla sapienza dei giuristi la costruzione di un universo comune di principi normativi e schemi ordinativi. La nuova scienza nasce ed evolve, dunque, a contatto con la prassi: dai fatti economici e sociali trae sollecitazioni e su quei fatti incide con le sue produzioni, acquisendo il ruolo attivo di matrice di diritto, già appartenuto alla scientia iuris nell’esperienza giuridica romana.
Proprio sui monumenti di quell’esemplare esperienza i giuristi medievali fondano l’autorevolezza e la validità delle proprie dottrine: i 50 libri dei Digesta, per secoli ignorati in Occidente, il Codex, le Institusiones, le Novellae, filologicamente ricostruiti da un’avanguardia di dotti, assurgono al rango di “testi sacri” del diritto, riconosciuti come universalmente validi, in quanto depositari di una sapienza giuridica superiore, non solo perché antica, bensì perché suggellata dall’autorità dell’imperatore cristiano Giustiniano, in conformità al volere divino. Tra i dati della realtà contemporanea e i venerati modelli del diritto romano si svolge l’impresa scientifica dei doctores iuris, che, interpretando questi alla luce e in funzione di quelli, operano una feconda mediazione dottrinale, creatrice di soluzioni giuridiche nuove, calibrate sulla nuova società europea, della quale essi forgiano, generazione dopo generazione, il “diritto comune”.
La rinascita della scienza giuridica riceve un impulso decisivo e una duratura impronta dall’attività di Irnerio, giudice, causidico e maestro di arti liberali, che, all’inizio del XII secolo, a Bologna, intraprende un’innovativa opera di ricostruzione ed esegesi della compilazione giustinianea e, rompendo con i tradizionali moduli didattici, conferisce al diritto piena dignità disciplinare, come materia d’insegnamento autonoma, emancipata dalla retorica (entro la quale, nell’ordinamento del trivium, era compresa).
L’approccio irneriano allo studio del diritto fa scuola: attraverso i suoi discepoli (Bulgaro, Jacopo, Ugo, Martino Gosia) e i loro numerosi allievi, si diffonde in Italia e in molte città europee, stimolando l’effervescenza universitaria dell’epoca e orientando la forma mentis scientifica di quattro generazioni di legisti, collettivamente denominati, in virtù del genere letterario prediletto, “glossatori” (da “glossa”, cioè annotazione esplicativa).
Culminata nella grande opera di Accursio, in cui confluisce il distillato della sua tradizione dottrinale, la scuola dei glossatori mette al centro della ricerca e della didattica giuridica il Corpus iuris civilis, concepito come diritto positivo vigente, da comprendere letteralmente nelle sue norme e nei suoi principi e interpretare sistematicamente nella loro correlazione. Le glosse vergate ai margini del testo giustinianeo, infatti, oltre a chiarire il significato di parole e brani, contengono il richiamo ai “passi paralleli”, cioè ad altri luoghi della compilazione contenenti disposizioni pertinenti al tema in esame. In tale sforzo ricognitivo-ermeneutico si rivela una concezione unitaria dei documenti giuridici raccolti da Giustiniano, che, invece di essere compresi nella loro distintiva dimensione storica, sono interpretati come un insieme normativo organico e coeso.
Da questo punto di vista, che esclude a priori la presenza di antinomie (inevitabilmente abbondanti in un’opera legislativa che contiene fonti eterogenee risalenti a epoche diverse), emerge per i glossatori la necessità di risolvere le contraddizioni (ritenute soltanto apparenti) tra passi paralleli discordanti; donde l’importanza della tecnica esegetica della distinctio, attraverso cui la solutio contrariorum è ottenuta determinando il significato delle disposizioni confliggenti in relazione a fattispecie differenti. Per tale via, spesso filologicamente poco ortodossa, l’interprete supera la spiegazione letterale del testo, giungendo talora alla creazione di categorie giuridiche originali e pragmaticamente utili.
Oltre che nelle glosse e nelle distinctiones, la dottrina della scuola trova espressione nelle quaestiones, raccolte di opinioni contrastanti su casi concreti o problemi teorici, nei brocarda, consistenti in enunciazioni di principi generali attinenti a diverse materie, nei tractati, esposizioni sistematiche riguardanti un tema specifico (ad esempio, l’ordo iudiciorum, oggetto dei trattati di procedura), nelle summae titulorum, brevi introduzioni ai singoli titoli del Corpus, nelle summae, trattazioni complete di una delle sue quattro parti – tra cui sono diffuse le summae Codicis, la più importante delle quali si deve ad Azzone, che adottando lo schema del Codex abbraccia l’intera compilazione giustinianea. Questi e altri generi letterari (fra i quali si possono soltanto menzionare i quare, i casus, le lecturae, le repetitiones, i commenta, le dissensiones dominorum) sono in gran parte correlati all’attività didattica, impostata dai maestri bolognesi su un metodo rigoroso, atto a integrare nella trasmissione del sapere l’indagine esegetica, l’elaborazione sistematica e la discussione casistica: un metodo che, oltre ad attirare a Bologna centinaia e centinaia di studenti di diversa nazionalità, costituirà il modello dell’insegnamento del diritto nelle neonate università europee.
La ripresa degli studi basati sul diritto romano si riverbera rapidamente nell’ambito del diritto canonico, già avviato verso una maturazione dottrinale dal vescovo Ivo di Chartres nel clima culturale della riforma gregoriana. All’inizio degli anni Quaranta del XII secolo il monaco camaldolese Graziano porta a termine una vasta compilazione giuridica, comprendente quasi quattromila testi, tratti da varie fonti, che spaziano dalla Sacra Scrittura ai capitolari carolingi, dalla letteratura patristica al Codex Theodosianus, dai libri penitenziali alle decretali pontificie ecc., ferma restando la prevalenza dei canoni conciliari.
Significativamente intitolata Concordia discordantium canonum, la raccolta si distingue nettamente dalle precedenti poiché mira a ordinare l’eterogeneo materiale selezionato in un universo normativo armonico e coerente. A tal fine l’autore si impegna, nei dicta che accompagnano i testi, a superare le contraddizioni emergenti ricorrendo a una serie di criteri: attraverso l’individuazione dell’autentico spirito delle diverse norme (ratione significationis); secondo la regola per cui la norma posteriore abroga l’anteriore (ratione temporis); secondo la regola per cui la norma generale è derogata dalla particolare (ratione loci); o, nell’impossibilità di adottare questi criteri, dimostrando che una regola rappresenta un’eccezione rispetto all’altra (ratione dispensationis).
Opera di un privato, il Decretum Gratiani (denominazione che subito si impone sul titolo originale) diventa il pilastro del diritto canonico e dà l’abbrivio al suo sviluppo dottrinale. A partire dalla metà del XII secolo, infatti, si moltiplicano gli apparati di glosse, le summae, i trattati basati sulla compilazione del monaco-giurista, a opera dei cosiddetti “decretisti”, che la eleggono a principale oggetto di studio e di insegnamento, così come i glossatori avevano fatto con il Corpus iuris di Giustiniano. Nasce così, emancipandosi compiutamente dalla teologia per metodo e oggetto, la scienza del diritto canonico, che nei decenni successivi progredisce attraverso il filone dottrinale dei “decretalisti”, con i quali entra nel campo dell’indagine e della riflessione giuridica la vasta e crescente normativa prodotta, dopo la raccolta di Graziano, dalle lettere decretali dei pontefici.
Il diritto canonico assurge, al pari del diritto romano, a materia d’insegnamento universitario, e insieme ad esso (in un ambito disciplinare più circoscritto, ma geograficamente più esteso) informa l’ordine giuridico medievale, inserendosi nel suo accentuato pluralismo col rango autorevole di diritto comune. Ciò significa che entrambi i sistemi normativi (insieme designati correntemente dalla sintetica espressione utrumque ius) sono concepiti come universali e che le regole e principi in essi fondati assumono un valore generale e una funzione integrativa e orientativa rispetto agli ordinamenti giuridici particolari.
Alla centralità del diritto comune corrisponde la centralità della dottrina, che ne costruisce gli istituti e ne elabora i principi, filtrando e vivificando una millenaria eredità giuridica. Se nell’alto Medioevo la configurazione della miriade di espressioni pratiche del diritto è opera della perizia empirica dei notai, se nella piena modernità l’ordinamento giuridico è il prodotto della legislazione statuale, nell’età del diritto comune, che si apre nel XII secolo e giunge sino alla fine del XVIII (conclusa solo dalla svolta codicistica), i protagonisti della vita del diritto sono i doctores iuris; i quali, dialogando da un capo all’altro dell’Europa, incidono profondamente sull’esperienza giuridica, attraverso l’insegnamento universitario, la circolazione delle opere e l’attivo ruolo di giureconsulti (in cui si calano, con particolare intensità, i cosiddetti “commentatori”, che nel secolo XIV rinnovano la lezione dei glossatori).
Non ovunque, tuttavia, il diritto romano interpretato dalla dottrina viene recepito come diritto comune. Esso incontra notevoli resistenze, ad esempio, nei pays de droit coutumier della Francia settentrionale, tenacemente legati a consuetudini di origine germanica. Più rilevante storicamente è il caso dell’Inghilterra, il cui sistema di Common law si forma indipendentemente dall’evoluzione giuridica continentale proprio a partire da quel XII secolo in cui la scuola di Bologna riscopre la compilazione giustinianea come lex omnium generalis. Creato dalla dominazione normanna, iniziata nel 1066, il Common law è “diritto comune” in Inghilterra, dove contemporaneamente vigono, secondo i tipici assetti giuridici medievali, diritti locali e cetuali plurimi. A differenza del diritto comune europeo, esso non ha una matrice dottrinale, bensì giurisprudenziale: sono le Corti di giustizia regie a crearlo attraverso le regole e i principi stabiliti nelle decisioni giudiziali. A differenza del diritto comune europeo, esso attraversa indenne l’intera modernità, perdurando sino ai nostri giorni come modello alternativo agli ordinamenti giuridici a monopolio legislativo generati dalla Rivoluzione francese.