La rinascita delle scienze
Tra Medioevo e inizi dell’età moderna, luoghi e personalità della penisola svolsero una funzione centrale nella trasmissione all’Occidente latino della tradizione scientifica, e non solo scientifica, greca ed ellenistico-romana, e della scienza islamica, che larghe parti di quella tradizione aveva ereditato e rielaborato. Nello studio di questa funzione si radicano questioni storiografiche, in alcuni momenti e per taluni aspetti finanche di rilievo ideologico, culturale e politico, a lungo dibattute, e anche di recente rinnovate: il contributo dell’Umanesimo italiano del 15° sec. alla definizione di strumenti e prospettive della rivoluzione scientifica del sec. 17°; il peso della mediazione arabo-islamica nella formazione della scienza occidentale. Si tratta di campi molto complessi, nella cui definizione entra in gioco il tema dell’identità dell’Europa moderna, e del rapporto, che va ben oltre quelle epoche lontane e la formazione stessa di quest’ultima, tra mentalità e cultura scientifica e Umanesimo nel senso più ampio del termine. Una linea profonda connette la storiografia su filologia e scienza, Umanesimo e indagine naturalistica, recupero e discussione erudita dei testi scientifici antichi e loro graduale assorbimento o riscoperta nella cultura dell’Occidente, in latino e più tardi nelle principali lingue volgari – testi di Euclide, Tolomeo, Archimede, dei matematici e dei naturalisti ellenisti, di Teofrasto, Dioscoride, Plinio, Galeno, e dell’Aristotele e pseudo-Aristotele naturalista –, con un altro ambito disciplinare: l’orientalistica che studia la scienza arabo-islamica e le sue radici nella grecità, e la sua diffusione in ambito latino.
Gli italiani, filosofi, medici, botanici, matematici, astronomi, tecnici, intendenti di greco, oltre che delle discipline scientifiche, furono al centro della rete di collegamenti e di scambi che tra l’Oriente bizantino e il mondo arabo-islamico e l’Occidente latino si costruì e funzionò per secoli, alimentando diverse ondate di trasmissione dei ‘classici’, non solo scientifici, ma anche filosofici e letterari: tra Bisanzio, Venezia, Roma, la Sicilia, la Francia e la Spagna, dal 12° al 14° sec.; tra Bisanzio declinante e premuta dai turchi e l’Italia delle corti curiali e aristocratiche, al tempo del Concilio di Ferrara e Firenze per la riunione delle Chiese greca e latina (1438-39), e infine della caduta dell’Oriente cristiano, fra prima e seconda metà del Quattrocento. Una funzione che corrispose alla tanto indubbia quanto tormentosa centralità dell’Italia nel Mediterraneo, fra Oriente e Occidente, fra le loro dinamiche economiche e politiche; e rispetto ai conflitti tra impero e papato, e alle mire delle grandi monarchie europee.
Fortemente esemplare è il caso del recupero umanistico e scientifico della Geographia di Claudio Tolomeo (100 d.C. ca.-175 d.C. ca.), appassionante vicenda che collega Bisanzio, Firenze, Ferrara e Roma, svoltasi in un ambiente percorso da dotti bizantini, umanisti e scienziati toscani, matematici e cartografi tedeschi, e – spettatori molto attenti – uomini di Stato e pontefici, interessati a globi precisi e ad aggiornate mappe della Terra cognita. Era un testo fondamentale, che fu ricostituito ed emendato alla luce della filologia e della storia, di altri autori antichi, della pratica nautica e dell’esplorazione ed esperienza di terre lontane, sullo sfondo di esigenze concrete, interessi politici, questioni religiose. Si trattò di un eccezionale esperimento del più generale rapporto tra Umanesimo, scienza e vita civile.
Il flusso dei testi antichi, interrogato e sistemato dalla filologia degli umanisti, oltre che dalla competenza dei naturalisti, fu incanalato verso una pluralità di luoghi organizzati, espressioni della complessa vita civile italiana: le corti, con il loro ruolo propulsivo, e le università e le accademie. Si restituisce un panorama istituzionale densissimo, nel quale si devono integrare anche altri luoghi, che emergono dalle biografie dei matematici italiani del 13° e 14° sec.: le scuole d’abaco e la letteratura che vi è connessa, che riprende e sviluppa le tradizioni greco-arabe. Questa matematica, che è anche, e tanto, matematica per banchieri, contabili, funzionari, ingegneri, navigatori e militari, si irradia dalla penisola in Europa, vi esercita una funzione determinante, connessa con l’esportazione dei metodi mercantili, delle manifatture, delle arti e delle maniere civili d’Italia, e dei capitali finanziari dei ‘banchi’ toscani e genovesi. E la matematica degli italiani resta centrale in Europa almeno fino a gran parte del Cinquecento, per capacità di recupero della scienza antica e araba, e per capacità creativa.
Nel mondo delle curie, delle signorie e delle città-Stato si delinea un altro tratto specifico della cultura scientifica italiana: il legame con la bottega dell’artigiano e con quella dell’artista, l’intreccio con la teorica e la pratica dell’artista, dalla musica alla pittura. Studio e rappresentazione del corpo umano, del suono e della visione, anatomia dell’uomo e dell’animale, ricerca dell’armonia e arte della prospettiva conoscono nelle città d’Italia uno sviluppo magistrale e un’originale integrazione. Radicata nelle indagini e nelle dottrine degli antichi, la comprensione dell’universo del numero, del peso e della misura si conduce in significativa relazione con l’elaborazione di uno sguardo figurativo e poietico sul mondo naturale e umano, con la produzione di immagini, architetture, artefatti, armi, strumenti, modelli, strutture, macchine: un incrocio efficacemente rappresentabile evocando la relazione fra il maestro della prospettiva Piero della Francesca, il matematico Luca Pacioli, che ne fu seguace, e l’amico di questi, Leonardo da Vinci.
Le visuali si allargano progressivamente, in tutte le direzioni. La sondabilità e la figurabilità del corpo, percorso oltre le sue superfici esteriori, scoperto nei suoi organi interni, mutano profondamente la scienza dell’uomo, della sua fisiologia e patologia, di quella degli altri animali. Dissezione e studi anatomici – in cui il brabantino Andrea Vesalio, medico e versatile umanista, dalla sua cattedra di Padova, introduce una vera rivoluzione – hanno centro nei teatri anatomici e nelle università d’Italia. Queste attraggono almeno fino al sec. 17°, per la medicina come per altre discipline, studenti e studiosi di tutta l’Europa. Si procede dentro il microcosmo del corpo: la medicina non ‘divìna’, o lo fa sempre meno, secondo il quadro filosofico e astrologico, ‘umorale’ e dietetico durato per secoli, ma ‘vede’ invece sempre più: e constata, tasta, tocca. Più avanti, fra Cinque e Seicento, l’Italia si aprirà inoltre al legame fra medicina e chimica, promosso da Paracelso.
Lo slargamento progressivo del mondo noto e della sua rappresentazione e interpretazione, attraverso i viaggi di esplorazione, di scoperta e di conquista, e le connesse concezioni cartografiche e pratiche nautiche, vede ancora italiani al centro del lavoro scientifico, e dell’informazione sulla natura, la flora e la fauna esotiche, gli Stati e i popoli autoctoni delle Indie ‘nuove’ e degli altri continenti. Sono italiani a dare un’immagine al mondo, a sistemarne i confini e a disegnarne rotte e vie, a rilevarne paesaggio naturale e sociale, almeno fino al Cinquecento, rinnovando in tal modo le tradizioni cartografiche e geografiche sia classiche sia arabe.
Un altro ampliamento procede con effetti finanche drammatici nei primi decenni del Seicento: la rivoluzione astronomica e cosmologica che sconvolge il volto del cielo ereditato e scrutato da greci e arabi, ma anche la scienza del moto. Alla critica del sistema astronomico tolemaico condotta dagli ‘omocentristi’ italiani, e al fervore di studi per la riforma del calendario giuliano, con epicentro nella corte papale fin dal 15° sec., infine compiuta e promulgata da Gregorio XIII nel 1582, si connettono in qualche modo l’ambiente e la presentazione della nuova teoria astronomica di Nicola Copernico, che in Italia come altrove conobbe al principio circolazione lenta e controversa. Ma fra Padova e Firenze, Galileo Galilei imprime dal 1610 all’ipotesi eliocentrica un corso nuovo, attraverso una pratica osservativa dei fenomeni celesti inusitata, per strumentazione (il telescopio) e per metodologia, innovando radicalmente l’immagine del mondo e la scienza del moto. Con lo scienziato pisano giunge a maturazione il processo di emancipazione della meccanica da ars a scientia, iniziato già a metà del Cinquecento, con una riflessione intorno alle meccaniche pseudo-aristoteliche. La meccanica diventa scienza in quanto si fonda su una struttura dimostrativa garantita dall’applicazione di un approccio matematico allo studio dei problemi del moto.
Il papato, già grande principato italiano, è sempre meno un grande principato europeo. All’indebolimento della sua influenza politica nel vecchio continente corrisponde un ampliamento della sua missione universale, diretta verso l’Estremo Oriente e le Americhe; missionari cattolici e in primo luogo gesuiti, nel cui ordine le matematiche avevano conquistato non senza fatica uno spazio nuovo nel corso del Cinquecento, portano in Cina la nuova astronomia. Nonostante la crisi copernicana del 1616-33, l’interesse degli ordini religiosi verso le scienze è restato fortissimo. La funzione esercitata dalla curia romana è tenacemente inibitoria – e pure destinata a progressivi segni di cedimento e di stanchezza –, almeno sul piano dei dibattiti cosmologici, sulla struttura atomistica della materia e sul rapporto tra esegesi e scienza, inducendo spesso gli scienziati, come già i letterati, a dissimulazione e autocensura; ma monaci, frati e abati di vari ordini continuano a svolgere un ruolo di primo piano nella ricerca e nella didattica scientifica, e anche la Santa Sede protegge e stimola accademie e istituti.
Il circuito fra ricerca, sperimentazione, tecnologia e sfera sociale e statuale non intraprese però certo in Italia, alla fine del Seicento, il percorso che distinse Inghilterra e Francia, o altri Paesi dell’Europa del Nord – le cui origini vanno ricercate in un complesso intreccio di fattori politici ed economici, non ultima la straordinaria richiesta di scienza e di tecnica comportata in alcuni di quei Paesi dall’impetuoso sviluppo di navigazione e traffici oceanici, armamento, esplorazione, conquista e colonizzazione dei nuovi mondi da cui l’Italia, per soverchianti ragioni geopolitiche, resta esclusa. Ma certamente di ben poca utilità sarebbe un’interpretazione della scienza italiana condotta con un metro di misura stabilito sulla base della scienza inglese o francese del tempo. Le drammatiche vicende del processo e della condanna di Galilei (1633), che pure ipotecarono pesantemente gli sviluppi dell’astronomia, sono state adottate come chiave di lettura privilegiata dell’intera vita scientifica italiana del tempo. Di qui la conclusione che dalla seconda metà del Seicento sarebbe iniziato un lungo declino della scienza italiana.
In realtà, come documentato dai saggi di questa sezione, non mancarono avanzate indagini sperimentali in vari ambiti, come nella meccanica, nella biologia, nella medicina, nella botanica, nella chimica, ivi compresa la riflessione sulla struttura della materia, che fornirono risultati e progressi in vivace relazione con il dibattito attivo in altri Paesi. Accademie e istituti, personalità di grande valore come Evangelista Torricelli, Giovanni Domenico Cassini, Francesco Redi e Marcello Malpighi produssero contributi scientifici originali e stabilirono rapporti di collaborazione con i maggiori scienziati e accademie europee. In matematica, la teoria degli indivisibili, codificata da Bonaventura Cavalieri, costituì un passo importante verso il superamento degli orizzonti della geometria greca e aprì la strada al calcolo infinitesimale. La ricezione in Italia delle teorie di William Harvey (1578-1657) fu parte di un più generale avanzamento della scienza e della pratica medica. Nella patria della Controriforma e del solidarismo cattolico, intenti scientifici, edificanti e caritativi si fusero nello sviluppo di un’elevata capacità di relazione fra ricerca, formazione dei medici, terapia e assistenza dei malati, come l’esemplare storia degli ospedali italiani nel 17° sec. dimostra. Non meno significativo fu il contributo dei costruttori italiani di strumenti di precisione e di lenti per microscopi e telescopi, che proprio in Italia si erano cominciati ad adoperare nella indagine scientifica.
Ma alla visione retrospettiva ottocentesca (ripresa poi da non pochi storici del Novecento), nel formarsi della coscienza della ‘crisi’ dell’Italia e della sua ‘marginalità’ al principio della modernità, le cui origini furono collocate nel secolo della ‘decadenza’ politico-morale della penisola, strutture e personalità di eccezione appariranno episodi, momenti, non espressioni di un sicuro cammino generale, di un ‘progresso’ che in tutte le direzioni e le forme della società fosse libero e capace di comunicare il suo spirito e le sue scoperte.