La riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche
La l. n. 124 del 2015 traccia una riforma di grande ampiezza e ambizione che coinvolge numerosi e fondamentali aspetti dell’attività e dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni: cittadinanza digitale, istituti di semplificazione, trasparenza, riassetto dell’amministrazione dello Stato, Camere di commercio, dirigenza pubblica, società partecipate, servizi pubblici locali e numerosi altri argomenti costituiscono l’oggetto di incisivi interventi che tendono a configurare un quadro di riforma organica dell’attività e dell’organizzazione della p.a. In larga misura, questi interventi sono demandati a deleghe; dalla cui attuazione, dunque, verranno a dipendere le linee di innovazione del settore pubblico e delle sue relazioni con i cittadini.
La riforma amministrativa delineata dalla l. 7.8.2015, n. 124 (cd. “legge Madia”, dal nome del Ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione) presenta una estensione di notevole ampiezza e varietà, delineando uno degli interventi più ambiziosi che il legislatore abbia perseguito in epoca recente1. Si incide – e talora in profondità – su una molteplicità di profili dell’organizzazione e del funzionamento delle pubbliche amministrazioni: dalla cittadinanza digitale alla conferenza dei servizi, dal silenzio assenso ai poteri del Presidente del Consiglio, dall’autotutela amministrativa alla trasparenza, dalla riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato al riordino delle Camere di commercio, dalla dirigenza pubblica a vari aspetti del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, dalle partecipazioni societarie ai servizi pubblici locali, sino alla procedura dei giudizi dinnanzi alla Corte dei conti.
Su questo esteso arco di argomenti, la legge interviene perseguendo obbiettivi importanti e ambiziosi; quali quelli di «semplificare la vita dei cittadini», «aiutare chi investe», «tagliare gli sprechi e migliorare i servizi»2 o, sottolineando distinte prospettive, «la modernizzazione del sistema amministrativo, la sobrietà dell’amministrazione pubblica, l’unità della Repubblica»3.
Per estensione di argomenti e per rilevanza degli obbiettivi perseguiti viene spontaneo richiamare il precedente costituito, nella seconda metà degli anni ’90, dalle riforme cd. “Bassanini”; che analogamente toccavano versanti che si estendevano dall’organizzazione al personale, dall’assetto delle funzioni alle semplificazioni.
Rispetto a quella fase, peraltro, il contesto si presenta profondamente mutato; e diversi si presentano dunque, in parte rilevante, gli obbiettivi e i contenuti.
All’epoca, si presentava pregnante, nel percorso delle riforme, la prospettiva volta ad alleggerire il carico gravante sull’amministrazione dello Stato mediante una operazione volta, in primo luogo, a decentrare le funzioni verso i vari livelli delle autonomie territoriali, investendo le Regioni, le Province e i Comuni (anche e particolarmente in forma associata) di una notevole serie di funzioni, compiti e servizi. Non a caso, queste riforme trovarono il loro perno nel cd. “federalismo amministrativo”, destinato a precedere il riordino dello stesso riparto costituzionale delle funzioni che poi venne tradotto, nel 2001, nella riforma del titolo V della Costituzione.
Ora, rispetto a quel contesto, le dinamiche muovono in direzione assai diversa: come evidenzia il disegno di legge costituzionale attualmente in discussione in Parlamento «Superamento del bicameralismo paritario e revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione»; ove – nel rivedere incisivamente gli assetti del Parlamento, trasformando il Senato in una camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali – si riporta in capo alla competenza statale una cospicua serie di funzioni che la riforma del 2001 aveva attribuito alle Regioni, sia a titolo di competenza concorrente, sia quali funzioni rientranti nella competenza generale residuale regionale.
Certo, molte cose sono cambiate in questi anni: da un quadro generale di crisi economica che ha indotto una parte significativa di Stati europei ad intraprendere operazioni di ridimensionamento e i poteri locali, all’affermarsi di una giurisprudenza costituzionale sempre meno propensa a riconoscere spazi di effettiva ampiezza alla legislazione regionale, sino ai processi di ristrutturazione dei governi locali e delle relative funzioni attivati con le manovre adottate negli ultimi anni e, soprattutto, con la legge del 7.4.2014, n.56, Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni.
Ora, la riforma Madia apre una prospettiva di riordino complessivo del modo di essere e di funzionare delle pubbliche amministrazioni. In un disegno di grande interesse e innovatività; i cui tratti precisi, peraltro, dipenderanno in larga misura – come si vedrà – a una attuazione che si preannuncia non particolarmente lunga, ma certamente assai complessa.
1.1 Le deleghe
In parte, la legge n.124/2015 contiene disposizioni direttamente operative, destinate ad essere applicate con l’entrata in vigore della legge stessa (28 agosto 2015).
Essenzialmente, queste disposizioni costituiscono integrazioni o modifiche a leggi in vigore, a partire dalla legge 7.8.1990, n.241. Così, nella legge sul procedimento amministrativo viene inserito (dall’art.3 della l. n. 124/2015) un nuovo articolo, il 17-bis, che introduce un nuovo silenzio-assenso nei rapporti tra amministrazioni pubbliche. Al fine di favorire condizioni di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche, l'art. 6 della l. n. 124/2015 delimita e riordina l'esercizio di poteri di autotutela dell'amministrazione, intervenendo sugli artt. 19, 21 e 21 nonies della l. n. 241/19904.
In larga misura, in almeno 14 casi, la disciplina operativa viene invece rinviata ad ulteriori fonti e particolarmente (a parte la previsione di qualche regolamento ex art. 17 della l. del 23.8.1988, n.400, come avviene in materia di semplificazione ed accelerazione dei procedimenti amministrativi, in base all’art. 4) a decreti legislativi.
1.2 Gli oggetti delle deleghe
A deleghe al Governo, in effetti, è demandata la disciplina di un’ampia serie di contenuti, destinata a costituire un vero e proprio corpus di norme volto a segnare, per tanti profili, una svolta nell’ordinamento delle pubbliche amministrazioni. Così, in particolare, le deleghe riguardano:
• la cittadinanza digitale, garantendo a cittadini e imprese l’accesso a dati, documenti e servizi in modalità digitale (art. 1);
• la conferenza dei servizi, ridefinendo casi, tipi, tempi, rappresentanza, modalità di svolgimento, nei termini visti nel precedente paragrafo (art. 2);
• la segnalazione certificata di inizio di attività, individuando espressamente i procedimenti che ne sono oggetto, quelli per cui è necessaria autorizzazione espressa, quelli per cui è sufficiente comunicazione preventiva (art. 5);
• la trasparenza e i piani di prevenzione della corruzione, precisando e semplificando i relativi procedimenti e adempimenti (art.7);
• la disciplina di Presidenza del Consiglio, Ministeri, agenzie ed enti pubblici nazionali: riducendo uffici e personale destinati ad attività strumentali e rafforzando, all’opposto, quelli che erogano servizi ai cittadini (art. 8, co. 1, lett. a); ma anche, per altro verso, ridefinendo le competenze del Presidente del Consiglio ai fini del mantenimento dell’unità di indirizzo ed alla promozione dell’attività dei Ministri,in attuazione dell’art. 95 Cost. (lett. c);
• razionalizzazione delle funzioni di polizia, anche mediante l’assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia, con riordino, in particolare, delle funzioni di polizia in materia ambientale e in materia di sicurezza agroalimentare (art. 8, co. 1, lett. a);
• prefetture uffici territoriali dello Stato, riducendone il numero, razionalizzandone l’organizzazione, includendovi tutti gli uffici periferici delle amministrazioni periferiche dello Stato ed assegnando al prefetto funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti di tali uffici (art. 8, co. 1, lett. e);
• camere di commercio, riformandone l’organizzazione, le funzioni e il finanziamento, riducendone il numero dalle attuali 105 a non più di 60 (art. 10);
• dirigenza pubblica, istituendo un sistema articolato in tre ruoli (dirigenti dello Stato, delle regioni, degli enti locali, con una nuova disciplina dell’accesso(per concorso o per corso-concorso) e del conferimento degli incarichi dirigenziali (mediante procedura comparativa con avviso pubblico) (art. 11);
• semplificazione normativa, adottando testi unici, in particolare, nei settori del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, delle partecipazioni societarie, dei servizi pubblici locali (art. 16);
• lavoro alle dipendenze dalle amministrazioni pubbliche, rivedendo le procedure concorsuali, assegnando all’ARAN funzioni di supporto tecnico alle amministrazioni (particolarmente in rapporto alla gestione del personale, alla valutazione della performance, alla contrattazione integrativa), riorganizzando gli accertamenti medicolegali sulle assenze per malattia, semplificando e razionalizzando i sistemi di valutazione, rafforzando il principio di separazione tra indirizzo e gestione nella individuazione delle relative responsabilità, con esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità amministrativo-contabile per l’attività gestionale (art. 17);
• partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni, rivedendone i tipi e la disciplina, razionalizzando e riducendo le partecipazioni pubbliche, adeguando i criteri pubblicistici per acquisti, reclutamento del personale, vincoli alle assunzioni, politiche retributive, promuovendo trasparenza ed efficienza. Regole specifiche concernono le società partecipate dagli enti locali, in relazione alla gestione sia di attività strumentali, sia di servizi pubblici di interesse pubblico generale, con particolare attenzione, in quest’ultimo caso, ai risultati di bilancio e alla esigenza di evitare effetti distorsivi sulla concorrenza (art. 18);
• servizi pubblici locali, identificando quali funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane le attività necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, definendo una disciplina generale sui servizi di interesse economico generale secondo principi di adeguatezza, sussidiarietà, proporzionalità e in conformità alle direttive europee, stabilendo criteri per un’organizzazione territoriale ottimale, incentivando le aggregazioni o l’eliminazione del controllo pubblico, distinguendo nettamente le funzioni di regolazione e controllo da quelle di gestione dei servizi, anche intervenendo sulla disciplina delle incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, introducendo e potenziando strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti e forme di partecipazione e consultazione (art. 19);
• giudizi dinnanzi alla Corte dei conti, riordinando la relativa disciplina processuale, introducendo in particolare un rito abbreviato per la responsabilità amministrativa con immediata esecutività della sentenza, non appellabile (art. 20).
1.3 I principi e criteri direttivi
Nel determinare i principi e i criteri direttivi cui il legislatore delegato dovrà attenersi, la legge usa (ma il fenomeno non è nuovo, e in larga misura comprensibile) tecniche asimmetriche. Talora, in concreto, si definisce un impianto preciso, che delinea in termini netti le linee della disciplina che i decreti legislativi dovranno adottare; talora, invece, la delega si presenta aperta a più opzioni, che saranno definite dai decreti stessi. In quest’ultimo senso, è significativo il ricorrente uso all’aggettivo “eventuale”. Così, ad esempio, risultano “eventuali” l’assorbimento del Corpo forestale5 dello Stato in altra Forza di polizia (art. 8, co. 1, lett. a), così come l’istituzione di un’agenzia o altra struttura vigilata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai fini della gestione dei dati di proprietà e circolazione di veicoli (lett. c), o ancora la trasformazione della natura giuridica della Scuola nazionale dell’amministrazione (art. 11, co. 1, lett. d).
In questi casi, dunque, il legislatore delegante non ha ritenuto opportuno fissare una soluzione obbligata, lasciando un’alternativa aperta tra diverse opzioni la cui scelta viene affidata al Governo, secondo il procedimento che – come vedremo subito – coinvolge una serie rilevante di apporti, da Enti locali e Regioni, in sede di Conferenza unificata, al Consiglio di Stato, sino alle Commissioni parlamentari.
1.4 Il procedimento di attuazione delle deleghe
Secondo termini e modalità analoghe, normalmente si prevede che le deleghe siano esercitate entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, nel rispetto di un procedimento secondo cui:
• i decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
• sono previamente acquisiti i pareri della Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali e il parere del Consiglio di Stato. Questi pareri devono essere resi nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere;
• lo schema di decreto è quindi trasmesso alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni competenti, che si pronunciano nel termine di 60 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto può essere comunque adottato. Queste Commissioni si identificano con quelle per la semplificazione e con quelle competenti per materia e per i profili finanziari;
• qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, si apre una ulteriore fase di interlocuzione, in cui il Governo stesso trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Sulle osservazioni del Governo le Commissioni competenti per materia possono esprimersi entro il termine di 10 giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso questo ulteriore termine, i decreti possono comunque essere emanati;
• entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto, il Governo può adottare – secondo la medesima procedura – decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive.
Questo schema generale subisce qualche variante in determinati casi.
In un caso, poi, si prevede che la proposta del Ministro sia preceduta non da un semplice parere ma da una intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 281/1997. Si tratta dell’ora accennato art. 5, in relazione alla individuazione dei procedimenti soggetti a Scia, silenzio assenso o autorizzazione espressa. La previsione può sollevare qualche perplessità: anche perché in questo caso il coinvolgimento della Conferenza non si presenta soggetto ad alcun termine, e la regola secondo cui si stabilisce un termine (30 giorni), decorso il quale il Governo può comunque procedere è qui circoscritta al parere del Consiglio di Stato. In sostanza, potrebbe porsi il dubbio che una mancata intesa possa arrestare il procedimento. Il riferimento all’art. 3 del d. lgs. n. 281/1997 sembra tuttavia idoneo a risolvere la questione, dato che questo esplicitamente dispone che «quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta dalla prima seduta della Conferenza Stato-Regioni in cui l’oggetto è posto all’ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata» (comma 3; cfr. anche il comma 4, per i casi di motivata urgenza). Si noti, comunque, che in questo caso i termini non decorrono dalla trasmissione dello schema di decreto (come avviene in tutte le altre previsioni della legge), ma dalla diversa data della seduta della Conferenza in cui la questione è posta all’ordine del giorno (data di convocazione ed ordine del giorno la cui determinazione spetta allo stesso Presidente del Consiglio o al Ministro delegato); e che, in ogni caso, il Governo sarà tenuto, se non a conseguire l’intesa, ad attivarsi affinché si creino le condizioni necessarie, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale in materia di attuazione del principio di leale collaborazione.
Si passano ora ad esaminare le principali novità previste dalla riforma.
2.1 La conferenza dei servizi
Sono note le difficoltà e criticità che la conferenza dei servizi segnala nell’esperienza: con lamentati eccessi di carico burocratico sulle imprese, allungamenti dei tempi, reiterate richieste di documentazione, scarso coordinamento tra le amministrazioni, prassi difformi6.
In questo caso, peraltro, la l. 124 (art. 2) non opera alcuna modifica diretta sulla disciplina della l. 241, ma ricorre – data la complessità della materia – ad una delega.
I principi e criteri direttivi, comunque, delineano una nuova fisionomia della conferenza, puntando ad una maggiore chiarezza e tempestività.
In questo senso, il legislatore delegato è chiamato a ridefinire i tipi di conferenza e i casi in cui la convocazione della conferenza è obbligatoria (ridimensionandone il numero); a ridurre i termini di ogni passaggio, assicurando alla conferenza tempi certi; a rivedere il calcolo delle presenze e delle maggioranze, precisamente al fine di assicurare la celerità dei lavori; a semplificare i lavori, anche mediante l’obbligatorio ricorso a strumenti informatici e telematici; a rivedere i meccanismi decisionali, in base ad una prevalenza delle posizioni espresse per l’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento; a precisare i poteri dell’amministrazione procedente, in particolare nei casi di mancato assenso o dissenso da parte di amministrazioni.
Novità importanti, del resto, riguardano le modalità di partecipazione delle amministrazioni: sia prevedendo, in generale, forme di coordinamento o di rappresentanza unitaria delle amministrazioni interessate, sia (e, direi, soprattutto) disponendo la partecipazione di un unico rappresentante delle amministrazioni statali, che per l’amministrazione periferica, viene designato dal dirigente dell’ufficio territoriale dello Stato, vale a dire dal Prefetto. Che viene investito, dunque, di un delicato compito di bilanciamento tra gli interessi rappresentati dalle varie amministrazioni ricomprese nell’ufficio territoriale dello Stato (art. 2, co. 1, lett. e; v. infra par. 5).
Rilevante è anche la nuova disciplina del conseguimento dell’assenso delle amministrazioni; che si considera comunque acquisito se, entro il termine di conclusione dei lavori, non si siano espresse nelle forme di legge: regola, questa, che si applica espressamente anche alle amministrazioni preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente (lett. g). D’altro canto, precisamente nei casi in cui la legge prevede la partecipazione al procedimento di amministrazioni preposte ad interessi di questo tipo, il decreto delegato è chiamato a definire – nel rispetto dei principi di ragionevolezza, economicità e leale collaborazione – meccanismi e termini per la valutazione tecnica e la necessaria composizione degli interessi pubblici, in modo da pervenire comunque entro i termini alla conclusione del procedimento, nonché la possibilità, per queste stesse amministrazioni di attivare procedure di riesame (lett. n).
2.2 La riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato
In questo contesto, si inserisce il tema della riorganizzazione dell’amministrazione statale; tema particolarmente arduo, dato che precisamente questa ha dimostrato una rilevante capacità di resistenza al cambiamento, anche nei periodi in cui l’avanzare di riforme regionali e locali sembravano porre in primo piano l’esigenza di una sua trasformazione. Così, si presentano di particolare interesse, per la loro potenziale incisività, i principi e criteri direttivi contenuti nella l. n. 124/2015 in relazione all’intero sistema – centrale e periferico – delle amministrazioni statali. A partire da quelli che prevedono, in via generale, il ridimensionamento di uffici, personale, dirigenti destinati ad attività strumentali a favore delle strutture che erogano prestazioni ai cittadini; la gestione unitaria dei servizi strumentali, tramite uffici comuni; la soppressione o l’accorpamento di uffici e organismi al fine di eliminare duplicazioni o sovrapposizioni (art. 8, co. 1, lett. a).
2.3 L’amministrazione centrale
A proposito dell’amministrazione centrale, poi, la legge si colloca in una linea di continuità con gli obbiettivi perseguiti, quasi un ventennio fa, dalla l. 15.3.1997, n. 59, di cui si riprendono espressamente i principi e criteri direttivi (con rinvio agli artt. 11, 12, 14, ove, tra l’altro, si consideravano il riordino di Ministeri ed enti, il potenziamento degli strumenti di monitoraggio e valutazione, ecc.). Tra questi, presentano un particolare interesse, nella prospettiva attuale, quelli che si riferivano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri: di cui si prevedeva, tra l’altro, una garanzia di autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria e un potenziamento, «ai sensi dell’art. 95 della Costituzione, delle autonome funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, con eliminazione, riallocazione e trasferimento delle funzioni e delle risorse concernenti compiti operativi o gestionali in determinati settori». All’art. 95 Cost. si richiama ora la l. 124/1995 (art. 8, co. 1, lett. c), nel prevedere un adeguamento delle statuizioni della legge 400 del 1988, art. 5, definendo, in particolare:
1) le competenze regolamentari e quelle amministrative funzionali al mantenimento dell’unità dell’indirizzo e alla promozione dell’attività dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio.
Questo punto si sovrappone precisamente all’oggetto della legge 400; che peraltro risale a ben altro contesto politico, in una fase storica di coalizioni ampie e instabili, breve durata dei governi, presidenza del Consiglio raramente affidata al leader del partito principale e, in queste condizioni, spesso soggetta ad ogni genere di condizionamento all’interno ed all’esterno del proprio partito;
2) le attribuzioni della Presidenza del Consiglio in materia di analisi, definizione e valutazione delle politiche pubbliche. Attribuzioni di rilevante interesse, precisamente mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo e per promuovere e coordinare l’attività dei Ministri;
3) i procedimenti di designazione o di nomina di competenza, diretta o indiretta, del Governo o di singoli Ministri, in modo da garantire che le scelte, quand’anche da formalizzarsi con provvedimenti di singoli Ministri, siano oggetto di esame in Consiglio dei Ministri. Anche sotto questi, rilevanti profili si tratta di un rafforzamento dei momenti di coordinamento e mantenimento dell’unità di indirizzo. Il decreto delegato, peraltro, dovrà precisare come questa norma si coordini con quanto stabilito dalla l. n. 13 del 1991, secondo cui sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica «tutti gli atti per i quali è intervenuta la deliberazione del Consiglio dei Ministri»7.
Al Presidente del Consiglio, del resto, la l. n. 124/2015 (art. 3) – attribuisce la decisione (previa deliberazione del Consiglio dei Ministri) sulle modifiche da apportare a schemi di provvedimenti normativi o amministrativi su cui sia mancato un accordo tra le amministrazioni statali competenti.
Complessivamente, la figura del Presidente del Consiglio risulta sensibilmente rafforzata; non modificando – si è detto8 – ma al contrario attuando quanto previsto dall’art. 95 della Costituzione.
2.4 L’amministrazione periferica
Anche e particolarmente per le amministrazioni periferiche dello Stato, la riorganizzazione corrisponde ad esigenze risalenti. Anzitutto, in relazione ai processi di regionalizzazione e decentramento; che se, nell’esperienza italiana di questi decenni, non hanno mai messo in discussione la stessa permanenza di una articolazione periferica dello Stato, quanto meno ne hanno sostenuto, previsto, disciplinato il ridimensionamento e il riassetto.
Nella realtà, non si è mai verificato il ridimensionamento, in luogo del quale, anzi, di fatto si è in varie fasi realizzato un potenziamento, con la istituzione di nuovi uffici di livello dirigenziale.
Quanto al riassetto, è sufficiente ricordare che un sostanzioso riassetto delle amministrazioni periferiche era previsto sin dal d.lgs. 30.7.1999, n. 300, art. 11, secondo cui esse (con l’eccezione di Economia e finanze, Istruzione, Beni e attività culturali erano destinate a confluire negli Uffici Territoriali del Governo; previsione peraltro significativamente abrogata nel 2004 (d.lgs. n. 29/2004). In seguito, al tema è ricomparso nel contesto della spending review d.l. 6.7.2012, n. 95 (conv. in l. 7.8.2012, n. 135), il cui art. 10 è precisamente dedicato alla «riorganizzazione della presenza dello Stato».
Del resto, per comprendere le difficoltà, nel nostro Paese, di mettere mano ad una ristrutturazione di una rete di uffici dei settori più vari, distribuiti in diverse dimensioni territoriali, è sufficiente ricordare che significativamente rapporti ufficiali hanno dovuto ammettere che le circostanze che «tutte le amministrazioni centrali dello Stato sono dotate di diverse tipologie di strutture periferiche e di una articolazione territoriale molto ampia… rendono complessa persino l’esatta identificazione delle stesse e la rilevazione delle loro caratteristiche principali, quali le competenze e le attività svolte, l’articolazione territoriale, le dotazioni umane, strumentali e finanziarie, i servizi erogato e gli output prodotti»9.
Ora, la legge 124, art. 8, lett. e) riprende l’obbiettivo, collocandosi all’intersezione («in combinato disposto») tra i principi affermati, appunto, dalla spending review e le prospettive aperte dall’attuazione della riforma delle Province e delle Città metropolitane (l. n. 56/2014); e lo riprende con particolare ampiezza e vigore.
Così, se il d.l. n. 95/2012 si limitava ad assegnare alla Prefettura Ufficio Territoriale del Governo le funzioni di rappresentanza unitaria dello Stato nel territorio, ma «nel rispetto dell’autonomia funzionale ed operativa degli altri uffici periferici delle amministrazioni statali», ora la l. n. 124/2015, nel trasformare la Prefettura-UTG in Ufficio Territoriale dello Stato (UTS), gli attribuisce il ruolo di punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini e, come si vedrà, delinea una integrazione tra questi uffici decisamente più sostanziale di quanto non si fosse prospettato in passato.
Del resto, mentre il disegno territoriale nel 2012 si basava fondamentalmente sul «mantenimento della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle Prefetture-UTG e degli altri uffici periferici delle pubbliche amministrazioni dello Stato già organizzate su base provinciale», la l. n. 124/2015 punta nettamente ad una riduzione del numero, in base ad una serie di criteri10. Per operare questa riduzione, del resto, a questi criteri potranno affiancarsi le valutazioni e le ipotesi (in qualche caso formalmente deliberate dalle Regioni), emerse nell’ambito del dibattito sulla riduzione delle Province e delle elaborazioni di questi anni. Ampliamenti territoriali di questo tipo possono tendere anche ad anticipare e accompagnare futuri accorpamenti o ampliamenti dei livelli di area vasta delle amministrazioni locali (livelli di cui, del resto, nonostante le contestazioni, il testo di riforma costituzionale in corso di esame del Parlamento prevede, il mantenimento). In questa direzione, il riordino delle nuove Prefetture-UTS potrebbe puntare ad un ridisegno-razionalizzazione della intera mappa amministrativa italiana, ma partendo, questa volta, non dalle autonomie locali (secondo i tentativi sin qui intrapresi senza alcun esito), ma dallo Stato, chiamato a sperimentare per primo un nuovo assetto idoneo a svolgere un complessivo effetto di trascinamento.
Quanto all’ambito delle amministrazioni chiamate a integrare il nuovo UTS, i principi della delega fanno riferimento alla «confluenza nell’Ufficio Territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato». La legge non prevede eccezioni, lasciando semmai ai decreti legislativi il compito di definire i limiti e i modi in cui questa confluenza potrà in concreto realizzarsi.
2.5 Il ruolo del Prefetto e i rapporti con i dirigenti degli uffici
Centrale, nel riassetto complessivo delle amministrazioni periferiche, risulta del resto il ruolo del Prefetto.
Storicamente, del resto, è stato precisamente questo ruolo a connotare gli assetti della deconcentrazione italiana. Significativamente, al Prefetto le leggi di unificazione amministrativa del 1865 (all. A, art. 3) riconoscevano, oltre alla generale rappresentanza dell’esecutivo nella provincia, la vigilanza «sull’andamento di tutte le pubbliche amministrazioni», attribuendogli il potere di adottare «in caso d’urgenza, i provvedimenti che crede necessari nei diversi rami di servizio».
Nell’evoluzione successiva, come è noto, questa posizione è stata erosa, in un processo di progressiva acquisizione di autonomia e separatezza da parte delle amministrazioni di settore, mentre prevaleva nettamente il rapporto verticale con le amministrazioni centrali di riferimento. Questa tendenza è parsa, fino ad anni recenti non arrestabile e, in qualche modo, neppure discutibile. Negli anni recenti, questi assetti sono stati messi in discussione, anche da parte del legislatore stesso; senza, peraltro, che gli orientamenti di questo tipo riuscissero a prevalere sulle robuste dinamiche di settore.
Ora, la l. n. 124/2015 punta con decisione ad invertire questa consolidata tendenza; attribuendo al Prefetto non solo la responsabilità dell’erogazione dei servizi ai cittadini, ma anche «di funzioni di direzione e coordinamento». Il riconoscimento di un ruolo di questo tipo è l’esito di un complesso dibattito parlamentare: nel disegno di legge presentato dal Governo si prevedevano semplici funzioni di coordinamento; e ed a questa previsione ci si è limitati nel corso dei vari passaggi del testo, in commissione ed in aula; ed è soltanto nella fase finale di questi lavori che alle funzioni di coordinamento si sono aggiunte (ferma restando la previsione della dipendenza funzionale del prefetto stesso, in relazione alle competenze esercitate) quelle, ben più robuste, di vera e propria direzione.
2.6 La dirigenza
Centrale, nell’impianto della riforma, è poi la disciplina sulla dirigenza pubblica. In relazione alla quale, si prospettano novità assai rilevanti sia in relazione all’inquadramento, sia in rapporto al conferimento degli incarichi dirigenziali.
Sul primo tema, viene istituito un sistema articolato in un ruolo unico dei dirigenti dello Stato, un ruolo unico dei dirigenti delle regioni, un ruolo unico dei dirigenti degli enti locali11.
Alla dirigenza si accede per concorso o per corso-concorso, mentre gli incarichi dirigenziali – di durata di quattro anni12 – sono conferiti a dirigenti di ruolo mediante procedura comparativa con avviso pubblico, nel rispetto di requisiti e criteri predefiniti, sulla base di una preselezione da parte di commissioni indipendenti13, di un certo numero di idonei, nell’ambito dei quali opera la propria scelta l’organo di governo. Queste commissioni14, composte secondo modalità volte ad assicurare indipendenza, terzietà, onorabilità e assenza di conflitti di interessi, con procedure trasparenti, sulla base di requisiti di merito e incompatibilità con cariche politiche e sindacali, operano «con piena autonomia di valutazione», svolgendo funzioni di grande rilievo, in primo luogo, nella verifica del rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e del concreto utilizzo dei sistemi di valutazione al fine di conferimento e della revoca degli incarichi15.
Nel ruolo unico degli enti locali sono destinati ad essere inseriti i segretari comunali e provinciali, la cui figura viene abolita. Fondamentale, nuovi assetti dei comuni e province, sarà comunque la figura – obbligatoria – di un dirigente apicale, in cui si incentrano, al tempo stesso, le funzioni di attuazione dell’indirizzo politico, di coordinamento dell’attività amministrativa, di controllo della legalità dell’azione amministrativa (art. 11).
Fortemente sollecitata da forze economiche e imprenditoriali, accolta con convinto sostegno, nel suo impianto complessivo, da autorevole cultura istituzionale16, la l. n. 124/2015 è stata tuttavia oggetto di critiche e opposizioni su specifici aspetti (come la disciplina della dirigenza, l’assorbimento della polizia forestale in altro corpo, la soppressione dei segretari comunali, il silenzio assenso, la posizione dei sovrintendenti).
Naturalmente, del tutto prevedibili (e scontate) sono le lamentele e le rimostranze legate alla riduzione e accorpamento di strutture pubbliche. In questo senso, si pensi, in particolare, agli effetti del ridisegno dell’amministrazione periferica dello Stato, non a caso da decenni frenato dalle resistenze dei territori (qualche decina di ambiti provinciali, presumibilmente) destinati ad essere inglobati in circoscrizioni più ampie, rinunciando ad ospitare la sede di autonomi uffici di prefettura, questura, ecc.
D’altronde, tra gli aspetti che maggiormente hanno sollevato reazioni, certamente merita segnalare il tema del riconoscimento di poteri di “direzione” in capo al prefetto, particolarmente in relazione ai rapporti con le soprintendenze ai beni culturali. In qualche documento sottoscritto da autorevoli personalità del mondo della cultura, anzi, «la confluenza delle sovrintendenze nelle prefetture» è denunciata come il «più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un Governo della Repubblica italiana»17 e come «palesemente incostituzionale»18. Toni alquanto accesi, dunque, su una questione di grande rilievo, che meriterebbe una riflessione di fondo, anche sulla funzionalità e sulla adeguatezza degli attuali assetti, e sulle incoerenze, mutevolezze, discrepanze che di volta in volta, di luogo in luogo possono riscontrarsi nelle prassi di tutela del patrimonio culturale, forse anche per effetto della solitudine monocratica in cui – in sostanza – operano i sovrintendenti.
Il tema si ricollega, del resto, alle questioni sopra accennate a proposito della nuova disciplina della conferenza dei servizi, in base alla quale alla conferenza partecipa un unico rappresentante delle amministrazioni statali, designato, per gli uffici periferici, dal dirigente dell’Ufficio territoriale dello Stato (art. 2, co. 1, lett. e); mentre, per altro verso, si prevede che le amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio storico-artistico (così come quelle competenti in materia di tutela della salute e dell’ambiente) si esprimano «nelle forme di legge» entro il termine dei lavori della conferenza.
Sia nella disciplina della conferenza, sia nella configurazione generale del ruolo e dei poteri del prefetto, dunque, i decreti delegati sono chiamati a conciliare le diverse esigenze, certamente non abbassando il livello di tutela dei beni culturali, ma tendendo alla più elevata efficienza del funzionamento delle amministrazioni a questa preposte, così come, complessivamente, dell’organizzazione periferica dello Stato.
Nel complesso, la nuova disciplina della dirigenza punta a nuovi bilanciamenti, evitando sia una deresponsabilizzante inamovibilità sia una inaccettabile politicizzazione: tendendo a valorizzare il merito, l’esperienza e la competenza professionale, ma lasciando all’organo nominante la responsabilità della scelta finale. E anche in questo caso, la disciplina dei decreti delegati sarà determinante per dare concretezza a queste prospettive.
1 Sulla riforma (ancora in elaborazione) v., in generale, i vari contributi presentati nell’ambito del Corso La riforma della pubblica amministrazione: cosa è stato fatto, cosa resta da fare, Scuola di Studi sull’amministrazione (Spisa), Università di Bologna, in corso di pubblicazione.
2 Seguendo le formule utilizzate dalla stessa Presidenza del Consiglio, nella presentazione della legge n. 124.
3 V., in questa prospettiva, le considerazioni di Mattarella, B.G., La riorganizzazione degli apparati statali: la riforma dell’amministrazione centrale e periferica e il riordino delle amministrazioni indipendenti, relazione presentata nell’ambito del corso La riforma della pubblica amministrazione, cit.
4 Di queste disposizioni, che introducono direttamente modifiche alla l. n. 241/1990, si occupa una specifica voce del presente volume: v. Sandulli, M. A., Autotutela.
5 Questa modalità di indicazione di principi e criteri della delega non ha mancato di sollevare qualche attenzione: cfr., in particolare, le osservazioni del Comitato per la legislazione della Camera, 11.6.2015, ove si richiama qualche orientamento della Corte costituzionale (peraltro in forma di obiter dicta) secondo cui «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (n. 68 del 1991 e n. 340 del 2007).
6 Cfr., da ultimo, l’indagine condotta da Ref per Confindustria, riportata da Santilli, G., Tempi lunghi e oneri burocratici: non funziona la conferenza di servizi, riforma necessaria, in Il Sole 24 ore, 17.7.2015, ove si segnala complessivamente un 35% di casi di superamento dei tempi massimi previsti (10 mesi e mezzo); casi che raggiungono il 48% nel settore ambientale.
7 L. 12.1.1991, n. 13, art. 1, co. 1, lett. ii). La questione è rilevata nelle cit. osservazioni del Comitato per la legislazione della Camera, 11 giugno 2015.
8 Passigli, S., Riforma Madia. Un passo importante sui poteri del premier, in Corriere della Sera, 12.8.2015.
9 In questi termini si esprime il Rapporto sulla spesa delle Amministrazioni centrali dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze, 2012.
10 La riduzione del numero – secondo la l. n. 124/2015, co. 1, lett. e) – si effettua, tenendo conto delle esigenze connesse all’attuazione della l. n. 56/2014, in base a criteri inerenti all’estensione territoriale, alla popolazione residente, all’eventuale presenza della città metropolitana, alle caratteristiche del territorio, alla criminalità, agli insediamenti produttivi, alle dinamiche socioeconomiche, al fenomeno delle immigrazioni sui territori fronte rivieraschi e alle aree confinarie con flussi migratori.
11 La logica complessiva della riforma – osserva D’Alessio, G., in La nuova disciplina della dirigenza nel disegno di legge sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in La riforma della pubblica amministrazione, cit. – è quella di «una tendenziale omogeneizzazione delle regole e soprattutto l’introduzione di una disciplina largamente uniforme per le varie dirigenze, alle quali si dà un assetto unitario».
12 Rinnovabili previa partecipazione alla procedura di avviso pubblico, salvo rinnovo per due anni per una sola volta, con motivazione e sempre che il dirigente abbia ottenuto valutazione positiva.
13 La richiesta di “commissioni di garanzia” sui criteri di nomina dei dirigenti era richiesta in documenti adottati dai sindacati; cfr. Cgil-Funzione pubblica, Cisl-Fp, Uilfpl, Uilpa, Riforma pa: la nostra proposta, in www.cgilcisluilfp.it. Secondo D’Alessio, G.F., La nuova disciplina, cit., l’istituzione delle Commissioni appare una scelta «molto opportuna, che può rappresentare un’efficace risposta ad una serie di criticità che connotano il rapporto tra esercizio dell’autorità politica e svolgimento della funzione amministrativa». La previsione delle tre Commissioni autonome costituisce anzi, secondo Cassese, S., una «chiave di volta» dell’ambizioso disegno tracciato dalla riforma (Una burocrazia del merito, in Corriere della sera, 14.8.2015).
14 Commissione per la dirigenza statale, Commissione per la dirigenza regionale, Commissione per la dirigenza locale.
15 Si tratta, dunque, di una funzione di filtro ex ante e di verifica ex post che – osserva ancora D’Alessio, G.F., La nuova disciplina, cit. – non comporta «la sottrazione al soggetto nominante del suo potere di scelta, che viene però esercitato …nell’ambito di soggetti che vanno considerati comunque idonei a ricoprire la posizione in questione, essendo passati al vaglio preventivo o alla verifica successiva da parte della Commissione».
16 Cfr., anzitutto, le posizioni di Sabino Cassese, per esempio in La medicina giusta per il grande malato, in Il Messaggero, 5.8.2015.
17 In questo senso, la “petizione” indirizzata al Presidente del Senato e ad altre Autorità della Repubblica, Non si uccide così l’art. 9 della Costituzione, sottoscritta, tra gli altri, da Alberto Asor Rosa, Dario Fo, Andrea Emiliani, Carlo Ginsburg, Stefano Rodotà, Salvatore Settis.
18 Lettera sottoscritta, tra gli altri, pubblicata con il titolo I sovrintendenti e la loro indipendenza, 10.8.2015, cit. Il tema, del resto, si ricollega a quello del silenzio assenso: v. supra §. 2.1.