La riorganizzazione delle Province
Nel contesto della crisi economica,negli anni più recenti diversi interventi e progetti hanno inteso perseguire un incisivo riordino delle Province: prevedendone, di volta in volta, l’accorpamento, la regionalizzazione, la conformazione come enti ad elezione indiretta, la delimitazione a funzioni esclusivamente di indirizzo, la stessa soppressione. Queste linee si sono intersecate e variamente sovrapposte nel d.l. 13.8.2011, n. 138 nel d.d.l. cost. approvato dal Consiglio dei ministri nel settembre 2011, ancora nel d.l. 6.12.2011, n. 201 sino al d.l. sulla cd. “spending review”, 6.7.2012, n. 95 : ove si delinea un riordino complessivo, che riguarda, al tempo stesso, le dimensioni (ampliate significativamente, sulla base di soglie demografiche e territoriali minime), le funzioni (che affiancano ad un ruolo di indirizzo e coordinamento alcune rilevanti funzioni amministrative di area vasta), gli organi di governo (ora composti ed espressi, in via indiretta, da sindaci e consiglieri comunali).
Da anni, ormai, il dibattito sulle Province è incentrato su proposte che tendono a porne in discussione il ruolo, la configurazione, la stessa esistenza.
Dall’accorpamento alla regionalizzazione, dalla privazione delle funzioni amministrative alla trasformazione in enti ad elezione indiretta, sino alla complessiva soppressione, le ipotesi più varie si sono alternate e sovrapposte: nel dibattito, nei progetti di legge e, da ultimo, in disposizioni contenute nelle manovre che, con incalzante intensità, si sono succedute al fine di ridimensionare i costi di funzionamento delle istituzioni, nel contesto di una crisi di straordinaria gravità.
1.1 Dal d.l. n. 138 del 2011 al d.d.l. cost.per la regionalizzazione del livello provinciale
Così, se nell’agosto 2011 un decreto legge (d.l. 13.8.2011, n. 138, art. 15) aveva previsto, oltre ad una significativa riduzione del numero dei componenti degli organi provinciali, la soppressione delle province minori (qui identificate con quelle la cui popolazione non raggiungesse i 300.000 abitanti o la cui superficie fosse inferiore a 3.000 chilometri quadrati1), a distanza di poche settimane, rimosso dalla legge di conversione del decreto 138 ogni accenno alla soppressione di Province, il tema – come annunciava un comunicato della presidenza del Consiglio – veniva rinviato ad una revisione della Costituzione; che tendeva, invece, ad una «soppressione delle Province quali enti statali ed al conferimento alle Regioni delle relative competenze ordina mentali».
In effetti, in questa direzione il Consiglio dei ministri approvava un d.d.l. cost. (8.9.2011) in cui si prevedeva la modifica di ben sette articoli della Costituzione, per eliminare ogni riferimento alle Province; espungendole, anzitutto, dall’elenco dei soggetti che costituiscono la Repubblica (art. 114). Eliminato, in questo modo, ogni vincolo costituzionale, veniva demandato a leggi regionali (da approvare su intesa con il Consiglio delle autonomie locali) il compito di istituire, sull’intero territorio regionale, forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta nonché di definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale2. Le Regioni stesse, d’altronde, avrebbero dovuto sopprimere ogni ente, agenzia e organismo competente a svolgere funzioni di governo di area vasta, mentre la legge statale avrebbe provveduto a rivedere la disciplina concernente l’autonomia finanziaria e tributaria di Regioni e Comuni, nonché a razionalizzare gli apparati periferici dello Stato, adeguandoli alle determinazioni delle leggi regionali.
1.2 Il d.l. n. 201 del 2011: le Province come enti di indirizzo, con organi ad elezione indiretta
In realtà, anche la prospettiva di regolare la materia tramite una revisione costituzionale veniva abbandonata in breve tempo; e il tema era ripreso, nuovamente, nel quadro di una ulteriore manovra finanziaria, nel d.l. 6.12.2011, n. 201 (cd. “salva Italia”), conv. in l. 22.12.2011, n. 214. Ove si prevedeva – nell’art. 23 ‒ una elezione del Consiglio provinciale da parte degli organi elettivi dei Comuni, secondo modalità da stabilire ad opera di una futura legge dello Stato (da emanare entro il 2012) che avrebbe stabilito anche le modalità di elezione del Presidente, da parte del Consiglio. Consiglio composto da non più di dieci membri, mentre era eliminata la Giunta (co. 15-17). In relazione alle funzioni, poi, si manteneva in capo alle Province esclusivamente un ruolo di indirizzo e coordinamento, mentre le funzioni amministrative provinciali sarebbero state conferite ai Comuni o, per assicurane l’esercizio unitario, alle Regioni. Al trasferimento provvedono, secondo le rispettive competenze, entro il 31.12.2012, lo Stato e le Regioni, chiamati a trasferire altresì le relative risorse umane, finanziarie e strumentali (art. 23, co. 14 e 18). Per vari profili, la disciplina è stata impugnata da diverse Regioni dinnanzi alla Corte costituzionale; mentre, da un punto di vista sostanziale, non sono mancate obiezioni sulla esiguità del risparmio di spesa conseguibile (non superiore a 65 milioni di euro, secondo un calcolo che peraltro la relazione tecnica rinvia prudentemente «a quanto verrà registrato a consuntivo»); o si sono contestate le complessità operative (connesse a così cospicui trasferimenti di funzioni, personale, risorse, beni) e finanziarie (si pensi particolarmente ai mutui, all’incremento della spesa per il personale provinciale che transiti alle Regioni, ai costi – a priori difficilmente quantificabili – per le nuove strutture che le Regioni stesse ed i Comuni istituirebbero per esercitare le funzioni ricevute…).
1.3 Il riordino delle Province nel d.l. n. 95 del 2012 sulla cd.“spending review”
Nuovamente, nel contesto di un’operazione di revisione della spesa pubblica, allo scopo di «contribuire al conseguimento degli obbiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio», il tema delle Province viene ripreso dal d.l. 6.7.2012, n. 95 sulla cd. “spending review”. Per procedere, secondo quanto dichiara la versione originaria dell’art. 17 del d.l., ad una loro «soppressione e razionalizzazione»; espressione corretta dalla legge di conversione (n. 135) in un più neutro, ma al tempo stesso più ampio, “riordino” che sembra alludere ad una visione organica e complessiva in cui si intende collocare le misure previste.
In realtà, tra le due discipline, le differenze non sono marginali: anzitutto nella impostazione concettuale, che nel d.l. si concentra sulle Province minori (quelle che non raggiungono i livelli minimi, territoriali e demografici, che saranno definiti con delibera del Consiglio dei ministri), mentre nella legge si dichiara che «tutte le province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto sono oggetto di riordino». Il riordino, peraltro, si effettua sulla base di requisiti minimi, da stabilirsi – entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del decreto – con deliberazione del Consiglio dei ministri, con riferimento a parametri relativi alla dimensione territoriale ed alla popolazione residente. In concreto, la deliberazione ha individuato questi requisiti in almeno 2.500 chilometri quadrati e 350.000 abitanti; dimensioni superiori a quelle possedute da 64 Province, lasciando, dunque, esenti dal riordino soltanto 46 enti (ivi compresi i 10 destinati, in base all’art. 18 del d.l., ad essere trasformati in Città metropolitane). Dalla pubblicazione della delibera governativa, decorre il termine (settanta giorni) entro cui il Consiglio delle autonomie locali di ogni Regione a statuto ordinario approva una ipotesi di riordino delle province esistenti nel territorio regionale; ipotesi sulla base della quale ciascuna Regione presenta al Governo (entro venti giorni dalla trasmissione o, in assenza, trascorsi novantadue giorni da tale pubblicazione) una proposta di riordino, tenendo conto di eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti e comunque nel rispetto dei requisiti minimi stabiliti.
Infine, le Province sono riordinate, sulla base delle proposte regionali, con atto legislativo su iniziativa governativa, entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Ove, poi, entro questo termine non sia pervenuta alcuna proposta di riordino da parte di qualche regione, l’iniziativa è assunta dal Governo previo parere della Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali (art.17, co. 2-4). Ai principi di riordino stabiliti per le Province ubicate in Regioni a statuto ordinario – che costituiscono principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica nonché principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica – si adeguano anche le Regioni a statuto speciale, nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto (art. 17, co. 5).
Quanto al ruolo delle Province, il d.l. n. 95 conferma le funzioni di indirizzo e coordinamento e la previsione del trasferimento ai comuni, in base al principio di sussidiarietà, delle funzioni amministrative, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato (da individuarsi – entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge - con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza Stato-città e autonomie locali); ma, a differenza di quanto prevedeva il d.l. n. 201, il d.l. n. 95 non priva le Province di tutte le funzioni amministrative, mantenendone alcune considerate “di area vasta” e qualificate come «funzioni fondamentali» ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. p) Cost. In concreto, si tratta di: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento; tutela e valorizzazione dell’ambiente “per gli aspetti di competenza”; pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato; costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della relativa circolazione stradale; nonché – secondo l’integrazione introdotta dalla legge di conversione – programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado.
Infine, in relazione agli organi di governo, si conferma l’elezione indiretta e la delimitazione ai soli consiglio e presidente, ribadendo l’eliminazione di ogni forma di esecutivo collegiale.
Il tema del riordino delle Province tocca una serie di questioni rilevanti. L’adozione della strada della revisione costituzionale avrebbe collocato l’annunciata soppressione delle Province in un percorso lento, complicato e problematico. Alle complessità connaturate alla sequenza di fonti prevista dal d.d.l. (approvazione di un d.d.l. cost., attuazione ad opera di venti leggi regionali, conseguente razionalizzazione degli apparati periferici dello Stato, conseguenze di eventuali inerzie) si aggiungono quelle inscindibilmente connesse alla soppressione di un numero rilevante di enti, accompagnata dalle necessarie procedure di trasferimento di beni, risorse, personale.
I risultati, in questi termini, potevano presentarsi in termini problematici, nei contenuti e negli effetti economici: con risparmi di dubbia realizzazione e di incerta valutazione, se non a lungo termine. Senza considerare l’ipotesi, paventata da qualche stima, che la nuova configurazione comportasse un aumento dei costi del personale3.
In realtà, la proposta – adottata in una fase particolarmente turbolenta, e non solo su un piano economico – è parsa puntare, piuttosto che su effetti concreti in termini ragionevoli, su un “effetto annuncio”. Un effetto che, peraltro, non si è rivelato molto efficace, se si osservano le reazioni con cui il disegno di legge è stato accolto e comunicato dai media, con titoli che diffusamente manifestavano uno scetticismo particolarmente elevato, parlando di «Province intoccabili», di «Taglio delle Province a futura memoria», «Province come la Fenice. Non ancora cancellate trovano il modo di risorgere», o, più semplicemente, del «pasticcio delle Province»4.
L’intervento con fonte ordinaria, del resto, pone varie questioni. Anzitutto, in relazione al procedimento per la realizzazione delle ipotesi di accorpamento o soppressione delle Province minori. Secondo l’art. 133 Cost., il mutamento delle circoscrizioni provinciali è stabilito con legge statale, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione. In base a questo procedimento, il decreto dell’agosto 2011 prevedeva un termine entro il quale i «comuni del territorio della circoscrizione delle province soppresse» avrebbero esercitato «l’iniziativa di cui all’art.133 Cost. al fine di essere aggregati ad un’altra provincia all’interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale». In caso di mancata assunzione di tale iniziativa, le funzioni esercitate dalle Province soppresse sarebbero state trasferite alle Regioni; le quali, a loro volta, avrebbero potuto attribuirle, anche in parte, alle Province confinanti con quelle soppresse.
Distinto, in buona misura, è il procedimento previsto dal decreto sulla spending review. Un procedimento che, come si è visto, affida l’iniziativa non ai Comuni, secondo quanto prevede la lettera dell’art. 133 Cost., ma al Consiglio delle autonomie locali. Circostanza, questa, che ha sollevato obiezioni di legittimità; non condivise, peraltro, da autorevoli opinioni, secondo cui non si può «ritenere che la Costituzione, la quale rimette alla legge dello Stato … l’approvazione o meno, in base ad una visione generale degli interessi del Paese, delle iniziative comunali per la istituzione di nuove Province o per la modifica di quelle esistenti, neghi invece al Parlamento il potere di sopprimere o accorpare Province esistenti, in un disegno generale di razionalizzazione delle funzioni e della spesa, anche senza l’iniziativa e l’accordo dei Comuni interessati (la cui voce, insieme a quella delle Regioni, pure deve essere sentita, dentro e fuori del Consiglio delle autonomie locali)»5.
Nel susseguirsi delle diverse ipotesi, sono emersi vari dubbi, in ordine alla legittimità delle strade intraprese. In realtà, se l’unica via in grado di superare in radice ogni perplessità ‒ quella della revisione costituzionale ‒ non è risultata, in questa fase, percorribile, gli interventi di rango legislativo ordinario hanno sollevato obiezioni: in relazione alle funzioni attribuite alle Province, ai procedimenti adottati per accorpare le Province, alla elezione indiretta degli organi di governo.
Sul primo punto, in realtà, la disciplina che privava le Province risulta ormai superata; sì che ogni pronuncia che la Corte costituzionale adotti è destinata a non svolgere effetti se non sul piano dei principi, e della determinazione dei limiti per futuri, eventuali interventi del legislatore; mentre un rilevante effetto pratico possono rivestire i contenuti della attesa pronuncia della Corte sul procedimento e, soprattutto, sul legittimazione degli organi.
Così, in attesa di elementi che saranno determinanti per comporre il nuovo quadro istituzionale, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale, aspetti di fondo del riordino delle Province si presentano tuttora incerti e problematici.
Questa sentenza, in effetti, dovrà essere oggetto di attenta valutazione: nei principi su cui si baserà, nella applicazione di disposizioni costituzionali che possono prestarsi a letture forse più innovative di quanto normalmente non si pensi, così come negli aspetti specifici, da considerare puntualmente anche nell’impatto che la pronuncia della Corte – che, si ricordi, si riferisce all’art. 23 della l. n. 214 – comporterà sulla disciplina, in parte ben distinta, introdotta dal successivo d.l. n. 95.
D’altronde, occorre attendere che lo Stato precisi i contenuti delle competenze demandate alle Province, nelle materie di propria competenza esclusiva (a partire dalla tutela e valorizzazione dell’ambiente; funzione fondamentale dai confini indefiniti, essendo delimitata in riferimento a non precisati “aspetti di competenza” dall’art. 17, co. 10, lett. a), e nei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (nelle quali rientrano, ad esempio, la pianificazione territoriale di coordinamento o la programmazione provinciale della rete scolastica). E che adotti i decreti di individuazione delle funzioni già conferite alle Province da trasferire ai Comuni, rientranti ancora in materie di competenza legislativa esclusiva statale, nonché di individuazione dei relativi beni e risorse finanziarie, umane, finanziarie e organizzative6.
Certamente, poi, un ruolo determinante, nella definizione sostanziale della nuova fisionomia delle Province, spetterà alle Regioni; chiamate, nell’ampia serie di materie di loro competenza, sia a disciplinare ed a definire specificamente i compiti in concreto spettanti alle Province nell’ambito delle funzioni qualificate come «fondamentali», sia a decidere in che misura ed in che termini ridistribuire le funzioni già conferite alle stesse. Pur con questi (tutt’altro che trascurabili) elementi di incertezza, i recenti provvedimenti sembrano comunque delineare una prospettiva di svolta, nella storia della Provincia e, complessivamente, del governo locale italiano; tratteggiando un disegno di livello provinciale contrassegnato da innovativi caratteri di ampiezza delle dimensioni, di alleggerimento delle funzioni amministrative, di rappresentanza radicata nella legittimazione propria dei Comuni. Superando tradizionali duplicazioni, sovrapposizioni, conflittualità di organi e competenze; alla ricerca di una nuova funzionalità, semplificazione, coesione del sistema locale.
1 …requisiti che avrebbero comportato, a quanto risulta, la soppressione di 22 Province. Cfr., su questa ipotesi, Vandelli, L., Crisi economica e trasformazioni del governo locale, in Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012.
2 In sede di prima applicazione, le Regioni dovrebbero prevedere, entro un anno dalla data in entrata in vigore della l. cost., tali forme associative. La soppressione di ciascuna Provincia, poi, si verifica alla data di cessazione del mandato amministrativo in corso alla data di scadenza di questo termine; quando le Province stesse sono soppresse e sono contestualmente istituite le forme associative previste dalle rispettive leggi regionali. Nella medesima scadenza, del resto, le Province sono soppresse anche nelle Regioni ove non si sia provveduto all’approvazione della legge regionale; in tal caso, contestualmente alla soppressione, i Comuni ricadenti nel territorio delle province soppresse sono costituiti in unione di comuni, ai sensi della normativa vigente, per lo svolgimento delle funzioni di governo di area vasta già esercitate dalle Province.
3 Così, riprendendo una preoccupante interpretazione del presidente dell’UPI, Giuseppe Castiglione, cfr. Lauria, E., Il bluff dell’addio alle Province: un esercito di 61mila lavoratori confermati e con aumento di stipendio, in La Repubblica, 10.9.2011; ove si prospetta, appunto, il rischio che i 61.000 dipendenti delle Province finiscano negli organici delle Regioni, con aumenti dei costi di circa il 24%, a più 600 milioni di euro.
4 Cfr. i titoli degli articoli, rispettivamente, di S. Rizzo, in Corriere della Sera, 16.9.2011, di G. Trovati, in Il Sole 24 ore, 10.9.2011, di Al. Barbera, in La Stampa, 3.9.2011, di V. Tondi della Mura, in Gazzetta del Mezzogiorno, 11.9.2011.
5 Così, ancora, Onida, V., Province, l’unione farà la forza, in Il Sole 24 ore, 5.9.2012; il quale, dopo aver rilevato le incongruenze della istituzione di ben 18 Province, negli ultimi decenni, afferma che, pur se il criterio dimensionale adottato si presenta rozzo, «è difficile negare che, se si vuole conseguire il risultato, non ci sono molte altre strade praticabili».
6 Cfr. d.l. 95/2012, art. 17, co. 6-9, in cui si affidano questi compiti a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi (entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, per l’individuazione delle funzioni; entro centottanta giorni, per l’individuazione di beni e risorse), su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per la p.a. e dell’economia, su intesa con la Conferenza Stato-città e autonomie locali, e previo parere della Commissione parlamentare per la semplificazione.