La Rivoluzione industriale
La Rivoluzione industriale nelle sue radici inglesi è stata l’esito di una straordinaria convergenza di forze sociali, che ha determinato una discontinuità senza precedenti nella storia del mondo. Questa frattura è situata tra la fine del Settecento e i primi trent’anni dell’Ottocento. La Rivoluzione industriale è stata l’espressione stessa di quella rivoluzione liberale che sostituiva al re per volontà di Dio una nazione e uno Stato. In questa nazione i singoli si sono affermati sempre meno per i diritti di sangue acquisiti dagli avi, e sempre più per la capacità di accumulare una ricchezza sufficiente per essere cooptati nel sistema di comando della società in cui vivevano.
L’effetto dirompente della Rivoluzione industriale è stato essenzialmente dato dal contemporaneo affermarsi di un quadro di comando sociale e di un’organizzazione produttiva che hanno ridisegnato la struttura complessiva della società, generandone lo sviluppo, quindi un’espansione non solo delle risorse ma anche dei diritti.
Lo stimolo al commercio, all’innovazione, all’organizzazione delle forze produttive è nato dalla possibilità di trasformare questa tensione economica in diritti effettivi e potere politico legittimo. Contemporaneamente la ricchezza delle nazioni è diventata rapidamente potenza delle nazioni e quindi lo stesso governo ha stimolato, sostenuto, promosso la nuova industria perché quella era la base della potenza nazionale.
In questa prospettiva la letteratura classica sullo sviluppo sottolinea tre aspetti essenziali per l’accelerazione della crescita: la creazione di un grande mercato nazionale, l’accesso a capitali da investire nelle nuove attività manifatturiere, la disponibilità di materie prime a costi contenuti.
1. La creazione di un grande mercato nazionale è essa stessa legata alla formazione dello Stato moderno. L’affermazione di un governo centrale, che – unificando politicamente il Paese – sottoponga questo a un unico sistema legale e amministrativo, è nell’esperienza europea il prerequisito per porre le basi per un mercato unitario. Lo stesso A. Smith, del resto, descriveva un mercato interno in cui si potessero trasportare e vendere gli stessi beni senza barriere legali e tariffarie da Londra a Edimburgo.
2. La cd. accumulazione originaria – in altre parole, la penuria di capitali da investire nella fase di decollo industriale – deve oggi essere intesa non solo in termini di capitale monetario o di capitale fisso, ma deve essere estesa al ruolo del progresso tecnico e dell’innovazione e al ruolo delle risorse umane, in particolare imprenditoriali e tecniche. Diviene così rilevante domandarsi come si è delineata quella borghesia industriale che esprime il nuovo ceto dirigente nella fase della rivoluzione produttiva.
3. Il problema della scarsità delle materie prime va visto nell’ambito delle tecniche di produzione e più in generale della trasformazione dell’organizzazione della produzione; in tal modo talune materie prime sono diventate utili e necessarie, perché si sono generati nuovi bisogni e allo stesso tempo si sono sviluppate tecniche di utilizzo che le hanno rese convenienti, come nel caso appunto del carbone nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale.
Questa spinta alla crescita – il prodotto interno lordo tra il 1810 e il 1850 addirittura è triplicato – è stata resa possibile da un processo di costruzione sociale della classe dirigente, centrato sulla convergenza fra gli elementi più dinamici della nuova borghesia commerciale e dell’aristocrazia terriera, che ha portato verso massicci investimenti nella manifattura. Essa ha avuto così i mezzi non solo per adottare su vasta scala le tecnologie esistenti, ma anche e soprattutto per promuovere la generazione e l’introduzione di nuove tecnologie di processo e di prodotto, che a loro volta hanno avuto effetti cumulativi non solo sulla produzione della ricchezza, ma anche sulla stessa organizzazione sociale.
È nato così un modello di selezione senza frattura di una classe dirigente, di origini eterogenee, che tuttavia aveva interesse comune a promuovere la trasformazione sociale da diritto di sangue a diritto di censo. La ricchezza accumulata di recente e la reputazione nobiliare hanno potuto fare da garanzia a nuovi investimenti, che adottando e sfruttando nuove tecnologie e nuovi modelli di organizzazione del lavoro, hanno generato a loro volta una nuova classe di borghesi radicati sulla nuova industria, in grado di condizionare un quadro normativo a favore del settore nuovo dell’economia e della politica.
Quest’intreccio sociale ha reso possibile l’utilizzo non di singole innovazioni, ma di catene innovative, che hanno permesso di innestare fra loro le evoluzioni di comparti fino ad allora non connessi e ora necessariamente legati in effetti cumulativi, che accelerandosi a vicenda hanno fornito il senso proprio della rivoluzione, cioè della trasformazione sostanziale dell’intero sistema sociale, tecnologico e urbano.
Così, invenzioni significative come la macchina a vapore, in sostituzione delle ruote ad acqua, sono state straordinariamente lente nella loro evoluzione e diffusione fino all’inizio dell’Ottocento, quando è avvenuto il doppio incrocio con le tecnologie di estrazione del carbone e di produzione delle ghise, che tuttavia sono state a loro volta stimolate dall’introduzione del sistema di fabbrica che richiedeva un salto di scala nell’utilizzo dell’energia.
Gli effetti sull’organizzazione sociale sono stati giganteschi poiché, come spiega già Smith, il sistema di fabbrica ha moltiplicato in termini esponenziali l’efficienza della produzione, ma era vincolato alla forza motrice impiegata. L’introduzione della macchina a vapore come fonte di forza motrice industriale ha permesso di localizzare gli impianti in sedi urbane, generando forti economie di scala nella produzione di energia e altrettanto forti economie organizzative, sia interne sia esterne alla fabbrica. Infatti la possibilità di attivare tutte le macchine utilizzando una stessa forza motrice ha favorito la messa in linea delle fasi produttive, sviluppando al massimo specializzazione e complementarietà delle mansioni nell’ambito dello stesso impianto. Contemporaneamente la concentrazione di più impianti ha richiesto infrastrutture specifiche, come porti e ferrovie, oltre all’insediamento di migliaia di lavoratori, che nell’insieme hanno ridisegnato la stessa conformazione della città.
La Rivoluzione industriale ha assunto così il suo carattere essenzialmente urbano. Tra il 1801 e il 1851 Manchester è passata da 35.000 a 353.000 abitanti, Birmingham da 46.000 a 111.000 abitanti.
Nello stesso momento, l’espansione inglese ha assunto dimensioni mondiali, in un altro salto di globalizzazione dell’economia dopo quello generatosi successivamente alla scoperta dell’America. L’impero non è stato più solo terra di conquista alla ricerca di oro e argento, o ricerca di nuove terre per fuggitivi ed emigranti, ma un mercato immenso protetto e obbligato, in cui comprare materie prime e rivendere prodotti manufatti, in uno scambio che era diventato sempre più ineguale fra i contraenti.
La straordinaria crescita inglese e l’altrettanto impressionante emulazione tedesca e francese, hanno disegnato una nuova geografia del potere delle nazioni.
Il re di Prussia aveva spinto, anzi aveva forzato i nobili locali, le potenti comunità anseatiche, la borghesia mercantile e finanziaria a investire in manifattura, garantendo una protezione e una presenza dello Stato che andava dalla protezione commerciale, alla creazione di scuole, ad acquisti massicci soprattutto di materiale bellico e infrastrutturale, come le ferrovie. La Prussia aveva adottato una politica attiva di promozione di nuova industria, ma anche di scuole e università tecniche per la diffusione delle nuove tecnologie e la promozione della ricerca, fino a un massiccio obbligo scolastico che ha portato nel 1860 la frequenza scolastica nell’età scolare al 97%.
Contemporaneamente il re di Prussia si era fatto promotore di un’unione doganale fra gli Stati tedeschi, lo Zollverein del 1831, che aveva contribuito non poco a ridefinire gli ambiti commerciali e politici in Europa.
In Francia la crescita ha avuto una eguale spinta, sostenuta dallo Stato che aveva favorito, da una parte, la creazione di banche e associazioni azionarie e, dall’altra, un notevole programma di investimenti in ferrovie e infrastrutture. La creazione dei crediti mobiliari è stata un’innovazione sostanziale nella finanza d’investimento, che si era estesa rapidamente in tutta Europa, con effetti di enorme capacità moltiplicativa nelle fasi di crescita, ma straordinariamente fragili nelle fasi di crisi nel momento in cui la leva finanziaria stava invertendo rotta.
Gli anni centrali del secolo, segnati dalla competizione a livello mondiale fra potenze industriali, avevano predisposto le condizioni per un nuovo salto, registratosi alla fine dell’Ottocento, e definito «seconda Rivoluzione industriale», figurativamente identificato con il carbone e l’acciaio, tanto quanto la prima Rivoluzione era legata al tessile e al vapore. In questa nuova fase non solo l’industria, ma lo stesso Stato avevano assunto caratteri diversi dal passato, strutturando la propria organizzazione sociale e la propria struttura produttiva per affrontare conflitti di dimensione mondiale. Erano cresciute in tutta Europa nuove élite che avevano fuso il loro ruolo politico e sociale sulla dinamicità delle loro affermazioni economiche, mentre si stava sviluppando una nuova geografia urbana, in cui i tradizionali valori contadini erano stati sostituiti da nuovi valori borghesi e da nuovi ideali proletari; questi avrebbero strutturato il nuovo conflitto fra classi nell’ambito di uno Stato moderno che ha assunto il carattere di Stato nazionale accentrato.
È stata di recente utilizzata la locuzione «terza Rivoluzione industriale» per individuare il passaggio dalla meccanica all’informatica, scambiando ancora una volta lo strumento – la tecnologia produttiva – per il soggetto motore del cambiamento, che in questa lettura restano le dinamiche sociali.
Si veda anche Rivoluzione industriale