La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. La musica
La musica
Secondo la tradizione, l'istituzione del termine Cosmo (kosmos, mundus) risale a Pitagora. Il termine indica l'ordine e la bellezza del mondo creato, la proporzionalità e l'elegante simmetria delle sue parti. Il suo opposto è 'acosmìa', disordine e dissolutezza, caos. Il concetto di Cosmo implica quindi il riferimento a un tutto organico, che comprende la molteplicità del reale in uno schema che è insieme principio di ordine e di bellezza. L'espressione più comprensiva del Cosmo è l'idea di armonia universale. L'armonia universale è l'insieme delle relazioni matematiche che attraversano la Creazione e collegano tutte le parti dell'Universo, dalla muta Terra alle risonanti sfere celesti. Corollario dell'armonia universale è l'armonia delle sfere, l'unione della musica ‒ lo studio delle proporzioni tra i numeri (armonie) ‒ con l'astronomia ‒ lo studio delle grandezze in movimento.
Il Cosmo non è il prodotto del caso, ma di una divinità buona e saggia che i pitagorici identificano con la 'Monade' divina. La 'Monade' è il punto privo di dimensione, esistente concettualmente, da cui trae origine il continuo spazio-temporale dell'Universo percepito, espresso dalla tetraktýs. Il Timeo platonico costituisce il principale svolgimento della cosmologia pitagorica. In questo dialogo Platone descrive la Creazione more geometrico a opera dell'Artefice divino, che contemplando gli archetipi eterni pone ordine (Cosmo) nel caos della materia primordiale. Associata nel pensiero cristiano all'archetipo biblico della Creazione numero, pondere et mensura (in numero, peso e misura), la metafora platonica del 'Dio geometra' si estende all'età rinascimentale, influenzando la letteratura filosofica e scientifica moderna. Uno dei principali testimoni della geometria del divino è nel XV sec. Niccolò Cusano, i cui scritti di ispirazione platonica rappresentano, con l'opera di Ficino, la fondamentale connessione tra l'idea di un Universo armonico, opera di un Dio molto esperto in geometria, e la moderna 'rivoluzione astronomica'. Quando Niccolò Copernico, nella prefazione al De revolutionibus orbium coelestium (1543), rimprovera agli astronomi di avere smarrito la cosa principale "cioè la forma del mondo e l'esatta simmetria delle sue parti" (ed. Barone, p. 172), non può indicare meglio il tema dell'armonia dell'Universo "creato per noi dal migliore e più regolare degli artefici", che egli pone alla base della propria indagine astronomica.
Gli studi astronomici iniziali di Copernico sono connessi ai problemi della riforma del calendario ecclesiastico, alla necessità di calcoli accurati per stabilire, in base ai moti del Sole e della Luna e alla durata dell'anno, la ricorrenza delle principali festività cristiane. Era questo uno dei compiti dell'astronomia matematica elaborata da Eudosso di Cnido (IV sec. a.C.) e istituzionalizzata da Tolomeo (II sec. d.C.), impegnata a risolvere con calcoli matematici il moto anomalo dei pianeti e a fornire previsioni certe per fini pratici. Ma questo non era mai stato l'unico fine dell'astronomia. La parte matematica dell'astronomia era completata da una parte fisica, il cui oggetto era spiegare perché i pianeti si muovono, di cosa sono composti e perché sono ordinati in questo modo. Secondo la fisica celeste di Aristotele, il Sole, la Luna e gli altri pianeti sono contenuti in grandi sfere costituite da una sostanza perfetta e invisibile, l'etere. Le sfere si muovono uniformemente su assi che attraversano tutti il centro del mondo costituito dalla Terra. In questa astronomia fisica la matematica non trova applicazione, in quanto per Aristotele le discipline matematiche sono inadeguate a dare risposte ai problemi della filosofia naturale. L'approccio fisico, che spiega i fenomeni astronomici in base all'essenza e alle qualità dei corpi celesti, e quello matematico, che assume le sfere come pure convenzioni prive di realtà per 'salvare le apparenze' e fornire previsioni utili alla vita degli Stati, erano, in modo affine alle scuole musicali antiche, approcci alternativi e conflittuali all'astronomia. Diversamente dalla situazione considerata in musica, al tempo di Copernico l'astronomia fisica aveva il sopravvento sull'astronomia matematica, in quanto nella gerarchia aristotelica delle scienze, allora dominante nelle università europee, la physica era preordinata alle discipline matematiche del quadrivio.
Copernico è un astronomo conservatore, che assume senza discussione il postulato dell'astronomia antica e medievale: la circolarità e l'uniformità dei movimenti celesti. Ma è al tempo stesso un riformatore radicale, che rovescia la gerarchia aristotelica del sapere per affermare un'indagine astronomica fondata sulla matematica, assunta in termini platonici come linguaggio dell'Universo. Per Copernico l'astronomo che esplora i cieli è come un cieco che si muove solo con l'aiuto della matematica. Non per questo le verità astronomiche sono 'ipotetiche' o convenzionali, ma hanno verità e realtà: sono infatti opera di un Dio platonico che nel creare il mondo "ha geometrizzato", conferendo all'Universo "una ammirevole simmetria" e "un rapporto armonico preciso tra movimento e grandezza delle sfere, quale non è possibile rinvenire in altro modo". Le citazioni sono tratte dal capitolo X del Libro I del De revolutionibus, sull'ordine delle sfere celesti (ibidem, p. 213), in cui Copernico sottolinea l'armonica perfezione che il suo sistema astronomico conferisce alla struttura dei cieli. "Quando si legge quel capitolo", ha scritto Eugenio Garin, "si vede che la ragione principale per essere persuasi della verità ontologica del sistema eliocentrico consisteva per Copernico nel fatto che tale sistema è l'unico capace di realizzare la vera armonia del mondo" (Garin 1961, p. 275). Accanto all'immagine platonica del Cosmo compaiono nel capitolo altri elementi intellettuali, compendiati dal "mito solare, [...] il nesso più caratteristico delle tesi copernicane con la cultura del Quattrocento italiano" (ibidem), nella quale emerge il De Sole (1489) di Marsilio Ficino. Si tratta di un 'eliocentrismo metafisico' e 'teologico' che in Copernico si affianca al tema, anch'esso rilanciato da Ficino, di una prisca teologia, di un'antica sapienza matematica celata a quanti sono dominati dalle apparenze sensibili, che doveva diventare un luogo comune fino a Newton e ai newtoniani. L'affermazione della centralità del Sole e della mobilità della Terra, che Copernico ripropone assumendo come autorità di riferimento il pitagorico Filolao (IV sec. a.C.), è dunque la risultante di un multiforme atteggiamento intellettuale, in cui la riforma dell'astronomia è insieme il ripristino di antiche concezioni pitagoriche, platoniche ed ermetiche, compendiate dal tema dell'armonia del mondo e del suo Artefice divino.
Ancor più di Copernico, Johannes Kepler è ossessionato dall'idea platonica del Dio geometra, l'architetto supremo che ha creato il mondo in base a un progetto matematico perfetto. Al centro dei propri studi astronomici Kepler pone l'armonia dell'Universo, che è tutt'uno col tema della musica mundana. Struttura dei cieli e accordi consonanti, astronomia e musica, svelano alla ragione l'ordine matematico dell'Universo. L'esito è il mutamento radicale della compagine planetaria consona a una musica celeste ignota all'Antichità.
A differenza di Copernico, Kepler non si limita a esibire l'ordine e l'elegante simmetria del Sistema solare; egli vuole rinvenire le leggi archetipe che lo governano. Queste leggi sono matematiche, più esattamente geometriche. La loro conoscenza è possibile all'uomo in quanto nel microcosmo, nella mente dell'uomo, la mano di Dio ha inciso gli archetipi geometrici della Creazione. Il primato della geometria in Kepler comporta la revisione dell'ordinamento tradizionale delle discipline del quadrivio: la geometria è a fondamento non solo dell'astronomia, ma anche della musica, abitualmente 'subalterna' all'aritmetica. In astronomia Kepler cercherà di determinare il numero e le distanze dei pianeti attraverso i cinque poliedri regolari della tradizione pitagorica e platonica; in musica rinviene la causa della consonanza nei poligoni regolari inscritti nel cerchio.
In quanto fondate sulla geometria, sia la scienza astronomica sia la scienza musicale procedono deduttivamente da premesse evidenti.
Tuttavia, poiché le verità geometriche esistono nella realtà fisica come copie imperfette, che la mente riconosce e classifica rapportandole agli archetipi impiantati in sé stessa, deve esistere una corrispondenza esatta tra la costruzione aprioristica e i calcoli sui dati d'osservazione. Come l'approccio geometrico, anche l'atteggiamento 'empiristico' di Kepler illumina ulteriori aspetti delle sue ricerche astronomiche e musicali. È lo scarto di appena 8′ tra i calcoli e l'osservazione del moto di Marte a fornirgli la base della sua riforma dell'astronomia. Kepler aveva fondato la propria teoria del moto di Marte sull'assioma del moto circolare del pianeta. Lo scarto significava che Marte non si trovava là dove avrebbe dovuto essere, ma più prossimo al Sole. In altri termini, la sua traiettoria si deformava. Kepler decise così di abbandonare la perfezione del cerchio, che spariva dai cieli sostituito dall'ellisse, le cui proprietà ne consentivano ugualmente l'utilizzo nel Cosmo. Pur non avendo la perfezione del cerchio, l'ellisse ha due fuochi invece di un unico centro. Se un pianeta compie un'orbita circolare la sua velocità varia a ogni istante in relazione alla distanza da un fuoco. Esiste pertanto una relazione continua, geometrica, tra la velocità del pianeta e la sua distanza dal Sole, collocato in uno dei due fuochi. La soluzione dei due problemi, determinazione delle orbite e variazione delle velocità, costituisce la formulazione delle due celebri leggi di Kepler: (1) i pianeti percorrono orbite ellittiche nelle quali il Sole occupa uno dei due fuochi; (2) la velocità con cui il pianeta percorre la propria orbita varia in modo che il raggio vettore, che congiunge il Sole al pianeta, descrive aree uguali in tempi uguali. Determinata la forma delle traiettorie e la legge del moto di ciascun pianeta, Kepler poté riprendere il lavoro, interrotto per le difficoltà insorte nell'indagine, sull'opera da tempo progettata sull'armonia del mondo. È questo l'argomento dei cinque libri degli Harmonices mundi (1619), in particolare del Libro V, sull'armonia delle sfere, controparte celeste della musica terrena discussa nell'ultima parte del Libro III. L'indagine sull'armonia delle sfere portò contestualmente Kepler alla soluzione del fondamentale problema astronomico di definire la relazione che regola i rapporti tra i tempi di rivoluzione e le distanze dei pianeti, nota come terza legge di Kepler, o 'legge armonica', perché Kepler riteneva che essa dimostrasse le vere armonie celesti. Alexandre Koyré ha illustrato così il processo intellettuale che ha condotto Kepler a rinvenire la struttura del Cosmo nei rapporti armonici dei pianeti:
chi dice velocità, dice, senza dubbio, distanza, ma anche, e forse soprattutto, dice tempo. È per aver trascurato il tempo che il Mysterium cosmographicum non era riuscito a scoprire la struttura reale del cosmo. I rapporti geometrici puri non potevano esprimerla; bisognava aggiungerci dei rapporti armonici: perché Dio, come avevano ben presagito gli antichi Pitagorici, non era soltanto architetto, ma anche, e soprattutto, musico. Inversamente, un Dio puramente geometra si sarebbe accontentato di un mondo costruito in funzione della sfera e dei cinque corpi regolari, di un mondo in cui i pianeti ruotassero eternamente su cerchi concentrici, senza mai modificare né le loro distanze dal Sole, né le velocità dei loro movimenti. Ma per un Dio musico, un mondo in cui i pianeti emettessero eternamente ognuno la propria 'nota', quand'anche l'insieme di queste note formasse un accordo armonioso, sarebbe inaccettabile. Chi dice musica dice varietà, non monotonia; così un Dio musico era tenuto ad attribuire a ogni pianeta non una 'nota' unica, ma una frase musicale propria e a formare, partendo da queste frasi, un'armonia polifonica e contrappuntistica svolgentesi nel tempo. (Koyré 1966, pp. 277-278)
Sono dunque le velocità, non le distanze dei pianeti, come pensavano gli antichi pitagorici, a costituire la base fisica della musica celeste. Dopo vari tentativi, Kepler trovò infine le armonie nei valori delle velocità orbitali minime e massime di un pianeta, come risultano dal Sole. La velocità del pianeta P è misurata nel suo perielio p (quando è più vicino al Sole S) e nel suo afelio a (quando è più lontano dal Sole), e per la seconda legge è maggiore in p, minore in a. Esistono così per ciascun pianeta due valori estremi del moto diurno, le cui differenti combinazioni danno luogo a diversi generi di armonie planetarie. Per esempio, le due velocità estreme di un pianeta definiscono il particolare intervallo musicale che esso rappresenta: così il rapporto tra le velocità di Saturno in afelio e in perielio dà approssimativamente 4:5, la terza maggiore. Ancora: la velocità in afelio di un pianeta può essere combinata con la velocità in perielio del pianeta vicino, e viceversa; per esempio, Terra e Venere danno insieme una sesta minore e maggiore. Ma più importante per Kepler è la deduzione dell'accordo a sei parti generato dalle velocità orbitali di tutti i sei pianeti insieme. A questo fine, poiché gli intervalli musicali dei pianeti non cadono nella stessa ottava, Kepler deve fissare un'altezza definita corrispondente al moto più lento e collocare i rimanenti moti agli appropriati intervalli superiori. Assunta come base l'ottava di Saturno, Kepler riduce tutte le note planetarie all'estensione di un'unica ottava ottenendo infine questa armonia astrale. Gli archetipi musicali integravano così gli archetipi geometrici (i cinque poliedri regolari) e, dipendendo tutti dalla struttura geometrica dell'Universo, opera del Dio platonico, offrivano un ulteriore criterio per rendere il Cosmo il più armonioso possibile. Rapportando le velocità dei pianeti (armonie) ai tempi di rivoluzione (terza legge dei tempi periodici), Kepler poté alfine calcolare quanto non era ancora dato conoscere: le distanze dei pianeti dal Sole e le dimensioni del Sistema solare. Dallo schema delle armonie planetarie appare che tra tutte le note prodotte dai pianeti nelle loro rivoluzioni attorno al Sole si verifica una lunga sequenza di accordi dissonanti; ma, tra questi, si danno anche accordi consonanti. La loro natura e il loro numero sono offerti dalla Terra e da Venere. Poiché hanno orbite più circolari, Terra e Venere hanno estensioni limitate e possono quindi combinarsi con gli altri pianeti in un numero limitato di modi. Sono dunque questi due pianeti a determinare i possibili accordi dei sei pianeti insieme, che dovranno contenere tutti seste maggiori, SOL-MI, o minori, SOL-MI g. Questi accordi dei sei pianeti non sono frequenti. Se la consonanza tra due di essi è relativamente frequente, la sua realizzazione diviene sempre più rara quanto più aumenta il loro numero. Kepler dubita che abbia potuto verificarsi due volte e immagina che forse solo al momento della Creazione si sia realizzato l'accordo meraviglioso di tutti i pianeti e che solo l'Ultimo Giorno i cieli intoneranno ancora una volta quell'accordo perfetto prima dell'eterno silenzio. Tuttavia, quando parla dell'affinità tra la musica terrena e la musica celeste, Kepler assume evidentemente l'esistenza di più di uno o due accordi consonanti nell'intera storia del mondo; leggiamo negli Harmonices mundi:
I moti celesti altro dunque non sono che un perenne concerto (razionale, non vocale), che, attraverso dissonanze simili a sospensioni e cadenze (con le quali gli uomini imitano queste dissonanze naturali), tende a clausole definite e prescritte, e articola e distingue con queste note l'immensità del tempo; per cui non è più una meraviglia che la regola del canto polifonico, ignota agli antichi, sia stata infine inventata dall'Uomo, la Scimmia del suo Creatore; onde interpreti, nel breve spazio di un'ora, la durata perpetua dell'intero corso del mondo con la sinfonia artificiale di parecchie voci, e gusti in certa misura il compiacimento di Dio creatore per le proprie opere con un piacere dolcissimo ottenuto da questa musica che imita Dio. (GW, VI, p. 328)
Il paragone istituito da Kepler non è solo una metafora. Come ha sottolineato Daniel P. Walker (1978), esiste tra le polifonie planetarie e quelle terrene un'analogia causale fondata sugli archetipi geometrici, che conferisce alla polifonia un significato mai fino ad allora attribuito alla musica.
L'attitudine di Kepler ai simboli e alle analogie geometriche, non aritmetiche, dà rilievo alla sua originale collocazione nella tradizione platonico-pitagorica. La controversia che alla pubblicazione degli Harmonices mundi oppose Kepler a Robert Fludd (1574-1637) esprime la divaricazione tra due concezioni del rapporto tra simboli matematici e realtà interne alla tradizione dell'armonia delle sfere. Il confronto con la visione più tradizionale del contemporaneo filosofo inglese fa inoltre apparire gli elementi che rendono uniche le armonie celesti di Kepler nella tradizione millenaria della musica mundana. Nelle quattro pagine conclusive degli Harmonices mundi (Appendice del Libro V) Kepler aveva paragonato l'opera alle prime due parti dell'Utriusque cosmi [...] historia (1617-1618) di Fludd. Come indica il titolo, l'argomento di quest'ultimo libro è l'analogia tra microcosmo e macrocosmo, un tema peculiare al platonismo e all'ermetismo rinascimentale in cui si radica la cultura sincretistica del medico e filosofo inglese. Fludd svolge la corrispondenza tra uomo e Cosmo in termini musicali: l'Universo è uno strumento musicale, un monocordo che si estende dal livello più alto al livello più basso del creato, dai cori angelici alla muta Terra.
Il monocordo ha l'estensione di due ottave, lungo le quali sono gerarchicamente disposti i tre mondi, l'elementare l'etereo e l'angelico, combinazione della cosmologia aristotelica con elementi del pensiero cristiano. In alto la mano divina intona questa fides mundana (corda del mondo). La corda dello strumento è ripartita in quindici note musicali ‒ dal Sol grave in basso, al Sol medio sulla sfera del Sole, al Sol alto in cima ‒ e comprende due ottave (disdiapason): l'ottava materiale, dalla Terra alla sfera del Sole, e l'ottava formale, dalla sfera del Sole alla sommità del monochordum mundi, composta solo di forma priva di materia. Le due ottave sono divise nelle proporzioni armoniche del tradizionale sistema di intonazione pitagorico: la quinta (diapente) e la quarta (diatesseron), espresse sul lato sinistro dai rapporti numerici semplici (proportio sesquialtera, 3:2, e proportio sesquitertia, 4:3). La quarta materiale è costituita dai quattro elementi ‒ terra, acqua, aria e fuoco ‒ e la sua immagine riflessa è la quarta formale, costituita dalla regione angelica (dalla sfera delle stelle fisse all'ultimo dei tre ordini angelici). La regione dalle stelle fisse alla sfera del Sole coincide con l'estensione della quinta formale, simmetrica alla quinta materiale, l'intervallo dalla sfera del Sole alla sfera della Luna (si noti l'errore della figura: l'arco della diapente materialis e quello corrispondente della proportio sesquialtera dovrebbero terminare in C). La simmetria del diagramma del mondo è perfetta.
Kepler non commenta il sistema planetario di Fludd, probabilmente perché si rende conto che Fludd non è interessato alle proprietà osservabili del sistema astronomico. Il fondamentale punto di contrasto è indicato nell'uso dei simboli matematici. Kepler rimprovera a Fludd di accogliere l'antica concezione secondo cui la causa dell'armonia sono i numeri astratti dalla materia (numeri numerantes), in altri termini di fare uso di relazioni numeriche senza rapporto con gli oggetti di cui dovrebbero essere la misura. Per Kepler invece i numeri (e i simboli) non hanno alcuna forza dimostrativa autonoma. Kepler usa i numeri in quanto derivano dalla misurazione (numeri numerati), e sono gli strumenti dell'astronomo e del filosofo naturale. I rapporti musicali dipendono da rapporti tra quantità aventi la stessa unità di misura, come le velocità angolari minime e massime dei pianeti dal Sole. Le armonie celesti di Fludd sono invece fondate sull'identità numerica di oggetti che non hanno nessuna proprietà comune, come gli intervalli musicali e le regioni del Cosmo. Fludd risponde con una difesa della numerologia: senza il mistero degli occulti numeri astratti non è possibile afferrare né l'intima natura delle cose, che consistono di numeri, né le corrispondenze tra le cose naturali e quelle soprannaturali. In sostanza, un analogo del Dio platonico intento a 'geometrizzare' è a fondamento della cosmologia di Kepler come della cosmologia di Fludd. La differenza cruciale sembra consistere nel fatto che le analogie musicali e cosmologiche di Kepler sono proporzioni esatte tra due sistemi con una medesima unità di misura e devono inoltre accordarsi con le proprietà misurabili dell'Universo osservabile; quelle di Fludd fanno invece uso di relazioni numeriche astratte e possono prescindere dalla realtà osservata. Le prime conducono alla scienza, le seconde alla tradizione numerologica cui appartiene il 'senario' di Gioseffo Zarlino (vale a dire i numeri da 1 a 6 da cui erano generate tutte le consonanze musicali, e su cui era basata la suddivisione zarliniana della scala musicale, nota come 'giusta intonazione'). Questa diversità sostanziale spiega le differenze estrinseche tra le armonie celesti di Fludd e quelle di Kepler. Le prime sono le armonie tradizionali della musica mundana, costituite cioè da scale, quelle di Kepler sono invece polifoniche, ossia armonie nel significato moderno del termine, e sono in giusta intonazione, in quanto hanno terze e seste consonanti. Queste ultime sono inoltre incentrate sul Sole, mentre quelle di Fludd e della musica mundana tradizionale presuppongono la centralità della Terra. La 'rivoluzione polifonica' si saldava così con la 'rivoluzione astronomica', a coronamento di un sodalizio millenario tra le due 'discipline sorelle' del quadrivio.
Il sogno 'platonico' o 'pitagorico' dei protagonisti della 'rivoluzione astronomica', da Copernico a Kepler a Galilei, fu infine realizzato da Isaac Newton. Il terzo libro dei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687), "de systemate mundi", compendiava, infatti, in un'unica, semplice legge matematica, la legge di gravitazione universale e le osservazioni astronomiche delle età precedenti. Il nuovo modello unitario del Cosmo rispondeva perfettamente ai fenomeni ed esibiva una compiuta razionalità matematica, l'armonia universale del Cosmo.
Il Libro III dei Principia manifesta un preciso disegno espositivo. Dopo l'enunciazione delle tre leggi di Kepler, Newton ne offre una reinterpretazione dinamica alla luce della legge di gravitazione universale. Nelle proposizioni successive, dalla IV alla IX, la legge dell'inverso dei quadrati viene via via generalizzata, fino ad abbracciare tutti i corpi del sistema solare e dell'Universo fisico. Infine Newton integra le proposizioni VI-IX, che espongono il nucleo più originale della teoria gravitazionale, con numerose testimonianze dei filosofi antichi. Se Copernico, Kepler e Galilei avevano cercato nella sapienza riposta dei veteres il segno di un'antica verità astronomica (armonica ed eliocentrica) da contrapporre al sistema geostatico di Aristotele e Tolomeo, Newton legge ora nelle loro diverse testimonianze le proposizioni fondamentali della propria astronomia matematica. E come Copernico e i 'copernicani' avevano spesso inteso il progresso dell'astronomia come un regresso verso proposizioni intuite anticamente, non diversamente Newton considera il proprio sistema eliocentrico e vacuista come un recupero per via sperimentale e matematica di un'antica verità successivamente occultata. Nello scolio alla proposizione VIII, sulla legge dell'inverso dei quadrati, Newton 'legge' nell'antica concezione pitagorica dell'armonia delle sfere la propria teoria della gravitazione universale espressa in forma simbolica. Interpretando con originalità testi di Plinio, Eusebio, Proclo e Macrobio, nello scolio Newton sostiene che Pitagora aveva trovato la legge dell'inverso dei quadrati nelle vibrazioni delle corde musicali. Perché due corde siano unisone, le loro tensioni devono essere in rapporto inverso ai quadrati delle rispettive lunghezze: per esempio, per ottenere i rapporti musicali 2:1, 3:2, 4:3, i pesi tendenti le corde devono essere in rapporti 1:4, 4:9, 9:16, una relazione inversa al quadrato. Pitagora quindi, secondo Newton, applicò il principio ai movimenti dei pianeti: paragonando i pesi tendenti le corde ai pesi (masse) dei pianeti e le lunghezze delle corde alle distanze dei pianeti, Pitagora apprese, attraverso l'armonia delle sfere, che i pesi dei pianeti verso il Sole sono come i quadrati delle loro distanze. Questa verità fu successivamente obliterata, perché Pitagora e i filosofi più antichi amarono occultare al volgo le loro conoscenze attraverso parabole e allegorie. Pitagora occultò la legge del Cosmo esprimendo i rapporti musicali aritmeticamente, ossia in termini di rapporti di numeri semplici, il che è esatto solamente per le lunghezze delle corde, non per i pesi. I rapporti aritmetici furono quindi applicati alle distanze dei pianeti, che in tal modo definivano una scala musicale completa. Tuttavia le favole di Apollo, Pan e Orfeo e la leggenda di Pitagora che soppesa martelli nell'officina di un fabbro, fornivano, attraverso una corretta lettura, la chiave per l'autentica armonia dei cieli, che solamente gli iniziati come Newton potevano penetrare.
L'interpretazione newtoniana dell'armonia delle sfere corona da un lato le conoscenze teorico-musicali di Newton, già applicate all'ottica e alla teoria dei colori e della percezione, dall'altro si rapporta ai suoi studi storici e teologici che affiancano e intersecano quelli scientifici. Il trattamento che Newton riserva negli ultimi due scoli del Libro III dei Principia ai testi di Macrobio e ai due frammenti orfici dimostra, come ha scritto Paolo Casini (1981), "la stretta connessione che sussiste nel suo pensiero tra i rapporti numerico-musicali che presiedono alla legge dell'inverso dei quadrati e l'immagine di Dio. Giacché Newton ricollocava la propria immagine di un Dio "molto esperto in meccanica e in geometria", che aveva calcolato [...] le masse, le distanze e le attrazioni reciproche dei corpi celesti, nel contesto della tradizione pitagorica o platonica del "Dio che geometrizza in eterno"" (p. 16).
Riattivata dalla cultura umanistica, l'opposizione tra 'pitagorici' e 'aristosseniani' promuove il passaggio, tra la seconda metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, da un'analisi matematica della musica a un'analisi fisica, empiricamente orientata. Le osservazioni e gli esperimenti acustici di Vincenzo Galilei trovano accoglienza nell'orientamento dei filosofi naturali moderni, con sviluppi immediati nel figlio, Galileo Galilei, e soprattutto nelle opere del padre minimo francese Marin Mersenne. Contemporaneo di Vincenzo Galilei, anche il matematico Giovanni Battista Benedetti rappresenta un interessante esempio di transizione. Nella seconda delle due lettere, scritte intorno al 1563 a Cipriano de Rore, edite nel Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber (1585), Benedetti formula la prima teoria della consonanza a base fisica. Combinando elementi noti, egli associa i rapporti numerici degli intervalli musicali consonanti alle 'percosse' prodotte nell'aria dal moto della corda sonora. Generalizzando il fenomeno, Benedetti afferma che, per i diversi intervalli musicali, il numero delle vibrazioni nell'unità di tempo (frequenza) è inversamente proporzionale alla lunghezza delle corde che le producono. Egli assume questa proprietà come autoevidente e non vi è traccia nel suo resoconto di un tentativo di dimostrazione. Dalla connessione degli intervalli musicali con il moto vibratorio della corda sonora, Benedetti ricava la propria teoria della consonanza: questa è il risultato della 'coincidenza' dei cicli delle vibrazioni sonore sull'orecchio (per es., per l'ottava 2:1, una vibrazione della corda lunga 'coincide' con le alterne percussioni della breve). Come si vede, la spiegazione di Benedetti non deriva, come in Zarlino, dalle proprietà dei numeri e neppure, come in Kepler, dai poligoni regolari inscritti. Per la prima volta nella storia della scienza musicale la consonanza è invece spiegata in termini fisici. L'affermazione dell''approccio sperimentale' alla musica non implica l'esclusione, dal quadro concettuale della scienza moderna, di un 'approccio matematico' obsoleto. Non solo Kepler, anche gli scritti di Simon Stevin e il Compendium musicae di René Descartes attestano che nella prima metà del Seicento l'analisi more geometrico si conserva, trovando credito alla fine del secolo in Leibniz, e nel corso del Settecento in ampi settori del pensiero scientifico e musicale di aree culturali diverse. Accanto alle 'matematiche astratte' assumono attualità e importanza nell'età rinascimentale le 'matematiche medie', quali l'astronomia, la meccanica, l'ottica e la musica, discipline che applicano le dimostrazioni matematiche all'indagine naturale. L'accordo delle 'matematiche dimostrazioni' con le 'sensate esperienze', per usare la nota locuzione metodologica di Galilei, rende per la prima volta possibile l'avvicinamento tra approccio matematico e approccio empirico nella musica. Anche in questa direzione la teoria della consonanza di Benedetti costituisce un importante precedente. Associando i rapporti numerici delle consonanze alle vibrazioni della corda sonora, Benedetti non assume i numeri astrattamente, ma come misurazioni e quantificazioni di un evento fisico: numeri numerati non numeri numerantes. Al termine della fase iniziale della 'rivoluzione scientifico-musicale', Mersenne potrà affermare che il numero armonico non è quello che i matematici considerano in astratto, "seu absque materia": quel numero infatti non produce il suono. Per Mersenne e Galilei il 'numero sonoro' definisce ora "il numero dei moti [...] ossia delle vibrazioni dell'aria, dalle quali l'udito può essere affetto e mosso" (Mersenne, Cogitata physico-mathematica, p. 261). È così delineata la duplice direzione che la ricerca musicale avrebbe percorso dopo Vincenzo Galilei e Benedetti. Assumendo come ideale punto di partenza la teoria di Benedetti, i filosofi naturali dei Seicento interessati alla musica, cercano innanzitutto di dare evidenza sperimentale al rapporto, istituito, ma non dimostrato da Benedetti, tra l'altezza dei suoni e la frequenza delle loro vibrazioni nell'aria, unificando in un'unica legge fisico-matematica il comportamento della corda vibrante. Essi impiegano inoltre originali teorie meccanicistiche della materia per spiegare la natura del suono, musicale e non, e il suo modo di propagazione nell'aria, ponendo le basi teoriche e sperimentali della 'teoria ondulatoria' di fine secolo. Infine, nel quadro di particolari assunti metafisici, relativi all'interazione mente-corpo, essi avviano l'indagine dei meccanismi psicofisiologici responsabili, nel soggetto, della percezione delle consonanze musicali.
Nella cultura filosofica e scientifica del Seicento operano due distinte concezioni del suono, fondate su approcci filosofici difformi ai fenomeni naturali: il suono come qualità e il suono come materia in movimento. La 'concezione qualitativa' del suono ha origine in Aristotele. Egli non aveva seguito Platone e Pitagora nella deduzione dei fenomeni musicali da premesse matematiche. La ragione pura non è per lui l'unica chiave della verità, e, per il ruolo assegnato all'udito, il suo nome è spesso associato nella tradizione musicale a quello di Aristosseno. I contributi di Aristotele all'indagine scientifica sul suono musicale riguardano soprattutto i campi dell'acustica, della fisiologia della voce e della psicologia dell'udito. Diffusa dai commenti arabi e scolastici al De anima, la concezione aristotelico-scolastica è presente nelle filosofie rinascimentali della Natura e nelle correnti aristoteliche, che nella scienza del Seicento competono con le filosofie corpuscolari o atomistiche dei moderni. La sezione musicale degli pseudoaristotelici, Problemata, è stata una permanente fonte di ispirazione anche per i filosofi antiaristotelici o non aristotelici dell'Età moderna. Nella tradizione aristotelico-scolastica il suono è una 'qualità' o 'specie udibile' addizionale al moto dell'aria che lo trasporta dalla fonte sonora all'orecchio dell'ascoltatore. 'In potenza' il suono esiste nell'orecchio, nella voce e nella fonte sonora che lo genera; la sua 'attualità' è la forma musicale udita. In tal modo ogni caratteristica fisica e qualitativa del suono diventa un importante oggetto di osservazione. La 'concezione qualitativa' del suono non è dunque sinonimo di un approccio speculativo, astratto. Si tratta piuttosto di un atteggiamento empirico e induttivo, che, nell'interpretazione delle osservazioni acustiche e musicali, esclude lo strumento matematico e ricorre alle categorie concettuali aristoteliche e delle filosofie rinascimentali della Natura.
La concezione qualitativa del suono si combina in età rinascimentale, per esempio in Tommaso Campanella, ad altre componenti intellettuali, in particolare alla filosofia musicale di Marsilio Ficino. La stessa teoria ficiniana dello 'spirito musicale' è una sintesi originale della rappresentazione scolastica del suono con concezioni mediche e dottrine pneumatologiche stoiche e neoplatoniche. Ficino, Bernardino Telesio e Campanella sono autori abitualmente menzionati nelle storie della filosofia come fonti di Francis Bacon. Le osservazioni e gli esperimenti acustici e musicali, descritti da Bacon nella Sylva sylvarum (1626), evidenziano un atteggiamento affine a quello incontrato in Aristotele. Da un lato Bacon è estremamente critico verso la scienza musicale di impianto pitagorico, più interessata ai rapporti numerici astratti che alle proprietà fisiche e agli 'effetti' dei suoni musicali; dall'altro egli stabilisce chiaramente la distinzione tra il suono, che è incorporeo, e il moto dell'aria che lo trasporta. La rimozione della matematica dalla musica, in quanto soggetto naturale, comporta l'esclusione della teoria musicale dagli interessi e dagli studi di Bacon. La sua attenzione è invece rivolta alle proprietà fisiche del suono e alla definizione, attraverso l'induzione, della sua vera natura. Per Bacon il suono è costituito di 'specie udibili', generate da una fonte sonora che le diffonde sfericamente. Per la sua essenza incorporea, 'spirituale', il suono comunica facilmente con gli spiriti animali dell'uomo. Il piacere sensibile nella percezione delle consonanze è il risultato della conformità, o 'simpatia', tra i suoni musicali e un particolare 'spirito' nell'uomo. È questa una spiegazione frequente nei testi di magia rinascimentale noti a Bacon, come i Magiae naturalis libri (1558-1589) di Giambattista Della Porta. Le osservazioni e gli esperimenti acustici descritti da Bacon nella seconda e terza centuria della Sylva (su eco, dispositivi artificiali per incrementare l'udito e la voce, risonanza, e così via) sono la principale fonte del programma di indagini musicali nei primi anni di attività della Royal Society. L'altra fonte è Mersenne, tra i primi filosofi del Seicento ad applicare all'indagine naturale i principî della filosofia meccanicistica della Natura. Il meccanicismo del XVII sec. cerca di spiegare tutti i fenomeni naturali, fisici o biologici, in base ai principî della materia e del movimento, evitando il ricorso alle 'qualità occulte' della filosofia scolastica e rinascimentale della Natura. Nella concezione meccanicistica la realtà è costituita dalle relazioni di particelle materiali di differente forma e grandezza in movimento nello spazio, e queste relazioni sono descritte mediante leggi fisico-matematiche. A differenza di quello cartesiano, il meccanicismo di Mersenne trova un limite nel suo atteggiamento scettico verso il potere infallibile della ragione e nella conseguente disposizione allo studio sperimentale dei fenomeni.
Per Mersenne "il suono non è altro che una percussione dell'aria, ricevuta dall'udito quando ne è colpito": è costituito in altri termini da movimenti o impulsi regolari trasmessi attraverso l'aria all'orecchio (Harmonie universelle, I, Abregé). Questi impulsi sono generati dalla fonte sonora che propaga nell'aria i moti vibratori, come le onde sulla superficie dell'acqua percossa da una pietruzza, che colpiscono la riva dileguandosi. Su questo fondamento teorico Mersenne istituisce una sistematica indagine sperimentale e quantitativa di tutte le proprietà fisiche del suono, musicale e non. Egli dimostra sperimentalmente che l'altezza dei suoni prodotti dalle corde è definita dalla frequenza (il numero delle vibrazioni della corda nell'unità di tempo), che dipende a sua volta da lunghezza, tensione e sezione della corda. La formula che riassume queste indagini è nota in acustica come 'legge di Mersenne': la frequenza è direttamente proporzionale al quadrato della tensione, e inversamente proporzionale alla lunghezza della corda e al quadrato della sezione. L'intensità del suono è data dalla quantità di aria agitata dal moto della corda sonora. Le ricerche acustico-musicali di Mersenne, per le quali è considerato il fondatore dell'acustica moderna, si applicano a varie materie. Per esempio, egli procede alla quantificazione di una nota di altezza determinata, proponendo di standardizzare l'altezza; calcola la frequenza che definisce la soglia di udibilità nell'uomo; descrive con sistematicità gli strumenti musicali utilizzando come fonte di conoscenza le informazioni dei costruttori; sviluppa per primo l'incerta osservazione di Aristotele secondo cui ogni nota contiene la sua ottava superiore, approfondendo il fenomeno degli armonici; nota infine, nelle canne d'organo, le lente alternazioni di intensità, responsabili di piccole deviazioni dalla purezza delle consonanze giuste (il fenomeno dei battimenti), ed è consapevole che la quantificazione del numero di questi battimenti per unità di tempo fornirebbe una misura certa del temperamento.
Queste indagini sperimentali sono parte di una concezione musicale più ampia, in cui la scienza musicale è piegata a un fine apologetico. Al suo esordio Mersenne è un umanista musicale che crede ai 'maravigliosi' effetti della musica antica. Influenzato da Jacques Mauduit, il tramite di Mersenne con l'Académie di Baïf che si ispira al neoplatonismo di Ficino, ha in mente la progettazione di un'accademia in cui lo studio enciclopedico della musica dovrebbe condurre alla realizzazione degli 'effetti' morali e religiosi attribuiti alla musica antica. L'idea dell'accademia non si realizzò e il programma iniziale dovette subire significative rettifiche. Se inizialmente Mersenne era convinto che il potere della musica fosse dovuto alla corrispondenza tra le proporzioni numeriche dei suoni e quelle dell'anima, in seguito la filosofia meccanicistica gli suggerisce un'indagine sulle correlazioni tra stimoli uditivi e sensazioni, entro cui collocare la spiegazione degli effetti. Il moto dei suoni e la loro azione sui meccanismi percettivi producono, come il ritmo e il metro musicali, effetti fisici e psicologici che è possibile indagare con gli strumenti del filosofo naturale; la corrispondenza tra numeri e anima è invece un assunto metafisico non dimostrabile. Interviene qui la polemica di Mersenne con i rappresentanti dell'occultismo rinascimentale, il suo tentativo di stabilire un preciso confine tra l'ermetismo magico e cabbalistico di Fludd e una concezione razionale della realtà. Ma se combatte le illusioni dell'astrologia e della cabbala musicale, Mersenne è erede del tema platonico-rinascimentale dell'armonia del mondo. La scienza sperimentale del suono è la prova dell'armonica proporzionalità tra le parti della Natura, del segreto rapporto che Dio ha stabilito tra i suoni e i moti dell'anima. La musica è posta in tal modo al servizio di Dio e del perfezionamento morale e religioso dell'uomo. "La musica è in Dio", scrive nel Traité de l'harmonie universelle (1627), e se conoscessimo "le ragioni armoniche che Egli ha conservato nella fabbrica del mondo e di tutte le sue parti, questa conoscenza ci rapirebbe mille volte più di tutti i concerti" (p. 19). Dieci anni dopo la pubblicazione del Traité, nel Libro I dell'Harmonie universelle (1636-1637), Mersenne associa i suoni al principio biblico della 'sapienza': poiché tutte le cose sono state create "in peso, numero e misura, rappresentando i Suoni queste tre proprietà, potranno significare tutto ciò che si vuole" (pp. 42-43). Niccolò Cusano aveva spiegato nel De docta ignorantia (1440) che "il numero riguarda l'aritmetica, il peso la musica, la misura la geometria". Mersenne ha invece invertito l'ordine dell'archetipo biblico: ponendo pondus al primo posto, egli ha collocato la musica più vicina a Dio dell'aritmetica e della geometria. Mersenne riferisce anzi le tre proprietà archetipe delle cose create alle proprietà dei suoni. Viene spontaneo il richiamo alla legge acustica che porta il suo nome, con cui spiega che l'altezza del suono generato dalla corda dipende da tensione (peso), sezione e lunghezza (numero e misura). Come rappresentazione di tutte le cose, la scienza dei suoni è la scienza delle scienze, l'immagine di tutta l'enciclopedia.
Un apporto originale alla scienza musicale del primo Seicento è anche quello di un amico e corrispondente di Mersenne e Descartes, più noto agli storici della scienza che ai musicologi: Isaac Beeckman. Studioso di meccanica, astronomia, musica e medicina, Beeckman applica a questi campi di indagine i principî esplicativi del 'meccanicismo': egli cerca di spiegare i processi naturali attraverso i moti di piccole particelle materiali, concepite come atomi di diverse forme e grandezze. Applicando questa concezione anche al suono, fornisce una spiegazione della propagazione e della ricezione del suono, che si differenzia da quella adottata dai suoi contemporanei Mersenne, Descartes e Galilei. Questi ultimi avevano reinterpretato l'antica analogia stoica della propagazione del suono nell'aria con le onde sulla superficie dell'acqua percossa da una piccola pietra. Nella loro concezione il suono musicale è una regolare successione di 'percosse' o impulsi che attraverso l'aria vanno a colpire l'udito. La pulse theory of musical sound (ossia la teoria del suono musicale per propagazione di impulsi) è distinta dalla wave theory of musical sound (teoria ondulatoria) di Newton, in quanto non la trasmissione di impulsi, ma la regolare successione di onde longitudinali è responsabile della propagazione del suono. Beeckman elabora invece un 'modello emissivo', originale rielaborazione della dottrina atomistica classica, secondo cui la voce o gli strumenti musicali emettono piccole particelle, gli atomi sonori, che volano nell'aria e sono percepiti come suoni dall'udito. Elemento comune ai due modelli, emissivo e continuista, è la spiegazione della propagazione del suono senza spostamento del mezzo: in quello emissivo a muoversi attraverso l'aria sono gli atomi sonori, in quello continuista non l'aria stessa, ma il suo moto ondulatorio trasmette il suono. Nonostante la sua comprensione del concetto di onde, Beeckman pensa che ogni corpo che vibra divida l'aria in piccoli corpuscoli aerei e sferici, diffusi in tutte le direzioni dal moto vibratorio della corda sonora. Floris Cohen nel 1984 ha ricostruito le originali teorie acustiche e musicali che Beeckman desume dalla propria concezione atomistica del suono.
Con la circolazione degli scritti di Mersenne, Descartes e Galilei, le nuove dottrine meccanicistiche del suono e della musica hanno un'ampia diffusione nella seconda metà del Seicento. Insieme al programma di ricerche sperimentali, indicato da Bacon, le nuove concezioni vengono a rappresentare il termine di riferimento teorico delle ricerche acustiche e musicali degli scienziati della Royal Society, dell'Académie des Sciences e dell'Accademia 'galileiana' del Cimento.
Le tematiche più comunemente discusse riguardano i problemi della propagazione del suono ‒ per esempio, se il suono si diffonde nel vuoto, o i tentativi sperimentali di quantificarne la velocità ‒, lo studio delle proprietà dell'eco e le loro applicazioni tecnologiche (cornetti acustici e 'trombe parlanti'), la meccanica delle corde sonore e le osservazioni sul fenomeno della risonanza e sulla vibrazione periodica interna dei corpi. Queste discussioni preparano la trasformazione dalla concezione del suono come successione di impulsi al suono come successione di periodiche rarefazioni e condensazioni dell'aria (onde longitudinali).
Nel quadro ancora lacunoso degli sviluppi della scienza musicale europea di questo periodo, assume rilievo l'orientamento empiristico impresso alle dottrine corpuscolaristiche dalla filosofia sperimentale inglese. Il programma del 'meccanicismo ortodosso' della prima generazione dei filosofi naturali del Seicento ‒ spiegare tutti i fenomeni fisici in termini di redistribuzione nello spazio di corpuscoli invisibili di materia ‒ è ora sottoposto a una revisione radicale. L'obiezione di fondo è che un sistema di filosofia naturale fondato esclusivamente, come quello cartesiano, sull'esistenza di particelle passive di materia, che si muovono per sola inerzia o per l'impulso di altre particelle inerti, non riesce a spiegare fenomeni come l'attrazione, la gravità, il magnetismo, la coesione e l'elasticità (perché le particelle aeree o dei corpi fluidi stanno a parte?). Questi fenomeni sembrano invece postulare attività della materia e presenza in essa di principî attivi capaci di operare a distanza. Il comportamento anomalo delle particelle d'aria, dopo che Robert Boyle (1627-1692) e Robert Hooke (1635-1703) ne avevano verificato, con i loro esperimenti pneumatici, il ruolo fondamentale nella propagazione del suono, non appare più assimilabile a un modello di propagazione, fondato sulla trasmissione di impulsi delle particelle a contatto. In particolare, Hooke dà inizio a una serie di indagini, nelle quali lo studio delle proprietà elastiche dell'aria è integrato nello studio dei 'corpi elastici', della compressione e rarefazione dei fluidi, del moto vibratorio delle corde musicali e della risonanza. Sulla base di queste ricerche sistematiche, Hooke elabora un sistema di filosofia naturale in cui l'assunto corpuscolarista è integrato da un'analogia musicale: la materia è costituita di particelle invisibili che vibrano incessantemente a frequenze diverse, dipendenti dalla materia, dalla forma e dalla dimensione delle particelle, assimilabili alla lunghezza, tensione e sezione delle corde sonore. In sostanza, la vibrazione periodica interna dei corpi è una delle proprietà fondamentali dell'Universo fisico, e la legge acustica delle corde sonore, secondo cui la frequenza o altezza di una corda è definita dalla sua lunghezza, sezione e tensione, può venire applicata con successo ad altri fenomeni fisici: ottici, gravitazionali, di coesione.
Quando nel 1672 Newton inviò al segretario della Royal Society la lettera in cui illustrava la scoperta, risalente al 1666, della natura composita della luce, Hooke fu il primo filosofo naturale a criticarla. A differenza di Newton, Hooke riteneva che la luce non avesse natura corpuscolare, ma fosse un movimento periodico di un mezzo sottile e molto elastico, l'etere. I colori, a loro volta, sarebbero derivati dalle vibrazioni dell'etere e non, come per Newton, dalle vibrazioni delle particelle luminose. Nella critica a Newton, Hooke fece ricorso all''analogia della Natura': come certe vibrazioni periodiche generate dai corpi e comunicate attraverso il mezzo elastico sono responsabili della produzione dei suoni musicali nell'orecchio, così è da supporre che le più rapide vibrazioni dell'etere producano la sensazione della luce e dei colori nell'occhio. Newton rimane influenzato dall'analogia introdotta da Hooke tra natura periodica del suono e periodicità della luce. Nel 1675 elabora un modello fisico alternativo della luce in cui fa ricorso all'analogia tra suoni e colori. La nuova teoria assume ancora i corpuscoli luminosi, ma invece di spiegare con le velocità la rifrazione del raggio luminoso, ricorre alle loro differenti masse, responsabili delle condensazioni e rarefazioni del mezzo che alternativamente riflette e trasmette le particelle. Su questa base Newton spiega anche la percezione dei colori: le particelle luminose determinano nell'etere vibrazioni di diversa grandezza (lunghezza d'onda), che originano vibrazioni corrispondenti nel nervo ottico, eccitando la vista con vari colori. L''analogia della Natura' gli ha suggerito che, come differenti suoni musicali sono prodotti da periodiche vibrazioni di onde longitudinali nell'aria, così le sensazioni dei diversi colori sono il prodotto delle vibrazioni dell'etere; in altri termini, il colore può essere distinto nelle sue gradazioni principali non diversamente dal suono nei toni che compongono l'ottava. E poiché gli intervalli consonanti sono il risultato della proporzione tra le vibrazioni di due note, il piacere prodotto dalla combinazione di certi colori deve risultare da una proporzione affine: armonia dei colori e armonia musicale dipendono dalla stessa regola della proporzionalità e semplicità della Natura, da quell'armonia universale che un Dio molto esperto in meccanica e geometria ha posto nella natura delle cose.
È esperienza comune che l'ascolto di due note musicali successive o simultanee, scelte a caso, risulti generalmente spiacevole: quasi tutti gli intervalli sono 'dissonanti'. Tuttavia nel continuo di dissonanze si verificano talora combinazioni piacevoli di suoni musicali: le cosiddette 'consonanze'. Per la loro gradevolezza, le consonanze sono diventate le pietre di costruzione della musica e sulla distinzione tra consonanza e dissonanza è fondata la teoria musicale classica nella nostra tradizione culturale. Ora, perché le cose stanno così? Da dove proviene la proprietà di alcuni intervalli di essere consonanti, il loro potere di evocare emozioni piacevoli e profonde?
Bellissimo ma invero difficilissimo è questo argomento: ognuno è infatti testimone che il nostro animo è affetto dalle consonanze [...] ma pochi, o nessuno, ne conoscono la causa [...]. Possiamo tuttavia indagare in una triplice direzione donde derivino le consonanze quel loro potere: primo, attraverso i numeri, cui i suoni musicali sembrano essere sottoposti; secondo, attraverso le figure geometriche e le loro proporzioni; terzo, da cause superiori [metafisiche], se prescindiamo dalla fisica. (Mersenne, Quaestiones celeberrimae in Genesim, 1623, coll. 1553-1564)
Le parole di Mersenne rivelano la complessità della discussione sul problema della consonanza nella scienza musicale del primo Seicento. Mersenne stesso intende esplorare una quarta via, fisico-matematica: "Per avvicinarci tuttavia in modo più adeguato alla verità [...] vengo alla Fisica e all'Aritmetica, che suggeriscono una causa vera e solida, se è possibile assegnarne una in questa questione, affinché, per quanto è concesso da Dio, adduciamo cause non remote e comuni, ma prossime e appropriate" (ibidem, col. 1559).
Bisogna innanzitutto supporre che nelle consonanze ci siano due cose: il moto, ossia l'urto dei corpi, da cui deriva il suono, e la proporzione, per cui duplice è il principio, fisico e matematico; la fisica considera il suono, le matematiche valutano la proporzione di un suono con l'altro.
Con qualche non improprio aggiustamento è possibile semplificare la tipologia di Mersenne, nello schema storiografico proposto da Cohen (1984), che nell'età della Rivoluzione scientifica individua la presenza di tre distinti approcci alla consonanza: matematico, sperimentale e meccanicistico.
L'approccio matematico alla consonanza risale a Pitagora, che per primo ha enunciato il problema in termini adeguati. Come sappiamo, Pitagora dimostrò che le consonanze corrispondono ai rapporti tra i primi quattro numeri interi; il piacere derivante dagli intervalli consonanti è così il risultato della corrispondenza tra regolarità matematica ed esperienza sensoriale. Questa acuta definizione del problema rimanda tuttavia a un ulteriore interrogativo: da dove proviene la corrispondenza tra ordine matematico ed esperienza del piacere e della bellezza? Come osserva Cohen, questo è tuttora un 'mistero irrisolto', nonostante le ridefinizioni e le risposte parziali che nelle diverse età hanno interessato i termini originari del problema. È familiare la risposta 'pitagorica': identificando l'Universo con il numero, essa postula una corrispondenza ontologica tra armonia esterna dei rapporti numerici delle corde (musica instrumentalis), armonia interna che governa l'anima (musica humana) e armonia universale nella struttura del Cosmo (musica mundana). Incontreremo in seguito altre testimonianze dell''approccio matematico' alla consonanza. Fermiamoci ora su quell''approccio sperimentale' che, a partire da Benedetti e da Vincenzo Galilei, avviò una radicale riformulazione del nostro problema. Non ci è noto se Galileo Galilei abbia avuto familiarità con il Diversarum speculationum [...] liber di Benedetti; è tuttavia evidente che le pagine 'musicali' al termine della Giornata Prima dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze matematiche (1638) affiancano ai risultati delle indagini del padre, Vincenzo Galilei, l'osservazione di Benedetti sull'origine della consonanza, dovuta alla natura vibratoria del suono. Poiché i suoni sono successioni regolari dei moti vibratori nell'aria, per Galilei è necessario un metodo che consenta di quantificare le vibrazioni. Sarà così possibile verificare se i rapporti tra vibrazioni di suoni di altezze diverse corrispondono ai rapporti definiti dai primi, semplici numeri interi. Si tratta, in altri termini, di dare evidenza sperimentale al rapporto tra frequenza e altezza, introdotto, ma non dimostrato, da Benedetti. Con una serie di esperimenti, forse 'mentali', Galilei stabilisce che l'altezza del suono non è data soltanto dal numero delle vibrazioni nell'unità di tempo (frequenza), ma è anche proporzionale alla frequenza. Egli può spiegare in termini nuovi i fenomeni di dissonanza e consonanza:
La molestia di queste [dissonanze] nascerà, credo io, dalle discordi pulsazioni di due diversi tuoni che sproporzionatamente colpeggiano sopra 'l nostro timpano, e crudissime saranno le dissonanze quando i tempi delle vibrazioni fussero incommensurabili [...]. Consonanti, e con diletto ricevute, saranno quelle coppie di suoni che verranno a percuotere con qualche ordine sopra 'l timpano; il quale ordine ricerca, prima, che le percosse fatte dentro all'istesso tempo siano commensurabili di numero, acciò che la cartilagine del timpano non abbia a star in perpetuo tormento d'inflettersi in due diverse maniere per acconsentire e ubbidire alle sempre discordi battiture. (EN, VIII, pp. 146-147)
Come esempio viene proposta l'ottava 2:1, la "prima e più grata consonanza": qui ogni impulso alterno della corda alta "coincide" con l'unico impulso della grave. Il ragionamento è ripetuto per la quinta, le cui vibrazioni coincideranno solo al termine di sei "alternazioni" successive dei suoni sul timpano. Invece nel caso del tono 9:8, una soltanto delle nove pulsazioni coincide, mentre "tutte l'altre sono discordi e con molestia ricevute su 'l timpano, e giudicate dissonanti dall'udito".
Formulata da Galilei in pagine destinate a divenire, con le opere di Mersenne, il terminus a quo della ricerca scientifico-musicale per circa mezzo secolo, la teoria della coincidenza (coincidence theory of consonance) fu virtualmente accettata dalla maggior parte dei filosofi meccanicisti del XVII secolo. In questo modello una nota musicale è il prodotto della regolare successione di vibrazioni o impulsi trasmessi attraverso l'aria dalla corda sonora fino alla membrana timpanica. L'altezza della nota è definita dalla frequenza degli impulsi: più grande è la frequenza, maggiore è l'altezza. Le vibrazioni di due note successive o simultanee sono poi percepite come consonanti se coincideranno regolarmente: più frequente è la coincidenza più consonante è l'intervallo, che risulterà dissonante quando i rapporti delle frequenze non siano più contenuti nei primi semplici numeri interi. Paradossalmente, la teoria della consonanza di Galilei reintegrava il senario di Zarlino, che Galilei padre riteneva di avere licenziato: di nuovo i numeri da 1 a 6 definivano i rapporti delle consonanze. Ma, ora, responsabile della nostra esperienza sensoriale non era più un 'astratto' criterio matematico, ma un fenomeno fisico osservabile. Come risultato della nuova disposizione metodologica alla realtà naturale, l'originario problema della consonanza poteva essere riformulato in questi termini: "perché i semplici rapporti di frequenza dei corpi sonori corrispondono alla sensazione umana di piacere e di bellezza nell'ascolto degli intervalli consonanti?" (Cohen 1984, p. 97).
Galilei aveva arrestato al timpano la propria analisi e, per spiegare la sensazione piacevole nell'ascolto degli intervalli consonanti, era ricorso a un esperimento visivo. Come la vista trova compiacimento nelle oscillazioni simultanee di pendoli le cui lunghezze siano in rapporti armonici, così l'udito trae piacere da impulsi sonori che lo stimolano secondo un ordine. Galilei aveva in sostanza 'visualizzato' la propria credenza nella corrispondenza tra la proporzionalità matematica delle vibrazioni sonore e il piacere sensibile derivante dalla loro percezione. Era questo il limite della teoria della coincidenza nell''approccio sperimentale' galileiano: la connessione tra i rapporti di frequenza dei suoni musicali e l'esperienza interna del piacere e della bellezza rimaneva senza risposta, e postulava l'ordine e l'armonia della Natura. A questo limite della teoria cerca di porre riparo l''approccio meccanicistico' di Beeckman e Descartes. Tuttavia già al tempo degli Harmonices mundi Kepler aveva anticipato la difficoltà di una spiegazione 'fisica' della consonanza, suggerendo una soluzione 'metafisica', fondata sulla natura della relazione tra mente e corpo.
Kepler rinviene nelle proprietà geometriche dei poligoni regolari inscritti in un cerchio la causa razionale della consonanza. Conosciamo le ragioni 'superiori', epistemologiche e metafisiche, che lo inducono a individuare nella geometria, e non nell'aritmetica, gli archetipi musicali. Nella prefazione al Libro III degli Harmonices mundi, sulla musica pratica, egli chiarisce ulteriormente questo punto prendendo le distanze dai pitagorici. Secondo Kepler, i pitagorici scoprirono con l'orecchio le consonanze perfette, ma in seguito si allontanarono dall'evidenza dei sensi per immergersi in speculazioni numerologiche. Ordinando agli orecchi di non udire e confinandosi alle proprietà dei numeri astratti, i pitagorici avrebbero commesso un duplice errore: la teoria musicale, infatti, deve non soltanto procedere dall'osservazione e ancorarsi al continuo rapporto con i dati dell'esperienza, ma deve anche fondarsi nell'indagine delle cause razionali dei suoni, non sui numeri, ma sulle figure geometriche. È lo stesso Kepler del resto a ricordare di aver già in precedenza determinato con l'orecchio, al tempo del Mysterium cosmographicum (1596), le consonanze di terza e sesta, e di averne definito soltanto più tardi, negli Harmonices mundi, la corretta spiegazione.
La deduzione geometrica non conclude l'esame della consonanza in Kepler. Egli cerca anche la spiegazione del processo fisico attraverso il quale i rapporti consonanti determinano nell'animo sensazioni piacevoli. Kepler distingue due fasi del processo. La prima fase, quella della trasmissione del suono dalla fonte all'udito, è spiegata da Kepler con la dottrina scolastica delle 'specie'. La fonte sonora emana una specie immateriale che viene accolta dall'orecchio; l'affinità tra l'oggetto percepito e la sua rappresentazione mentale è dovuta al fatto che la specie propagata ha conservato le proprietà specifiche dell'oggetto stesso. In generale, ogni percezione sensibile è condizionata da 'emanazioni' provenienti dagli oggetti ed è dunque una condizione puramente recettiva dell'organo senziente. Ma cosa accade alle specie degli intervalli musicali, una volta raggiunto l'orecchio? Questa seconda fase, la percezione musicale, diviene comprensibile alla luce del principio di armonia. L'armonia, musicale o d'altro tipo, è per Kepler un'attività dell'intelletto che riconosce le proporzioni tra due o più quantità continue, rapportandole agli archetipi geometrici impiantati nell'anima. In altri termini, la mente non potrebbe riconoscere i rapporti armonici se non li paragonasse al modello che ha in sé: "trovare nelle cose sensibili la proporzione che loro si addice è scoprire e conoscere e portare alla luce la somiglianza di quella proporzione nelle cose sensibili con un qualche sicuro archetipo della più vera armonia che è dentro l'anima [...] Così l'anima trova ordine e proporzione nei suoni [...] ma è il raffronto che essa fa col suo stesso archetipo a rendere armonica questa proporzione" (GW, VI, p. 215). L'anima è l'armonia, e l'armonia è divina: "L'armonia essenziale, Dio stesso, espirò nel creare le facoltà armoniche [....] e inspirò questa particella della Sua immagine divina in tutte le Anime, tuttavia secondo il più e il meno" (ibidem, p. 228).
Sono in tal modo poste le basi dell'osservazione che Kepler rivolge a una spiegazione della consonanza in termini puramente fisici. Lo stesso Kepler, ispirato dallo studio della risonanza simpatetica nelle corde musicali, ha descritto la consonanza come il risultato della coincidenza delle vibrazioni sonore, ma l'ha immediatamente abbandonata: "Perché, di grazia, che rapporto può sussistere tra la titillazione del senso dell'udito, che è cosa corporea, e l'incredibile piacere che sentiamo nella profondità dell'anima attraverso le consonanze musicali?" (ibidem, pp. 106-107).
Nel modello teorizzato da Galilei nei Discorsi, i suoni consonanti giungono al timpano con "ordine e regola", stimolando una "soave titillazione dell'orecchio". Per Kepler invece le specie sonore devono percorrere un altro tratto di strada: devono comparire di fronte al tribunale dell'anima, che giudicherà la loro natura di armonie, commisurandole alle armonie archetipe che ha in sé. Egli aveva intuito la difficoltà nella teoria di Galilei di spiegare attraverso un processo naturale (la coincidenza degli impulsi) l'esperienza della bellezza e del piacere musicale. A questa difficoltà intende ovviare l''approccio meccanicistico' di Beeckman e Descartes. Nel caso di Beeckman la spiegazione del processo percettivo nasce nel contesto delle sue indagini acustiche e musicali; in Descartes rientra invece nella sua soluzione generale del rapporto mente-corpo.
La differenza fondamentale tra 'approccio sperimentale' e 'approccio meccanicistico' alla consonanza è che in quest'ultimo i principî esplicativi della 'filosofia meccanica' sono applicati alla percezione sensoriale. L'indagine viene spinta oltre la membrana del timpano, per individuare nelle parti anatomiche dell'orecchio i processi fisiologici responsabili della percezione musicale. La difficoltà a penetrare in questo territorio era una conseguenza delle concezioni qualitative del suono. Poiché all'inizio del XVII sec. la musica è in genere pensata come entità spirituale addizionale al moto dell'aria che la trasporta, i testi anatomici coevi non sono interessati a spiegare la percezione del suono musicale, essendo l'orecchio solo il ricettacolo di specie 'immateriali'. Anche i filosofi naturali interessati al suono e alla musica prestano scarsa attenzione alla struttura dell'orecchio, dato il suo ruolo passivo nella percezione. Un altro ostacolo alla comprensione della fisiologia dell'udito era la teoria aristotelica dell'aër innatus (aria impiantata). La presenza del pneuma nell'orecchio medio ha la funzione di trasmettere al nervo acustico l'impressione del suono raccolta dal timpano e dagli ossicini. Il pneuma non è inoltre soggetto alle leggi dell'aria esterna e svolge una funzione di mediazione tra mente e corpo, capace di spiegare particolari 'effetti' fisici e psichici della musica sull'uomo.
Le intersezioni tra musica e medicina sono dunque una costante della cultura europea, e una sua direttrice è data appunto dai rapporti tra le teorie del suono e della consonanza e gli studi di anatomia e fisiologia dell'udito. È istruttiva al riguardo l'unica nota del diario di Beeckman relativa all'udito. Egli conosce l'anatomia dell'orecchio: discute l'orecchio esterno, in particolare la membrana timpanica al termine del canale uditivo, e l'orecchio medio, costituito dai tre ossicini. Dell'orecchio interno Beeckman non conosce molto, nonostante la sua struttura fosse descritta nei due maggiori trattati anatomici dell'epoca: De visione, voce, auditu (1600) di Girolamo Fabrici d'Acquapendente e De vocis auditusque organis historia anatomica (1601) di Giulio Casseri. Beeckman ignora la coclea e il labirinto e rivolge la propria attenzione al nervo acustico. Per spiegare la trasmissione dei suoni attraverso i nervi egli ricorre a particelle piccolissime, gli spiriti. Questi non hanno la natura qualitativa, immateriale e spirituale, loro attribuita nella tradizione medica a partire da Galeno: sono invece di una sostanza materiale affine a quella dei nervi, attraverso cui gli spiriti scorrono come l'acqua in un condotto idraulico. Collegati da minuscoli uncini, gli spiriti formano una lunga catena che termina nel cervello, e sono quindi la causa materiale della percezione sensoriale.
Qui però si interrompe anche la catena delle idee di Beeckman, che, per dare conto del piacere musicale, ricorre a un principio psicologico generale della percezione. Per dirsi tale, la percezione richiede una certa durata della sensazione immediata dell'oggetto. In tal modo un suono, per essere goduto, deve ripetersi. Ma una volta perfettamente compreso attraverso la sua ripetizione, la percezione cessa di essere piacevole, e il suono deve essere di nuovo variato. Beeckman rinviene nel comportamento della corda vibrante la possibilità di applicare alla consonanza il principio estetico della varietà nell'unità. Bisogna distinguere con Beeckman, due fasi della corda sonora: la fase di moto, durante la quale la corda produce nell'aria i globuli sonori, e la fase di quiete nei punti estremi del movimento. È la regolarità del pattern suono-silenzio che determina la consonanza. Ogni nota musicale possiede un caratteristico pattern suono-silenzio, che dipende dalla sua frequenza. La consonanza è l'identità tra due pattern suono-silenzio in due note simultanee di uguale frequenza: questa identità pura è l'unisono, il suo opposto è la dissonanza. Gli intervalli musicali diversi dall'unisono sono una mescolanza di consonanza e dissonanza, di identità e disparità dei pattern suono-silenzio. La relativa discontinuità della consonanza è così un caso particolare della legge psicologica della varietà nell'unità che governa la percezione. In tal modo però il piacere musicale e l'esperienza della bellezza sono stati dedotti da un principio estraneo al modello meccanicistico della materia e del movimento. La difficoltà non dipende soltanto dall'assunto corpuscolare di Beeckman e dalle lacunose conoscenze anatomiche del tempo; essa costituisce piuttosto un limite strutturale della 'filosofia meccanica' nella spiegazione della percezione e della relazione mente-corpo, come appare anche in Descartes.
René Descartes approdò alla concezione meccanicistica del suono e della consonanza dopo Beeckman e Mersenne. Fu anzi Beeckman a mostrargli l'importanza delle ricerche acustiche per la teoria musicale, e fu Mersenne a stimolare la sua riflessione in questa direzione, attraverso una nutrita corrispondenza. In gioventù Descartes aveva esordito con un trattato musicale more geometrico. Scritto quando era appena ventiduenne, ma pubblicato soltanto alla sua morte, il Compendium musicae è un trattato musicale 'rinascimentale', fondato, come quello di Zarlino, su un approccio aritmetico alla consonanza. L'elemento di novità rispetto alla trattazione numerologica tradizionale risiede nel fatto che Descartes trasforma nel Compendium le grandezze numeriche di Zarlino in segmenti di lunghezze fissate, derivando le consonanze dalle successive bisezioni della lunghezza della corda. La sua conclusione è che 2, 3 e 5 sono numeri sonori, mentre 4 e 6, in quanto multipli, sono numeri sonori solo 'accidentalmente'.
A parte il breve testo nel quale Descartes accenna, a proposito della risonanza simpatetica, alle 'percosse' successive in cui consisterebbero i suoni, la deduzione delle consonanze nel Compendium contrasta, nel Traité de l'homme (redatto nel 1633 e pubblicato nel 1662), con il tentativo di fondarle sia sull'analisi della percezione sia sulla natura vibratoria del suono. Di quest'ultima Descartes è chiaramente consapevole fin dall'inizio della sua corrispondenza con Mersenne. Il suono non è altro che un tremore dell'aria, che percuote dolcemente l'udito. L'altezza di una nota musicale è data dalla sua frequenza, ossia dal numero delle vibrazioni della corda nell'unità di tempo. Descartes considera "ridicola" la teoria corpuscolare elaborata da Beeckman, e fa proprio il modello della propagazione del suono per impulsi successivi nell'aria, assimilandolo all'analogia stoica della pietra nell'acqua dello stagno. La consonanza viene infine formulata nei termini ormai familiari della teoria della coincidenza.
Proprio qui, nella puntualizzazione del limite interno alla teoria della coincidenza, emerge l'originalità di Descartes come teorico musicale: la teoria spiega quale consonanza è più perfetta, non quale consonanza è più gradevole. La teoria della coincidenza spiega quali sono le consonanze più semplici e concordanti, perché la loro semplicità e concordanza dipendono dal numero delle coincidenze dei suoni e dalla loro approssimazione all'unisono. Essa non può tuttavia stabilire se una consonanza è più gradevole di un'altra, perché la gradevolezza di una consonanza dipende tanto dal gusto, che è una variabile storica e individuale, quanto dal contesto musicale in cui è impiegata. In tal modo la quarta è più perfetta delle terze e delle seste, ma, come mostra l'esperienza, difficilmente risulterà più gradevole, per esempio, di una terza maggiore. La questione sollevata da Mersenne nelle Quaestiones celeberrimae in Genesim, "perché una consonanza risulta più piacevole di un'altra" (col. 1553) è dunque mal posta: equivarrebbe a chiedere se sia "più gradevole mangiare frutta invece di pesce".
L'interesse dell'osservazione di Descartes non è limitato alla teoria della coincidenza. Essa consente anche, come ha suggerito Floris Cohen, di circoscrivere i confini e il campo di validità dell'approccio scientifico alla musica, nella tradizione culturale antica e moderna. In breve, l'analisi scientifica della musica è un'analisi astratta delle consonanze, separate dal contesto musicale, uno studio matematico o fisico che esamina le consonanze nel loro statico isolamento e non nel continuo dinamico della composizione. Scienza musicale e pratica musicale sono in sostanza completamente diverse, e anche se la prima riuscisse a spiegare il piacere delle consonanze, non sarebbe ancora definito il piacere della musica. Tuttavia non era stata questa, evidentemente, la pretesa dei filosofi naturali interessati agli aspetti scientifici e filosofici della musica. E anche Descartes, senza per ciò contraddire la sua acuta osservazione, nel Traité de l'homme si pone sulla via di illustrare il processo attraverso il quale una vibrazione regolare dell'aria viene percepita come suono musicale piacevole. Il problema del Traité de l'homme è spiegare in termini meccanici il funzionamento della 'macchina vivente', in particolare le funzioni fisiologiche della percezione sensoriale. La descrizione del processo uditivo inizia dai minuti tremori dell'aria che percuotono il timpano e sono quindi trasmessi dagli ossicini al nervo acustico, cui sarebbero direttamente collegati. La vibrazione del nervo, in tutto simile a una corda tesa, viene infine comunicata al cervello, dove ha sede l'anima, che può in tal modo avvertire i minuti tremori come suoni. La successiva descrizione delle proprietà del suono e della consonanza, tuttavia, non viene rapportata da Descartes al processo attraverso il quale i suoni consonanti sono percepiti: la trasformazione degli impulsi regolari in piacere è semplicemente postulata come una proprietà autoevidente dell'anima. Si è già visto come Beeckman avesse aggirato l'ostacolo con un principio psicologico generale della sensazione. È di nuovo Cohen a osservare che Descartes aveva già stabilito nel Compendium una legge affine, secondo la quale "in tutte le cose la varietà è più piacevole", alla quale ricorre ora nel Traité per spiegare la discrepanza tra l'ordine delle consonanze, desunto dalla teoria della coincidenza, e l'esperienza musicale. L'iniziale progetto cartesiano di spiegare le sensazioni dell'anima con i processi del corpo ha così trovato un limite nella spiegazione della percezione della consonanza, che risulta alla fine fondata su una ipotetica proprietà dell'anima. La transizione cruciale dal moto delle particelle all'esperienza del suono non si è verificata. In Descartes questo dipende dal particolare rapporto istituito tra anima e corpo: da un lato le loro intersezioni sono fatti empirici, dall'altro la loro unione rimane in definitiva un mistero, e la descrizione dei processi percettivi può soltanto spingere più all'interno il luogo in cui l'anima s'affaccia a giudicare i suoni. In generale, l'esito dell''approccio meccanicistico' alla consonanza è una conseguenza del programma della 'filosofia meccanica' di dedurre fatti psicologici da fenomeni fisici, descritti in termini di proprietà meccaniche e geometriche dei corpuscoli in moto. La difficoltà incontrata in questa direzione dai filosofi che assumono la teoria della consonanza come coincidenza delle vibrazioni, è compensata dalla credenza aprioristica nella corrispondenza tra regolarità esterna e percezione della bellezza, espressione della semplicità e della proporzionalità della Natura. Adottata, nonostante alcune interessanti eccezioni, dalla maggioranza dei filosofi naturali del Seicento, la teoria della coincidenza fu gradualmente sostituita nel corso del XVII sec. dalla spiegazione della consonanza contenuta nella teoria armonica di Jean-Philippe Rameau (1683-1764), brillantemente esposta e divulgata da d'Alembert negli Élemens de musique (1752).
Amman 1967: Amman, Peter J., The musical theory and philosophy of Robert Fludd, "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes", 30, 1967, pp. 198-227 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 97-109).
Barker 1984: Greek musical writings, edited by Andrew Barker, Cambridge, Cambridge University Press, 1984-1989, 2 v.; v. I: The musician and his art, 1984.
‒ 1988: Barker, Andrew, Le fonti della antica musica greca, in: Lo specchio della musica. Iconografia musicale nella ceramica attica di Spina, a cura di Fede Berti e Donatella Restani, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988, pp. 9-17.
Burkert 1972: Burkert, Walter, Lore and science in ancient Pythagoreanism, transl. from German by Edwin L. Minar jr, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1972 (ed. orig.: Weisheit und Wissenschaft. Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nürnberg, Carl, 1962).
Casini 1981: Casini, Paolo, Newton: gli Scolii classici, "Giornale critico della filosofia italiana", 1, 1981, pp. 7-53.
Cattin 1986: Cattin, Giulio, Il Quattrocento, in: Letteratura italiana, direzione di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1982-1991, 9 v.; v. VI: Teatro, musica, tradizione dei classici, 1986.
Chadwick 1981: Chadwick, Henry, Boethius. The consolations of music, logic, theology and philosophy, Oxford, Clarendon, 1981 (trad. it.: La consolazione della musica, della logica, della teologia e della filosofia, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 110-139).
Cohen 1984: Cohen, H. Floris, Quantifying music. The science of music at the first stage of the scientific revolution, 1580-1650, Dordrecht-Boston, Reidel, 1984 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 197-206).
‒ 1987a: Cohen, H. Floris, Benedetti's views on musical science and their background in contemporary Venetian culture, in: Cultura, scienze e tecniche nella Venezia del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1987, pp. 303-310.
‒ 1987b: Cohen, H. Floris, Simon Stevin's equal division of the octave, "Annals of science", 44, 1987, pp. 471-488.
Copenhaver 1986: Copenhaver, Brian P., Renaissance magic and neoplatonic philosophy: 'Ennead' 4.35 in Ficino's 'De vita coelitus comparanda', in: Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, Olschki, 1986, 2 v.; v. II, pp. 351-369.
Crombie 1964: Crombie, Alistair C., The study of the senses in Renaissance science, in: Actes du dixième Congrès international d'histoire des sciences. Proceedings of the tenth International Congress of the History of Science, Ithaca 26 august 1962-2 september 1962, Paris, Hermann, 1964, 2 v.; v. I, pp. 93-117.
‒ 1969: Crombie, Alistair C., Mathematics, music and medical science, "Organon", 6, 1969, pp. 22-36 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 233-242).
De Buzon 1985: De Buzon, François, Science de la nature et théorie musicale chez Isaac Beeckman (1588-1637), "Revue d'histoire des sciences", 38, 1985, pp. 97-120.
‒ 1986: De Buzon, François, Problèmes scientifiques liés à l'élaboration de la théorie musicale au XVIIe siècle, "Revue de synthèse", 107, 1986, pp. 121-131.
Dickreiter 1973: Dickreiter, Michael, Der Musiktheoretiker Johannes Kepler, Bern-München, Francke, 1973.
Dijksterhuis 1961: Dijksterhuis, Eduard J., The mechanization of the world picture, transl. by C. Dikshoorn, Oxford, Clarendon, 1961 (ed. orig.: Mechanisering van het wereldbeeld, Amsterdam, Meulenhoff, 1950; trad. it.: Il meccanicismo e l'immagine del mondo dai presocratici a Newton, Milano, Feltrinelli, 1971).
Dostrovsky 1975: Dostrovsky, Sigalia, Early vibration theory: Physics and music in the seventeenth century, "Archive for history of exact sciences", 14, 1975, pp. 169-218.
Eggebrecht 1986: Eggebrecht, Hans H., 'Ars musica'. Storia di un concetto medievale, in: Musica e storia tra Medio Evo e età moderna, a cura di F. Alberto Gallo, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 109-116.
Feingold 1983: Feingold, Mordechai - Gouk, Penelope, An early critique of Bacon's 'Sylva sylvarum': Edmund Chilmed's treatise on sound, "Annals of science", 40, 1983, pp. 139-157.
Field 1984: Field, Judith V., Kepler's rejection of numerology, in: Occult and scientific mentalities in the Renaissance, edited by Brian Vickers, Cambridge-London-New York, Cambridge University Press, 1984, pp. 273-296.
‒ 1988: Field, Judith V., Kepler's geometrical cosmology, Chicago, University of Chicago Press, 1988.
Gabbey 1985: Gabbey, Alan, The mechanical philosophy and its problems. Mechanical explanations, impenetrability and perpetual motion, in: Change and progress in modern science, edited by Joseph C. Pitt, Dordrecht-Boston-Lancaster, Reidel, 1985, pp. 9-84.
Gallo 1986: Gallo, F. Alberto, Il Medioevo II, in: Storia della musica, a cura della Società Italiana di Musicologia, rist., Torino, EDT, 1986, 10 v.; v. III, p. 79 (1. ed.: 1982-1983, 10 v.).
Garin 1961: Garin, Eugenio, Gli umanisti e la scienza, "Rivista di filosofia", 52, 1961, pp. 259-278.
‒ 1975: Garin, Eugenio, La rivoluzione copernicana e il mito solare, in: Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, a cura di Eugenio Garin, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 255-281.
Gouk 1980: Gouk, Penelope, The role of acoustics and music theory in the scientific work of Robert Hooke, "Annals of science", 37, 1980, pp. 573-605.
‒ 1982: Gouk, Penelope, Acoustics in the early Royal Society 1660-1680, "Notes and records of the Royal Society of London", 36, 1982, pp. 155-169 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 151-163).
‒ 1984: Gouk, Penelope, Music in Francis Bacon's natural philosophy, in: Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel XVII secolo, a cura di Marta Fattori, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1984, pp. 139-149 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 187-196).
‒ 1986: Gouk, Penelope, Newton and music. From the microcosm to the macrocosm, "International studies in the philosophy of science", 1, 1986, pp. 36-59.
‒ 1988: Gouk, Penelope, The harmonic roots of Newtonian science, in: Let Newton be!, edited by John Fauvel [et al.], Oxford-New York, Oxford University Press, 1988, pp. 101-125.
Gozza 1986: Gozza, Paolo, La musica nella filosofia naturale del Seicento in Italia, "Nuncius", 1, 1986, pp. 13-47.
‒ 1989: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 69-77.
Heninger 1965: Heninger, Simeon K., Pythagorean cosmology and the triumph of heliocentrism, in: Le soleil à la Renaissance. Sciences et mythes, Bruxelles, Presses Universitaires, 1965, pp. 35-53.
‒ 1974: Heninger, Simeon K., Touches of sweet harmony. Pythagorean cosmology and Renaissance poetics, San Marino (Cal.), Huntington Library, 1974.
‒ 1977: Heninger, Simeon K., The cosmographical glass. Renaissance diagrams of the universe, San Marino (Cal.), Huntington Library, 1977.
Henry 1986: Henry, John, Occult qualities in the experimental philosophy. Active principles in pre-Newtonian matter theory, "History of science", 24, 1986, pp. 335-381.
Hine 1984: Hine, William L., Marin Mersenne. Renaissance naturalism and Renaissance magic, in: Occult and scientific mentalities in the Renaissance, edited by Brian Vickers, Cambridge-London-New York, Cambridge University Press, 1984, pp. 165-175.
Hutton 1980: Hutton, James, Some English poems in praise of music, in: Hutton, James, Essays on Renaissance poetry, edited by Rita Guerlac, foreword by Daniel P. Walker, Ithaca (N.Y.), Cornell University Press, 1980, pp. 17-73.
Kassler 1984: Kassler, Jamie C., Man. A musical instrument. Models of the brain and mental functioning before the computer, "History of science", 22, 1984, pp. 59-93 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 243-257).
Knobloch 1979: Knobloch, Eberhard, Musurgia universalis. Unknown combinatorial studies in the age of Baroque absolutism, "History of science", 38, 1979, pp. 258-275 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 111-125).
Koyré 1966: Koyré, Alexandre, La rivoluzione astronomica. Copernico, Keplero, Borelli, Milano, Feltrinelli, 1966 (ed. orig.: La révolution astronomique. Copernic, Kepler, Borelli, Paris, Hermann, 1961).
Kristeller 1969: Kristeller, Paul O., The Scholastic background of Marsilio Ficino, in: Kristeller, Paul O., Studies in Renaissance thought and letters, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969, pp. 35-97.
Lenoble 1943: Lenoble, Robert, Mersenne ou la naissance du mécanisme, Paris, Vrin, 1943 (rist. anast.: 1971).
Loemker 1972: Loemker, Leroy E., Struggle for synthesis. The seventeenth century background of Leibniz's synthesis of order and freedom, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1972 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 127-137).
McGuire 1966: McGuire, James E. - Rattansi, Piyo M., Newton and the 'Pipes of Pan', "Notes and records of the Royal Society of London", 21, 1966, pp. 108-143 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 79-87).
Music and science in the age of Galileo, edited by Victor Coelho, Dordrecht, Kluwer, 1992.
Ohly 1985: Ohly, Friedrich, 'Deus Geometra'. Appunti per la storia di una rappresentazione di Dio, in: Ohly, Friedrich, Geometria e memoria. Lettera e allegoria nel Medioevo, a cura di Lea Ritter Santini, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 189-247.
Palisca 1961: Palisca, Claude V., Scientific empiricism in musical thought, in: Seventeenth century science and the arts, by Stephen Toulmin [et al.], edited by H.H. Rhys, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1961, pp. 110-137 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 167-177).
‒ 1985: Palisca, Claude V., Humanism in Italian Renaissance musical thought, New Haven (Conn.), Yale University Press, 1985, pp. 226-229.
Pirro 1907: Pirro, André, Descartes et la musique, Paris, Fischbacher, 1907 (rist. anast.: Genève, Minkoff, 1973).
Truesdell 1960: Truesdell, Clifford A., The rational mechanics of flexible or elastic bodies. 1638-1788, in: Euler, Leonhard, Opera omnia, sub auspiciis Societatis scientiarum naturalium Helveticae, Leipzig, Teubner; Zürich, Füssli; Basel, Birkhäuser, 1911-; Ser. II, v. XI, 1960.
Walker 1953: Walker, Daniel P., Orpheus the theologian and Renaissance Platonists, "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes", 16, 1953, pp. 100-120 (rist. in: Walker, Daniel P., The ancient theology. Studies in christian Platonism from the fifteenth to the eighteenth century, London, Duckworth, 1972, pp. 22-41).
‒ 1958: Walker, Daniel P., Ficino's music-spirit theory, in: Walker, Daniel P., Spiritual and demonic magic from Ficino to Campanella, London, Warburg Institute, University of London, 1958, pp. 1-11; 19-20 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 89-95).
‒ 1976: Walker, Daniel P., La tradition mathématico-musicale du platonisme et les débuts de la science moderne, in: Platon et Aristote à la Renaissance, Paris, Vrin, 1976, pp. 249-260 (rist. col tit.: The harmony of the spheres, in: Walker, Daniel P., Studies in musical science in the late Renaissance, London, Warburg Institute, University of London, 1978, pp. 1-13; trad it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 69-77).
‒ 1978a: Walker, Daniel P., Studies in musical science in the late Renaissance, London, Warburg Institute, University of London, 1978.
‒ 1978b: Walker, Daniel P., Kepler's celestial music, in: Walker, Daniel P., Studies in musical science in the late Renaissance, London, Warburg Institute, University of London, 1978, pp. 34-62 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 207-218).
‒ 1978c: Walker, Daniel P., Vincenzo Galilei and Zarlino, in: Walker, Daniel P., Studies in musical science in the late Renaissance, London, Warburg Institute, University of London, 1978, pp. 14-33 (trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 179-186).
Westfall 1971: Westfall, Richard S., The construction of modern science. Mechanisms and mechanics, New York, Wiley, 1971 (trad. it.: La Rivoluzione scientifica del XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 1984).
Westman 1986: Westman, Robert S., The Copernicans and the Churches, in: God and nature. Historical essays on the encounter between christianity and science, edited by David C. Lindberg and Ronald L. Numbers, Berkeley, University of California Press, 1986, pp. 76-113.
Yates 1947: Yates, Frances A., The French academies of the sixteenth century, London, Warburg Institute, 1947 (rist.: London, Warburg Institute, Nendeln, Kraus Reprint, 1973; trad. it. in: La musica nella rivoluzione scientifica del Seicento, a cura di Paolo Gozza, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 139-149).