La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Le origini della neurofisiologia
Le origini della neurofisiologia
di Guido Cimino
Durante il Rinascimento, per le conoscenze anatomiche, fisiologiche e mediche del sistema nervoso si faceva ancora riferimento alla dottrina galenica, rielaborata dalla tradizione araba e latino-medievale. Riprendendo e sviluppando le ricerche condotte nel III sec. a.C. dagli alessandrini Erofilo ed Erasistrato, Galeno aveva fornito una buona descrizione dell'anatomia del sistema nervoso: aveva separato il cervello dal cervelletto e dal midollo spinale; aveva mostrato che il cervello contiene tre cavità (o ventricoli), una anteriore divisa in due, una mediana e una posteriore; aveva confermato la scoperta alessandrina della distinzione tra nervi e vasi sanguigni (i primi hanno origine nel cervello e nel midollo spinale, i secondi nel cuore e nel fegato); aveva fornito una descrizione e una classificazione dei nervi cranici e spinali; aveva pure distinto i nervi motori dai nervi sensoriali, sostenendo che i primi fanno capo al cervelletto e i secondi al cervello; aveva osservato e descritto la catena del simpatico; aveva ripreso e utilizzato la nozione di 'pneuma psichico', considerato come una sostanza sottilissima, di natura imprecisata, immagazzinata nei ventricoli e circolante nei nervi sensoriali; aveva descritto, come parte importante del cervello, una struttura formata da un fitto intreccio di sottili vasi sanguigni, posta alla base del cranio e chiamata 'rete mirabile' (l'aveva osservata nel maiale e nel bue e le aveva assegnato un ruolo nella fisiologia del sistema nervoso; nel corso del Medioevo, poi, era stata considerata presente anche nell'uomo). Galeno aveva anche supposto che lo 'pneuma vitale', prodotto nel ventricolo sinistro del cuore e portato con il sangue attraverso le arterie in tutte le parti del corpo, giunto nella rete mirabile, si trasformasse in 'pneuma psichico' per confluire e raccogliersi nei ventricoli cerebrali. Da qui, si distribuiva in tutti i nervi sensoriali, considerati molli e cavi, divenendo il mezzo con cui gli stimoli dal mondo esterno giungevano al cervello.
Il medico di Pergamo aveva ripreso, con alcune correzioni, la tripartizione platonica dell'anima sviluppata nel Timeo e aveva collocato la parte razionale nel cervello, la parte emotivo-pulsionale nel cuore e quella nutritivo-accrescitiva nel fegato. In tal modo, però, si era discostato dalla dottrina aristotelica che aveva invece posto l'anima, con le sue facoltà vegetativa, sensitiva e intellettiva, nel cuore e aveva assegnato al cervello solamente il ruolo di provvedere al 'raffreddamento' delle passioni. Questa sua impostazione fu all'origine di un contrasto interpretativo ‒ che si trascinò per tutto il Medioevo e il Rinascimento con alcuni riflessi che giunsero alle soglie dell'Ottocento ‒ tra una tradizione galenica, interessata a localizzare le attività cognitive, il controllo della sensazione e del movimento nel cervello, e una tradizione aristotelica, protesa invece a collocare almeno alcune funzioni psichiche nel cuore.
Galeno, non avendo a disposizione dati precisi, non aveva situato specifiche facoltà intellettive nell'encefalo che aveva infatti genericamente considerato come sede della parte razionale dell'anima. Si era invece preoccupato di elaborare un modello di funzionamento delle strutture nervose. Da questo punto di vista, aveva attribuito importanza ai ventricoli, ma non alle circonvoluzioni cerebrali, rifiutando le affermazioni di Erasistrato secondo cui la loro complessità è direttamente proporzionale all'intelligenza nella scala animale. Gli emisferi, quindi, erano stati trascurati e messi da parte; e questa loro posizione marginale, malgrado gli sforzi compiuti da Thomas Willis nel Seicento per riabilitarli, durerà fino agli inizi del XIX sec., quando saranno riportati in primo piano dalla frenologia, anche se in un quadro teorico errato.
I commenti medievali al De anima di Aristotele diedero luogo a speculazioni diverse e complesse e a discussioni sulla natura dell'anima e delle sue facoltà; tuttavia, da un punto di vista fisiologico, per larga parte essa fu considerata come il 'principio motore e vitale' del corpo, principio che presiede al suo funzionamento e che può essere immaginato suddiviso in facoltà definite in base alle funzioni svolte; in tal modo, sulle orme di Aristotele, si poteva identificare una facoltà vegetativa ‒ o 'anima vegetativa' ‒ che presiede ai processi organici quali la respirazione, la digestione, la circolazione sanguigna, ecc.; una facoltà sensitiva ‒ o 'anima sensitiva' ‒ che regola le funzioni sensoriali, quali la vista, l'udito, il gusto, l'odorato e il tatto; e una facoltà intellettiva ‒ o 'anima intellettiva o razionale' ‒ che rende possibili i processi mentali. Tale 'principio', inoltre, si 'attua' negli organi, ai quali possono essere così attribuite quelle facoltà o virtutes intese come poteri, capacità potenziali di compiere certe funzioni. Si pose allora il problema di identificare le sedi delle facoltà motoria, sensitiva e intellettiva, cioè di 'localizzare' nel cervello, secondo la predominante tradizione galenica, le facoltà superiori dell'anima, ovvero di determinare da quali strutture del sistema nervoso dipendono l'innesco e il controllo del movimento volontario, la ricezione cosciente delle sensazioni e l'elaborazione dei processi cognitivi, quali l'immaginazione, la ragione e la memoria.
Questo problema trovò soluzione nelle cosiddette 'dottrine ventricolari'. Inizialmente proposte nel IV e V sec. dai Padri della Chiesa Nemesio e Agostino, e da Posidonio di Bisanzio, rielaborate da Avicenna (Ibn Sīnā, 980-1037) e dalla cultura dell'Alto Medioevo, queste dottrine affermavano che le facoltà superiori dell'anima hanno la loro sede nei ventricoli, o 'cellule' o 'celle' cerebrali, ritenuti di forma sferica in conseguenza della pressione uniforme esercitata sulle loro pareti dagli 'spiriti animali', eredi dello 'pneuma psichico' galenico.
Secondo uno dei modelli più comuni, per esempio, nella prima 'cellula' o ventricolo anteriore (corrispondente agli attuali ventricoli laterali, o primo e secondo ventricolo, allora considerati una sola cavità) una virtus sensitiva o sensus communis consente di provare le sensazioni, mediante stimoli sensoriali provenienti dagli organi di senso e trasportati in quella sede dagli spiriti animali tramite i nervi (il luogo di raccolta degli stimoli sensoriali è anche chiamato sensorium commune). Una virtus imaginativa o imaginatio (e/o phantasia), localizzata nella parte posteriore della prima 'cellula' (o anche nella seconda 'cellula', il nostro terzo ventricolo), trasforma le sensazioni in immagini. La seconda 'cellula' o ventricolo mediano è sede della ragione e del giudizio, cioè della ratio (o intellectus) o virtus cogitativa (e/o aestimativa). Alla terza 'cellula' o ventricolo posteriore (corrispondente al nostro quarto ventricolo) è collegata la virtus memorativa o memoria. Infine, è anche variamente indicato un luogo per la virtus motiva (sovente nella terza 'cellula'), cioè un centro dal quale, tramite gli spiriti animali, partirebbero gli ordini per i movimenti volontari. L'anima, quindi, si servirebbe degli spiriti animali (considerati come organon, cioè 'strumento' dell'anima: Alberto Magno li definiva primum instrumentum animae) per compiere le funzioni motorie e sensoriali; spiriti che sono elaborati nella 'rete mirabile' e poi confluiscono nei ventricoli e nei canali dei nervi. Naturalmente, furono proposte diverse varianti di questo modello, sia per quanto riguarda il numero delle virtutes prese in considerazione sia per quanto attiene alla loro localizzazione. In ogni caso, questo tipo di impostazione rimase sostanzialmente immutato fino agli inizi del XVI secolo.
Il sistema ventricolare, concepito inizialmente come un modello statico, cominciò a mano a mano a essere considerato, in prospettiva dinamica, come il substrato di una serie di operazioni che iniziano nella prima cellula e terminano nella terza: le sensazioni che si formano nella prima cellula diventano immagini, sono articolate in ragionamenti nella seconda cellula e immagazzinate come memoria nella terza cellula, dalla quale possono anche partire i comandi per la contrazione muscolare e la risposta motoria. Questa concezione 'dinamica' della dottrina ventricolare è espressa, per esempio, in un celebre disegno di Gregor Reisch di Friburgo, contenuto nel suo compendio di grammatica, scienza e filosofia, Margarita philosophica (1503), e più volte riprodotto in seguito da altri autori rinascimentali.
Uno dei tratti caratteristici della scienza del Cinquecento, com'è noto, fu un profondo rinnovamento delle conoscenze anatomiche, che trovò la massima espressione e un punto di svolta nell'opera di Andrea Vesalio. Tale evento fu reso possibile, tra l'altro, dall'introduzione nell'insegnamento universitario della dissezione dei cadaveri per illustrare i testi classici, dall'attività 'pratica' dei chirurghi esercitata concretamente sui feriti di guerra e dalla riscoperta dei testi originali di Galeno che mostravano divergenze con le versioni latino-medievali e arabe, e perciò inducevano ad accertare la verità direttamente sul tavolo anatomico. Contemporaneamente, si gettarono anche le basi per un riesame delle conoscenze fisiologiche, con osservazioni dirette sui rapporti tra la struttura degli organi e le principali funzioni, delle quali si tentò di dare anche alcune spiegazioni di tipo meccanico.
Per quanto riguarda il sistema nervoso, questo fermento condusse a un approfondimento dell'anatomia del cervello, con particolare riferimento al sistema ventricolare e alla rete mirabile, la cui esistenza nell'uomo fu prima messa in dubbio e poi negata. La conoscenza morfologica più approfondita dell'encefalo e dei ventricoli (di cui si riscoprì la reale forma anatomica, già in parte illustrata da Galeno, e in cui si accertò la presenza di un liquor, il liquido cefalo-spinale) e lo studio diretto dei testi antichi portarono gli anatomisti rinascimentali a prendere in parte le distanze dalle 'dottrine ventricolari' e a tornare, per certi aspetti, alla concezione greca classica, che si era preoccupata poco di localizzare le facoltà dell'anima e invece aveva cercato di spiegare la sensazione e il movimento con il flusso degli spiriti animali nei ventricoli e nei nervi.
In particolare, alcune generazioni di medici, di chirurghi e di anatomisti tentarono di semplificare le 'dottrine ventricolari', nel senso che ridussero il numero delle sedi delle facoltà mentali, fino a individuare un solo centro per tutte le attività psichiche o, al limite, fino ad associare genericamente l'anima alla totalità del cervello. Inoltre, cominciarono a dare importanza e ad assegnare un ruolo funzionale anche ad altre strutture dell'encefalo e a ridimensionare invece le funzioni dei ventricoli, che da sedi di facoltà mentali finirono per diventare soltanto serbatoi di spiriti animali o di escrezioni liquide dell'attività del cervello.
L'attenzione e la speculazione si concentrarono sulle modalità di produzione, di raccolta e di distribuzione degli spiriti animali, che però rimasero ancora un concetto ambiguo e sfuggente, d'altra parte difficilmente sostituibile per spiegare la sensazione e il movimento. Questo spostamento d'interesse, anche se non condusse a grandi risultati, cominciò a far maturare l'idea di spiegazioni di tipo meccanico. In un periodo di transizione alle soglie dell'Età moderna, ai progressi concreti nella conoscenza morfologica, con la dissezione e l'osservazione diretta delle strutture dell'asse cerebro-spinale, si sovrapposero vecchie dottrine fisiologiche che in alcuni casi continuarono a considerare i ventricoli come i luoghi di elezione delle facoltà psichiche quali si configuravano nel Medioevo.
Gli studiosi d'ispirazione aristotelica, come Jacopo Zabarella (1533-1589), per ciò che riguarda i processi psichici abbandonarono le interpretazioni troppo rigide sulla centralità del cuore e riconobbero invece un ruolo anche al cervello: non negarono, per esempio, che i ventricoli fossero la sede del movimento, della sensazione e dei processi cognitivi, ma li considerarono come organi 'esecutivi' e continuarono a sostenere che le funzioni psichiche dipendevano dall'azione dello 'spirito vitale' irradiato dal cuore, sede effettiva dell'anima.
Occorre infine notare che anche gli anatomisti rinascimentali, come del resto quelli dei secoli successivi fino alle soglie del XIX sec., dedicarono poco spazio e scarsa considerazione agli emisferi cerebrali, gli organi più importanti di tutto il sistema nervoso dell'uomo. Sulle orme di Galeno, infatti, l'attenzione si rivolse soprattutto ai ventricoli, cui si aggiunse un nuovo interesse per le parti interne del cervello: furono questi gli organi che si riteneva svolgessero le funzioni più rilevanti, diversamente dalla corteccia cui non era attribuito alcun ruolo.
Gli artefici del rinnovamento e del progresso negli studi anatomici furono soprattutto studiosi e medici che vissero o soggiornarono per lunghi periodi presso le corti rinascimentali e le università italiane; molti di loro diedero anche un contributo alla conoscenza della morfologia del sistema nervoso.
Tra i primi ad aprire strade nuove, troviamo il genio multiforme di Leonardo da Vinci, che illustrò l'anatomia dell'asse cerebro-spinale, spinto dall'interesse per le origini nervose dei movimenti muscolari. Nelle sue tavole la raffigurazione delle strutture nervose è precisa e accurata, e per alcuni aspetti si discosta dall'anatomia tradizionale, specialmente per quanto riguarda il plesso brachiale (in cui Leonardo vide l'origine dei movimenti delle spalle e delle braccia), i ventricoli cerebrali (nei quali iniettò della cera, rivelandone così in parte la forma reale), i nervi cranici (che indagò con l'intento di arrivare a una migliore comprensione dell'espressione del volto umano). La ricostruzione dell'esatta configurazione delle cavità cerebrali indusse Leonardo a rivedere le dottrine sulla localizzazione del sensorium commune: lo situò infatti nel ventricolo mediano, dove osservò che convergevano i nervi encefalici. S'impegnò pure nella dissezione del cranio e nell'esecuzione di alcuni esperimenti sul midollo spinale della rana per comprendere il controllo dei movimenti; fu portato così ad ammettere l'esistenza di un centro motore nel midollo cervicale.
Questi esperimenti neurofisiologici furono tra i primi che si compirono dall'epoca di Galeno, e mostrano come all'autorità degli Antichi si sostituisse, a poco a poco, una ricerca diretta sugli organismi viventi tesa a chiarire i rapporti tra gli organi e le funzioni. Leonardo però non ruppe con le dottrine medievali e, in alcuni disegni, continuò a localizzare nei ventricoli cerebrali la vis impressiva, il sensus communis e la memoria. I suoi disegni e i suoi scritti, rimasti per lo più inediti, non influenzarono direttamente la ricerca dei contemporanei; tuttavia, sono la testimonianza di un nuovo modo di procedere nell'indagine anatomica e fisiologica, di una nuova impostazione che si ritrova in altri scienziati che lasceranno un'eredità più feconda.
Berengario da Carpi (Jacopo Barigazzi, 1460 ca.-1530 ca.), chirurgo bolognese, fu tra i primi, in base alle osservazioni anatomiche, a porre in dubbio l'esistenza della rete mirabile nel cervello umano. Nelle sue opere Commentaria super anatomia Mundini (1521) e Isagogae breves (1522), avanzò l'ipotesi che gli spiriti animali fossero prodotti dai piccoli vasi arteriosi della pia madre e poi raccolti nei ventricoli laterali. In tal modo indicò agli anatomisti la possibilità di considerare e di dare importanza anche ad altre strutture dell'encefalo, oltre ai ventricoli. Inoltre, semplificò la dottrina ventricolare, localizzando tutte le facoltà mentali (la sensazione, l'immaginazione o fantasia, il giudizio o ragione, la memoria) nelle 'due cavità anteriori del cervello' (ovvero nei ventricoli laterali). Designò anche il ventricolo mediano (o terzo ventricolo) semplicemente come luogo di passaggio degli spiriti animali, che si raccoglievano nella 'cavità posteriore' (o quarto ventricolo). Da questa sede, interpretata come centro motore, gli spiriti potevano fluire nel midollo spinale e nei nervi, dando origine alla contrazione muscolare.
Leonardo, Berengario, così come l'anatomista Alessandro Achillini (1463 ca.-1512) a Bologna, il chirurgo Niccolò Massa (1504-1569) a Padova e il medico Johann Eichmann Dryander (1500-1560), noto per essere tra i promulgatori dell'anatomia scolastica medievale, e ancora l'anatomista Charles Estienne (1504-1564) con il trattato De dissectione partium corporis humani (1545), summa delle conoscenze anatomiche prevesaliane d'impronta strettamente galenica, appartengono a un periodo di transizione, nel quale da un lato si descrivono le parti del cervello come strutture puramente anatomiche, dall'altro lato, in illustrazioni diverse dalle tavole anatomiche, si continuano a localizzare nei ventricoli cerebrali le facoltà psichiche come nelle dottrine medievali, pur se in maniera più semplificata.
Un mutamento radicale nella pratica e nella conoscenza anatomica si ebbe con il celebre De humani corporis fabrica (1543) di Vesalio, redatto in gran parte durante il suo settennale insegnamento di chirurgia a Padova. Contro il galenismo di scuola, Vesalio rivendicò per la scienza medica l'importanza della conoscenza anatomica basata sulla dissezione del corpo umano; in tal modo, alla vecchia figura del medico speculativo contrappose quella del medico nuovo, che sottomette le antiche teorie al controllo dell'osservazione diretta e minuziosa del corpo umano nelle autopsie e può così mostrare come anche il 'divino e indiscutibile' Galeno avesse commesso degli errori (Vesalio individuò infatti quasi 200 punti in cui l'anatomia galenica si era dimostrata errata).
La lunga pratica anatomica condusse Vesalio a descrivere meglio di chiunque altro il setto pellucido e il fornice e, dopo un primo periodo di incertezza (di cui sono testimonianza le Tabulae anatomicae sex del 1538), a denunciare l'errore sulla rete mirabile, che già Berengario aveva segnalato. A questa struttura reticolare sostituì, come organo produttore degli spiriti animali, le arterie cerebrali e ‒ in accordo con Massa, autore del Liber introductorius anatomiae, pubblicato a Venezia nel 1536 ‒ i plessi coroidei dei ventricoli laterali, che svolgerebbero una funzione di raffinamento degli spiriti. Proseguendo nella tendenza a ridimensionare il ruolo dei ventricoli cerebrali, li considerò solo come un serbatoio degli spiriti animali e negò che potessero essere sede di facoltà mentali; ritenne invece ‒ senza approfondire troppo la questione ‒ che l'intelletto fosse collegato a tutto il cervello. Affermò, comunque, che in nessun caso le funzioni cognitive (immaginazione, ragione, memoria) avevano rapporti con gli spiriti animali, legati solamente alla sensazione e al movimento.
Allo studio dell'anatomia del cervello si dedicò anche Costanzo Varolio, professore di anatomia e chirurgia a Bologna e a Roma, che ampliò e sviluppò le dottrine di Vesalio. Per primo compì la sezione e la descrizione dell'encefalo a partire dalla base anziché dalla convessità; in tal modo poté mettere in luce alcune strutture che con i tradizionali metodi di taglio non erano state evidenziate: fra queste il 'ponte' designato con il suo nome (ponte di Varolio). Mentre Vesalio si era limitato a negare la localizzazione delle facoltà mentali nei ventricoli, Varolio nella sua opera maggiore, De nervis opticis nonnullisque aliis praeter communem opinionem in humano capite observatis (1573), fece un passo avanti ed escluse che si potessero associare facoltà psichiche a singole parti dell'encefalo, ma ritenne che l'anima fosse qualcosa di unitario, localizzata nel cervello come un tutto indivisibile. Rifacendosi a un'idea di Vesalio, ripresa anche dall'anatomista modenese Gabriele Falloppia, autore delle Observationes anatomicae (1561), affermò che lo spirito animale si muove nel cervello e tra i nervi come "luce attraverso l'oscurità" senza aver bisogno di canali.
Varolio fu uno dei più autorevoli rappresentanti della scuola di anatomia fiorita a Roma nel XVI sec., che annoverò tra i suoi membri più insigni Arcangelo Piccolomini (1525-1586), indagatore delle correlazioni tra sostanza corticale e sostanza midollare, nonché dell'origine dei nervi cranici; Realdo Colombo, autore del De re anatomica (1559), anch'egli critico sulla rete mirabile e Bartolomeo Eustachio (1500 ca.-1574, autore delle celebri Tabulae anatomicae, rimesse in luce nel XVIII sec. da Lancisi). La scuola proseguì le sue attività nel Seicento all'ombra della corte della regina Cristina di Svezia e grazie all'opera di scienziati quali Giovanni Alfonso Borelli, Antonio Pacchioni, Giorgio Baglivi, Giovanni Maria Lancisi.
Con la concezione di una mente unitaria legata in qualche modo al cervello in toto e con il drastico ridimensionamento delle funzioni dei ventricoli, ridotti a semplici serbatoi di residui fluidi, si può dire che Varolio rappresenti nel Cinquecento il punto più distante dalle dottrine ventricolari del Medioevo; ma il problema della localizzazione dell'anima e/o delle sue facoltà continuò ad affannare medici e filosofi.
L'anatomista bolognese Giulio Cesare Aranzi (1530 ca.-1589), nell'opera Observationum anatomicarum liber (1587), sentì il bisogno di individuare una sede della mente e di riconsiderare le funzioni dei ventricoli. Nei suoi studi sull'anatomia del cervello, per primo diede una descrizione precisa dell'ippocampo (nome da lui coniato) e del canale tra il terzo e il quarto ventricolo, che sarà chiamato 'acquedotto di Silvio', ma che forse, più giustamente, avrebbe dovuto chiamarsi 'acquedotto di Aranzi'. Ritenne che gli spiriti animali fossero prodotti nei ventricoli laterali (considerati in numero di quattro) a partire dall'aria inspirata dalle narici e dallo 'spirito vitale' trasportato dalle arterie carotidi; sarebbero poi passati, attraverso l'acquedotto, nel 'seno del cervelletto', cioè in una porzione del (nostro) quarto ventricolo per poi distribuirsi nei nervi cranici e spinali. Dunque si poteva ritenere che l'anima fosse localizzata nel seno del cervelletto. Con tale conclusione, Aranzi ripropose il problema della ricerca nel cervello di un centro delle attività psichiche superiori e diede nuovo vigore a studi orientati in questa direzione, studi che Descartes e i neurofisiologi del Seicento riprenderanno e svilupperanno secondo una nuova prospettiva.
di Guido Cimino
Nel XVI sec., dunque, si tentò di superare le dottrine ventricolari del Medioevo, da un lato evitando di localizzare singole facoltà dell'anima in varie parti dei ventricoli (e semmai, come avviene alla fine del secolo, cercando di collegare tutta l'attività psichica a una sola struttura), dall'altro lato proponendo spiegazioni della sensazione e del movimento tramite il flusso degli spiriti animali nei ventricoli e nei nervi. Nel Seicento questo orientamento della ricerca neurologica è portato alle ultime conseguenze da René Descartes, la cui teoria rappresenta un grande cambiamento di prospettiva nella fisiologia del sistema nervoso.
Le riflessioni e le ricerche di Descartes sugli organismi viventi riguardano per la maggior parte la fisiologia umana, e in seno a essa, la teoria del sistema nervoso occupa lo spazio più ampio. Questa focalizzazione di interesse può essere spiegata se si tiene conto di due circostanze che, per Descartes, rendevano la neurofisiologia il capitolo più importante di tutta la dottrina dei fenomeni vitali. Per un verso il sistema nervoso assumeva un particolare rilievo filosofico, in quanto era inteso come lo strumento, l'intermediario per conoscere il mondo e per agire su di esso; un approfondimento delle sue funzioni, perciò, rappresentava la continuazione e il completamento di una teoria della conoscenza che Descartes aveva già abbozzato, prima di scrivere L'homme, nelle Regulae ad directionem ingenii (composte probabilmente nel 1627-1628) e in particolare nella Regula XII. Per un altro verso, una spiegazione in termini meccanici delle funzioni della sensazione e del movimento costituiva il fatto più importante e decisivo per un'interpretazione meccanicistica dell'organismo vivente; il funzionamento del corpo poteva essere compreso, in tal caso, facendo a meno non solo di un''anima vegetativa', ma anche ‒ cosa più difficile ‒ di un''anima sensitiva' quindi di qualsiasi entità spirituale.
Una teoria del sistema nervoso, cioè una trattazione dell'anatomia e della fisiologia del cervello e dei nervi, dopo alcuni accenni nella Regula XII, è esposta da Descartes nell'Homme (scritto come parte del Monde tra il 1632 e il 1633 e pubblicato postumo); essa è anche riassunta nella parte V del Discours de la méthode (1637), dove si insiste sulle differenze tra uomo e animale; è ripresa, con particolare riferimento alla visione, nei discorsi III, IV, V e VI della Dioptrique (1637) e, per quanto riguarda la teoria della sensazione, nella parte IV dei Principia philosophiae (1644). Inoltre, la sua teoria sul sistema nervoso è appena sfiorata nella parte I della Description du corps humain (redatta tra il 1647 e il 1648); è di nuovo trattata nella parte I delle Passions de l'âme (1649), dove l'attenzione si concentra sul problema dei rapporti tra anima e corpo nella ghiandola pineale e sulle strutture e funzioni dell'organismo più direttamente legate alle 'passioni'; infine, trova precisazioni e arricchimenti in numerose lettere. La teoria è già tutta presente nell'Homme, in cui prevale il riferimento all'uomo-macchina e quindi alla correlazione tra i fenomeni della sensazione e del movimento, e in cui invece resta un po' ai margini il riferimento all'uomo come essere razionale, dotato di un'anima che interagisce con il corpo: aspetto questo che troverà maggiore spazio e attenzione nelle Passions, dove si abbozza una psicofisiologia.
Descartes, com'è noto, nell'Homme considera il corpo umano come una macchina, paragonabile a "orologi, fontane artificiali, mulini e altre macchine simili" (OS, I, p. 58); e perciò ritiene che le sue funzioni siano il risultato dell'attività di un meccanismo complesso, del moto coordinato di singoli ingranaggi. L'essere vivente e il sistema nervoso, in quanto parti della res extensa, per 'vivere' e funzionare non hanno più bisogno di facoltà o di poteri occulti; ogni funzione dell'organismo non è causata da una speciale virtus, ma è la conseguenza della disposizione reciproca e del movimento sincronizzato degli organi del corpo, ossia è l'effetto del funzionamento di una macchina. Questo vale anche per le funzioni tradizionalmente collegate con il sistema nervoso come il movimento e la sensazione. Per esse non occorre postulare una facultas movendi, né varie facultates videndi, audiendi, odorandi, gustandi et tangendi, come per esempio aveva fatto Jean-François Fernel (la cui opera, Universa medicina, del 1567, era probabilmente nota a Descartes); bisogna invece cercare una spiegazione meccanica.
Il corpo umano e animale, quindi, per funzionare non necessita di un 'principio motore e vitale', ossia di un'anima: questa è invece appannaggio soltanto dell'uomo in quanto essere razionale e presiede unicamente ad alcune funzioni mentali. L'anima non causa e non dirige più, attraverso le sue facoltà, tutte le funzioni dell'organismo vivente, ma si esprime solo come ragione e volontà; è res cogitans distinta dalla res extensa cui appartengono tutti i fenomeni fisiologici. Con tale distinzione, secondo una consolidata interpretazione storiografica, Descartes prospetta una soluzione dualistica e di interazione nel rapporto mente-cervello. Come res cogitans, l'anima è un'entità essenzialmente unitaria, che non può essere suddivisa, come accadeva nelle teorie medievali, in varie facoltà localizzate in diverse parti del cervello, ma può essere collegata, semmai, a una sola struttura, che per Descartes è la ghiandola pineale (o conarium).
Con tale impostazione, che spazza via tutta la pletora delle virtutes introdotte dalla speculazione medievale per spiegare le funzioni vitali, e non del tutto abbandonata né dalla medicina rinascimentale né dallo stesso William Harvey, Descartes getta le basi della moderna ricerca fisiologica. Ma la teoria da lui proposta è messa assieme con i 'pezzi' delle dottrine tradizionali e sconta i limiti di un 'metodo dei modelli', che non fa ricorso alla sperimentazione, e di una grossolana riduzione delle funzioni organiche a fenomeni meccanici. La neurofisiologia cartesiana, infatti, utilizza molti elementi dell'anatomia rinascimentale, si riallaccia a 'vecchie' ipotesi e idee (quali la centralità del ruolo dei ventricoli cerebrali, la distribuzione degli spiriti animali attraverso nervi cavi, la trazione dei nervi da parte di stimoli esterni, ecc.), si basa su congetture morfologiche in seguito dimostratesi errate ed è priva di sostegni empirici e di conferme sperimentali.
Descartes dà una spiegazione meccanicistica delle funzioni solitamente attribuite al sistema nervoso, e cioè del controllo dei movimenti, delle sensazioni 'esterne' (vista, udito, odorato, gusto e tatto) e 'interne' (fame, sete, dolore, calore, ecc.), delle 'passioni' (meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza, ecc.), della memoria e dell'immaginazione o fantasia. A tal fine costruisce un complesso sistema meccanico, i cui principali elementi strutturali sono gli spiriti animali, la ghiandola pineale, i ventricoli cerebrali, il cervello, i nervi.
Gli spiriti animali sono "le parti più vive, più forti e sottili" del sangue (OS, I, p. 68), sono cioè sostanza materiale, per quanto invisibile, di carattere aeriforme, e non un'entità indeterminata e misteriosa, di natura eterea e semispirituale, come avviene nella tradizione galenica. Gli spiriti animali passano dalle arterie nei ventricoli cerebrali attraverso i 'pori' della ghiandola pineale. Questa ghiandola, che nel sistema cartesiano assume un ruolo fondamentale, è posta al centro delle cavità del cervello e "non è tutta congiunta e unita alla sostanza del cervello, ma attaccata solamente a piccole arterie [...] e sostenuta come in bilancia dalla forza del sangue [...], per modo che occorre poca cosa per determinarla a inchinarsi e a piegarsi più o meno, ora da un lato ora dall'altro, e fare si che, piegandosi, disponga gli spiriti che escono da essa a prendere il loro corso verso certi luoghi del cervello, piuttosto che verso altri" (ibidem, p. 130).
I ventricoli cerebrali sono racchiusi nel cervello, che Descartes immagina formato da una sostanza composta da innumerevoli e sottili filamenti intrecciati; la sostanza cerebrale si presenta dunque come un reticolo fittissimo, nel quale però si creano di volta in volta alcuni varchi (dei 'pori' molto piccoli, degli interstizi come una sorta di cunicoli) attraverso cui si possono infiltrare gli spiriti animali. Dal cervello, poi, partono tutti i nervi del corpo, concepiti come tubi cavi (all'interno dei quali fluiscono gli spiriti animali) che contengono sottili filamenti, continuazione dei filamenti della sostanza cerebrale. Con un'immagine tratta dalla tecnica moderna, "possiamo dire che Descartes vede il nervo come un filo elettrico dentro un rivestimento" (Canguilhem 1977, p. 35).
Grazie a queste strutture 'microanatomiche' insensibles, Descartes è in grado di spiegare meccanicisticamente i movimenti del corpo, le sensazioni, sia interne sia esterne, e alcune funzioni psichiche e mentali come le passioni, la memoria e l'immaginazione.
Uno stimolo sensoriale colpisce una terminazione nervosa e produce una trazione dei filamenti dei nervi; questo movimento si propaga alle fibre del cervello e provoca l'apertura di certi varchi nella sostanza cerebrale, nei quali si riversano gli spiriti animali presenti nei ventricoli, come quando, toccando i tasti di un organo di chiesa, si aprono nello stesso tempo i fori delle canne in cui è spinta l'aria da un mantice. Questi varchi nella sostanza cerebrale determinano, a loro volta, un'inclinazione della ghiandola pineale verso di essi e una fuoriuscita degli spiriti animali dai pori della ghiandola, posti in corrispondenza con quelli aperti sulla superficie interna del cervello (cioè sulla superficie dei ventricoli cerebrali). In definitiva, in base a questo meccanismo, ogni stimolazione delle terminazioni nervose provoca una particolare inclinazione della pineale e una particolare configurazione di pori, di forellini aperti su di essa.
Il sistema nervoso per Descartes ‒ come chiarito meglio nell'opera La dioptrique ‒ non compie un semplice trasporto delle immagini degli oggetti dalla retina al cervello, secondo le tradizionali teorie del rispecchiamento o della riproduzione 'a calco', ma opera una trasformazione di quelle immagini in una particolare disposizione fisica della ghiandola pineale. Negli animali e nell'uomo-macchina il processo sensoriale finisce a questo punto, ma nell'uomo dotato di un'anima si verifica un'interazione fra questa e la ghiandola pineale. In tal caso, a ogni 'disposizione' della pineale corrisponde una percezione, un'immagine, un'idea cosciente di un oggetto. Descartes concede pure, "per allontanarsi il meno possibile dalle opinioni comunemente accolte" (OS, II, p. 232), che nel cervello, sempre sotto forma di configurazione di pori aperti, possa essere trasmessa una qualche vaga immagine dell'oggetto esterno; questa però presenterebbe una somiglianza "assai imperfetta" con l'oggetto, e, in ogni caso, non sarebbe a causa di tale somiglianza che l'anima potrebbe percepire l'oggetto con tutte le sue qualità.
Con linguaggio moderno potremmo dire che tutte le informazioni riguardanti un oggetto sono trasmesse alla pineale e trascritte sotto forma di pori aperti; l'anima poi 'legge' le informazioni così codificate, suscitando l'immagine cosciente dell'oggetto con tutte le sue proprietà primarie (forma, grandezza, movimento, ecc.) e secondarie (colore, suono, odore, ecc.). La funzione del sistema nervoso, almeno nella teoria della sensazione visiva esposta nella Dioptrique, non è dunque quella di trasportare le 'forme visibili' delle cose dal cristallino al sensorium commune, di trasmettere al cervello una riproduzione 'a calco' delle immagini degli oggetti, ma di trasformare le figure tracciate sulla retina dai raggi luminosi in particolari 'disposizioni', configurazioni del cervello, o meglio della pineale, con lo stesso contenuto informativo. È questa una concezione innovativa ‒ benché il meccanismo di trasmissione e di trasformazione si sia rivelato ben presto errato ‒ che anticipa la dottrina, chiaramente esposta da Albrecht von Haller nei suoi Elementa physiologiae corporis humani del 1762, secondo cui al sensorio comune arrivano solo modificazioni fisiche dello stato dei nervi, e perciò solo signa rerum e non immagini delle cose.
La ghiandola pineale, in ogni caso, assume per Descartes il ruolo di sensorium commune, cioè di centro ove si raccolgono e si integrano tutte le stimolazioni dei vari organi di senso, un ruolo che per secoli i medici avevano attribuito a diverse parti dei ventricoli; e assume pure il ruolo ‒ per dirla con John Carew Eccles ‒ di 'interfaccia' tra fisico e mentale, di sede precipua dell'anima. Ricordiamo inoltre che il meccanismo di apertura e chiusura dei pori del cervello è per il filosofo-scienziato francese anche alla base di processi cognitivi come la memoria e l'immaginazione o la fantasia, principalmente considerate funzioni del sistema nervoso, della res extensa, e non della res cogitans, intesa solo come ragione e volontà.
Oltre alla sensazione, alla memoria e all'immaginazione, anche il movimento è spiegato da Descartes con un meccanismo del corpo. A ogni sensazione esterna e interna (e a ogni ricordo), l'animale e l'uomo-macchina, infatti, possono rispondere con un movimento, e quindi con un comportamento, per mezzo di un semplice processo meccanico. Lo stimolo sensoriale, tirando certi filamenti, apre determinati varchi nel cervello e pori nella pineale. Da questa, poi, ha inizio una catena di eventi che porta alla risposta motoria: gli spiriti animali fuoriescono da una certa configurazione di pori aperti della ghiandola e s'incanalano in corrispondenti interstizi del tessuto cerebrale, fino a infiltrarsi nei nervi e raggiungere determinati muscoli, che si gonfiano e si sgonfiano come fossero palloni, provocando contrazioni e rilassamenti e, quindi, specifici movimenti. A ogni sensazione, allora, corrisponde un preciso comportamento dell'animale e della macchina corporea.
Solo nell'uomo dotato di un'anima, di una res cogitans che interagisce con la ghiandola pineale, il movimento può essere causato da un atto volitivo. La volontà, infatti, può fare assumere alla pineale una determinata configurazione, con la conseguente fuoriuscita degli spiriti animali da specifici pori, e quindi innescare il meccanismo che conduce alla risposta motoria. Nell'uomo si può così distinguere un movimento volontario, provocato dall'anima, da uno involontario come risposta automatica alle stimolazioni sensoriali; la ghiandola pineale, oltre che centro della sensazione e sede dell'anima, diviene anche il centro del movimento.
Il conarium, pertanto, occupa nella teoria cartesiana il 'posto di comando' nel sistema nervoso: è il luogo di arrivo e di registrazione delle informazioni e quello di smistamento degli spiriti animali per le risposte motorie e il comportamento dell'individuo; è una sorta di 'centralino' che può funzionare automaticamente da solo (così come accade negli animali e nell'uomo-macchina), oppure può essere 'manovrato' dall'anima che 'legge' le informazioni e muove ‒ per così dire ‒ le 'leve di comando'. Gli storici hanno mostrato come Descartes fosse consapevole della necessità ‒ e delle difficoltà ‒ di spiegare l'interazione dell'anima con il corpo, e come forse tentasse di approdare a una 'unione sostanziale' tramite il concetto di chiffre, di messaggio cifrato, di codifica dell'informazione. Se questa intuizione può gettare qualche luce sull''azione' della res extensa sulla res cogitans, nessun chiarimento viceversa offre sulla 'reazione' volontaria dell'anima sul corpo. Tale enigma, perciò, al di là dell'effettivo pensiero di Descartes, spiega perché medici e biologi abbiano guardato al rapporto mente-cervello come a una misteriosa interazione tra due sostanze diverse.
Con microstrutture quali tubicini, filamenti, pori e con una invisibile sostanza aeriforme costituita dagli spiriti animali, Descartes fornisce dunque una spiegazione meccanicistica dei movimenti, delle sensazioni, degli 'appetiti naturali' (ovvero dei cosiddetti 'sensi interni'), delle passioni, delle due funzioni cognitive della memoria e dell'immaginazione, oltre che di altri fenomeni come il sonno, la veglia e il sogno. E soprattutto, grazie all'azione della ghiandola pineale, collega tra loro tutte queste funzioni e pone in stretto rapporto la sensazione e il movimento (correlazione che costituisce il fulcro di tutta la neurofisiologia meccanicistica), riuscendo così a spiegare il comportamento dell'animale e dell'uomo-macchina senza dover ricorrere a particolari facoltà o poteri occulti.
È da notare che Descartes finisce per ipotizzare strutture microscopiche al fine di introdurre elementi semplici di dimensioni piccolissime e perciò invisibili all'occhio umano. Queste strutture costituirebbero le parti elementari di un meccanismo dalla cui azione deriverebbero le funzioni macroscopiche dell'organismo. I modelli esplicativi da lui costruiti sono perciò modelli di 'micromeccanica', e quindi perfettamente coerenti con il principio di una spiegazione meccanicistica, ma del tutto incontrollabili dall'esperienza sensibile. Non sembra che Descartes abbia pensato di utilizzare il microscopio, strumento inventato da poco tempo, per verificare le sue ipotesi. L'importanza della ricerca microscopica, come aspetto essenziale per la dimostrazione dell'esistenza delle 'minute macchine' dell'organismo e quindi per il controllo delle teorie e dei modelli medico-biologici, sarà invece compresa dalla scuola iatromeccanica italiana (e soprattutto da Marcello Malpighi), che, pur se influenzata dal meccanicismo cartesiano, seguirà piuttosto l'insegnamento di Galilei.
Esaminando la teoria cartesiana del sistema nervoso alla luce delle conoscenze attuali occorre ammettere che è evidentemente sbagliata, né è possibile trovare in essa qualche aspetto che costituisca una 'verità' parziale, un germoglio il cui sviluppo abbia portato a un'acquisizione moderna, con l'eccezione del concetto di movimento riflesso, che probabilmente ‒ malgrado alcune riserve di Canguilhem (1977) ‒ Descartes ha realmente anticipato. Del resto, la sua teoria neurofisiologica fu ben presto aspramente criticata e abbandonata dai medici, che dimostrarono senza difficoltà come le ipotesi cartesiane non trovassero conferma nei dati anatomici.
Eppure, analizzando in modo approfondito questa teoria, non solo nei contenuti conoscitivi, ma anche nelle idee-guida e nell'impostazione di fondo, se ne può comprendere la carica innovativa e si può affermare che essa ha segnato una 'svolta' nelle ricerche neurofisiologiche; svolta che, con una definizione sintetica, consiste nell'aver abbandonato il tradizionale programma di ricerca della fisiologia delle facoltà e della localizzazione delle virtutes dell'anima e nell'aver impostato il nuovo programma della neurofisiologia meccanicistica senso-motoria. Infatti, 'dietro' e 'sotto' la complessa e geniale, ancorché errata, teoria neurofisiologica cartesiana, sussiste un nucleo concettuale fortemente innovativo, che si articola in alcuni punti nodali: la spiegazione in termini meccanici di tutte le funzioni dell'organismo vivente, comprese la sensazione e il movimento, e il conseguente rifiuto di ricorrere a facoltà o poteri occulti che nulla spiegano; il riconoscimento della natura materiale (aeriforme) degli spiriti animali e la loro interpretazione come ingranaggi di una macchina e non come strumenti dell'anima; la concezione di una res cogitans intesa solo come 'anima intellettiva', legata unicamente a funzioni mentali ed essenzialmente unitaria, non suddivisibile in facoltà distinte, localizzate in parti diverse del cervello, ma connessa semmai a una sola struttura; la soluzione dualistica del rapporto tra anima e corpo e l'invenzione della funzione peculiare della ghiandola pineale, che assolverebbe a un tempo il ruolo di centro del movimento e della sensazione (sensorium commune) e di sede privilegiata dell'anima. Queste idee si dimostreranno assai feconde, in confronto alla sterilità delle precedenti; nel senso che, malgrado siano incapsulate nell'erronea teoria di Descartes, svilupperanno invece nel tempo tutta la loro potenzialità, dando vita, nei secoli successivi, a un ricco ventaglio di nuove teorie e scoperte sull'impulso nervoso, sui movimenti riflessi, sulle funzioni dei nervi, del midollo e delle strutture encefaliche.
In ogni caso, come si è detto, la teoria neurofisiologica cartesiana fu presto oggetto di aspre critiche. Per esempio, la sostanza cerebrale non mostrava affatto una natura filamentosa; nessuno aveva potuto osservare valvole che regolassero l'afflusso degli spiriti animali nei muscoli; i filamenti nervosi non apparivano duri e rigidi per permettere la trasmissione del movimento dall'organo di senso al cervello, bensì al contrario si mostravano ‒ come scrive Borelli ‒ "molli e circonvoluti"; la ghiandola pineale non era la sola struttura cerebrale 'singola' (condizione necessaria per la sua funzione di sensorium commune, poiché ‒ secondo Descartes ‒ avendo l'uomo a disposizione per ogni tipo di sensazione due organi recettori, doveva esserci una struttura singola in cui le due 'impressioni' dei sensi potessero riunirsi prima di essere percepite dall'anima) e inoltre non era mobile; a essa non si avvicinavano in modo significativo i vasi sanguigni, comunque, come ritiene Stenone, non arterie ma, semmai, solo vene; negli animali, supposti privi di anima, la pineale risultava spesso più grande che nell'uomo, contrariamente a quanto logicamente si poteva supporre, e via di seguito.
Sebbene i problemi sollevati dalla dottrina cartesiana siano rimasti insoluti per molti secoli, questa ebbe il merito di fornire un modello di spiegazione che rimase un punto di riferimento, in quanto, abbandonando le interpretazioni delle facoltà psichiche delle dottrine medievali, pose il problema concreto del meccanismo della sensazione e del movimento e quindi della natura dell'impulso nervoso, e incentivò la ricerca dei centri sensitivi e motori nell'asse cerebrospinale.
di Franco A. Meschini
Nella seconda parte del XVII sec., la ricerca fisiologica, grazie alla rottura con il 'vecchio' paradigma compiuta da Descartes, cominciò a muovere i primi passi, dopo aver adottato un metodo più rigorosamente osservativo e in parte sperimentale. Le teorie sul funzionamento dell'organismo vivente si modellarono secondo i due principali orientamenti della iatromeccanica e della iatrochimica.
Per quanto riguarda il sistema nervoso, fu in genere concepito come un apparato adibito alla raccolta delle sensazioni e alla trasmissione del movimento. Si continuò a pensare, secondo lo schema cartesiano, che gli stimoli sensoriali, trasportati in qualche modo dai nervi tramite un 'fluido nervoso', fossero convogliati in un unico centro, il sensorium commune, localizzato dai diversi medici e anatomisti, nel corso di due secoli, in varie parti dell'encefalo (per es., da Thomas Willis nei corpi striati, da Giovanni Maria Lancisi nel corpo calloso, da Giorgio Baglivi nelle meningi, da Albrecht von Haller nei luoghi di origine dei nervi cranici, da Philippe Pinel e Achille-Louis Foville nel cervelletto). In genere si suppose che, almeno nell'uomo, questo centro ponesse in contatto l'anima 'razionale' con l'esterno permettendole così di ricevere le necessarie informazioni dal mondo. Si continuò anche ad attribuire all'anima la maggior parte delle funzioni psichiche 'superiori', e a ritenere che essa, con un atto volitivo, potesse a sua volta agire sul centro nervoso di controllo dei movimenti, cioè su un centro (anch'esso variamente localizzato nell'encefalo e non necessariamente coincidente con il centro della sensazione) che attivava la contrazione muscolare e determinava il comportamento tramite un impulso nervoso.
Questo stesso modello indicava pure tutta una serie di problemi da risolvere, su cui si affanneranno generazioni di scienziati. Ripudiate le virtutes medievali, si poneva il problema concreto del meccanismo della sensazione e del movimento, e quindi della natura dell'impulso nervoso: doveva essere concepito come una sostanza materiale, aeriforme o fluida, che 'scorre' nei nervi, o come una 'proprietà' peculiare del tessuto nervoso, oppure come un fenomeno fisico (simile al trasporto della luce o, nel XVIII sec., del 'fluido elettrico') che avviene nelle fibre nervose? Accantonata la ghiandola pineale, che nella teoria cartesiana fungeva da centro della sensazione e del movimento e da sede dell'anima, restava poi aperto il problema della localizzazione del sensorium commune e dei centri motori, con una particolare attenzione al fenomeno dei movimenti riflessi e alla funzione del midollo spinale.
Se questo è lo schema di riferimento generale entro cui si colloca la ricerca dei neurologi per tutto il XVII e XVIII sec., mutano però le teorie ‒ influenzate dalle varie correnti del pensiero biologico ‒ sul funzionamento del sistema nervoso nel provocare la sensazione e il movimento. Tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento prevalgono spiegazioni di tipo meccanicistico, utilizzando a volte ipotesi tratte dal laboratorio dei chimici. Nell'Età dei Lumi, a seguito anche dell'opera di Albrecht von Haller (1708-1777), si affermano invece, in misura maggiore, teorie d'impostazione vitalistica.
Descartes lasciò un cospicuo contributo di scritti di interesse neurofisiologico: alcuni pubblicati, altri inediti, sia pure variamente conosciuti (o utilizzati nelle opere a stampa). È certo, peraltro, che l'opera di Descartes esercitò un'influenza vasta, profonda e diversificata sulle successive generazioni di studiosi, filosofi, anatomisti, fisiologi e più tardi psicologi. Inoltre, a ridosso delle due edizioni postume del trattato dedicato all'uomo (1662, 1664), si assistette a un notevole fiorire di studi su cervello e nervi, sia pure in polemica con le conclusioni cartesiane: apparvero, infatti, la Cerebri anatome (1664) di Thomas Willis, il Discours sur l'anatomie du cerveau (tenuto nel 1665 e pubblicato nel 1669) di Niels Steensen (Stenone) e gli opuscoli neuroanatomici (1665-1666) di Marcello Malpighi.
I principali sviluppi, com'è già chiaro dai titoli, si rilevano sul versante anatomico. Descartes, che pure aveva pratica di anatomia, nel momento in cui si accinse a descrivere l'uomo non si impegnò in un discorso anatomico, per il quale ritenne sufficiente rinviare alle conoscenze disponibili. "Ora non mi fermerò ‒ scriveva nell'Homme ‒ a descrivervi le ossa, i nervi, i muscoli, le vene, le arterie, lo stomaco, il fegato, la milza, il cuore, il cervello, né tutti gli altri diversi pezzi di cui essa deve essere composta, poiché li suppongo del tutto simili alle parti del nostro corpo che hanno gli stessi nomi e che potete farvi mostrare da qualche dotto anatomista, per lo meno quelle che sono abbastanza grosse per essere viste, se già non le conoscete a sufficenza per vostro conto" (OS, I, p. 58). Ciò che soprattutto gli interessava era, una volta posta l'uniformità tra naturale e artificiale, creare un modello meccanico in base al quale fornire una spiegazione del funzionamento dell'organismo vivente. Indicativi di questo cambiamento di prospettiva sono gli incipit tanto del trattato di Willis quanto del discorso stenoniano. Entrambi gli autori lamentano l'ignoranza in fatto di anatomia del cervello e fanno appello all'anatomia comparata (microscopium naturae) come strumento privilegiato di conoscenza. Malpighi, per parte sua, sottoporrà allo 'strumento' del microscopio i tessuti nervosi, facendo ricorso con impareggiabile maestria al preparato anatomico.
Thomas Willis
In Descartes, quindi, il dato anatomico appare secondario, perché considerato acquisito e perché, a suo parere, non occorre rendere visibile l'invisibile ma è sufficiente postularlo (il riferimento alla possibile applicazione delle lunettes, nel Discorso X della Dioptrique, per la conoscenza delle 'minute parti' che compongono il mondo naturale è tutto sommato un hapax nella produzione cartesiana). Invece, nella seconda metà del Seicento sembra piuttosto farsi strada il programma di resolutio ad minutum enunciato da Marco Aurelio Severino nella sua Zootomia Democritea (1645). Quest'esigenza 'anatomica' è fatta valere con maggior rigore da Stenone rispetto a Willis, che non disdegnerà di ricorrere a quegli elementi 'immaginari' della fisiologia tradizionale e cartesiana, quali gli spiriti animali, ma non esiterà neanche a proporre, dopo Descartes, una distinzione tra anima razionale e sensitiva, l'una immateriale l'altra corporea, la prima esclusiva dell'uomo, la seconda presente anche negli animali (distinzione che egli molto probabilmente ereditava dalla tradizione dei neoplatonici inglesi e, a un tempo, trovava in un autore come Pierre Gassendi, sua fonte dichiarata). Tuttavia, mentre Stenone si fermerà piuttosto a un discorso di carattere metodologico, limitandosi a indicare gli obiettivi e le procedure di una corretta anatomia del cervello, sarà Thomas Willis (1621-1675) a far progredire, e proprio sul terreno dell'anatomia, la conoscenza e gli studi del cervello e del sistema nervoso.
La sua Cerebri anatome, cui accessit nervorum descriptio et usus, divisa in 29 capitoli (i primi 20 dedicati al cervello e al sistema nervoso in generale, gli altri all'anatomia e alla fisiologia dei nervi) rappresenta una novità per più di un aspetto. In primo luogo nell'impostazione, nessuno prima di lui aveva dedicato un intero trattato esclusivamente al cervello e al sistema nervoso. In secondo luogo, anche sul piano linguistico e della nomenclatura, Willis appare un innovatore: a lui si devono, per esempio, il termine 'neurologia' (per la precisione νευϱολόγια), espressioni come motus reflexus, actio reflexa e la stessa definizione di sistema nervoso. Infine, è soprattutto nella descrizione anatomica che Willis raggiunge i risultati più importanti, collocandosi, assieme a Malpighi e a Stenone, al vertice di un decennio (1655-1665) particolarmente fecondo in questo campo: si pensi anche al De osse cribriformi (1655) e al De catarrhis (1660-1664) di Konrad Viktor Schneider, in cui veniva definitivamente sepolta la concezione galenica delle secrezioni cerebrali, o alle Observationes anatomicae (1658) di Johann Jacob Wepfer, in cui sono descritte con grande cura le arterie cerebrali ed è negata definitivamente (in una pagina che ha anche una valenza programmatica) la presenza della rete mirabile nell'uomo, o alle osservazioni di Franz de le Boë (Sylvius) sulle funzioni della corteccia cerebrale (1660).
Non c'è quasi nessuna parte del cervello e del sistema nervoso di cui Willis non fornirà una nuova o più accurata spiegazione, la classificazione dei nervi encefalici, che supera per precisione quella di Gabriele Falloppia, resterà in auge per più di un secolo; e Willis era ben consapevole dell'importanza e della novità della sua classificazione se scriveva: "Quanto poi alle nostre osservazioni circa i nervi risulterà chiaro dalle cose che seguono che io non ricalco le orme degli altri, né ripeto all'infinito ciò che è stato già detto prima" (Cerebri anatome, XIX, p. 63). Fornirà anche una migliore definizione del cosiddetto 'circolo (o poligono) di Willis' già individuato da Wepfer, la descrizione dei corpi striati, l'esemplare trattazione comparata delle circonvoluzioni cerebrali, fino all'accurata distinzione tra movimenti volontari e involontari e alla patologia cerebrale, della quale Willis è considerato a ragione un pioniere.
Professore a Oxford e successivamente medico di grande fama a Londra, Willis giunse alle sue 'scoperte' anatomiche attraverso l'anatomia comparata, non di rado grazie ad autopsie di pazienti deceduti, utilizzando anche tecniche quali le iniezioni endovasali e i legamenti di vasi (Willis parla sovente di experimentum), facendo un uso non episodico del microscopio e giovandosi, infine, di vari collaboratori come Richard Lower (1631-1691), fonte importante per la ricostruzione del suo iter anatomico, e di Christopher Wren (1632-1723), cui si devono le figure del trattato del 1664. Sulla base di un ricco patrimonio di osservazioni, non scevro di speculazioni (né del resto è sottaciuto un intento apologetico), Willis nella Cerebri anatome, ma anche nel Pathologiae cerebri et nervosi generis specimen (1667) e nel De anima brutorum (1672), prospetta una spiegazione del movimento e della sensazione e sviluppa analisi che toccano, a ben guardare, tre livelli: il primo neurofisiologico (Willis, più precisamente, parla di neurologia e anche di cerebri et nervosi generis physiologia), il secondo che per comodità definiremo psicofisico, il terzo patologico.
Centrali nella sua neurofisiologia sono gli spiriti animali, tanto è vero che a essi è legata la stessa definizione di sistema nervoso:
sotto questo nome sono da comprendere tutte le parti dalle quali dipendono necessariamente e immediatamente, in quanto dotate di spirito animale, il movimento e il senso […]. Parti siffatte poi, rispetto all'encefalo (τοῦ ἐγϰεφάλου) e all'appendice midollare, sono come una propaggine ramificata che cresce attorno al tronco di un albero: supponendo quindi che le sostanze corticali del cervello e del cervelletto stiano in luogo delle radici, e che ovunque le sostanze midollari siano assunte per arboscelli e alburni, la germinazione nervosa ramificandosi in nervi e fibre apparirà diffusa come in rami, ramoscelli e fronde. Oppure, se l'encefalo (ἐγϰέφαλοϚ), contenendo in sé la parte principale e la potenza dell'anima sensitiva, è paragonato al corpo di una qualche luminaria, come il Sole o un astro, il sistema nervoso sarà una concrezione radiosa che lo circonda tutto attorno. Certamente gli spiriti animali, sgorgando dal cervello e dal cervelletto […] come da una duplice fonte luminosa, irradiano in ogni sua singola parte il sistema nervoso e costituiscono gli organi del movimento e della sensibilità, anzi (come si è detto) di entrambi contemporaneamente. (Cerebri anatome, XIX, p. 63)
Come per Descartes e per la tradizione, gli spiriti sono derivati dal sangue ed è possibile conoscerli solamente grazie ai loro effetti. Sulla scorta di Sylvius, Willis ne colloca la produzione nella sostanza corticale del cervello e del cervelletto, ove il sangue arterioso viene purificato grazie a un processo chimico di distillazione (velut in opus chymicum preparatus); attraverso le sostanze midollari, veri e propri serbatoi, gli spiriti sono poi distribuiti nel resto dell'organismo: dapprima scendono nel midollo allungato (quasi via regia), quindi nel midollo spinale e nei nervi, e infine, attraverso le fibre, nei muscoli, nelle membrane, nei visceri, in breve negli organi della sensibilità, del movimento volontario e involontario e della vita vegetativa. Gli spiriti animali sono soggetti a due tipi di circolazione: una, che parte dal cervello e presiede ai movimenti volontari, è ineguale, incostante, discontinua; l'altra, che parte dal cervelletto e consente i movimenti involontari, è al contrario costante e continua.
La differenza tra i due corsi degli spiriti trova un riscontro anche nella diversità di struttura osservata nel cervello dei mammiferi, degli uccelli e dei pesci, di contro all'uniformità palesata dal cervelletto. L'anatomia comparata appare qui non solamente come quel microscopio che la Natura (microscopium naturae) mette a disposizione di chi indaga l'organismo vivente permettendogli di osservare (ingrandito o semplificato) in certi animali ciò che in altri è appena visibile (e il riconoscimento di un'analogia strutturale è alla base stessa dell'anatomia comparata); né è semplicemente una via 'economicamente' preferibile poiché si può disporre di una maggiore quantità di reperti; ma diviene anche, rilevando le differenze, un banco di prova per ipotesi fisiologiche. In tal modo, posta nel cervello la sede delle facoltà superiori, Willis può collegare "la varietà e la molteplicità delle funzioni superiori" dell'uomo con la maggiore complessità delle sue circonvoluzioni cerebrali rispetto ai quadrupedi, "che non hanno altri pensieri se non quelli che suggeriscono loro l'istinto e le esigenze della natura", e ancor più rispetto ai piccoli mammiferi, nei quali le pieghe sono molto meno numerose, e rispetto ai pesci e agli uccelli, la cui superficie del cervello è piatta e uniforme in quanto non hanno che "un piccolo numero di idee e quasi sempre le stesse" (Cerebri anatome, X; cfr. cap. XV). Così il cervelletto, l'altra città del regimen animale, come pittorescamente lo definisce Willis, è uniforme perché presiede ai movimenti che non dipendono dalla volontà, ma sono stabiliti dalla 'necessità naturale'.
La circolazione degli spiriti animali e il risultato di tale processo, cioè il movimento dell'organismo e la sensazione, sono spiegati da Willis in un contesto di riferimento iatrochimico-corpuscolare (da cui non è esente neppure un recupero di concetti quali quelli di vis motiva e vis sensitiva), sulla base di osservazioni e 'ipotesi' anatomiche. Gli spiriti animali sono distinti in spiriti influi, che continuamente defluiscono nei nervi, e spiriti insiti, che ristagnano "nel resto del genere nervoso, particolarmente nelle membrane e nel genere muscolare". Gli altri elementi anatomostrutturali del sistema nervoso sono: (1) i nervi, parti primarie del sistema nervoso, nei quali Willis nega, discostandosi da Descartes, la presenza di condotti simili a quelli delle vene e delle arterie: "la loro struttura (compages) non solo è impervia per qualsiasi coltello, ma anche l'uso del perspicillo o microscopio conferma che non vi è alcuna cavità", mostrandone ope microscopii la struttura porosa instar cannae Indicae; (2) il succo nerveo (succus nervosus) che ha la funzione di veicolo e di fissatore degli spiriti: "Questo umore, grazie alla sua fluidità, diffonde gli spiriti per tutto il sistema nervoso; per la sua viscosità poi, affinché non si dissipino di continuo, li trattiene uniti come in una catena ininterrotta; sembra infatti che senza un tale umore, gli spiriti non potrebbero fermarsi nel genere nervoso, poiché, essendo leggeri, svanirebbero nell'aria" (Cerebri anatome, XIX, p. 65); (3) le fibre nervose, parti secondarie del sistema nervoso, che "qua e là intrecciate alle membrane, alla carne dei muscoli, al parenchima e ad altre parti, e unite nei tendini, sono organi del movimento e della sensibilità" (ibidem).
Dati questi elementi, per spiegare la circolazione degli spiriti animali dalla corteccia cerebrale alla periferia, Willis ricorre sia a metafore idrauliche (il flusso degli spiriti nei nervi è paragonato al flusso di un fiume, mentre gli spiriti insiti nelle fibre, soprattutto dei muscoli, sono paragonati ad acqua stagnante, che il sopraggiungere dell'acqua corrente fa increspare); sia, e con maggiore approssimazione, alla propagazione della luce:
Ma poiché tra i moti e la sostanza degli spiriti e delle acque vi è un non lieve discrimine forse la cosa sarà meglio illustrata se gli spiriti di entrambi i generi, cioè quelli influi e quelli insiti, vengano paragonati all'actinobolismo dei diversi raggi di luce. Così come si deve pensare, quando il lumen è introdotto in una camera oscura e la illumina tutta d'improvviso, che le particelle di luce tanto velocissimamente diffuse sono di duplice genere ‒ alcune, cioè, sono corpuscoli emessi dallo stesso lumen, i quali si diffondono in cerchio per ogni dove, mentre le altre particelle luminose sono corpuscoli quasi eterei, già presenti nei pori dell'aria, i quali, agitati dai primi e come accesi, formano un aggregato simile a fiamma, benché diffuso in tutto il diafano ‒ allo stesso modo gli spiriti animali che emanano dalla sostanza midollare nei nervi sono come raggi diffusi da uno stesso lumen, e gli altri spiriti, che zampillano ovunque nelle fibre, sono quasi come particelle luminose ma prive d'aria e insite, che sono attuati dai primi, e una volta messi in moto da questi perfezionano gli atti tanto della facoltà sensitiva quanto di quella locomotoria. (ibidem, p. 64)
Dunque, per Willis, la presunta composizione della luce, da un lato, e la sua velocità di propagazione, dall'altro, servono meglio a spiegare la natura e la rapidità dello stimolo nervoso e la reazione che dà luogo al movimento muscolare. Infatti, fuori di metafora (o, meglio, ricorrendo alla metafora della polvere da sparo), spiega la contrazione dei muscoli come un'esplosione (pulveris Pyrri explosio similis) dovuta all'incontro (copula) di particulae spirito-saline, di cui sono ricchi gli spiriti influi nelle fibre e nei tendini, e di particulae salino-sulfuree di cui è ricco il sangue arterioso, che irrora le fibre muscolari.
Gli spiriti animali, così come trasmettono il movimento, analogamente "retractione, seu versus fontes suos refluxu", trasportano le impressioni sensibili (species o ideae) ai corpi striati; se la stessa impressione è ripetuta più volte, per una fluttuazione degli spiriti animali che passano nel corpo calloso, si avrà l'immaginazione; quindi, "se la stessa fluttuazione degli spiriti del cervello urta, quasi ultima sponda, contro la corteccia, l'immagine (iconem) o il marchio (characterem) dell'oggetto sensibile vi si imprime, e questa [la corteccia], quando è nuovamente colpita, risuscita la memoria della stessa cosa" (ibidem, p. 37).
Ai corpi striati, che rappresentano la risposta alla ghiandola pineale cartesiana, Willis dedica una trattazione a parte nel capitolo XIII (Medulla oblungata, ejusque partium quarundam actiones et usus explicantur). L'obiezione che muove alla dottrina cartesiana della ghiandola pineale (che questa si trovi in tutti gli animali e in alcuni sia più grande di quanto non sia nell'uomo) è, a dire il vero, un'obiezione alla quale Descartes aveva già risposto. Da parte sua, Willis porta a sostegno della localizzazione del senso comune (il πϱῶτον αἰσθητήϱιον aristotelico, che espressamente menziona) nei corpi striati argomenti tratti dall'anatomia umana, dalla patologia cerebrale e dall'anatomia comparata. In primo luogo la posizione: i corpi striati rappresentano un passaggio obbligato (veri internodia) per gli spiriti animali tra il cervello e il resto del sistema nervoso (nervosum genus); in secondo luogo, cosa che appare a Willis ancor più importante, la morfologia: le striature ascendenti e discendenti che permettono il moto degli spiriti nella duplice direzione ("è degno di nota che nell'encefalo non si trovi nessuna parte striata a questo modo"), consentono ai corpi striati di essere il luogo in cui giungono tutti gli stimoli sensibili e da cui partono gli impulsi volontari. Infine, l'autopsia di cadaveri di pazienti affetti da gravi forme di paralisi, mostrando come il corpo striato in essi appaia meno solido, scolorato (come la morchia) e con le striature molto attenuate, ne conferma indirettamente la centralità nel flusso degli spiriti animali.
A queste analisi anatomofisiologiche sono strettamente congiunte e sovrapposte riflessioni che riguardano il livello definito come 'psicofisico'. Sin dalle prime battute della Cerebri anatome Willis dichiara che l'anatomia comparata è essenziale non solo per la conoscenza delle facoltà e delle funzioni di ciascun organo dell'encefalo e del midollo spinale, ma anche per fornirci le tracce (vestigia) e i modi segreti del funzionamento dell'anima sensitiva. Nel capitolo X afferma che "il cervello è sede primaria dell'anima razionale nell'uomo, e di quella sensitiva negli animali bruti [...]. Le altre facoltà di quest'anima, come il senso e il moto, e anche le passioni e gli istinti puramente naturali, benché dipendano in certa misura dal cervello, tuttavia propriamente si realizzano (perficiunt) nel midollo allungato e nel cervelletto o procedono da essi" (p. 33). Altrove dirà che gli spiriti animali sono l'essenza o ipostasi dell'anima sensitiva:
Nella disposizione e nell'ordine degli spiriti animali [...] consiste l'ipostasi o essenza dell'anima sensitiva, la quale infatti è soltanto una certa aggregazione (systasis) o umbratile sussistenza di quegli spiriti (che assumono una certa configurazione, come atomi o particelle sottili tra loro vicendevolmente aderenti e concatenate). Inoltre le facoltà di questa stessa anima dipendono dalle varie trasformazioni (methatesi) e gesticolazioni dei medesimi spiriti all'interno dei suddetti organi dell'encefalo (ἐγϰεφάλου) e del sistema nervoso. (ibidem, XIX, p. 67)
Ma è soprattutto nel De anima brutorum (una delle poche opere pubblicate in Inghilterra a entrare nella querelle degli animali-macchina) che Willis sviluppa il discorso dell'anima sensitiva e del rapporto tra questa e l'anima razionale. Questi argomenti solo in apparenza possono indurre a pensare a una restaurazione di facoltà o forze occulte, anche per una certa ambiguità del vocabolario willisiano che contiene in sé sia una notevole forza innovativa, sia una tendenza arcaizzante. In realtà, raccogliendo la lezione epicureo-gassendiana, Willis intendeva superare i limiti del meccanicismo geometrizzante cartesiano che, a suo parere, non rendeva ragione né dei fenomeni psichici, né di quelli vitali e sensomotori. Nella prefazione al De anima afferma infatti:
Ignoro se piacerà a tutti che, a fondamento di una psicologia (ψυχολογίαν) un po' paradossale, ho assegnato a quest'anima, per la quale gli animali del tutto come gli uomini vivono, sentono e si muovono, ho assegnato, dico, non solamente un'estensione, ma delle membra e delle parti quasi organiche, e per di più delle malattie specifiche e dei rimedi appropriati [...]. Inoltre, la nostra patologia renderà sufficientemente manifesto che l'anima sensitiva estende le sue malattie non solamente al corpo, ma alla mente o anima razionale, che è di un lignaggio più alto e l'avvolge spesso nei suoi mancamenti e nei suoi delitti. (pp. 2r-3r)
Willis, dunque, introduce un'anima materiale quale 'principio' del movimento e della sensazione; e può compiere questo passo poiché presuppone una nozione di materia del tutto differente da quella di Descartes, tale da rendere possibile la derivazione della sensibilità dall'insensibilità, così come avviene il passaggio da un corpo spento a un corpo acceso. Concepisce infatti l'anima materiale come costituita di sottilissimi atomi ignei, e può allora assimilare i processi psichici ai processi di accensione e spiegare l'acquisizione di conoscenze in base al processo chimico della fermentazione. Può così distinguere tra animali più o meno perfetti: i primi caratterizzati da una maggiore plasticità dell'anima materiale (e quindi dei corsi degli spiriti animali), che perciò è in grado di acquisire meglio nuove conoscenze; i secondi più dotati di conoscenze innate (istinto naturale), che sono schemi di azioni da eseguire ("come orbite da cui non si devia o si devia molto raramente"); schemi che comunque saranno più definiti e rigidi in un animale appena nato che in uno adulto. Una diversa proporzione tra ciò che è istintivo e ciò che è acquisito (ovvero una maggiore o minore rigidità o plasticità nei corsi degli spiriti) caratterizza le specie animali, sicché si può stabilire una gerarchia tra gli esseri viventi che culmina con l'uomo, dotato non solo dell'anima sensitiva, ma anche dell'anima razionale; una gerarchia che, per un verso, ponendo l'uomo al vertice della scala animale, come intermediario tra cielo e Terra, tra gli animali e gli angeli, rimanda a tematiche rinascimentali, e per un altro verso, differenziando gli animali in ordini diversi, sembra muoversi nella direzione che sarà propria dei grandi tassonomisti del Settecento.
Un altro grande capitolo willisiano è quello della patologia cerebrale, della quale sarà sufficiente qui sottolineare l'approccio rigorosamente naturalistico, che taglia fuori dalla spiegazione della malattia mentale ogni riferimento al demoniaco e al soprannaturale in genere; ritiene infatti che dall'anatomia del sistema nervoso "sono ricavate le vere e le genuine cause di moltissime azioni e passioni solite accadere nel nostro corpo, che sembrano altrimenti difficilissime e inspiegabili; non di meno da questa fonte possono essere estratte e spiegate con sufficiente chiarezza le cause nascoste di malattie e sintomi, che ordinariamente sono attribuite ai prestigi di maghi" (Cerebri anatome, XIX, p. 63); approccio materialistico che non arretra neppure di fronte alla pagina rivelata: "coloro ‒ afferma nella Pathologia cerebri ‒ che, nel Nuovo Testamento, sono stati riconosciuti come indemoniati, erano solamente epilettici" (Opera omnia, p. 11).
Stenone
Il discorso che Niels Steensen (Stenone, 1638-1686) tenne nel 1665 in casa di Melchisédech Thévenot, e che sarà poi pubblicato nel 1669 con il titolo Discours sur l'anatomie du cerveau, è prima di tutto un esame dei mali che affliggono l'anatomia: né i medici pratici (medecins e chirurgiens), né i professori d'anatomia ‒ afferma Stenone ‒ si dedicano alla vera ricerca anatomica, i primi perché non hanno più tempo per tale impegno, gli altri perché ritengono loro compito quello di insegnare "la descrizione che gli Antichi ci hanno lasciato del corpo umano" (Discours, p. 35); inoltre, l'obbligo di tenere dimostrazioni pubbliche sottrae loro il tempo necessario a una corretta pratica dell'anatomia, laddove "la cura di fare delle ricerche che ci insegnano la verità richiede un uomo nella sua totalità, che non abbia altra cosa da fare che questa" (ibidem). Una totale dedizione è dunque necessaria per la complessità stessa dell'organismo, di cui ciascuna parte "per essere ben esaminata, richiede tanto tempo, e una tale applicazione dell'ingegno che bisogna lasciare ogni altra attività, e ogni altro pensiero, per dedicarsi a essa" (ibidem, p. 36). In tal modo, anni interi sono a volte necessari per scoprire ciò che si potrebbe dimostrare in un'ora.
L'anatomista deve essere libero non solo da occupazioni estranee alla ricerca, ma anche e ancor più da ogni auctoritas, che si traduce ‒ nella pratica anatomica ‒ nella rinuncia a un metodo prestabilito e unico. "Per quanto gli Anatomisti ‒ scrive Stenone, individuando uno dei motivi degli scarsi progressi dell'anatomia ‒ aprano mille corpi nelle scuole, è solo per un caso se riescono a scoprire qualcosa; essi sono costretti a mostrare le parti secondo gli Antichi, e occorre per questo che seguano un certo metodo. Le ricerche, invece, non ammettono alcun metodo; ma vogliono essere saggiate in tutti i modi possibili". A questo proposito, allora, Stenone mostra come, attraverso l'uso dell'anatomia comparata e attraverso la variazione dei metodi di dissequer, sia possibile smascherare anche quegli errori che hanno alle spalle attente esperienze e una consolidata tradizione.
La causa principale che ha tenuto molti Anatomisti nei loro errori e che impedisce loro di andare più lontano degli Antichi nelle loro dissezioni, è stato il fatto che essi hanno creduto che tutto fosse stato ormai così ben rilevato che non restava più niente da fare per i moderni nel campo della ricerca; e poiché hanno preso le antiche regole della dissezione per leggi inviolabili, in tutta la loro vita non hanno fatto altro che mostrare le stesse parti, con uno stesso metodo; l'Anatomia, invece, non deve assoggettarsi ad alcuna regola e deve cambiare ogni volta che dà inizio a una dissezione. Da ciò essa ricava il vantaggio che, se non sempre scopre qualcosa di nuovo, riconosce almeno se si è ingannata in quello che ha visto prima, soprattutto nel caso di dispute; perché essa deve allora lasciare agli spettatori la libertà di stabilire le leggi della dissezione. (ibidem, pp. 47-48)
A un'anatomia della 'meraviglia' Stenone preferisce un'anatomia della ricerca, meno spettacolare perché costantemente soggetta alla possibilità dell'errore e tuttavia più attenta verso colui che osserva, perché gli permette di intervenire. Se i difetti del metodo si possono ricondurre in definitiva a un'acritica accettazione dell'esperienza sulla base dell'auctoritas degli Antichi, l'insufficienza dei modelli del cervello nasce da un'interpretazione strumentale dell'esperienza stessa, aggiogata questa volta alle arbitrarie costruzioni dell'immaginazione. Numerosi sono i luoghi, e non solo nel Discours, in cui Stenone denuncia l'invadenza dell'immaginazione nell'anatomia: "Vi sono alcuni che danno alle parti la posizione che reputano necessaria al sistema che si sono immaginati; e tutto questo senza considerare che la Natura le ha disposte in una maniera completamente opposta" (ibidem, p. 9). L'immaginazione, costruttrice di sistemi, porta a una precipitazione nel giudizio: "se non avessero preferito [gli anatomisti] le cose che essi stessi avevano immaginato a quei principî che si ricavano dall'osservazione dei fenomeni naturali, non sarebbero stati così precipitosi nei loro giudizi in questa e in altre circostanze" (De musculis et glandulis observationum specimen, in Opere scientifiche, I, p. 279).
Per sfuggire al circolo vizioso della pratica anatomica che si fa forte dell'esperienza, ma che in realtà preclude ogni accesso all'esperienza, Stenone sposta il discorso dal dato anatomico preso in sé stesso, come risultato di una manipolazione su cui non si ha diritto di intervenire, alla procedura che lo pone in evidenza. Il richiamo all'esperienza non è sufficiente se non è suffragato dall'esame degli strumenti e dei metodi delle procedure operative. Ciò è tanto più importante per l'anatomia del cervello, poiché "ogni anatomista che s'è occupato della dissezione del cervello dimostra con l'esperimento ciò che vuole provare; la mollezza della sostanza gli è talmente obbediente che, senza neanche pensarci, le mani formano le parti a seconda di come la mente se le è prima immaginate" (Discours, p. 41). In questo contesto, allora, acquistano importanza l'anatomia comparata, l'anatomopatologia, la vivisezione, cui è direttamente legata la sperimentazione 'farmacologica', e l'embriologia.
In questa cornice si collocano le critiche che Stenone muove ad autori come Descartes e Willis, entrambi riconosciuti colpevoli d'aver lasciato andare a briglie sciolte l'immaginazione. Descartes è meno colpevole di Willis, perché non era un anatomista di professione e soprattutto perché era ben consapevole del fatto che il 'suo' uomo non fosse il 'vero' uomo. Colpevoli sono piuttosto i suoi "amici" (e il riferimento è in primo luogo a Claude Clerselier e Louis de La Forge) per averne dato un'interpretazione 'realistica'. L'attacco a Descartes non sarà tuttavia meno deciso e finirà con il travolgere la sua 'neurofisiologia', sicché Jean Chapelain poteva scrivere a Pierre-Daniel Huet: "il signor Stenone, danese, ha dato in quest'arte le più belle dimostrazioni che si siano finora mai viste, fino a costringere i Descartisti, questi dogmatici così testardi, a convenire sull'errore del loro patriarca riguardo alla ghiandola del cervello e al suo uso [...], sulla quale nondimeno egli fondava tutte le operazioni dell'anima razionale" (Lettres, II, 6 aprile 1665, p. 393).
Descartes era interessato, come si è detto, alla fisiologia; Stenone ne distrugge la base anatomica, palesando l'infondatezza della descrizione cartesiana della ghiandola pineale; in particolare egli dimostra che è immobile, che la sua connessione con il cervello è immediata e non assicurata dalle arterie del plesso coroideo, che, infine, non sono arterie, bensì vene i vasi sanguigni che la circondano.
Altro caposaldo della fisiologia cartesiana, e in questo caso di Willis, a cadere sotto le critiche di Stenone sono gli spiriti animali, a proposito dei quali ‒ afferma l'anatomista danese ‒ sono state formulate le ipotesi più disparate senza che la dissezione possa chiarire nessuno dei tanti dubbi. Di Willis peraltro, oltre ad alcune figure, Stenone critica la localizzazione delle facoltà dell'anima e del senso comune nel corpo striato, dell'immaginazione nel corpo calloso e della memoria nella sostanza grigia cerebrale.
Nell'Elementorum miologiae specimen (1667) Stenone tenta una spiegazione della contrazione muscolare more geometrico, "come un semplice risultato della disposizione geometrica degli elementi strutturali" (Grmek 1990, p. 173); a lui si deve una descrizione innovativa della struttura dei muscoli e una critica alla spiegazione iatrochimica della contrazione.
Per il resto, Stenone esprime tutto il suo scetticismo su entità quali 'spiriti animali', 'parti più sottili del sangue', 'vapori del sangue', 'succo nerveo', che definisce "parole che non esprimono nulla" (Opere scientifiche, I, p. 121).
Marcello Malpighi
Il contributo di Marcello Malpighi (1628-1694) agli studi sul cervello e sul sistema nervoso è circoscritto all'anatomia, scienza nella quale eccelle, padroneggiandone metodi e strumenti, primo fra tutti il microscopio. Malpighi fa ricorso ad apparecchi di varia potenza d'ingrandimento, compiendo osservazioni a luce riflessa e a luce trasmessa; si mostra abile nell''artificio anatomico' (dall'essiccamento alla cottura, dalla corrosione allo svuotamento di sangue mediante perfusione vascolare o allo svuotamento d'aria mediante schiacciamento, ecc.), che sa variare e abbinare con maestria mai prima raggiunta da alcuno; è attento, infine, all'anatomia comparata, che considera, non diversamente da quanto avevano fatto Willis e Stenone, a un tempo come un microscopio e un laboratorio della Natura. Tra le pagine programmatiche della sua produzione, possiamo ricordare quella che apre la De pulmonibus epistola altera:
Il lavoro per scoprire le cose della Natura incontra tali oscurità e difficoltà, che i nostri sensi sembrano incapaci di determinare alcunché perfettamente. Per quanto, ostinandoci in un lavoro improbo, osserviamo la Natura madre nei suoi prodotti, come in un libro in forma enigmatica, e frugando tra i visceri degli animali, cerchiamo di scoprire quanto in essi più si occulta; alla fine riconosciamo che i nostri sforzi non riescono ad afferrare la verità se non attraverso immensi tedi di osservazioni, in cui cerchiamo di farci luce come per gradi, sezionando ora gli insetti e ora gli animali perfetti. È infatti costume della Natura intraprendere le sue grandi opere soltanto dopo una serie di tentativi a più bassi livelli, e abbozzare negli animali imperfetti il piano degli animali perfetti. (Opere scelte, p. 91)
Questa pagina va letta assieme all'introduzione all'Anatomes plantarum pars prima (1675), in cui il metodo analogico-comparato viene esteso anche alle piante e ai minerali.
Tra il 1665 e il 1666, Malpighi diede alle stampe quattro opuscoli neuroanatomici, frutto dei suoi anni messinesi: De cerebro, De lingua, De externo tactus organo, De cerebri cortice. Nel primo, in cui sottopone all'esame microscopico la struttura della sostanza bianca del cervello, in particolare nei pesci, giunge alla conclusione che essa si compone di fibre e cerca di seguirne il corso in varie aree del cervello, ipotizzando che abbiano la loro origine nella sostanza grigia e continuino, attraverso il midollo spinale, fino ai recettori periferici. A questi ultimi Malpighi dedica due dei quattro opuscoli, giungendo nel primo (attraverso l'artifizio della cottura) a evidenziare i tre ordini di papille della lingua, intese per l'appunto come terminazione periferica delle fibre nervose; nel De externo tactus organo, dopo un lungo lavoro di comparazione, perviene alle stesse conclusioni relativamente alle papille cutanee. Nell'ultimo opuscolo, infine, attribuisce alla corteccia cerebrale una struttura ghiandolare simile a quella del fegato, dei reni e della milza, e le assegna la funzione di filtrare il sangue arterioso trasformandolo in succo nerveo da immettere nelle fibre.
Più vicino come atteggiamento a Stenone (di cui, al tempo della composizione dei suoi scritti neuroanatomici, non conosceva il Discours, del 1669) che a Willis (che stimava, ma dalla cui "temerità cartesiana" era stato per tempo messo in guardia da Giovanni Alfonso Borelli), Malpighi preferì mantenere fino alla fine una posizione più prudente riguardo alla questione della sede dell'anima e delle sue facoltà. In quello che giustamente è stato definito il suo testamento spirituale, la Risposta a Giovanni Girolamo Sbaraglia, distinse a proposito delle parti e dell'uso del cervello le cose manifeste da quelle solo probabili; e di queste ultime, che si riducevano alle operazioni dell'anima, scriveva:
l'altre, poi, operazioni mirabili dell'anima, cioè li sensi interni, la memoria e simili, sono veramente astrusi e lontani dal nostro fioco intendere; ma non tanto che dalla sagacità dell'arte non se ne possa avere qualche barlume e sentore, se, supposta la struttura scoperta dai moderni, si cammini con le meccaniche. Atteso che (essendo certo che la struttura del cervello è una composizione di corde forate, che ricevono di continuo un fluido, che più o meno le può rendere tese e rilasciate; ed essendo queste tirate e situate con artificio come le corde di un leuto), ne siegue che (facendosi un piccolo movimento negli organi dei sensi esterni, che sono l'estremità dei nervi, dall'agitazione del lume nell'occhio, dall'aria nelle orecchie, dai sali nella lingua, dai solidi nella cute, e dai fluidi interni nella radice dei nervi) necessario si fa tremore nel corpo dei nervi, e successivamente nel fine, dove sono disposti e tensi. E questa sarà la mozione fisica dei sensi interni, le cui proprietà con analogismo alle meccaniche probabilmente si possono discorrere. E siccome non è poco progresso, questo, fatto dalla fiacchezza dell'intelletto umano, così mai può nuocere a un medico, che ha da operare, essendo manco male a chi viaggia l'aver un picciolo lume, che essere intieramente all'oscuro. (Opere scelte, p. 596)
Raymond Vieussens
Negli anni Ottanta del Seicento vedono la luce due opere di grande importanza nello studio del sistema nervoso, la Neurographia universalis (1684) di Vieussens e il De motu animalium (1680-1681), opera postuma di Giovanni Alfonso Borelli.
Il francese Raymond Vieussens (1641 ca.-1715), medico di Montpellier, grande ammiratore di Willis, era vicino agli ambienti cartesiani: Pierre-Sylvain Régis (1632-1707) lo frequenterà assiduamente durante il soggiorno montpelliense e, per il suo Système de philosophie, trarrà dalla Neurographia di Vieussens non solo tutte le figure riguardanti il cervello (segnatamente le tavole II, X, XIV, XVI), ma anche interi capitoli. Pure la Neurographia, pubblicata prima del trattato regisiano, ma in parte scritta quando esso era già stato redatto, conterrà riferimenti al testo di Régis, soprattutto "circa varias foederis conditiones" dell'anima e del corpo.
Vieussens è prima di tutto un anatomista: la sua Neurographia, alla quale lavorò per più di un decennio, è il frutto ‒ stando a una sua testimonianza ‒ di ben cinquecento autopsie ed è ricca di scoperte: tra le altre, la descrizione del centro ovale e della fine struttura della dura madre, la prova anatomica del fatto che il corpo proprio del midollo spinale rappresenti una continuazione strutturale del cervello, la scoperta dei nodi dentati del cervelletto. Vieussens, per il resto, non si discosta da Willis a proposito degli spiriti animali e del succo nerveo, salvo per il fatto che attribuisce agli spiriti animali anche una terza funzione, quella nutritiva. Questa conclusione si basava sull'osservazione dei paralitici, nei quali le parti colpite, e quindi prive o carenti di spiriti animali, non solo erano private della sensibilità e del movimento, ma erano anche atrofizzate.
Tuttavia è soprattutto nella descrizione della funzione del centro ovale e quindi nella localizzazione delle facoltà dell'anima che Vieussens introduce elementi di novità rispetto ai suoi predecessori: colloca, infatti, nei tratti bianchi superiori e medi dei corpi striati il sensorio comune e nel centro ovale l'immaginazione e la memoria. Più articolata è anche, rispetto a Willis, l'analisi dei movimenti dell'organismo. Tra i movimenti involontari distingue: (1) i movimenti che dipendono esclusivamente dalla struttura delle parti e dall'influsso degli spiriti animali, cioè quelli vegetativi (del cuore, del torace, del diaframma, degli intestini) che si compiono senza alcun intervento dell'anima; (2) i movimenti 'intrinseci' (i riflessi), accompagnati da stati affettivi, che non sono preceduti da alcun intervento della volontà e sono causati sempre da oggetti esterni; (3) i movimenti 'misti', e cioè i movimenti volontari divenuti involontari per abitudine, che possono essere inibiti e modificati dalla volontà. Mentre i movimenti volontari provengono dalla regione superiore del centro ovale, la fonte dei movimenti involontari e misti è localizzata nelle regioni medie e inferiori del centro ovale, nei corpi striati inferiori e nel cervelletto.
Giovanni Alfonso Borelli e la scuola italiana
Uno dei grandi maestri della scuola iatromeccanica, cui si devono anche acute indagini su alcuni aspetti della fisiologia del sistema nervoso, convinto sostenitore del metodo sperimentale galileiano, è Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), allievo a Roma di Benedetto Castelli, professore a Messina e a Pisa, animatore dell'Accademia del Cimento. Nella sua opera più celebre, il De motu animalium (1680-1681), Borelli ritiene che l'organismo vivente possa essere studiato in termini meccanici, che le sue funzioni possano essere regolate da leggi meccaniche ben determinate, leggi che è compito dello scienziato indagare con metodo sperimentale.
Per quanto riguarda il sistema nervoso, si interessa soprattutto del controllo del movimento e della contrazione muscolare. Contrariamente all'opinione prevalente, dimostra con un ingegnoso esperimento che gli spiriti animali non possono essere di natura aeriforme o gassosa: immergendo nell'acqua un animale, con opportune sezioni di muscoli e di nervi, osserva infatti che non compare alcuna bollicina, nonostante le violente contrazioni. Il mezzo di trasmissione dell'impulso nervoso, allora, deve essere di natura liquida, è un succus nerveus che s'infiltra in tutto il sistema nervoso, concepito come un reticolo di canali tubiformi. La volontà o gli stimoli sensoriali ‒ secondo Borelli ‒ provocano ondulazioni in questo fluido inerte, trasmettendo in tal modo l'impulso nervoso in senso centrifugo o centripeto. Nei muscoli il succus entra in contatto con una sostanza (probabilmente il sangue o la linfa) e agisce "ut fermentatio, et ebullitio oriatur simul eis, quae passim in chimicis elaboratoriis observantur" (De motu animalium, II, p. 63), cioè dà luogo a una reazione chimica, a una 'fermentazione esplosiva', che provoca il rigonfiamento e la contrazione del muscolo. Quando termina l'azione della volontà, s'interrompe l'instillazione del succus nerveus e quindi cessano la reazione chimica e la contrazione muscolare.
A Borelli si deve inoltre l'intuizione che i nervi svolgono una funzione specifica nelle pulsazioni del cuore, intuizione espressa anche da Willis, ma contraria all'opinione corrente che considerava il muscolo cardiaco e i muscoli dei visceri dotati di una specifica capacità di movimento, indipendente dal sistema nervoso. Tale opinione, per esempio, era sostenuta dall'anatomista padovano Domenico Marchetti, lodato da Haller per la sua Anatomia (1652).
Ai principî della iatromeccanica, che trovano fortuna alla 'Sapienza' di Roma, s'ispira anche l'opera del medico raguseo-leccese Giorgio Baglivi, chiamato alla cattedra di anatomia da Innocenzo XII. Come Borelli, anche Baglivi si propone di spiegare tramite concetti meccanici le funzioni dell'organismo, e in primo luogo la trasmissione dell'impulso nervoso, con una teoria che trae molti spunti dalle ricerche del medico 'ospedaliero' Antonio Pacchioni, che aveva studiato le meningi, interpretandole come un involucro muscolare del cervello adibito a spingere il fluido nervoso nei nervi (De durae meningis fabrica et usu, 1701); per la somiglianza delle teorie neurologiche, tra i due medici sorse una polemica sulla priorità delle idee espresse.
Nel suo trattato De fibra motrice ac morbosa (1702), Baglivi sostiene che le 'pulsazioni' del cervello sono dovute ad autonome 'oscillazioni tremulo-increspanti' delle meningi. Questa struttura, a somiglianza del cuore, è concepita come una sorta di pompa, che ha il compito di distribuire il fluido nervoso in tutti i nervi. Il moto del fluido, poi, si tradurrebbe in sensazioni e in movimenti, controllati rispettivamente dalla pia madre e dalla dura madre; queste membrane, perciò, rappresenterebbero i centri della sensazione (o sensorium commune) e del movimento.
La teoria di Pacchioni e di Baglivi sul movimento indipendente delle meningi trova, tuttavia, numerosi critici, tra i quali si distinguono in Italia Giovanni Fantoni (1675-1758), professore di anatomia a Torino, e Giovanni Domenico Santorini, professore di filosofia, anatomia e medicina a Venezia, autore delle Observationes anatomicae (1724).
Nella scuola anatomochirurgica romana, possiamo ancora ricordare il contributo di Giovanni Maria Lancisi alla neuroanatomia (con la descrizione, alla quale ha legato il suo nome, delle strie longitudinali mediali del corpo calloso) e allo studio dell'apoplessia nel De subitaneis mortibus (1707). È sua anche la teoria che considera il corpo calloso come sede dell'anima, pubblicata nel De sede cogitantis animae (1712); questa teoria fu ripresa dal bresciano Giovanni Battista Mazini (1677-1743), professore di medicina a Padova, che pretendeva di dimostrarla con ragionamento 'matematico'.
Tra il XVII e il XVIII sec., con grande fervore vennero effettuati in più ambiti (a opera di patologi, anatomisti e fisiologi) esperimenti finalizzati a chiarire il fenomeno della 'paralisi controlaterale', cioè il fenomeno, ben conosciuto fin dall'Antichità, secondo cui una lesione provocata su un lato del cervello comporta generalmente una paralisi del lato opposto del corpo. Oltre a Baglivi e a Lancisi, di tale problema si interessano Lorenzo Bellini (1643-1704), medico fiorentino, rinomato per i suoi studi di anatomia e fisiologia dei reni; Antonio Maria Valsalva, medico e anatomista della scuola bolognese, noto per le sue ricerche sull'organo dell'udito, pubblicate nel celebre De aure humana tractatus (1704); Domenico Mistichelli, medico a Roma, autore di un Trattato dell'apoplessia (1709), nel quale è data la prima descrizione esatta dell'incrocio delle fibre nervose ("simili a una treccia di donna") nel midollo allungato. L'incrocio è confermato da Santorini nelle sue Observationes anatomicae; di 'paralisi controlaterale' si occupano anche il grande anatomopatologo Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), che avanza però alcuni dubbi sulla spiegazione soltanto in termini di 'decussazione delle piramidi' e Pietro Paolo Molinelli (1702-1764), professore di chirurgia a Bologna, che collega le paralisi di un lato del corpo alle lesioni degli emisferi cerebrali del lato opposto. L'insieme delle ricerche effettuate da questi medici conducono a una migliore conoscenza delle strutture nervose implicate nella trasmissione del movimento, e a un primo abbozzo ‒ in termini moderni ‒ di identificazione delle 'vie piramidali'.
Belloni 1963a: Belloni, Luigi, Schemi e modelli della macchina vivente nel Seicento, "Physis", 5, 1963, pp. 259-298.
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