La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Evangelista Torricelli
Evangelista Torricelli
Nell'antiporta delle Lezioni accademiche, pubblicate postume nel 1715, troviamo un ritratto dell'autore accompagnato dalla didascalia "En virescit Galilaeus alter", anagramma incompleto di Evangelista Torricellius. Nonostante la sua breve carriera scientifica, Torricelli fu considerato, già dai contemporanei, come il più dotato e versatile fra i discepoli di Galileo Galilei: vicino al maestro al momento della morte, fu chiamato, poco più che trentenne, a succedergli nella carica di filosofo e matematico del granduca di Toscana.
Le notizie sulla sua vita sono lacunose e imprecise. Sappiamo con certezza che nacque il 15 ottobre del 1608 a Roma, da una famiglia originaria di Quarada, vicino a Faenza. Primo dei tre figli di Gaspare Torricelli e Caterina Angetti, si distinse ben presto per il suo talento matematico. Dopo aver studiato per due anni presso i gesuiti, divenne allievo e segretario di Benedetto Castelli (1578-1643), titolare della cattedra di matematica alla Sapienza di Roma. Allievi di Castelli erano pure i toscani Antonio Nardi e Raffaello Magiotti, che insieme a Torricelli costituivano quello che Galilei chiamò affettuosamente "il triumvirato".
Fu nella veste di segretario di Castelli che, nel settembre del 1632, Torricelli scrisse la sua prima lettera a Galilei. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo era stato pubblicato da pochi mesi e il giovane matematico dichiarava fieramente di essere stato il primo, a Roma, ad averlo studiato "minutissimamente e continuamente", con tutto il gusto che poteva trarne "uno che, già avendo assai bene praticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adheriva, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, et era di professione e di setta galileista" (EN, XIV, p. 389). Ragioni di prudenza porteranno Torricelli ad astenersi dal trattare nei suoi scritti questioni cosmologiche. Grazie ad alcune testimonianze di contemporanei sappiamo però che in privato continuò a coltivare il giovanile interesse per l'astronomia, compiendo attente osservazioni telescopiche.
Fra il novembre del 1632 e l'inizio del 1641 Torricelli viaggiò attraverso l'Italia centrale al seguito di monsignor Giovanni Ciampoli, caduto in disgrazia presso il Papa e da questi punito con l'incarico di governatore di varie città delle Marche e dell'Umbria. In questo periodo il giovane Torricelli, oltre ad approfondire la propria preparazione matematica, iniziò ad applicarsi allo studio del moto dei gravi. Quando nel febbraio del 1641 ritornò a Roma, aveva già redatto buona parte del suo De motu gravium naturaliter descendentium et proiectorum, che sarebbe stato pubblicato nel 1644 all'interno dell'Opera geometrica, l'unico volume dato alle stampe dallo scienziato durante la sua vita. Nelle pagine di apertura del trattato, Torricelli riconosce apertamente il proprio debito nei confronti della teoria del moto esposta da Galilei nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), e dichiara di avere come obiettivo principale quello di fornire una dimostrazione del postulato dei piani inclinati, sul quale si fonda l'intera analisi galileiana del moto di caduta. Come premessa della propria dimostrazione pone il principio secondo cui 'due gravi congiunti assieme non possono muoversi da sé, se il loro comune centro di gravità non si abbassa'. Tale assioma, noto come 'principio di Torricelli', verrà generalizzato da Christiaan Huygens (1629-1695), che ne farà uno dei cardini della propria dinamica. Nel De motu Torricelli formula anche una legge che porta ancora oggi il suo nome e stabilisce che 'le quantità di acqua che scorrono in tempi uguali attraverso un foro praticato alla base di un recipiente stanno fra loro come le radici quadrate delle altezze del liquido in esso contenuto'. Huygens tenterà di derivare sperimentalmente questa legge di cui Pierre Varignon otterrà la dimostrazione matematica nel 1695.
Benché, come vedremo fra poco, Torricelli avesse dato un notevole contributo al perfezionamento della geometria degli indivisibili, scelse, a differenza di Galilei, di non applicare tale metodo allo studio del moto dei gravi, ma di servirsi unicamente di un procedimento di prova 'meccanico', basato sull'idea che le velocità di corpi di uguale mole fossero direttamente proporzionali ai momenti di gravità degli stessi corpi. Tale procedimento era stato impiegato una sola volta nei Discorsi, nella dimostrazione della legge delle corde.
Nel marzo del 1641, Benedetto Castelli, di passaggio a Firenze, mostrò il De motu a Galilei. Quest'ultimo rimase così profondamente colpito dal rigore dimostrativo dell'opera, che chiese al giovane autore di trasferirsi a Firenze per aiutarlo a completare alcuni lavori. Dopo qualche esitazione, Torricelli accettò l'invito e, nel settembre del 1641, arrivò ad Arcetri dove assistette il vecchio e cieco maestro nella stesura della Giornata quinta da aggiungere ai Discorsi. L'8 gennaio del 1642 Galilei morì. Torricelli si preparava a fare ritorno a Roma, quando gli venne offerto il prestigioso incarico di lettore di matematiche nello Studio fiorentino e di matematico del granduca Ferdinando II, che avrebbe ricoperto fino al 1647, anno della sua morte.
Nel quinquennio fiorentino, Torricelli ‒ che rimase assiduamente in contatto con lo stimolante ambiente culturale romano ‒ si dedicò a ricerche nel campo della matematica, della cinematica, dell'ottica e della pneumatica.
Il suo principale contributo matematico è rappresentato dallo sviluppo del metodo degli indivisibili. L'idea portante della Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635) di Bonaventura Cavalieri consiste, lo ricordiamo, nell'indagare il rapporto fra due continui geometrici a partire dal confronto fra i loro indivisibili, laddove per indivisibili si intendono tutte le linee di una figura piana parallele a un segmento qualunque e tutti i piani di un solido paralleli a una superficie qualunque.
Torricelli sfruttò al massimo le potenzialità del metodo di Cavalieri, senza porsi troppe domande riguardo alla sua legittimità teorica. Si diceva convinto che anche i matematici antichi per scoprire i loro teoremi più difficili avessero seguito una via occulta, analoga a quella di Cavalieri, e che si fossero poi serviti del metodo di esaustione per verificare e dimostrare le loro conclusioni. Così fece anche Torricelli. Nel De dimensione parabolae, solidique hyperbolici problemata duo, pubblicato assieme al De motu nell'Opera geometrica del 1644, egli offre ben 21 dimostrazioni del teorema della quadratura della parabola, dieci basate sul metodo archimedeo di esaustione, ovvero della doppia riduzione all'assurdo, e undici basate su quello, molto più diretto e veloce, degli indivisibili. Introducendo, accanto agli indivisibili lineari di Cavalieri, anche indivisibili curvi, Torricelli riesce anche a calcolare il volume del solido iperbolico acuto, figura tridimensionale di lunghezza infinita, ma volume finito, ottenuta facendo ruotare un'iperbole attorno a uno dei suoi asintoti. Nell'appendice del De dimensione parabolae troviamo inoltre un'interessante soluzione dell'annoso problema della quadratura della cicloide, la curva descritta da un punto fisso di un cerchio che rotoli sulla propria tangente. Torricelli dimostra, due volte con il metodo degli indivisibili e una volta con il metodo di esaustione, che lo spazio compreso fra la cicloide e la sua retta di base è pari al triplo del cerchio generatore. L'Opera geometrica include anche un trattato, intitolato De sphaera et solidis sphaeralibus libri duo, nel quale la teoria archimedea della sfera e del cilindro è estesa a tutte le specie di solidi che possono essere generati dalla conversione di poligoni regolari, sia inscritti sia circoscritti alla sfera.
Nel periodo fiorentino Torricelli continuò ad applicarsi allo studio della matematica, sviluppando il metodo di Cavalieri in una nuova, fruttuosa, direzione. In alcuni lavori lasciati manoscritti, egli fa uso di indivisibili 'infinitamente piccoli', che hanno lo stesso numero di dimensioni del continuo di cui fanno parte e non una dimensione in meno come gli indivisibili di Cavalieri. La caratteristica fondamentale di questi nuovi indivisibili è, come spiega lo stesso Torricelli, che essi non sono necessariamente uguali fra loro: un punto può essere infatti più grande di un altro punto, una linea più larga di un'altra linea e una superficie più larga o più spessa di un'altra superficie. Fu proprio attraverso lo studio di tali differenze che Torricelli riuscì ad affrontare e a risolvere problemi che erano rimasti inaccessibili a Cavalieri, come quelli connessi alla determinazione delle tangenti di curve o al confronto di lunghezze di archi.
La fama di Torricelli è però soprattutto legata all'esperimento barometrico che egli eseguì nel 1644 a Firenze con l'aiuto di Vincenzo Viviani. È probabile che Torricelli avesse sentito parlare dell'esperienza, compiuta poco tempo prima a Roma da Gasparo Berti, per verificare se l'altezza massima di una colonna d'acqua fosse davvero di 18 braccia, come aveva affermato Galilei nei Discorsi. Berti aveva fatto costruire un apparecchio di dimensioni imponenti, formato da un tubo di piombo, alto più di 11 m, aperto all'estremità inferiore e chiuso all'estremità superiore da un'ampolla di vetro, nella quale si poteva infondere acqua. Alla presenza di numerosi testimoni, egli poté appurare che, se la base del tubo veniva immersa in un recipiente più grande, anch'esso contenente acqua, il liquido versato attraverso l'ampolla scendeva di livello fino a raggiungere un'altezza di 9 m ca., corrispondenti alle 18 braccia indicate da Galilei.
Torricelli intuì che tale fenomeno non era dovuto alla ripugnanza della Natura ad ammettere il vuoto (come credeva Galilei), ma alla pressione esercitata dall'aria sul liquido sottostante ed escogitò un sistema per misurarla. Ebbe la geniale idea di utilizzare al posto dell'acqua l'argento vivo che, avendo un peso specifico di 13,5 volte superiore, consentiva l'uso di un apparato sperimentale di dimensioni ridotte.
In una lettera a Michelangelo Ricci, scritta l'11 giugno 1644, Torricelli fornì un accurato resoconto dell'esperimento compiuto. Raccontò di aver fatto costruire vari vasi di vetro, dal collo lungo due braccia ca., di averli riempiti completamente di argento vivo, in modo da scacciare tutta l'aria che vi era racchiusa, e di averli poi capovolti e immersi in un recipiente contenente anch'esso metallo liquido. Quale che fosse il diametro dei tubi di vetro, l'argento vivo si era sempre abbassato a formare una colonna alta "un braccio, e un quarto, e un dito di più", vale a dire 76 cm circa. Torricelli dimostrò tutta la sua consapevolezza di sperimentatore, riconoscendo che tale procedimento non consentiva di misurare esattamente i cambiamenti di pressione atmosferica, dato che le oscillazioni della colonna di mercurio erano influenzate anche dal variare della temperatura dell'aria.
L'esperimento torricelliano suscitò, sia in Italia sia oltralpe, vivaci discussioni fra 'vacuisti' e 'pienisti', ovvero fra quanti ammettevano e quanti negavano la possibilità del vuoto. Benché nella lettera a Ricci, Torricelli si fosse detto certo che la colonna di mercurio, scendendo, lasciasse dietro di sé uno spazio vuoto, evitò, in seguito, di intervenire nel dibattito. Se alcuni studiosi hanno letto in tale comportamento il segno di un assoluto disinteresse per questioni di carattere filosofico, altri lo hanno interpretato come un atteggiamento dettato dalla prudenza. Memore della triste vicenda galileiana, Torricelli si sarebbe sottratto al dibattito sul vuoto, come pure alle discussioni cosmologiche, per non compromettere i propri rapporti con i gesuiti.
Che Torricelli fosse piuttosto refrattario alle polemiche lo dimostra anche un altro episodio della sua carriera scientifica. All'indomani della pubblicazione dell'Opera geometrica, Marin Mersenne scrisse al loro autore esprimendo, anche a nome di Descartes e Gilles Personne de Roberval, pesanti riserve sulla teoria galileiana dell'accelerazione, che sembrava non trovare riscontro nelle esperienze. Dopo aver tentato di difendere la nuova scienza del moto attraverso alcune lettere che pregò Mersenne di non divulgare, Torricelli decise di troncare la discussione. Scrivendo all'amico Ricci, a Roma, dichiarò di non essere interessato alla questione se i principî della dottrina de motu fossero veri, poiché se anche fossero stati falsi si potevano comunque considerare tutte le conseguenze che ne derivavano come cose "pure geometriche". Che Torricelli fosse però intimamente convinto della verità di quei principî lo dimostrano alcune lettere che indirizzò successivamente a Giovan Battista Renieri, fratello di Vincenzo, in cui cercò di dimostrare che l'apparente discrepanza fra la teoria galileiana del moto dei proietti e la pratica dei bombardieri dipendeva soltanto da impedimenti materiali, quali la resistenza dell'aria.
A cose "piuttosto fisiche, che mattematiche" sono dedicate le otto lezioni che Torricelli lesse fra il 1642 e il 1643 al cospetto degli accademici della Crusca, per invito del principe Leopoldo de' Medici, e che furono pubblicate nel 1715 da Tommaso Bonaventuri insieme ad altre quattro conferenze presentate allo Studio fiorentino, all'Accademia del Disegno e all'Accademia dei Percossi. Le Lezioni accademiche, scritte in una prosa agile e informale, vicina a quella usata da Galilei, trattano di temi quali la percossa, la leggerezza, il vento, la fama, l'architettura militare e il secolo d'oro.
Se le ricerche nel campo della matematica e della meccanica procurarono a Torricelli una chiara fama internazionale, ingenti guadagni gli derivarono dalla costruzione di lenti. Egli si vantò in più occasioni di essere arrivato "per via di speculazione geometrica" a scoprire quel "segreto degli occhiali", che il granduca volle ricompensare con un prezioso dono. Il fatto stesso che Torricelli non abbia lasciato nessuno scritto di ottica, sembra però indicare che il suo segreto non fosse di natura teorica, ma consistesse unicamente in una raffinata tecnica di lavorazione dei vetri. A Torricelli è attribuita pure l'invenzione del microscopio 'a perlina', che si rivelò un prezioso strumento nelle mani dei biologi.
Torricelli stava lavorando alla stesura del Racconto di alcuni problemi proposti e passati tra i matematici di Francia et il Torricelli, quando fu sorpreso da una malattia virulenta che in pochi giorni lo portò alla morte. Si spense a Firenze il 25 ottobre del 1647, anno nel quale scomparvero pure Bonaventura Cavalieri e Vincenzo Renieri. I canonici di San Lorenzo a Firenze non vollero concedere onorata sepoltura al corpo dell'illustre discepolo di Galilei, che finì in un deposito comune, per poi essere disperso. Tale episodio appare quasi emblematico del destino toccato anche alle opere non edite in vita da Torricelli. Lodovico Serenai, suo esecutore testamentario, tentò invano di convincere Michelangelo Ricci e Raffaello Magiotti a curarne la stampa. A sobbarcarsi il gravoso compito fu alla fine Vincenzo Viviani, il quale morì senza essere riuscito a portare a termine il lavoro di correzione, risistemazione e completamento dei manoscritti torricelliani. Bisognerà aspettare il terzo centenario della nascita di Torricelli per vedere pubblicata un'edizione completa, anche se non troppo attendibile dal punto di vista filologico e scientifico, delle Opere di Evangelista Torricelli.
Baldini 1980: Baldini, Ugo, La scuola galileiana, in: Storia d'Italia. Annali 3. Scienza e tecnica, Torino, Einaudi, 1980, pp. 381-463.
Belloni 1972: Belloni, Luigi, Il microscopio applicato alla biologia da Galileo e dalla sua Scuola (1610-1661), in: Saggi su Galileo Galilei, raccolti e pubblicati da Carlo Maccagni, Firenze, Barbèra, 1972-; v. II, pp. 689-730.
Bertoloni 1987: Bertoloni, Giuseppe, La faentinità di Evangelista Torricelli e il suo vero luogo di nascita, "Torricelliana", 38, 1987, pp. 85-94.
Blay 1985: Blay, Michel, Varignon et le statut de la loi de Torricelli, "Archives internationales d'histoire des sciences", 35, 1985, pp. 330-345.
Galluzzi 1976: Galluzzi, Paolo, Evangelista Torricelli. Concezione della matematica e segreto degli occhiali, "Annali dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze", 1, 1976, pp. 71-95.
‒ 1979: Galluzzi, Paolo, Vecchie e nuove prospettive torricelliane, in: La scuola galileiana. Prospettive di ricerca, Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 13-51.
de Gandt 1992: Gandt, François de, L'évolution de la théorie des indivisibles et l'apport de Torricelli, in: Geometria e atomismo nella scuola galileiana, a cura di Massimo Bucciantini e Maurizio Torrini, Firenze, Olschki, 1992, pp. 103-118.
Giusti 1990: Giusti, Enrico, Galilei e le leggi del moto, in: Galilei, Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed ai movimenti locali, a cura di Enrico Giusti, Torino, Einaudi, 1990, pp. X-XL.
de Waard 1936: Waard, Cornelis de, L'expérience barométrique. Ses antécédents et ses explications. Étude historique, Thouars, Imprimerie Nouvelle, 1936.