La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. Ingegneria e macchine
Ingegneria e macchine
Questo capitolo è dedicato allo studio di progetti ingegneristici su vasta scala e alla tecnologia meccanica, nel loro sviluppo tra la metà del XV e l'inizio del XVII secolo. Data l'importanza che riveste ai fini della comprensione dell'evoluzione delle scienze meccaniche, questo tema è stato studiato non soltanto dagli storici della tecnologia, ma anche, se pur con minore attenzione, dagli storici della scienza.
La pubblicazione di testi, commentari e studi specialistici ha reso disponibile una consistente mole di documenti storici riguardanti l'ingegneria della prima Età moderna. Questo materiale, tuttavia, non è stato ancora sufficientemente utilizzato per rispondere alle problematiche concernenti l'emergere della scienza moderna. L'interesse degli storici della tecnologia, infatti, si è concentrato principalmente sulle conquiste dell'ingegneria, quali la costruzione di macchine, canali o fortificazioni, o sui più sbalorditivi progetti degli ingegneri, anche nei casi in cui essi erano chiaramente irrealizzabili dal punto di vista pratico.
Nell'ambito della storia della scienza, invece, sono stati tradizionalmente privilegiati due aspetti dell'opera degli ingegneri impegnati nelle realizzazioni meccaniche, ritenuti decisivi per l'emergere della meccanica moderna. Essi sono l'introduzione della sperimentazione e la ricerca di regole generali in grado di fornire spiegazioni ai fenomeni più frequentemente osservati dagli ingegneri durante il loro lavoro. Con le parole del sociologo della scienza Edgar Zilsel (2000, p. 14), "sperimentazione e misurazione erano attività del tutto normali per gli artisti-ingegneri e per i fabbricanti di strumenti, le cui regole quantitative empiriche anticipano le leggi fisiche della scienza moderna". Tali affermazioni, che risalgono agli anni Quaranta del XX sec., dimostrano come il contributo dei tecnici alla nascita della scienza moderna ricevette attenzione a partire da questo periodo anche da parte di storici e sociologi come, oltre a Zilsel, Leonard Olschki, Boris Hessen e Henryk Grossmann. Gli storici della scienza delle generazioni successive, e in particolare Alexandre Koyré e Rupert Hall, si rifiutarono invece di attribuire alle attività dei tecnici un ruolo significativo nel processo che portò alla nascita della scienza moderna. Il dibattito riguardante il ruolo degli ingegneri era generalmente connesso alle discussioni sulla nascita della scienza moderna, incentrate sulla contrapposizione fra ragioni interne e ragioni esterne. Di recente, l'importanza della pratica ingegneristica durante le epoche precedenti alla meccanica classica è stata rivalutata alla luce della cosiddetta 'svolta pratica' della storia della scienza, la quale evidenzia soprattutto i presupposti materiali del ragionamento scientifico e tende a negare che vi sia una rigida dicotomia fra teoria e pratica.
Questo capitolo è diviso in quattro parti. In primo luogo introduce l'ingegneria e la tecnologia meccanica che furono i campi più innovativi in ambito tecnologico durante il periodo preso in considerazione. Successivamente tratta delle condizioni sociali che costituiscono il presupposto di quella integrazione tra diverse fonti di conoscenza che caratterizzò gli inizi della scienza moderna. In seguito affronta gli aspetti cognitivi dell'ingegneria in rapporto ai mezzi di rappresentazione della conoscenza impiegati dagli ingegneri e in particolare i trattati, i disegni e i modelli in scala ridotta. Infine descrive alcuni esempi tratti dall'attività ingegneristica, che hanno influito in modo particolare sulla scienza moderna.
La prima sezione di questa parte ripercorre brevemente lo sviluppo dell'ingegneria nel mondo antico e durante il Medioevo. Nella seconda e nella terza sezione saranno affrontati i processi innovativi che interessarono le grandi opere di ingegneria e la tecnologia meccanica agli inizi dell'Età moderna, rilevando come l'accelerazione dei processi innovativi tipica di questo periodo ponesse una serie di sfide agli esperti di ingegneria, sia sul piano tecnico sia su quello organizzativo.
Innovazione e continuità tra Medioevo ed Età moderna
Gli inizi della storia dell'ingegneria si possono far risalire alle grandi civiltà della Mesopotamia e dell'Egitto, durante le quali furono realizzate importanti opere nel campo delle costruzioni e dell'irrigazione. Anche l'epoca greco-romana, nonostante il continuo variare dei centri del potere politico e culturale, coincise nelle regioni mediterranee con un lungo periodo di sviluppo tecnologico. Le attività comprendevano la realizzazione di grandi opere ingegneristiche, come macchine da assedio, sistemi di approvvigionamento idrico e impianti minerari, accanto alla fabbricazione di congegni più sofisticati, quali dispositivi meccanici di vario tipo e automi. Al tempo delle invasioni barbariche, tuttavia, nelle regioni dell'Europa centrale gran parte dell'avanzata esperienza ingegneristica andò perduta e solo a partire dall'Alto Medioevo la ripresa dell'attività tecnologica portò a una nuova graduale accumulazione delle conoscenze che, grazie anche all'importazione di tecnologie dal Vicino Oriente, si tradusse in un'accelerazione dei processi innovativi.
Sulla scorta delle numerose opere di Lynn White jr, sono apparsi dettagliati studi dedicati alle innovazioni tecnologiche realizzate in epoca medievale, in campi quali l'agricoltura, l'industria tessile, la metallurgia e la produzione delle armi. Per quanto riguarda l'ingegneria meccanica, la continuità e l'innovazione sono particolarmente visibili nell'uso delle tecniche molitorie e delle macchine ossidionali. I mulini idraulici per la macinazione del grano, già noti ai Romani, continuarono a essere utilizzati, come è confermato sia dalle fonti scritte sia da recenti scoperte archeologiche. In epoca carolingia, nelle aree dell'Europa centrale più densamente popolate, il grano era frequentemente macinato con mezzi meccanici. Le ingenti spese necessarie erano sostenute dai monasteri o da altri grandi proprietari terrieri, per i quali i mulini rappresentavano un investimento proficuo a lungo termine. Nell'Alto Medioevo, la tecnica molitoria rappresentò uno dei campi più avanzati dell'esperienza tecnologica. L'applicazione dei meccanismi a ingranaggi portò, per esempio, alla costruzione di gualchiere e mulini per frantumare i minerali e segare il legname. Tuttavia, il numero effettivo di questi mulini industriali restò molto limitato. A partire dal XII sec. fu introdotta in Europa una nuova fonte di energia, quella eolica. La diffusione dei mulini a vento dal Vicino Oriente all'Europa centrale è un esempio dell'influsso positivo che l'aumento degli scambi culturali, come conseguenza delle Crociate, esercitò sullo sviluppo della tecnologia, generando un flusso costante di innovazioni tecniche dal Vicino e dall'Estremo Oriente all'Europa medievale.
Fino all'Alto Medioevo, le tecniche di assedio si basavano su grandi costruzioni di legno già note nei tempi antichi, come torri mobili, vinee e arieti. Il trabocco, una grande catapulta a contrappeso che rappresentò l'innovazione più significativa tra le tecniche di assedio introdotte nell'Alto Medioevo, fu anch'esso frutto della trasmissione di conoscenze dal Vicino Oriente. Nel XIII sec. le prestazioni di questo tipo di catapulta, che inizialmente richiedeva l'intervento di una squadra che abbassasse velocemente il lato più corto della macchina per mezzo di corde, migliorarono grazie all'uso di contrappesi fissi. Una volta innalzati, i trabocchi erano in grado di scagliare in rapida successione proiettili fra i 50 e i 100 kg di peso.
Con il passaggio all'epoca moderna, le tecniche di assedio mutarono in modo ancora più radicale, in seguito all'introduzione della polvere da sparo e dei cannoni di metallo fuso. Oltre al cannone, le innovazioni che produssero le maggiori conseguenze sul piano del rinnovamento economico, politico e culturale, anch'esse in parte frutto di scambi culturali, furono il compasso, l'orologio meccanico e il torchio da stampa. Tuttavia, in riferimento alle grandi opere ingegneristiche e alla tecnologia meccanica, il processo innovativo, più che da invenzioni spettacolari, fu caratterizzato, come si vedrà di seguito, da una serie ininterrotta di piccoli cambiamenti. Grazie anche all'accresciuta esperienza sul piano logistico e organizzativo, tale processo produsse comunque risultati di straordinaro rilievo.
Grandi opere di ingegneria nella prima Età moderna
La crescente importanza dei progetti ingegneristici nell'Europa degli inizi dell'Età moderna deve essere messa in rapporto con il concomitante processo di organizzazione del territorio e con l'affermarsi del potere politico-economico delle città. Superati i devastanti effetti delle epidemie del XIV sec., numerosi centri locali si trovarono a competere per l'egemonia economica, politica e culturale. Un'amministrazione del territorio più efficiente e la crescita della popolazione urbana favorirono il consolidamento delle infrastrutture, per esempio di strade e canali, e la realizzazione di fortificazioni. I progetti su vasta scala nel campo dell'architettura civile e militare, dell'ingegneria idraulica e dello sfruttamento del sottosuolo divennero i nuclei intorno ai quali si sedimentarono le conoscenze tecniche più avanzate.
La realizzazione di progetti architettonici particolarmente ambiziosi pose fine all'anonimato che caratterizzava l'attività degli esperti di tecnologia durante il Medioevo. Per esempio, la straordinaria cupola del duomo di S. Maria del Fiore a Firenze, opera di Filippo Brunelleschi (1377-1446), è un capolavoro che richiese, per la sua realizzazione, una combinazione di geometria applicata, tecniche avanzate di costruzione, dispositivi innovativi per il sollevamento dei pesi e rigore organizzativo. Le macchine per il sollevamento dei pesi inventate da Brunelleschi furono ricordate persino nell'epitaffio sulla sua tomba in S. Maria del Fiore. Alcuni decenni più tardi, Aristotele Fioravanti divenne famoso per aver organizzato a Bologna il trasferimento di intere torri. La tradizione secondo la quale uno dei suoi figli salutava la folla dall'alto di una torre, durante il suo spostamento, dimostra il grande interesse che tali iniziative suscitavano nel pubblico. Un altro esempio di questi ambiziosi progetti è rappresentato dal trasporto e dall'innalzamento di un obelisco in Vaticano, organizzato nel 1586 da Domenico Fontana. Questa operazione fu preceduta da un vivace dibattito pubblico sulle tecniche più opportune da impiegare.
All'inizio dell'Età moderna, con la trasformazione delle tecniche di assedio dovuta all'impiego dei cannoni, anche le opere di fortificazione subirono una profonda modificazione. Il sistema difensivo medievale privilegiava la costruzione di alte mura, che gli assedianti tentavano di scalare o di indebolire servendosi di torri mobili, arieti e macchine simili. Le città e i castelli fortificati in tal modo, tuttavia, si dimostrarono estremamente vulnerabili ai colpi delle armi da fuoco. Durante il XVI sec., quindi, le strutture difensive mutarono radicalmente e ci si orientò verso la costruzione di mura basse e larghe ‒ più idonee ad assorbire l'urto delle palle di cannone ‒ e di bastioni di forma geometrica, con l'obiettivo di prevenire gli attacchi dagli angoli morti. Le dimensioni ragguardevoli di queste opere, nonché la necessità di adottare rapidamente il nuovo sistema, costrinsero gli ingegneri a rendere più razionale il processo di pianificazione e di organizzazione del lavoro. Data la grande importanza che le fortificazioni rivestivano per le comunità, gli esperti in questo campo, come Buonaiuto Lorini (1540 ca.-1611 ca.) e Daniel Specklin (1536-1589), acquisirono grande fama tanto in Italia quanto nel resto d'Europa.
In questo periodo, anche i progetti nei settori dell'ingegneria idraulica e mineraria assunsero dimensioni più ampie e complesse. In diverse regioni europee, in particolare in Olanda e nella Pianura Padana, fu estesa la rete dei corsi d'acqua che in epoca preindustriale costituivano le vie di trasporto più rapide ed economiche. Oltre che per il potenziamento dei trasporti fluviali, l'ingegneria idraulica fu impiegata per l'irrigazione e per la bonifica dei terreni paludosi, progetti che comportavano sia grandi lavori di sterro per l'apertura di nuovi canali e la costruzione di dighe, sia la progettazione di chiuse e sbarramenti idraulici. Per quanto riguarda il settore minerario, si deve segnalare che dalla fine del Medioevo l'espansione dell'attività estrattiva nelle regioni dell'Europa centrale generò nuove difficoltà tecniche e amministrative. Con la trivellazione di pozzi sempre più profondi alla ricerca di giacimenti, oltre al problema del trasporto dei materiali, sorse quello del drenaggio delle acque freatiche nelle miniere. Nei casi in cui non era possibile risolvere il problema delle infiltrazioni per mezzo di tunnel di sfogo scavati più in profondità, si cominciarono a impiegare sistemi di pompaggio. Nelle installazioni più imponenti, le pompe erano azionate da grandi ruote idrauliche alle quali erano collegate per mezzo di complessi meccanismi e ingranaggi. Sul finire del XVI sec., le attività minerarie in Sassonia dipendevano in gran parte dal funzionamento ininterrotto di questi meccanismi di sollevamento dell'acqua, che sfruttavano un vasto sistema di canali e bacini artificiali sia superficiali sia sotterranei.
La tecnologia meccanica nella prima Età moderna
Uno degli obiettivi perseguiti con maggiore impegno dagli ingegneri fu l'innovazione delle macchine, attuata con l'intento di risparmiare energia e di abbreviare i tempi di lavorazione. Sperimentando e collaudando continuamente nuove soluzioni, i tecnici cercarono di migliorare le prestazioni dei mulini e dei meccanismi per il sollevamento dell'acqua. La possibilità di osservare una vasta gamma di fenomeni relativi al moto e alle forze, offerta dall'ingegneria meccanica, fornì una solida base pratica allo sviluppo della meccanica moderna, come vedremo con maggiori particolari nell'ultima parte di questo capitolo.
Le macchine di questo periodo possono essere suddivise in dispositivi di sollevamento, progettati per facilitare il trasporto di carichi pesanti, e in dispositivi di meccanizzazione del lavoro, secondo la tradizione del mulino medievale. I dispositivi di sollevamento servivano a moltiplicare l'energia muscolare e ovviamente erano indispensabili nei cantieri e durante le campagne militari per trasportare e sollevare l'artiglieria pesante. Spesso si favoriva il maggiore rendimento delle installazioni fisse, come le gru nei porti, utilizzando ruote a pedali o anche congegni azionati da cavalli. I dispositivi di meccanizzazione del lavoro erano normalmente impiegati per operazioni più elementari, per esempio la lavorazione delle materie prime. Gli artigiani dell'Alto Medioevo, di cui la storia non ha conservato i nomi, avevano già ampliato il campo di applicazione della tecnologia molitoria, introducendo gli alberi a camme e altri elementi meccanici che consentivano di eseguire una grande varietà di operazioni: per esempio sollevare pesanti magli, azionare seghe e mantici, o mettere in moto le mazze battenti delle macchine per frantumare la corteccia impiegata nella concia e gli stracci macerati utilizzati per produrre la carta. Con l'inizio dell'Età moderna crebbe la diffusione di questo tipo di macchine nelle aree in cui era più intensa l'attività industriale. Furono sviluppati anche nuovi tipi di meccanismi di trasmissione, che consentivano di sollevare ininterrottamente grandi quantità di acqua. Azionati per mezzo di pompe, catene di secchi, ruote a cassette o coclee, i dispositivi di sollevamento dell'acqua assicurarono l'approvvigionamento idrico delle città e servirono a prosciugare miniere, paludi e argini di contenimento e, in alcuni casi, anche a irrigare i campi.
Gli ingegneri meccanici si concentrarono soprattutto sull'ottimizzazione dei motori primi e dei meccanismi di trasmissione dei dispositivi meccanici, inventati durante l'Alto Medioevo. Per quanto riguarda i motori primi, per esempio, furono modificate sia la forma delle pale delle ruote idrauliche sia la curvatura delle manovelle, in modo da sfruttare più efficacemente l'energia naturale e muscolare. Nel caso dei meccanismi di trasmissione, gli ingegneri realizzavano in continuazione nuovi elementi meccanici, che combinavano in modi sempre diversi, allo scopo di riprodurre ancora più esattamente i movimenti necessari allo svolgimento di una determinata procedura e a garantire il funzionamento ininterrotto e scorrevole del dispositivo. Gli elementi meccanici svolgevano molte funzioni; principalmente servivano a cambiare la direzione del moto nello spazio, come nel caso della tradizionale combinazione di ruota dentata e ingranaggio a lanterna, che trasferiva a una macina rotante su un asse verticale il moto rotatorio di una ruota idraulica verticale fissata su un asse orizzontale. Altri elementi meccanici servivano a trasformare in moto alternativo il moto rotatorio di un motore primo. Il più semplice di questi dispositivi era il già menzionato albero a camme, che consentiva di trasformare il moto rotatorio di una ruota idraulica nel movimento alternativo verticale delle mazze. A partire dal XV sec., per trasformare il moto rotatorio in moto alternativo, si cominciarono a utilizzare alberi a camme e bielle di ferro battuto, soprattutto allo scopo di aumentare l'uniformità del movimento dei pistoni nei cilindri delle pompe. I famosi manoscritti di Leonardo da Vinci offrono la migliore testimonianza della creatività dimostrata dagli ingegneri nell'esplorare le possibilità della trasmissione del moto nelle macchine. Negli ultimi trent'anni la ricerca storica ha rivalutato i risultati ottenuti da Leonardo nella meccanica pratica e l'attenzione degli studiosi si è spostata dalle invenzioni spettacolari, spesso falsamente attribuitegli, ai suoi tentativi di investigare alcuni complessi problemi di trasmissione del moto e in particolare di indagare su questioni di importanza fondamentale, come l'attrito, l'usura e la rottura. Benché la maggior parte dei contemporanei di Leonardo mantenesse una certa distanza da questi aspetti teorici, essi tuttavia mostrarono di condividere l'interesse per la sperimentazione pratica con la creazione e l'innovazione di singoli elementi meccanici.
Nonostante i numerosi tentativi di innovazione, i dispositivi meccanici non svolsero un ruolo determinante nell'economia della prima Età moderna. Uno dei limiti tecnici della meccanizzazione del lavoro era rappresentato dalla mancanza di materiali adatti allo svolgimento di operazioni complesse che comportavano l'applicazione di grandi forze. Le potenzialità dell'ingegneria meccanica di questo periodo, infatti, si manifestano con maggiore evidenza nel campo dei macchinari leggeri, meno soggetti a problemi di attrito, come dimostra il caso dei meccanismi dei mulini da seta nell'Italia settentrionale, in funzione sin dal XIV secolo. Questi affascinanti dispositivi idraulici, alti dai sei ai dieci metri, testimoniano la capacità dell'ingegneria meccanica di questo periodo di far simultaneamente eseguire a una singola macchina un'articolata serie di operazioni. In questo periodo furono realizzati anche ingranaggi complessi per orologi planetari e automi. I ripetuti tentativi di impiegare questo genere di ingranaggi anche nelle macchine destinate alla produzione industriale dimostrano che a limitare in modo decisivo il potenziale dell'ingegneria meccanica della prima Età moderna non fu la carenza di immaginazione dei tecnici, bensì la mancanza di materiali adatti allo scopo. Nell'ambito della ricerca sulle proprietà degli elementi meccanici, suscitò particolare interesse la capacità del volano e del pendolo di immagazzinare la forza per un determinato periodo di tempo.
I motivi della lenta ma continua meccanizzazione di alcune procedure, verificatasi a partire dall'Alto Medioevo, sono tuttora materia di dibattito. Spesso le fonti dell'epoca accennano alla possibilità di contenere i costi della manodopera con l'introduzione di dispositivi meccanici. La costruzione di impianti utilizzabili a scopi industriali, inoltre, poteva rappresentare una fonte di guadagno, come nel caso dei mulini per la fabbricazione della carta, che erano dati in affitto, secondo una consuetudine comunemente in uso già agli inizi del Medioevo, per i mulini atti alla macinazione del grano. è verosimile infatti che siano state proprio considerazioni economiche a spingere le autorità territoriali e altri investitori a sostenere le ingenti spese necessarie alla messa in opera di grandi impianti meccanici. I sovrani di questo periodo, oltretutto, erano attirati dalla tecnologia meccanica, sollecitati dalla curiosità e dal desiderio di novità e di svago, come è dimostrato dal loro interesse per gli automi e i sofisticati congegni a orologeria. A stimolare ulteriormente questo tipo di realizzazioni meccaniche era il prestigio culturale che ne derivava; nell'arco di alcuni decenni dall'invenzione dell'orologio meccanico, avvenuta alla fine del XIII sec., per diverso tempo gli orologi pubblici rappresentarono il vanto di tutte le città dell'Europa centrale.
I risultati ottenuti dall'ingegneria e dalla meccanica non sarebbero stati possibili senza un graduale processo di differenziazione sociale. Nella prima sezione del paragrafo è descritto l'emergere del riconoscimento istituzionale degli ingegneri e nella seconda è preso in considerazione il nuovo ruolo sociale che essi assunsero.
Forme di organizzazione sociale
Durante il Medioevo e agli inizi dell'Età moderna, l'attività artigiana e la vita economica in generale erano regolate da un sistema di norme imposto dalle Arti. Tuttavia la costruzione delle grandi macchine ossidionali, con i complessi problemi organizzativi che implicava, aveva spinto per la prima volta anche i sovrani ad assumere tecnici specializzati per la conduzione delle campagne militari. In seguito, gli esperti in tecnologia cominciarono a essere impiegati sempre più spesso presso Comuni e corti. In conseguenza di questo processo i tecnici specializzati si trovarono impegnati nella realizzazione di progetti architettonici e di opere di ingegneria civile al di fuori del sistema delle Arti. Nel periodo preso in esame, l'appalto dei lavori di ingegneria era regolato molto spesso da gare individuali indette dai consigli comunali, dalle altre autorità territoriali o da facoltosi mecenati. A volte gli ingegneri non si limitavano a progettare e a controllare l'andamento dei lavori, ma si occupavano anche di alcuni aspetti imprenditoriali; il committente in questi casi offriva una somma di denaro per il completamento dell'opera, affidando all'ingegnere la responsabilità di assumere gli artigiani e la manodopera necessaria.
A partire dal XV sec. furono istituiti organismi amministrativi più stabili che avevano lo scopo di facilitare la realizzazione delle grandi opere. Nei principali centri politici ed economici europei furono creati i primi impieghi di ruolo per la realizzazione e la manutenzione delle infrastrutture stradali e idrauliche, delle fortificazioni e delle opere di ingegneria meccanica. La presenza di questi esperti nell'amministrazione contribuì ad aumentare la consapevolezza dei problemi tecnici fra i membri dell'élite politica.
Le strutture amministrative per il controllo delle attività ingegneristiche erano sorte inizialmente per far fronte ai problemi posti dai grandi cantieri medievali, nei quali era già evidente la tendenza alla standardizzazione e alla razionalizzazione che si sarebbe affermata in seguito. Già nei primi decenni del XV sec. si afferma una tendenza alla differenziazione nell'ambito degli apparati amministrativi, come attestano i documenti conservati negli archivi della cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze.
Strutture simili sorsero anche presso i cantieri navali; è questo il caso dell'Arsenale di Venezia che, all'inizio dell'Età moderna, era uno dei più grandi centri industriali europei. Nell'Arsenale trovò applicazione una vastissima gamma di conoscenze tecniche, sviluppatesi per far fronte alle crisi militari ed economiche. Alcuni dei più importanti problemi tecnici riguardavano la progettazione delle galere e il loro adattamento alle nuove esigenze, la fusione dei cannoni e la costruzione e l'uso di apparecchiature per il sollevamento dei carichi pesanti, problemi comuni a tutti i cantieri navali.
Al di là della tradizionale divisione del lavoro fra capomastro e apprendista, si delineò una serie di livelli intermedi di responsabilità, per esempio il 'proto', il 'patrone' e il 'provveditore', che riempivano il vuoto fra competenza tecnica e capacità organizzativa. Anche l'amministrazione delle infrastrutture territoriali richiese ben presto un analogo processo di divisione del lavoro. Per la costruzione dei canali, per esempio, oltre alle competenze tecniche, era necessario affrontare anche delicate questioni giuridiche e politiche riguardanti la proprietà terriera. A differenza di questi professionisti dell'amministrazione territoriale, i tecnici chiamati a lavorare presso le corti rinascimentali svolgevano ruoli molto meno definiti e in genere erano apprezzati per la loro capacità di occuparsi di una vastissima gamma di attività. Nella famosa bozza della lettera a Ludovico Sforza, duca di Milano, detto il Moro (1452-1508), documento rappresentativo di una lunga serie di analoghe richieste di impiego, Leonardo metteva al servizio del duca la propria competenza in una grande varietà di settori, che andavano dalla costruzione di ponti e condotte d'acqua alla fabbricazione dei pezzi di artiglieria, offrendogli infine i propri servigi come artista di corte, creando alcuni tra i suoi più grandi capolavori.
La nascita di una nuova categoria di intellettuali
Le molteplici esigenze poste dalla realizzazione delle grandi opere d'ingegneria messe in cantiere in questo periodo portarono alla formazione di una nuova categoria di intellettuale, incaricato delle attività di pianificazione richieste da tali progetti, con mansioni non soltanto tecniche ma anche logistiche e organizzative. Resta tuttavia difficile individuare esattamente le caratteristiche di questa figura di intellettuale. Le definizioni di 'artista-ingegnere', 'ingegnere-scienziato', 'ingegnere-architetto' e 'amministratore-ingegnere-scienziato', utilizzate dagli storici moderni, descrivono tutte altrettanto bene lo status polivalente degli esperti d'ingegneria di questo periodo, che deriva dalla diversa estrazione sociale e dai ruoli molto differenziati che ricoprivano.
L'eterogenea formazione scolastica degli ingegneri è documentata in modo esemplare da una ricerca compiuta sulle biografie di centottantasei esperti coinvolti nella realizzazione di progetti di ingegneria nella Spagna del XVI secolo. Di questi, solo il 10% aveva studiato matematica, filosofia della Natura o cosmografia all'università, mentre il 25% proveniva dagli studi e dalla pratica dell'architettura. La maggioranza, cioè il 55%, era rappresentata da artigiani specializzati. In mancanza di corsi ufficiali di ingegneria, la formazione della maggior parte degli individui che aspiravano a lavorare in questo campo avveniva nell'ambito della tradizionale bottega artigiana. L'esempio di Leonardo, che si definiva 'omo sanza lettere', dimostra che i primi ingegneri moderni erano pienamente consapevoli dei limiti costituiti dalla mancanza di un'istruzione superiore.
Gli ingegneri di questo periodo avevano uno status sociale indefinito. La condizione degli esperti al servizio delle corti dipendeva dalle intemperanze tipiche del mecenatismo, vincolato alle esigenze di potere e di prestigio. Quelli che riuscivano a lavorare tutta la vita presso una famiglia principesca erano una minoranza, mentre la maggior parte era costretta a spostarsi da una corte all'altra. L'elevata mobilità risultante da questa situazione è perfettamente illustrata dalla vita avventurosa dell'ingegnere e architetto di giardini Salomon de Caus (1576-1626), che nel corso della sua carriera fu al servizio dei sovrani di quattro paesi: Olanda, Inghilterra, Germania e Francia. Ad alimentare la concorrenza fra gli esperti tecnici non vi era soltanto il mutevole favore delle corti, ma anche le gare di appalto per l'assegnazione di incarichi individuali, a cui abbiamo accennato prima. Il conseguente fenomeno dell'emigrazione all'interno di uno stesso paese o gli spostamenti fra l'Italia e le altre regioni europee sono ampiamente documentati in questo periodo.
L'emergere di una nuova categoria di intellettuali era stimolato dal bisogno di innovazione e di diversificazione professionale. In seguito alle grandi sfide tecniche e organizzative rappresentate dai nuovi progetti, gli ingegneri, in continua concorrenza tra loro, intrapresero la strada dell'innovazione con maggiore determinazione rispetto agli artigiani impegnati nelle Arti. Inoltre, la ricerca di soluzioni innovative si inseriva perfettamente nel clima culturale delle corti del periodo, caratterizzato da un gusto spiccato per l'invenzione nei diversi campi dell'attività letteraria, artistica e artigianale. A partire dal XV sec. in differenti paesi europei i progetti innovativi di congegni meccanici cominciarono a essere tutelati da una speciale prassi giuridica, che segnò l'inizio del moderno sistema dei brevetti.
Un esempio particolarmente significativo di diversificazione professionale è quello di Simon Stevin (1548-1620), attivo in vari settori dell'ingegneria. Egli lavorò al servizio del principe Maurizio d'Orange-Nassau e fece parte di svariate commissioni per la realizzazione di progetti d'ingegneria. Per tutta la vita Stevin si occupò della costruzione di mulini e di altre opere idrauliche, ottenendo numerosi brevetti per l'invenzione di congegni meccanici. Ebbe inoltre un forte interesse per le speculazioni teoriche e pubblicò una serie di trattati su argomenti che spaziavano dalle fortificazioni e dalla pianificazione urbanistica, all'aritmetica e alla meccanica. I suoi tentativi di analisi teorica su complessi problemi d'ingegneria sfociarono nella compilazione di brevi trattati dedicati a temi quali, per esempio, la prevenzione dell'usura nella progettazione delle ruote dentate.
Negli scritti non pubblicati di Stevin si trovano anche dettagliati tentativi di calcolare il rendimento dei mulini a vento impiegati per il drenaggio delle acque. Anche Galilei, che generalmente è considerato innanzi tutto, se non esclusivamente, uno scienziato, si occupò di un'ampia gamma di questioni tecnologiche, come dimostrano, per esempio, i suoi scritti di idraulica, tra i quali figura un trattato sulla regolazione delle acque del fiume Bisenzio, scritto in qualità di consulente tecnico del granduca di Toscana. Per quanto eccezionale, la carriera di Galilei, che da professore di matematica e ingegnere-scienziato presso la Repubblica di Venezia divenne un autorevole filosofo e matematico alla corte medicea, è comunque indicativa dell'appartenenza di alcuni protagonisti della Rivoluzione scientifica alla nuova categoria di intellettuali costituita dagli ingegneri.
Spesso la dimensione cognitiva dell'ingegneria nella prima Età moderna è stata descritta solo negativamente ‒ in opposizione al ragionamento scientifico ‒ come un insieme di esperienze trasmesse direttamente o una 'conoscenza tacita', nel senso di un'acquisizione di determinate competenze attraverso la pratica. Tale caratterizzazione, tuttavia, non basta a illustrare la grande versatilità intellettuale degli ingegneri. Per rispondere alle sfide poste dall'importanza militare, economica e culturale dei progetti di cui erano incaricati, essi sentirono l'esigenza di superare i limiti delle conoscenze tradizionali attingendo ad altre fonti, che oltrepassavano le pratiche artigianali e includevano il ragionamento scientifico.
La prima parte di questo paragrafo offre una descrizione della vasta gamma di competenze e risorse cognitive degli ingegneri di questo periodo. Sulle conoscenze degli ingegneri-scienziati e sul modo in cui esse erano utilizzate nei vari contesti sociali, culturali e intellettuali, influirono in modo decisivo alcuni specifici mezzi di rappresentazione, di cui parleremo nelle sezioni successive, come i trattati d'ingegneria, i disegni e i modelli. Tutti questi mezzi di rappresentazione svolsero un ruolo di mediazione, sia sul piano sociale sia su quello intellettuale. Grazie alla stampa, infatti, la diffusione delle conoscenze degli ingegneri superò i limiti imposti dalle tradizioni professionali. I disegni e i modelli consentirono il trasferimento delle informazioni dalla bottega e dal cantiere alla corte o alle autorità comunali, divenendo il mezzo attraverso il quale l'ingegnere assumeva il ruolo di intermediario fra clienti, organi amministrativi e artigiani. Essi inoltre costituivano la documentazione che illustrava le nuove conoscenze tecniche, consentendo di tramandare e di analizzare le varie esperienze al di là del contesto specifico della loro applicazione pratica.
Competenze di base e fonti del sapere comune
Per gestire gli aspetti amministrativi delle grandi opere di ingegneria realizzate in questo periodo era indispensabile, come minimo, saper scrivere, leggere e far di conto. Oltre a queste capacità di base, gli ingegneri avevano a disposizione una gamma di fonti del sapere comune, che costituivano una raccolta eterogenea di tradizioni, in parte incompatibili fra loro. Questo patrimonio di conoscenze comprendeva oltre alla geometria pratica, anche le esperienze acquisite durante la realizzazione dei grandi progetti, le impalcature teoriche aristoteliche e la geometria euclidea. Le conoscenze geometriche erano di importanza vitale in tutte le branche dell'ingegneria: servivano nei rilevamenti per misurare le distanze, le altezze degli edifici e la profondità di miniere e pozzi, erano necessarie anche per calcolare il posizionamento dei cannoni e per progettare le fortificazioni in modo da prevenire gli attacchi dagli angoli morti. Le esperienze acquisite durante la realizzazione di grandi opere ingegneristiche fornivano le competenze logistiche e organizzative indispensabili agli ingegneri per svolgere la funzione di responsabili della pianificazione. Una particolare fonte di conoscenze era rappresentata dal crescente numero di trattati scientifici antichi e medievali in circolazione, che fornì agli ingegneri una serie di importanti strumenti teorici.
Con le dimostrazioni delle proprietà delle figure, costruite con riga e compasso, la geometria euclidea, oltre a servire da modello alla scienza degli inizi dell'Età moderna, si rivelò anche uno strumento indispensabile per gli ingegneri alle prese con diversi problemi di tipo pratico. Non meno importante era la fisica aristotelica, basata sulla conoscenza intuitiva del mondo fisico. Un altro fondamentale corpus di conoscenze era rappresentato dalla tradizione della meccanica antica, trasmessa da numerosi trattati composti nell'antica Grecia o in epoca ellenistica, come le Quaestiones mechanicae attribuite ad Aristotele e gli scritti di Archimede, Erone di Alessandria (I sec. d.C.) e Pappo di Alessandria (fine III sec. d.C.). L'antica tradizione della filosofia della Natura e della meccanica era stata inoltre notevolmente arricchita dal contributo degli studiosi arabi e latini medievali. A partire dal XV sec. i trattati antichi e medievali divennero sempre più facilmente accessibili grazie agli sforzi degli umanisti e degli ingegneri-scienziati con interessi specifici, come dimostrano le edizioni di scritti medievali di meccanica a cura di Niccolò Tartaglia (1499/1500-1557). Intorno al 1500, Leonardo da Vinci era già a conoscenza di un numero cospicuo di manoscritti antichi e medievali circolanti in Italia. Questa ricchezza di fonti consentì agli studiosi e agli ingegneri di beneficiare non soltanto delle conoscenze teoriche trasmesse dai testi classici, ma anche, per esempio, delle spiegazioni del moto basate sul concetto di impeto, sviluppato fin dalla Tarda Antichità, della scienza medievale dei gravi, culminata negli scritti di Giordano Nemorario (1225-1260), e dei risultati delle ricerche medievali sulle proprietà del moto e in particolare di quelle di Tommaso Bradwardine (1290 ca.-1349) e Nicola Oresme (1323 ca.-1382). Sebbene giungessero agli studiosi di questo periodo a volte soltanto in forma frammentaria, le conoscenze apportate da queste fonti costituirono, nondimeno, una base comune per le molteplici iniziative intellettuali intraprese in questo periodo e spesso fornirono agli ingegneri-scienziati solidi argomenti di cui avvalersi nelle frequenti polemiche contro l'aristotelismo.
Verso la fine del XVI sec., gli studiosi di meccanica tentarono di integrare le diverse tradizioni del pensiero meccanico in una visione più coerente e in questo contesto emerse quella che si può definire 'meccanica preclassica'. La sua peculiarità era la combinazione tra le soluzioni dettate dai problemi pratici e l'insieme delle conoscenze teoriche tradizionali formatosi sin dall'Antichità. Come esamineremo in maniera più dettagliata nella parte finale di questo capitolo, l'analisi di complessi congegni meccanici in termini di macchine semplici si rivelerà come un importante punto d'incontro tra le conoscenze derivate dall'attività pratica e quelle provenienti dagli studi teorici. L'approccio basato sulla classificazione delle macchine semplici, ovvero bilancia, leva, cuneo, vite, argano e carrucola, risale all'Antichità e fu preservato grazie a un frammento di Erone di Alessandria, citato nelle opere di Pappo. Si deve a Guidobaldo Dal Monte, con il suo importante Mechanicorum liber (1577), la prima trattazione completa delle macchine semplici. La sua analisi teorica fu ripresa in seguito, fra gli altri, da Galilei nel trattato Le mecaniche, composto intorno al 1593 poco dopo il suo arrivo a Padova, e che circolò in forma manoscritta fino al 1634, quando ne fu pubblicata una traduzione francese.
In un'epoca in cui non esistevano ancora né libri di testo né riviste specializzate, l'acquisizione, da parte degli ingegneri, delle competenze di base e del patrimonio di conoscenze avveniva attraverso diversi tipi di istruzione. Nelle botteghe degli artigiani si imparava di solito, oltre al disegno, anche a scrivere, leggere e far di conto. In alcuni casi, gli ingegneri approfondivano la conoscenza della matematica iscrivendosi alle scuole di abaco, frequentate in genere dai figli dei mercanti. L'insegnamento della geometria avanzata e dell'uso degli strumenti geometrici era appannaggio dei maestri privati, come dimostrano le lezioni private sull'ingegneria delle fortificazioni impartite da Galilei durante il suo soggiorno nella Repubblica di Venezia. L'importanza della matematica, della geometria e del disegno tecnico si deduce anche dal fatto che questi erano i principali insegnamenti impartiti dalle prime accademie di ingegneria, istituite verso la fine del XVI sec. in Italia, Spagna e Olanda. L'acquisizione di altri tipi di conoscenze tecniche, quali per esempio le competenze logistiche e organizzative, era possibile soltanto attraverso la partecipazione a progetti concreti. Viaggiare, inoltre, diveniva indispensabile in quanto consentiva agli ingegneri sia di accumulare esperienze, sia di venire a contatto con le diverse realtà tecnologiche. Un'educazione di tipo superiore, infine, dipendeva quasi esclusivamente da circostanze particolari e da situazioni personali. L'inventario delle biblioteche appartenute a studiosi d'ingegneria quali Leonardo, l'ingegnere e architetto ferrarese Giambattista Aleotti (1546-1636) e il capomastro dei duchi del Württemberg, Heinrich Schickhardt (1558-1635), rivela una grande varietà di interessi, che spaziano da opere dedicate a problemi di ordini pratico, alla letteratura umanistica e ai trattati scientifici. Le sfide poste dall'ingegneria di questo periodo, spinsero gli ingegneri a servirsi di queste fonti, ponendo per la prima volta a confronto fra loro questi diversi rami della conoscenza. L'integrazione di tali risorse cognitive di diversa origine fu consentita in gran parte dai particolari mezzi di rappresentazione, ideati e impiegati dagli ingegneri della prima Età moderna.
I mezzi di rappresentazione: i trattati
Gli autori antichi avevano già dedicato numerosi trattati alle diverse branche dell'ingegneria. Filone di Bisanzio (III sec. a.C.), Frontino (35-103/104 ca.) ed Erone di Alessandria si erano occupati, fra l'altro, delle tecniche di assedio, dei sistemi di approvvigionamento idrico e dei congegni meccanici. Anche il prestigioso De architectura di Vitruvio (55 a.C. ca.-14 d.C.) affrontava problemi di ingegneria e tecnologia meccanica. La trasmissione delle fonti ellenistiche, come per esempio le opere di Erone, avvenne in massima parte attraverso gli autori islamici medievali. Fra il IX sec. e l'inizio del XIII, gli studiosi al servizio delle corti arabe, come i fratelli Banū Mūsā (IX sec.) e al-Ǧazarī (inizi del XIII sec.), composero nuovi trattati sugli automi e su diversi problemi di tecnologia meccanica. In Europa le questioni di ingegneria cominciarono a essere affrontate in maniera specifica soltanto verso la fine del Medioevo. Comparvero in questo periodo i cosiddetti 'manuali dell'artigliere', che servivano a diffondere le conoscenze di tecnologia militare, quali, per esempio, le formule per produrre, conservare e utilizzare la polvere da sparo. A metà del XVI sec. cominciò a diffondersi un numero crescente di testi sulle fortificazioni di nuova concezione, mentre le prime opere esaurienti di ingegneria idraulica, come i trattati di Giambattista Aleotti e di Benedetto Castelli, risalivano agli inizi del XVII secolo. Per buona parte del Cinquecento comunque i trattati ingegneristici circolarono soprattutto in forma manoscritta. Alla fine del secolo, la diffusione della stampa aveva rafforzato alcune tendenze generali, riscontrabili nella letteratura tecnica. Essa, privilegiando l'uso del volgare a quello del latino, si rivolgeva non soltanto a un pubblico colto e ai potenziali mecenati, ma anche agli stessi artigiani che avevano ricevuto un'istruzione, affrontando argomenti sempre più specialistici.
La pubblicazione delle opere di ingegneria, aumentando il prestigio culturale di questo tipo di studi, favorì l'ascesa sociale della figura dell'ingegnere e la rivendicazione di un ruolo nettamente differenziato da quello del semplice artigiano analfabeta. Gli autori non mancavano di avanzare tali rivendicazioni nei propri scritti, sottolineando che la loro professione si basava sulle scienze della matematica e della meccanica, sebbene i loro testi descrivessero raramente le applicazioni concrete di tali conoscenze scientifiche. I trattati d'ingegneria della prima Età moderna costituiscono, quindi, da questo punto di vista un genere nettamente distinto dalla letteratura scientifica.
Pur fornendo una gran quantità di informazioni riguardo alla tecnologia del tempo, queste opere lasciano intravedere soltanto una minima parte, scelta con cura, delle attività concrete degli esperti. L'autore si concentra in genere sulla descrizione delle soluzioni dei problemi di ingegneria, senza rivelare i particolari dei procedimenti che le hanno rese possibili; le apparecchiature sono rappresentate in modo idealizzato e non sempre rispecchiano i progetti effettivamente realizzati. Questo complesso rapporto fra trattati di ingegneria e pratica tecnica è particolarmente evidente nei libri illustrati di meccanica realizzati nella prima Età moderna che, insieme ai manoscritti di Leonardo, rappresentano agli occhi dello storico le fonti principali per lo studio della tecnologia meccanica di questo periodo.
I mezzi per far conoscere le macchine a chi non fosse esperto e ai potenziali clienti seguivano alcune convenzioni di base, già presenti nei manoscritti dell'Antichità e del Tardo Medioevo. I libri che illustravano le macchine svolgevano una funzione di mediazione fra gli artigiani specializzati e i principi o il pubblico delle corti. A questo scopo le immagini dei libri di tecnologia meccanica erano accompagnate da didascalie più o meno dettagliate che descrivevano le caratteristiche salienti dei congegni presentati. Già nel Tardo Medioevo troviamo manoscritti con splendide illustrazioni. A questo proposito si possono citare le opere di Guido da Vigevano (prima metà del XIV sec.), Conrad Kyeser (1366-1405 ca.), Mariano Daniello di Jacopo Vanni detto il Taccola (1382-1458), Giovanni Fontana (prima metà del XV sec.) e il cosiddetto 'Anonimo delle guerre ussite' (XV sec.). A differenza dei manoscritti dell'Europa settentrionale, dedicati prevalentemente alle macchine belliche, i libri italiani, fatta eccezione per alcuni testi di Taccola e per la famosa raccolta di Roberto Valturio (1413-1475), si occupavano, perlopiù, di macchine a scopi civili, come mulini, congegni elevatori e dispositivi per il sollevamento dell'acqua. Gli autori di questi primi trattati di tecnologia meccanica non erano i tecnici che fabbricavano tali congegni, bensì eruditi in stretto contatto con la cultura di corte. Francesco di Giorgio Martini, che descrisse una serie di dispositivi meccanici nel suo trattato enciclopedico di architettura e ingegneria, composto a partire dal 1480, fu uno dei primi autori a rivestire anche il ruolo di tecnico. Le sue macchine e i disegni di Taccola furono ripetutamente copiati nel XV e nel XVI sec., costituendo in tal modo un ampio repertorio di apparecchiature meccaniche spettacolari. La maniera di rappresentare un congegno meccanico tridimensionale su una superficie a due dimensioni aveva già subito un cambiamento radicale nei manoscritti di tecnologia meccanica del XV secolo. La particolare tecnica delle immagini piatte, raffiguranti un dispositivo visto contemporaneamente da diversi punti di osservazione, sviluppata nell'Antichità e comune nei trattati medievali europei e arabi, era stata soppiantata dal disegno prospettico. La nuova tecnica fu adottata rapidamente nei manoscritti della fine del XV sec. e, di conseguenza, anche le xilografie e le calcografie nei libri di macchine, stampati nel Cinquecento, erano costituite in gran parte da disegni prospettici.
I celebri 'teatri di macchine', pubblicati alla fine del XVI sec., proseguono per mezzo della stampa la tradizione dei precedenti manoscritti, presentando senza un ordine preciso congegni elevatori, mulini e macchine per il sollevamento dell'acqua. Il primo esempio di questo genere di opere è un capitolo del De re metallica (1556) di Georg Bauer Agricola dedicato ai dispositivi per il sollevamento dell'acqua e ad altre macchine utilizzate nelle regioni minerarie dell'Europa centrale. Veri e propri 'teatri di macchine' sono poi rappresentati nelle opere di Jacques Besson (1540 ca.-1576), Jean Errard (1554-1610), Agostino Ramelli (1531-1600), Vittorio Zonca (1568 ca.-1602), Fausto Veranzio (1551-1617), Salomon de Caus e Giovanni Branca (1571-1645).
I libri dedicati alle macchine, perlopiù finanziati da facoltosi mecenati, non erano concepiti come manuali per l'artigiano. Si rivolgevano piuttosto al pubblico delle corti o dei consigli comunali e agli stessi esperti di ingegneria, a cui presentavano, pur senza tener conto di problemi legati alla scelta dei materiali e dell'attrito, nuove ingegnose combinazioni di elementi meccanici, descritte con dovizia di particolari. Spesso, accanto alle illustrazioni dell'apparecchio nella sua interezza, troviamo particolari degli elementi meccanici più interessanti. Le macchine erano presentate sullo sfondo di vivaci scenari e paesaggi, che avevano lo scopo di evocare la possibilità di un loro uso concreto.
Il capitolo del De re metallica di Agricola dedicato agli apparecchi meccanici utilizzati nelle miniere è uno dei rari casi in cui l'autore si propone di descrivere in modo realistico le macchine effettivamente utilizzate. Sotto questo aspetto il lavoro di Agricola è paragonabile soltanto al Novo teatro di machine et edificii, scritto da Zonca e pubblicato postumo nel 1607, nel quale alcuni disegni in scala permettono di conoscere le misure dei dispositivi illustrati. Come facevano notare in molti casi gli autori stessi, queste illustrazioni, insieme a quelle meno realistiche, dovevano spronare i loro colleghi a esplorare nuove possibilità tecniche. Nonostante i limiti rappresentati dallo scarso realismo dei congegni illustrati, questi libri rappresentano una fonte storica preziosa per gli studiosi moderni, in quanto forniscono una grande quantità di informazioni sui diversi elementi meccanici studiati in quel periodo.
I mezzi di rappresentazione: i disegni
I disegni svolsero un ruolo fondamentale nella pratica ingegneristica degli inizi dell'Età moderna, ben al di là della funzione illustrativa che caratterizzava i trattati. Per limitarci al campo della tecnologia meccanica, i disegni che raffiguravano macchine avevano una funzione pratica in tre diversi contesti sociali. In primo luogo, consentivano di assicurare la continuità nell'amministrazione dei beni pubblici, per esempio costituendo una sorta di inventario delle risorse tecniche di una città; secondo, contribuivano ad arricchire gli archivi personali degli ingegneri; terzo, potevano essere utilizzati per la realizzazione di un progetto concreto, per fornire informazioni al committente o istruzioni agli artigiani, venendo in alcuni casi a costituire un elemento del contratto.
La scarsità delle fonti non consente di accertare con sicurezza le origini dell'impiego dei disegni nella pratica ingegneristica. Gli schizzi di Leonardo sono gli esempi più antichi di disegni di macchine. È difficile tuttavia credere che le illustrazioni degli splendidi manoscritti quattrocenteschi, menzionati nella sezione precedente, fossero realizzate senza essere precedute da schizzi preparatori. In ogni caso, nel XVI sec. si diffuse la pratica di corredare di disegni i progetti di congegni meccanici complessi, un'abitudine a cui certamente contribuì in modo non irrilevante la crescente disponibilità di carta, che sostituì la più costosa pergamena. Disegni di macchine si trovano, per esempio, nel taccuino della famiglia della Volpaia (1520/1530 ca.), fra i manoscritti di Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546) e fra le centinaia di fogli sparsi lasciati da Heinrich Schickhardt.
I disegni di macchine utilizzavano un complesso linguaggio visivo, condiviso all'epoca da tutti gli esperti attivi nel campo dell'ingegneria. La prospettiva era impiegata per illustrare i progetti di macchine. Tuttavia, in contesti meno formali, come nella maggior parte dei disegni destinati a scopi pratici, erano usati altri mezzi grafici di rappresentazione. Per esempio, la collezione di disegni di Schickhardt, raffiguranti vari tipi di mulino e dispositivi per il sollevamento dell'acqua, contiene, oltre a rappresentazioni prospettiche, anche sezioni verticali, vedute dall'alto e persino planimetrie di dislocazione degli stessi sul terreno. È anche possibile che l'adozione di nuove tecniche di rappresentazione, come le vedute esplose e gli spaccati, che consentivano agli ingegneri di sperimentare nuove soluzioni sulla carta, abbia agito da stimolo sulla loro creatività. Normalmente gli ingegneri integravano gli schizzi delle apparecchiature, osservate durante i loro viaggi, con dati sulle misure e sui rapporti degli ingranaggi, rilevati direttamente sul posto. In generale i disegni tecnici del XVI sec. lasciano trapelare raramente una riflessione teorica sui problemi della meccanica. L'insuperata maestria di Leonardo nel disegno, unita al suo forte interesse per l'analisi teorica, può forse spiegare gli eccezionali esempi che troviamo nei suoi manoscritti, dove il disegno tecnico costituisce un ausilio per esperimenti mentali, come nel caso degli effetti della sollecitazione sugli archi. Un altro dei rari esempi di ragionamento teorico documentato in disegni di ingegneria è un foglio proveniente dalla raccolta di Antonio da Sangallo il Giovane, che mostra le diverse possibili combinazioni degli stessi ingranaggi, con l'annotazione che il loro rendimento resta sempre invariato. Nonostante la quasi totale assenza di considerazioni teoriche esplicite, le note su misure e rapporti degli ingranaggi, che come abbiamo visto sono ricorrenti nei disegni più informali di macchine, consentono di esaminare da vicino l'esperienza pratica degli ingegneri nel corso della loro attività quotidiana. Per esempio, è evidente che con il tempo sono state determinate proporzioni stabili per insiemi comuni di elementi meccanici, quali la combinazione di ruota dentata e ingranaggio a lanterna. È possibile derivare dette proporzioni da disegni di varia origine, in cui sono indicate dimensioni apparentemente standardizzate per questo tipo di ingranaggio, utilizzato per trasferire il moto rotatorio della ruota idraulica del mulino alla macina soprastante, aumentando contemporaneamente il numero delle rotazioni.
I mezzi di rappresentazione: i modelli
I modelli di macchine su scala ridotta erano stati utilizzati già nell'Antichità, sia come ausilio nella progettazione dei congegni meccanici, sia per illustrarne le caratteristiche più salienti. Troviamo riferimenti a modelli nei trattati di Ateneo (II sec. a.C.) e Vitruvio. In Età medievale, mentre l'uso di modelli architettonici è documentato in Italia dalla metà del XIV sec., il primo riferimento a un modello di macchina su scala ridotta di cui siamo a conoscenza risale a un progetto milanese del 1402. Il documento in questione è riportato negli Annali della fabbrica del Duomo di Milano (1877-1885) e merita particolare attenzione in quanto descrive una procedura relativa all'impiego di disegni e modelli nel campo dell'ingegneria meccanica destinata poi a generalizzarsi. Nel documento si chiede ad alcuni responsabili della Fabbrica della cattedrale di esaminare i disegni presentati dai partecipanti a una gara indetta per scegliere il migliore progetto di una macchina in grado di tagliare blocchi di marmo senza l'intervento umano. Dal progetto più promettente, quindi, si doveva ricavare un modello di legno, che consentisse di provare la macchina prima di dare il via alla costruzione della sega per pietre a grandezza naturale. In documenti successivi, ma sempre dello stesso anno, si propone di impiegare cavalli o contrappesi per l'azionamento di questo congegno. Queste diverse fasi della progettazione, in cui si utilizzano prima i disegni e poi i modelli, sono ricordate di nuovo verso il 1480 nel trattato di architettura di Francesco di Giorgio Martini. Nell'introduzione al capitolo dedicato ai mulini e ad altri dispositivi meccanici, l'autore sostiene che disegni e parole non sono sufficienti e che per costruire esemplari affidabili di questo tipo di macchine è sempre necessario realizzarne prima un modello. Nel XVI sec. l'impiego di modelli di macchine è ampiamente documentato. Come era già accaduto a Milano, i modelli di macchine erano a volte richiesti a coloro che partecipavano alle gare indette dai finanziatori dei progetti, i quali si trovavano sempre di fronte al problema di come valutare le diverse proposte riguardanti dispositivi particolarmente costosi. Di frequente si ricorreva ai modelli anche nelle pratiche amministrative per l'assegnazione di privilegi agli inventori. In tali occasioni, ovviamente, gli inventori non si limitavano a presentare i modelli, ma ne dimostravano e spiegavano il funzionamento. Di solito il regolare funzionamento della macchina in scala ridotta aveva un notevole potere di persuasione, sebbene gli esaminatori fossero consapevoli dei problemi che spesso si verificavano durante la realizzazione della macchina nelle dimensioni reali.
Nei contesti economici descritti i modelli di macchine servivano per dimostrare l'affidabilità di un progetto. Nella bottega, dove l'utilizzazione di modelli poteva anche stimolare la creatività degli ingegneri, la pratica di sperimentare e collaudare gli elementi tecnici su scala ridotta era molto diffusa. Nell'ambito degli studi di idrodinamica e aerodinamica, Leonardo si servì di ogni tipo di modello su scala ridotta, consigliandone esplicitamente l'uso come ausilio alla speculazione teorica. Nella corrispondenza di Galilei si trova citato addirittura un elaborato modello in stagno riproducente la topografia del corso di un fiume, utilizzato per studiarne il flusso.
La differenza piū notevole fra i modelli di macchine e quelli architettonici era che i primi consentivano di studiare non soltanto la struttura spaziale di una macchina, ma anche le sue caratteristiche cinematiche e l'interazione tra le componenti meccaniche. I modelli di macchine si rivelarono potenzialmente utili sia per la sperimentazione pratica della trasmissione del moto sia per lo studio del moto stesso al fine di acquisire nuove conoscenze. Queste indagini erano ulteriormente stimolate dai tentativi degli ingegneri di stabilire quale fosse la combinazione di elementi meccanici in grado di assicurare il miglior rendimento di un certo dispositivo. La soluzione richiedeva, oltre a ripetuti collaudi, la formulazione di precisi criteri di rendimento, definiti misurando gli effetti di varie combinazioni di elementi meccanici. Una delle rare testimonianze del XVI sec. sull'analisi di elementi meccanici in scala ridotta si trova nel trattato Tre discorsi sopra il modo d'alzar acque da' luoghi bassi (1567) di Giuseppe Ceredi, medico di corte dei duchi di Parma e Piacenza, che fornisce un resoconto dei suoi studi sull'impiego della coclea nelle macchine per il sollevamento dell'acqua, nel corso dei quali costruì diversi modelli in scala ridotta commentando i risultati dei suoi esperimenti in termini di macchine semplici. Pur senza descrivere esplicitamente i relativi procedimenti, Ceredi parla di "grado delle proporzioni" e "forza dei motori" come fattori di valutazione della qualità dei vari modelli (p. 7). Dai suoi commenti si può dedurre che tali esperimenti implicassero qualche tipo di misurazione e di annotazione dei risultati ottenuti. L'approccio sperimentale degli ingegneri ha certamente svolto un ruolo fondamentale per la nascita della sperimentazione scientifica e merita perciò di essere ulteriormente indagato.
L'uso di modelli di macchine attirò inevitabilmente l'attenzione degli ingegneri sugli ardui problemi posti dalla riduzione in scala della materia. L'osservazione che le macchine funzionavano sotto forma di modelli, ma non quando erano realizzate in dimensioni reali, fatto già notato da Vitruvio, fu ripresa da Leonardo da Vinci e in seguito citata nelle opere di Giuseppe Ceredi, Buonaiuto Lorini e Vittorio Zonca. Furono dunque gli ingegneri a sollevare per primi uno dei più complessi problemi della meccanica preclassica, come è dimostrato dalla prima delle 'due nuove scienze', esposta nei Discorsi e dimostrazioni (1638) di Galilei, che tratta della resistenza della materia.
Quest'ultimo paragrafo spiega come le pratiche ingegneristiche abbiano influenzato la scienza coeva. La prima sezione descriverà brevemente l'interazione tra il sapere degli ingegneri e la meccanica teorica. La sezione successiva è dedicata al tentativo di giungere a regole generali a partire da esperienze ricorrenti. Come si vedrà nella terza sezione, l'emergere di regole generali durante il XVI sec. fu accompagnato dall'adozione da parte degli ingegneri della teoria delle macchine semplici. La conclusione valuterà infine le sfide affrontate dall'ingegneria, che condussero all'esplorazione dei limiti della meccanica preclassica, un processo che portò infine alla fondazione della meccanica classica.
Ingegneria e meccanica teorica: punti di contatto
Verso la fine del XVI sec., i complessi problemi di ingegneria diedero origine a una serie di punti di contatto fra gli aspetti pratici e quelli teorici della meccanica. Queste relazioni furono favorite dal fatto che le attività degli ingegneri si inserivano in un tessuto sociale caratterizzato da una divisione del lavoro di crescente complessità, che andava dall'artigiano all'amministratore fino ad arrivare all'ingegnere-scienziato, che si occupava principalmente degli aspetti intellettuali del progetto. Fu proprio la mancanza di rigide distinzioni di ruolo, all'interno di questo tessuto sociale, che consentì quell'integrazione fra i diversi tipi di conoscenza, caratteristica della tecnologia e della scienza degli inizi dell'Età moderna. Questo scambio fra conoscenze pratiche e conoscenze teoriche fu reso possibile, fra l'altro, dall'inserimento degli ingegneri nelle strutture amministrative comunali o territoriali. Nei processi decisionali e nei dibattiti che si svolgevano in questo ambito ‒ come per la questione del controllo del fiume Reno nel tratto che attraversava i territori di Bologna e Ferrara ‒ era coinvolto un gran numero di esperti di diversa formazione. A questi spesso era chiesto di fornire un parere su un determinato progetto, in genere in forma scritta, come nel caso dei matematici di corte incaricati di valutare le proposte tecniche degli ingegneri stranieri. I pareri degli esperti erano tanto più apprezzati quanto più si fondavano su un approccio scientifico, riconducendo i problemi pratici in questione ai concetti teorici della meccanica preclassica. La corrispondenza di alcuni esponenti di primo piano della scienza contemporanea, come per esempio Galilei e Stevin, dimostra con quanta frequenza fosse loro richiesto di intervenire in qualità di esperti nella discussione di problemi ingegneristici. Per esempio, nel 1593, quando per far fronte alla minaccia militare turca l'amministrazione dell'Arsenale di Venezia propose di costruire navi più grandi, fu necessario valutare i gravi rischi di instabilità derivati dall'aumento delle dimensioni dello scafo. Per risolvere questo problema tecnologico, furono consultati sistematicamente molti esperti, anche tra quelli attivi all'esterno dell'Arsenale, come Galilei. Di conseguenza, si crearono alcuni punti di contatto fra i problemi pratici delle costruzioni navali e le risorse teoriche della meccanica preclassica, un incontro che con tutta evidenza fu reso possibile dall'avanzata forma di organizzazione della conoscenza artigianale e tecnologica raggiunta in questo periodo.
La ricerca di regole generali in ingegneria
La ricerca di regole generali applicabili ai fenomeni osservati più di frequente, come nelle antiche tradizioni della pratica artigianale, destava vivo interesse anche tra gli ingegneri. Da parte loro, la conoscenza di tali regole costituiva la base per inusitate ricerche nell'ambito di problemi tecnici sempre più complessi, quali per esempio il comportamento di singoli elementi meccanici oppure la descrizione della traiettoria dei proiettili. In questi ultimi due casi, le conoscenze tradizionali si rivelarono insufficienti e gli ingegneri si avvalsero di altre risorse, come quelle offerte dalla meccanica preclassica.
Data la varietà di combinazioni di congegni meccanici presenti nel XVI sec., erano fortemente richieste regole generali, intese come strumenti che permettessero di prevedere e dunque di evitare costosi fallimenti. La ricerca di tali regole era condotta anche in un ambito diverso, quello dell'artiglieria. Gli artiglieri si sforzarono di determinare le proprietà fondamentali della traiettoria dei proiettili ‒ come per esempio l'angolo di tiro in grado di assicurare la massima gittata utilizzando un certo quantitativo di polvere da sparo ‒ e ciò per giungere a processi operativi più efficienti nell'ambito delle tecniche d'assalto. Nel loro complesso, questi tentativi di formulare semplici regole pratiche fornirono ai teorici del moto dei proiettili, come Thomas Harriot (1560-1621) e Galilei, una notevole quantità di condizioni limitative che qualsiasi soluzione teorica, per essere considerata accettabile, doveva essere in grado di soddisfare.
Alcune regole generali sulla compensazione, per esempio fra la forza applicata a un dispositivo a ingranaggi e la velocità del moto risultante, erano ampiamente note. Già da molto tempo, i costruttori di mulini erano abituati ad adattare accuratamente gli ingranaggi alla forza delle fonti di energia naturali disponibili, per far sì che il processo lavorativo si svolgesse alla velocità adeguata. I manoscritti di Leonardo attestano la vastità delle sue indagini, volte alla ricerca di regole generali applicabili ai numerosi problemi dell'ingegneria meccanica, comprese questioni di importanza cruciale quali l'attrito e la sollecitazione. Se si considera la complessità delle sue ricerche, Leonardo non ebbe eredi.
Il tentativo di formulare regole pratiche di ingegneria è evidente anche nel trattato spagnolo Los veintiún libros de los ingenios y máquinas (1570 ca.), il cui autore non è ancora stato identificato con certezza. Nella parte dedicata ai mulini, egli osserva che, quanto minore è il volume d'acqua disponibile per azionare il mulino, tanto maggiore deve essere l'altezza del bacino dal quale l'acqua si riversa sulla ruota idraulica, mentre l'altezza del bacino deve essere minore nel caso in cui la quantità d'acqua disponibile sia maggiore. Questa regola di base può essere considerata valida per tutti i tipi di mulino. In un altro passo, l'autore si chiede quale sia l'angolazione più efficiente del getto d'acqua che colpisce le pale di una ruota idraulica orizzontale. In questo caso, il ragionamento procede per proporzioni geometriche. Tale metodo si può infine ritrovare in altri studi dell'epoca riguardanti il flusso nei fiumi, e specialmente in riferimento ai tentativi di determinare la velocità delle correnti d'acqua. Speculazioni di questo tipo mostrano come gli ingegneri, per descrivere i complessi fenomeni sui quali erano impegnati, utilizzavano risorse culturali che andavano al di là delle regole della tradizione artigianale.
Le macchine semplici come ponte tra teoria e pratica
Grazie al lavoro degli umanisti, gli ingegneri avevano a disposizione un numero sempre maggiore di trattati antichi di meccanica e cominciarono a considerare la possibilità di analizzare i complessi congegni meccanici di cui si occupavano in termini di macchine semplici, secondo un approccio che, come si è detto, era stato introdotto da Erone di Alessandria. Tale approccio teorico assunse quindi un nuovo significato, in quanto permise agli ingegneri di costituire una relazione tra le esperienze legate ai sempre più complessi congegni meccanici e il ragionamento teorico riguardante i singoli blocchi degli stessi congegni.
Un primo e ancora limitato tentativo in questo senso è documentato già intorno al 1480 dalle osservazioni su gravi e leve con cui Francesco di Giorgio Martini apre il capitolo dedicato ai congegni meccanici del suo trattato sull'architettura. Egli descrive per sommi capi il modo di calcolare il peso che poteva essere sollevato da una ruota fissata a un asse (come nel caso dell'argano), dividendo il raggio della ruota per il raggio dell'asse; riproponeva così un metodo già descritto negli antichi trattati di meccanica. Dopo aver messo in risalto l'utilità di questo metodo per la realizzazione di qualsiasi tipo di ruota a ingranaggi, specialmente quelle di macchine come i mulini, Francesco di Giorgio propose di applicare questo approccio teorico ai più avanzati dispositivi meccanici del suo tempo. Come possiamo dedurre dai continui riferimenti di Ceredi alle macchine semplici, alla metà del XVI sec., queste erano divenute un importante punto di riferimento per le ricerche degli esperti di ingegneria nel campo della tecnologia meccanica, allora in rapida evoluzione. Per sostenere la superiorità del tipo di manovella da lui indicata per azionare manualmente le coclee, Ceredi trasformò l'illustrazione corrispondente in un diagramma geometrico, nell'intento di sottolineare come la sua scelta fosse stata motivata da un ragionamento scientifico. Inoltre, approfondì il funzionamento di congegni meccanici complessi riducendoli a sistemi di leve e bilance e analizzò tutte le fasi della trasmissione del moto in un mulino per la macinazione del grano, dalla ruota idraulica all'ingranaggio della macina, rappresentandolo come un sistema di argani che sollevano un peso, dove la macina è un contrappeso da spostare per mezzo della forza esercitata dalla ruota idraulica. Qualche decennio più tardi, ritroviamo la spiegazione di dispositivi meccanici, in termini di combinazioni di macchine semplici, anche in alcuni passi descrittivi del libro di macchine di Zonca. In genere si trattava di ragionamenti astratti che non tenevano conto delle limitazioni fisiche quali l'attrito e la resistenza dei materiali.
I tentativi degli ingegneri di esplorare il potenziale esplicativo delle macchine semplici, come fece Ceredi verso la fine del XVI sec., fornirono il contesto per una speculazione teorica in merito alle stesse macchine semplici, così come di fatto avvenne nei trattati di meccanica dello stesso periodo. Sebbene gli autori mettessero in evidenza il carattere puramente scientifico del proprio lavoro, per distinguerlo dalle umili occupazioni di artisti e artigiani, le loro ricerche mantenevano in effetti uno stretto rapporto con i problemi pratici. Guidobaldo Dal Monte, pur senza mai menzionare nel suo Mechanicorum liber congegni meccanici più complessi delle macchine semplici, nella prefazione osserva che "la meccanica, se è astratta e separata dalle macchine, non può neanche dirsi meccanica". L'immediata traduzione in italiano di questo trattato a opera di Filippo Pigafetta fa parte di una serie di iniziative analoghe, che testimoniano un interesse per la teoria delle macchine semplici pure fra gli addetti ai lavori. Perfino l'illustrazione del frontespizio della traduzione in tedesco dello stesso trattato, pubblicata all'inizio del XVII sec., rappresenta una chiara allusione alle applicazioni pratiche delle macchine semplici. A quel tempo, alcuni autori cercavano esplicitamente di superare i tradizionali confini fra meccanica teorica e meccanica pratica. Salomon de Caus, nel trattato Les raisons des forces mouvantes (1615), che sostanzialmente è un libro sulle macchine dedicato ai congegni automatici per i giardini reali e ai dispositivi per il sollevamento dell'acqua, dedica l'introduzione all'analisi delle macchine semplici, basate sulle proprietà della bilancia e della leva. Non è un caso se Archimede ed Erone di Alessandria, modelli antichi dell'integrazione fra conoscenza teorica e conoscenza pratica, divennero all'inizio dell'Età moderna il punto di riferimento canonico degli scienziati-ingegneri.
Le macchine semplici rappresentavano un prezioso anello di congiunzione fra le esperienze ingegneristiche più avanzate e le risorse intellettuali della meccanica teorica. Questo rapporto reciproco è ben evidenziato dal dibattito sulla possibilità di realizzare una macchina a moto perpetuo. Nel XVI sec. le corti europee erano meta costante di artigiani che sostenevano di avere trovato la soluzione a questo problema. A stimolare questi tentativi contribuì anche la promessa dell'imperatore Rodolfo II (1552-1612) di ricompensare con una tonnellata d'oro l'artefice di una tale invenzione. Molti dei sedicenti inventori di questi congegni si vantavano di aver raggiunto il loro scopo mediante combinazioni particolarmente ingegnose di elementi meccanici, che sarebbero state in grado non soltanto di funzionare ininterrottamente, ma anche di macinare il grano, sollevare l'acqua e svolgere altre simili operazioni. Alcuni di essi riuscirono persino a ottenere la concessione di privilegi per l'invenzione di macchine a moto perpetuo. All'inizio del XVI sec., tuttavia, Leonardo aveva già avuto modo di notare che molti inventori, recatisi a Venezia per ottenere un analogo privilegio, erano falliti nell'intento. A questo proposito, sulla prima pagina del Codice di Madrid I, Leonardo dichiara esplicitamente che le ricerche sugli elementi meccanici, illustrate nel manoscritto, avevano lo scopo di dimostrare la futilità dei tentativi compiuti fino ad allora di realizzare il moto perpetuo. Altri scienziati, ugualmente scettici sulla possibilità di tale moto, provarono a tradurre i propri dubbi in regole generali e giunsero a opinioni teoricamente fondate grazie all'analisi delle macchine semplici. Giuseppe Ceredi, per esempio, sostenne che il rapporto tra forza motrice, carico e velocità, che a suo avviso occorreva sempre tenere in considerazione nella costruzione delle macchine, rendeva impossibile il funzionamento dei congegni meccanici a moto perpetuo. Animato dallo stesso scetticismo, Buonaiuto Lorini, nel suo trattato sulle fortificazioni, sottolinea la differenza fra ricercatori del moto perpetuo e onesti costruttori di mulini. Secondo lui, solo questi ultimi avrebbero potuto avere successo, purché avessero rispettato con umiltà le caratteristiche della forza motrice.
Secondo Lorini, essa non può essere mai sorpassata "dall'artificio del moto delle leve", vale a dire dai meccanismi di trasmissione dei dispositivi meccanici (Delle fortificationi, p. 209). Poco più tardi, Galilei tradusse questo principio nella celebre affermazione secondo la quale gli uomini non possono ingannare la Natura con le loro macchine.
I problemi ingegneristici come stimolo all'esplorazione dei limiti della meccanica preclassica
Nel XVI sec., un certo numero di problemi tecnici spinse gli ingegneri-scienziati a esplorare sistematicamente le risorse teoriche della meccanica preclassica. La questione del moto perpetuo mostra come l'intuizione dell'impossibilità di realizzare meccanismi con tale moto si trasformasse da risultato empirico in principio teorico. È evidente che questioni come la forma di una catena pendente, la determinazione della velocità del flusso di un fiume e il calcolo dell'attrito nei macchinari complessi superavano i limiti delle conoscenze fisiche e matematiche disponibili a quel tempo. Ciononostante, furono proprio questi tentativi, spesso inutili, attuati dagli ingegneri-scienziati per ampliare il patrimonio del sapere tradizionale, a porre le premesse per la nascita di una nuova meccanica che avrebbe in seguito fornito gli strumenti per la risoluzione di quegli stessi problemi. Particolarmente illuminanti da questo punto di vista sono i Discorsi (1638) di Galilei, in cui l'autore presenta quelle che chiama 'le due nuove scienze', una riguardante la resistenza della materia, l'altra i movimenti locali, come la caduta dei gravi e il moto dei proietti. Le nuove scienze galileiane, che rappresentano uno stadio essenziale della genesi della meccanica moderna, erano radicate in due dei più importanti problemi dell'ingegneria contemporanea, quello della stabilità della materia nella riduzione in scala e quello della balistica per determinare le proprietà geometriche e dinamiche dei tiri di artiglieria. Di fatto, i concetti fondamentali di questa nuova meccanica, che dovette attendere il XVIII sec. per trovare una formulazione più precisa con i concetti newtoniani di inerzia e di forza, emersero dalla riorganizzazione del contesto concettuale tradizionale, arricchito e portato agli estremi dalle esperienze pratiche dell'ingegneria degli inizi dell'Età moderna.
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