La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. Professioni liberali e professioni tecniche
Professioni liberali e professioni tecniche
Nel periodo della Rivoluzione scientifica non esistevano scienziati professionisti. Oggi, le università, le istituzioni finanziate dai governi e dalle grandi e piccole imprese private assumono persone per condurre la ricerca scientifica come loro unica occupazione o, nel caso delle università, parallelamente all'insegnamento. Nel XVII sec. invece, vi erano ben poche possibilità per un filosofo sperimentale di essere pagato per 'torturare la Natura'. Sebbene molti professori delle università e dei collegi fossero interessati alla nuova scienza, la ricerca non faceva mai parte dei loro compiti, qualunque disciplina insegnassero. Come titolare della cattedra lucasiana di matematica a Cambridge, Isaac Newton doveva semplicemente tenere una serie di lezioni. Il fatto che avesse trasformato le sue stanze al Trinity College in un laboratorio di chimica era solo un suo capriccio personale, piuttosto che un obbligo professionale.
Al di fuori delle università, le uniche persone stipendiate per fare ricerca di solito rientravano nell'entourage di qualche facoltoso mecenate, generalmente un principe. Per tutto il periodo, una moltitudine di scienziati ‒ compresi Johannes Kepler e Galileo Galilei ‒ erano al servizio di principi e nobili come intrattenitori, alchimisti, astrologi o, nella meno superstiziosa seconda metà del secolo, come semplici 'progettisti' addetti a studiare sistemi pratici per assicurare ai loro produttori comodità e maggiore ricchezza. Pochi di loro, tuttavia, avevano un incarico scientifico permanente. Fu solo con la fondazione della Académie des Sciences parigina, nel 1666, che l'attività del progettista scientifico venne formalmente istituzionalizzata con l'attribuzione, a Christiaan Huygens, Gian Domenico Cassini e altri membri fondatori, di un sussidio reale a vita. La Royal Society non offriva tali opportunità e impiegava solo un assistente di laboratorio stipendiato. L'unico scienziato statale ufficiale nell'Inghilterra di fine secolo era l'ecclesiastico anglicano John Flamsteed, che a metà degli anni Settanta del Seicento ebbe l'incarico, nel nuovo Osservatorio di Greenwich, di 'osservatore astronomico' del re con un sussidio annuo di 100 sterline.
La maggior parte degli scienziati era perciò costituita da 'dilettanti' che coltivavano le scienze naturali nel tempo libero. Anzi, per molti di loro lo studio del mondo naturale rappresentava soltanto uno dei vari interessi intellettuali. Gli scienziati erano spesso anche antiquari in senso lato, si occupavano di cronologia, di filosofia morale, di storia naturale e, a volte, erano poeti e artisti: questo spiega la facilità con cui le metafore astronomiche venivano utilizzate da poeti come John Donne e John Milton. Non esistevano confini chiaramente delineati tra le discipline, che distinguessero gli scienziati dagli altri intellettuali o la nuova scienza da altri tipi di ricerca. Per i contemporanei, gli adepti della nuova scienza facevano semplicemente parte di una schiera sempre più numerosa di avventurieri intellettuali, che avevano la mania di scavare, catalogare, spiegare e illustrare le infinite manifestazioni dell'uomo e della Natura. Su che cosa si focalizzasse in particolare il loro interesse era irrilevante: che qualcuno fosse un antiquario, uno scienziato o entrambe le cose, era semplicemente uno dei tanti 'curiosi', un cercatore di tesori che andava a caccia di conoscenze recondite. Gli stessi curiosi non facevano differenze: nella seconda metà del XVII sec., dichiaravano con orgoglio di essere tutti membri di un sodalizio culturale sovraregionale, la Repubblica delle Lettere. Solo in Inghilterra gli adepti della nuova scienza avevano l'identità specifica di 'filosofi sperimentali'.
Sebbene alcuni filosofi sperimentali fossero artigiani altamente qualificati, come il microscopista Antoni van Leeuwenhoek, e molti fossero cortigiani e gentiluomini che disponevano di mezzi propri, soprattutto in Inghilterra, la maggior parte di essi apparteneva alle professioni liberali, così denominate perché a chi le praticava era richiesto un qualche tipo di preparazione istituzionalizzata nelle arti liberali e nelle scienze. Storicamente, le strade possibili erano tre, la Chiesa, la legge e la medicina, anche se tra quelli che praticavano la medicina soltanto i dotti medici laureati erano affidabili: chirurghi e speziali, che di solito erano sottoposti a un apprendistato e spesso sfuggivano allo studio teorico, erano generalmente considerati artigiani.
Il XVII sec. vide tuttavia la nascita di un certo numero di altri profili professionali, poiché un'istruzione nelle arti liberali, e in particolare in matematica, divenne sempre più necessaria per topografi, architetti, mastri artiglieri, navigatori e per diversi altri mestieri che in precedenza si apprendevano con un approccio solamente empirico. Allo stesso tempo, per gli uomini istruiti si moltiplicarono anche le opportunità di lavorare al servizio dello Stato. Prima dell'inizio della guerra dei Trent'anni, nel 1618, in buona parte dell'Europa la macchina civile e militare dello Stato era rudimentale e instabile e gli incarichi erano spesso monopolizzati dalla clientela dei favoriti di corte. Negli anni successivi, la burocrazia statale e il corpo degli ufficiali conobbero una grande espansione e gli incarichi erano sempre più spesso ricoperti da personale di carriera preparato, che considerava il lavoro al servizio dello Stato, in qualsiasi mansione, come un'occupazione permanente. Questi nuovi sviluppi non dovrebbero essere tuttavia sopravvalutati. In nessun paese, neanche in Francia, dove la burocrazia si sviluppò in modo particolarmente rapido, il numero ‒ sempre crescente ‒ di impiegati statali, ufficiali della marina e dell'esercito, architetti e topografi non si avvicinò mai a quello dei chierici, avvocati e medici laureati. Anche il fatto che molti di coloro che abbracciavano queste nuove carriere, soprattutto i burocrati, provenissero dalle vecchie professioni induce a ritenere che non avessero ancora un'identità completamente indipendente.
Chierici, medici e avvocati
La maggior parte dei filosofi sperimentali colti apparteneva dunque a una delle tre professioni storiche. Anche i professori dei collegi e delle università impegnati nella ricerca scientifica rientravano a tutti gli effetti in una di queste tre categorie. L'insegnamento a livello superiore era raramente considerato un lavoro per tutta la vita. I professori di lettere greche e latine, di filosofia e di teologia appartenevano di solito al clero (nei paesi cattolici sia a quello regolare sia a quello secolare) e insegnavano per un breve periodo di tempo prima di dedicarsi alla cura delle anime. I gesuiti, che praticamente monopolizzavano l'insegnamento delle arti negli Stati cattolici, erano famosi per la ferrea disciplina cui sottoponevano i giovani allievi nelle scuole, per poi inviarli come predicatori, confessori e missionari nelle nuove terre. Anche i professori di matematica di solito abbandonavano l'insegnamento per assumere nuovi incarichi: Galilei lasciò Padova per recarsi alla corte toscana, mentre Newton, dopo aver insegnato al Trinity College per trentacinque anni, voltò le spalle a Cambridge e, nel 1696, divenne governatore della Zecca di Londra. Perfino i professori di legge e di medicina, sebbene normalmente ricevessero l'incarico quando ormai erano a metà della loro vita, non insegnavano in modo permanente. Soprattutto i professori di medicina continuavano a esercitare la redditizia professione privata che, qualora fossero stati chiamati a corte, li avrebbe allontanati dall'università per molti mesi.
I motivi per cui la gran parte dei filosofi sperimentali apparteneva alle professioni liberali erano diversi. In primo luogo, chi le praticava aveva tempo a disposizione, per quanto fosse tenuto all'adempimento di alcuni obblighi. Diversamente dai gentiluomini che spesso, dopo aver servito per qualche anno nell'esercito, dovevano occuparsi soltanto dei loro possedimenti, i chierici e soprattutto gli insegnanti, di solito, avevano alcuni compiti quotidiani da svolgere, che potevano essere piuttosto onerosi: i professori di lettere spesso dovevano trascorrere cinque ore al giorno in classe e poi correggere i compiti assegnati e preparare le lezioni. I professionisti, tuttavia, avevano molto più tempo per sé rispetto alla grande massa della popolazione, che lavorava dall'alba al tramonto per sopravvivere: a Lione, alla metà del XVI sec., gli stampatori lavoravano diciotto ore al giorno. Inoltre, i professionisti che avevano scelto di rimanere celibi o erano stati costretti a farlo, non avevano obblighi familiari.
Avvocati e medici erano particolarmente liberi di organizzare il proprio tempo. Se non avevano un incarico ufficiale come giudici o medici di corte, erano padroni del proprio destino e potevano avere quanti clienti volessero, fatto che dipendeva solamente dal bisogno di denaro e dalla capacità di stabilire rapporti con i potenziali clienti. I chierici appartenenti agli ordini contemplativi potevano trovarsi in una situazione ancora più favorevole. Dovendo passare la maggior parte delle ore di veglia dedicandosi alla preghiera e allo studio, il frate minimo Marin Mersenne, dal momento del suo arrivo al convento parigino di Place Royale nel 1619, poté dedicare la maggior parte del suo tempo alla nuova scienza. Perfino i giudici non erano necessariamente limitati dai loro doveri professionali. In Francia, dove gli incarichi erano frequentemente venduti per raccogliere il denaro per le guerre di Luigi XIII, nei parlements, o alti tribunali regionali, vi erano troppi giudici rispetto alla quantità di lavoro da svolgere; quindi, a metà del XVII sec., i conseillers spesso lavoravano solo sei mesi l'anno. Anche i medici di corte sapevano fare di necessità virtù. Il favore della corte diede a William Harvey, medico di Giacomo I e Carlo I d'Inghilterra, la possibilità di vivisezionare e condurre esperimenti su un'ampia gamma di animali selvatici, soprattutto cervi reali, esperimenti che risultavano di grande importanza per lo sviluppo delle sue teorie embriologiche.
Inoltre i professionisti (esclusi ovviamente gli appartenenti al clero regolare che avevano fatto voto di povertà) erano solitamente benestanti, a volte molto più ricchi dei gentiluomini di campagna. Anche se all'inizio della carriera il loro reddito poteva essere di poco superiore a quello di un artigiano specializzato, nell'età matura generalmente conducevano una vita confortevole e avevano un'eccedenza di reddito che potevano spendere per i loro svaghi preferiti. Nel XVII sec., l'attività dello scienziato non era costosa, anche se man mano che gli strumenti divenivano più grandi e più sofisticati il loro prezzo cresceva notevolmente. Bastava avere una casa tanto spaziosa da permettere di utilizzare una stanza come biblioteca-laboratorio e sufficiente denaro per comprare i libri e gli strumenti necessari. Inoltre, i professionisti avevano il potere di acquisto e i contatti necessari, all'interno della comunità locale, per reperire esemplari nuovi e interessanti sui quali condurre i propri esperimenti. Poiché frequentemente essi appartenevano a importanti famiglie di mercanti, avevano facile accesso alla flora e alla fauna esotiche che arrivavano di continuo dall'Oriente e dalle Americhe.
Gli avvocati, che di solito possedevano un reddito superiore a quello degli altri professionisti e spesso usufruivano di un ricco patrimonio familiare o di beni dotali, avevano maggiori possibilità di lasciare un segno nella nuova scienza. L'avvocato provenzale Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, per esempio, sebbene fosse un giudice dell'alta corte locale, aveva tutto il tempo e il denaro per coltivare i suoi interessi scientifici. Nella sua casa di Aix-en-Provence possedeva una vasta biblioteca e un cabinet ben attrezzato dove conduceva esperimenti con i suoi amici, tra i quali Pierre Gassendi. Come molti giudici dell'alta corte francese, aveva anche una residenza di campagna, dove impiantò un giardino botanico nel quale tentò di naturalizzare la flora esotica. Grazie al suo incarico di ufficiale giudiziario, Peiresc poteva addirittura accedere con relativa facilità ai cadaveri umani. Infatti, nel XVII sec. era piuttosto difficile procurarsi cadaveri, a meno che non si andasse a sottrarli dalle tombe, perché soltanto quelli dei criminali giustiziati potevano essere anatomizzati legalmente, e il diritto di sezionarli era solitamente riservato alla corporazione dei medici locale o a quella dei chirurghi. Nella Viri illustris Nicolai Claudii Fabricii de Peiresc [...] vita (1641), Gassendi riferisce che Peiresc, tuttavia, poté addirittura concepire esperimenti da realizzare 'prima' e 'dopo', come quelli che condusse nel 1634 per seguire il percorso del chilo lungo i vasi chiliferi umani:
[Benché Peiresc] sapesse che non era possibile distinguerli [i vasi chiliferi] se non in un animale vivo o che ancora respirasse, dal loro scopritore [Gaspare] Aselli [nel 1622] e grazie a molteplici dissezioni; e poiché, per questo motivo, non sembrava che la cosa fosse osservabile nell'uomo, che è proibito sezionare da vivo, rimaneva comunque convinto che gli intestini presentassero ancora resti di vene di quel tipo, se venivano esaminati a poche ore dall'ultimo respiro. Così fece in modo che a un futuro condannato all'impiccagione venisse dato da mangiare normalmente, e in modo eccellente, prima che venisse pronunciata la condanna capitale (ci voleva tempo prima che il chilo si trasformasse in latte); poi, non senza aver atteso un'ora e mezza dopo l'impiccagione, fece trasportare il cadavere in un anfiteatro anatomico. Grazie a queste precauzioni, ottenne che, una volta aperto l'addome, apparissero delle vene biancastre, e che, dopo averle incise, fosse possibile raccogliere da alcune di esse un liquido lattiginoso. (ed. Lassalle, p. 230)
Un altro aspetto da considerare ‒ ed è senz'altro il più importante ‒ è che tutti i membri delle professioni liberali godevano per definizione di un'istruzione superiore. Da questo punto di vista, si distinguevano non soltanto dalla massa della popolazione, che non riceveva alcun tipo di istruzione neanche a livello elementare, ma anche da buona parte dell'élite dei proprietari terrieri dell'Europa continentale. Questi ultimi tendevano ad abbandonare gli studi accademici quando erano ancora adolescenti per prepararsi alla vita delle armi, apprendendo l'arte della guerra in famiglia oppure, nel caso dei più ricchi, frequentando una scuola militare specializzata. Praticamente soltanto in Inghilterra, dove non esisteva un esercito professionale, i figli maggiori della nobiltà di città e di campagna passavano gli anni formativi nelle università. Sebbene l'accesso alle tre professioni liberali tradizionali non sempre richiedesse una laurea nella disciplina specifica ‒ l'Inghilterra era particolarmente poco esigente da questo punto di vista ‒ si presumeva semplicemente che la loro pratica fosse preclusa a coloro che non si fossero precedentemente dedicati per molti anni allo studio delle arti liberali tradizionali. Di conseguenza, indipendentemente dalla loro futura carriera, i chierici di ogni tipo, i dottori in legge (giudici, avvocati, e in minor misura procuratori legali e notai) e quelli in medicina avevano una preparazione culturale comune, che li definiva come gruppo e li rendeva degni di rispetto, anche a prescindere dalla loro competenza professionale. Sia che avessero studiato le discipline classiche con un precettore privato, oppure in un collegio o università per cinque o sei anni, sapevano tutti leggere, scrivere e parlare in latino e, anche se in misura minore (soprattutto nei paesi cattolici), in greco. Di solito completavano lo studio delle arti tradizionali frequentando, per un periodo che andava dai due ai quattro anni, un corso istituzionalizzato di filosofia, studiando logica, etica, fisica e metafisica (anche se a volte nei paesi calvinisti si limitavano alla prima e alla terza disciplina).
La formazione universitaria
Il tipo di formazione dei membri delle professioni liberali spiega meglio di qualunque altra motivazione il ruolo predominante che essi ebbero nella Rivoluzione scientifica. Poiché la nuova scienza nasceva da una reazione consapevole verso il sapere istituzionalizzato del passato, i suoi adepti potevano emergere soltanto da un gruppo sociale che conoscesse bene la filosofia naturale aristotelica, per la quale ostentava tanto disprezzo. Inoltre, dato che la conoscenza profonda di quella filosofia era praticamente monopolio esclusivo delle persone che avevano frequentato le università, i suoi critici dovevano necessariamente provenire, per lo più, dalle tre professioni tradizionali. Non sorprende che i primi veri attacchi contro la scienza tradizionale, che troviamo nel De dignitate et augmentis scientiarum del 1605, venissero proprio dalla penna di un eminente dottore in legge inglese, il cancelliere lord Francis Bacon, che aveva studiato al Trinity College di Cambridge dal 1573 e vi aveva trascorso gli anni della prima adolescenza apprendendo le sottigliezze della filosofia aristotelica, sotto lo sguardo critico del futuro arcivescovo di Canterbury John Whitgift. I membri delle professioni liberali erano particolarmente preparati nel campo della filosofia naturale, tanto da essere in condizione di affrontare il dibattito sulla sua validità, che avrebbe iniziato a svilupparsi nei primi decenni del Seicento.
Inoltre, con l'avanzare del secolo, i membri delle professioni liberali avrebbero anche goduto del privilegio di accedere in qualche modo, già in giovane età, alle attività degli stessi filosofi sperimentali. René Descartes, destinato alla carriera forense, aveva sognato di sostituire l'aristotelismo tomista insegnato nelle università con la sua filosofia meccanica. Sebbene nella maggior parte dell'Europa questo non si sia verificato se non verso la fine del XVII sec. (e in alcuni casi neanche allora), gli accademici aristotelici non puntarono i piedi, né voltarono le spalle alla nuova scienza. Riuscirono piuttosto a integrare molte delle nuove scoperte nella dottrina aristotelica. Certe posizioni aristoteliche erano fondamentali: gli accademici rimanevano legati all'ilemorfismo, al geocentrismo e all'assoluta separazione tra Universo superlunare e sublunare; ma da altri punti di vista, il loro insegnamento poteva essere estremamente eclettico. Intorno all'epoca della morte di Descartes, il gesuita Pierre Gaultruche, che negli anni Quaranta del Seicento aveva insegnato filosofia nel collegio di La Flèche, pubblicò un manuale aristotelico che presentava al lettore una vasta gamma di fenomeni nuovi e apparentemente sovversivi: nuove stelle, comete superlunari, la circolazione del sangue e il problematico vuoto che si creava quando una provetta piena di mercurio veniva rovesciata su un bagno di mercurio. Inoltre, in alcune università tedesche e olandesi, come Leida, negli ultimi decenni del secolo gli studenti di filosofia naturale avrebbero visto gli esperimenti veramente eseguiti e non solo descritti.
In effetti, inizialmente, i collegi e le università erano praticamente gli unici luoghi in cui i giovani potevano essere adeguatamente iniziati alla filosofia antica. All'inizio del XVII sec., quasi non esistevano versioni divulgative in volgare di Aristotele o di altri filosofi classici. Di conseguenza, come lamentava il francese Théophraste Bouju nella prefazione del suo manuale in volgare Corps de toute la philosophie divisé en deux parties (1614), la nobiltà francese era ignorante e vanagloriosa e spesso destabilizzava lo Stato con i suoi sventati atteggiamenti frondisti: "Perché la disobbedienza ai Principi sovrani, le rivolte e gli attentati contro la loro persona, o contro il loro Stato, si verificano più di sovente quando gli ambiziosi non conoscono a sufficienza cosa sia bene o male per loro: né sanno che ciascuno può essere sufficientemente felice secondo la propria condizione, come dimostra la Filosofia". Nella seconda metà del secolo, i collegi e le università erano ancora i principali luoghi in cui l'interesse per la filosofia sperimentale era attivamente stimolato. Sebbene a quel punto vi fossero sul mercato molti più manuali in volgare, sia a favore sia contro la nuova scienza, nessuno di essi era specificamente rivolto ai giovani. Il diffusissimo testo di Jacques Rohault, basato sulle lezioni private da lui tenute a Parigi negli anni Sessanta e pubblicato per la prima volta nel 1671, sembra fosse usato come vademecum dai convinti cartesiani, piuttosto che come guida introduttiva per le giovani menti. Nella prefazione dell'altrettanto famosa difesa della teoria copernicana e dei vortici cartesiani, Entretiens sur la pluralité des mondes (1686), Bernard Le Bovier de Fontenelle, divenuto più tardi segretario dell'Académie des Sciences parigina, si rivolgeva specificamente alle donne dell'aristocrazia: "Ho inserito in questi Entretiens una Donna che è stata istruita ma che non ha mai sentito parlare di queste cose. Ho pensato che questa finzione mi sarebbe stata utile sia per rendere l'Opera più gradevole, sia per incoraggiare le Signore, con l'esempio di una Donna, che pur non avendo affatto un carattere soprannaturale, e rimanendo sempre nei limiti di chi non ha la minima infarinatura di scienza, tuttavia comprende tutto quello che le si dice" (ed. 1689, A4). Inevitabilmente, dunque, la maggior parte dei filosofi sperimentali era costituita da membri delle professioni liberali, gli unici a essersi seriamente avvicinati alla Natura come oggetto di meraviglia e di indagine negli anni della loro formazione.
Inoltre, se la nuova scienza non fosse stata invenzione e monopolio delle professioni liberali, non avrebbe certo potuto trasformarsi in un movimento internazionale. Nel XVII sec., nessun movimento culturale rivoluzionario di dimensioni europee avrebbe potuto nascere da persone che non parlassero latino. Quest'ultimo era ancora la lingua franca degli intellettuali europei, come lo era stata nel Basso Medioevo e nel Rinascimento. Sebbene le lingue volgari dell'Europa occidentale fossero sempre più usate come strumenti di espressione filosofica e scientifica, soltanto l'italiano era una lingua internazionale. All'interno di uno Stato, gli studiosi potevano comunicare nella loro lingua madre, ma fino alla fine del secolo, nell'ambito della più vasta Repubblica delle Lettere, gli studiosi usavano normalmente il latino, come attestano le voluminose corrispondenze di Peiresc, Mersenne e del segretario della Royal Society, Henry Oldenburg. Era anche possibile partecipare al dibattito sulla nuova scienza senza parlare latino, ma si era interlocutori meno efficaci. Il molitore di lenti van Leeuwenhoek non conosceva che l'olandese, quindi le sue scoperte al microscopio poterono giungere alla Royal Society soltanto attraverso la traduzione di Robert Hooke e di Oldenburg.
Galilei poteva permettersi di scrivere in italiano, Kepler, Descartes ‒ dopo la sua iniziale incursione nel volgare con il Discours de la méthode del 1637 ‒ e Newton si rivolgevano ai loro colleghi scienziati nel linguaggio delle professioni liberali, alle quali, naturalmente, appartenevano per formazione. La rivoluzione puritana, il movimento religioso e politico millenaristico che travolse l'Inghilterra negli anni Quaranta e Cinquanta del Seicento, fu un evento esclusivamente inglese perché i rivoluzionari polemizzavano solamente in quella lingua. Se i suoi fedeli, come John Webster, cappellano del New Model Army di Cromwell e autore, nel 1654, di un caustico attacco all'insegnamento istituzionalizzato, fossero riusciti ad anglicizzare le università e a rendere democratiche le professioni liberali, come desideravano ardentemente fare, il contributo inglese alla nuova scienza come movimento internazionale sarebbe probabilmente morto sul nascere.
La provenienza di tanti filosofi dalle professioni liberali ebbe conseguenze importanti sull'evoluzione del metodo della nuova scienza. In primo luogo essa spiega il legame sempre più frequente tra quest'ultima e la raccolta di dati sperimentali. Questo non era nelle intenzioni dei suoi padri fondatori: tanto Bacon quanto Descartes sottolineavano l'importanza di raccogliere un numero sempre maggiore di osservazioni sul mondo naturale, ma nessuno dei due credeva che in ciò si esaurisse la filosofia naturale. Come i loro avversari aristotelici, erano convinti che la fisica fosse la scienza delle cause. Anche se le loro idee su come questa scienza potesse essere costruita ‒ in modo induttivo e deduttivo ‒ divergevano profondamente, lo scopo comune era quello di sostituire una scienza causale ‒ l'aristotelismo scolastico ‒ con un'altra. Purtroppo, costruire una filosofia naturale antiaristotelica che non contrastasse con l'ortodossia religiosa, sia cattolica sia protestante, si rivelò un'impresa difficile.
L'alternativa ermetica e quella neoplatonica, entrambe popolari nella prima metà del XVII sec., attribuivano un valore eccessivo alle potenzialità umane e sembravano svalutare il sacrificio di Cristo. L'atomismo epicureo, che era alla base della nuova filosofia meccanicista, evocava troppo il materialismo e l'ateismo; anche il corpuscolarismo cartesiano sembrava escludere i miracoli e rendere assurda la transustanziazione. Di conseguenza, i molti critici ecclesiastici della nuova scienza tendevano ad accusare di eresia i suoi adepti.
Questa non era un'accusa che preoccupava seriamente i filosofi sperimentali provvisti di mezzi propri. Dopotutto, la Rivoluzione scientifica non ebbe molti martiri. Nel XVII sec., nessuno, a parte Galilei, soffrì per le sue convinzioni scientifiche, neppure nell'Europa cattolica. Giordano Bruno, mandato al rogo a Roma all'inizio del secolo, fu giustiziato per aver sostenuto pubblicamente opinioni religiose completamente contrarie alla fede cristiana ‒ pensava che Cristo fosse l'ultimo dei maghi orientali ‒ e non per aver espresso opinioni scientifiche discordanti dall'ortodossia cattolica. I professionisti, tuttavia, dovevano essere più cauti. Avvocati e medici, che si guadagnavano da vivere con la loro professione, non potevano permettersi di alienarsi i clienti o rischiare di compromettere la propria posizione lasciandosi trascinare dal vento dell'eresia. I filosofi sperimentali che appartenevano al clero dovevano guardarsi le spalle in modo particolare. Nella maggior parte dell'Europa, la carriera ecclesiastica, perfino la conquista di un posto di insegnante, dipendeva dalla capacità di dimostrare la propria ortodossia. A partire dal 1624, all'Università di Parigi era praticamente lecito insegnare soltanto le teorie aristoteliche. Dal 1670, gli ordini cattolici regolari cominciarono a proibire ai loro docenti l'insegnamento dei fondamenti della fisica cartesiana. I sostenitori della nuova scienza che avevano la temerarietà di disobbedire erano sospesi e di conseguenza spesso non disponevano più del tempo e dello spazio necessari per continuare le loro ricerche. Come si legge nel Journal ou rélation fidelle de tout ce qui s'est passé dans l'université d'Angers au sujet de la philosophie de Des Carthes (1678) di François Babin, l'oratoriano Bernard Lamy, che era stato uno dei principali artefici del tentativo di affermare il cartesianesimo ad Angers, finì per scrivere sull'arte della retorica.
La raccolta dei dati sperimentali
Se i professionisti non si sentivano più in grado di sostenere la fisica qualitativa, forse aveva più senso abbandonare i problemi della causalità e concentrarsi sui dati sperimentali, anche arrivando al punto di separare i due problemi. Non sorprende che i filosofi sperimentali gesuiti fossero particolarmente attenti nella raccolta dei dati: poiché l'Ordine si vantava della sua impeccabile ortodossia e vigilava sui suoi membri con il pugno di ferro, era inevitabile che molti dei suoi filosofi sperimentali evitassero la fisica teorica. Personaggi come Athanasius Kircher (1602-1680) diedero, piuttosto, un contributo significativo a settori come quello dell'osservazione astronomica, dell'ottica e del magnetismo. Il giovane gesuita, professore di matematica e studioso sperimentale di ottica, Ignace-Baptiste-Gaston Pardies, si era conquistato una tale reputazione nella Parigi degli anni Settanta che sembra fosse stato sollecitato da Huygens a fornire alla Royal Society la risposta della comunità scientifica francese al primo rapporto di Newton relativo ai suoi esperimenti sui colori, pubblicato nelle "Philosophical Transactions".
Questa nuova concezione minimalista della filosofia naturale ebbe i suoi campioni anche tra i teologi dell'Inghilterra della seconda metà del XVII sec., dove questa posizione era ingiustamente legittimata facendo riferimento a Bacon, che era già un'icona della filosofia. Negli anni Cinquanta, il clero puritano considerava la raccolta di dati sperimentali un mezzo per giungere alla condizione idilliaca della Nuova Gerusalemme. I successori anglicani, durante il regno di Carlo II, pensavano che ridurre la fisica a storia naturale fosse un buon sistema per placare le controversie religiose della guerra civile. La nuova filosofia naturale avrebbe favorito l'armonia religiosa incitando le menti speculative a contemplare la grandezza di Dio e la bellezza della Creazione, piuttosto che a discutere le sottigliezze della teologia della salvazione. Nel 1667, il primo storico della nascente Royal Society, l'ecclesiastico Thomas Sprat, giunse al punto di presentare ‒ erroneamente ‒ la nuova fisica che prescindeva dalle cause come la dottrina ufficiale della nuova accademia. "Il progetto della Royal Society, secondo Sprat, era quello di "registrare fedelmente tutte le opere della Natura, o dell'Arte, nelle quali […] si imbatteva", per liberare la conoscenza dal proprio "confuso mucchio di vani e inutili dettagli", e districare i fatti naturali conosciuti dalle teorie generali" (Wood 1980, p. 6). Perfino i filosofi sperimentali provenienti dalle professioni liberali, che rimanevano fedeli alla fisica causale, a volte modificavano la loro posizione per quieto vivere.
Il gran numero di uomini di legge e di ecclesiastici francesi che cercarono di valorizzare la filosofia di Descartes dopo la sua morte, pubblicandone le opere e le lettere inedite e divulgando le sue idee attraverso conferenze private e manuali, non poterono evitare di dare alla sua fisica una sottile impronta epistemologica. Per sfuggire alle ire della Chiesa e alla possibile censura, la fisica cartesiana divenne una costruzione probabilistica e i suoi principî divennero euristici. Fu in questa forma non dogmatica e non controversa che la scienza causale di Descartes si fece strada nelle aule nei primi decenni del secolo successivo, come dimostra il corso di filosofia tenuto all'Università di Parigi nel 1712-1714 dall'abate Jerôme Besoigne, Philosophia ad usum scholae. Essendogli stato proibito dall'arcivescovo di Parigi di affermare che la filosofia meccanica di Descartes fosse corretta, il cartesiano Besoigne evitò la censura sostenendo che si trattava semplicemente di un'utile strategia esplicativa. Il pubblico doveva capire che l'estensione era 'volgarmente' definita come essenza della materia e che le sue tre manifestazioni ‒ sotto forma di particelle solari, celesti e terrestri ‒ erano soltanto un'ipotesi, anche se con qualche base probatoria: "infatti tutti i corpi o emettono luce, come il sole, le stelle fisse e il fuoco, o la trasmettono, come i cieli e l'aere, o la riflettono, come la terra e i pianeti". La loro esistenza, tuttavia, era nel migliore dei casi possibile. In fondo, la giustificazione per preferire le spiegazioni meccaniciste a quelle metafisiche (termine usato da Besoigne) era solo estetica. Le prime erano maggiormente adatte "a spiegare più comodamente i vari fenomeni [della Natura]" (Parigi, Bibliothèque de Sainte-Geneviève, mss. 2077-2082, V, pp. 54-60, 93-95).
La fisica matematica
È anche possibile che, nel corso del secolo, simili preoccupazioni professionali contribuissero alla nascita di un tipo completamente nuovo di filosofia naturale, la fisica matematica, che non era causale, ma non prescindeva completamente dalle cause. Storicamente, la filosofia naturale e la matematica erano state tenute accuratamente distinte. Per i filosofi aristotelici, una cosa era lo studio concreto della Natura e un'altra il suo studio in astratto: poiché l'universo sublunare era in uno stato di continuo cambiamento e tutti i fenomeni naturali erano unici, non vi era modo di descrivere il loro comportamento come matematicamente costante. Fin dall'Antichità, tuttavia, gli astronomi avevano sfidato questa convinzione considerando perfetti i cieli superlunari; nel Rinascimento, alcuni matematici italiani, come Niccolò Tartaglia, avevano cominciato a estendere l'esplorazione quantitativa dei moti celesti alla sfera terrestre. All'inizio del XVII sec., questo nuovo approccio al mondo sublunare vide in particolare tra i suoi fautori un gruppo di matematici gesuiti legati al Collegio Romano, come Cristoforo Clavio, il quale era giunto a credere che la fisica qualitativa aristotelica fosse una scienza imprecisa e che Dio avesse scritto il libro della Natura nel linguaggio della matematica.
Nei primi decenni del XVII sec., questa tradizione fu portata avanti e perfezionata da un piccolo gruppo di matematici professionisti laici, che ricoprivano cattedre universitarie o avevano una posizione a corte, in particolare Galilei e Kepler. Ma fu un altro ecclesiastico, Marin Mersenne, che spiegò come la nuova fisica matematica potesse rivelarsi un sostegno per l'ortodossia. Nella Vérité des sciences, del 1625, egli attaccò le nuove filosofie naturali antiaristoteliche, soprattutto sostenendo che erano pericolose dal punto di vista teologico e impossibili da provare. La matematica, invece, era un modo sicuro per esplorare il mondo naturale donato da Dio all'uomo. Essa non permetteva di conoscere i principî delle cose (perché questi erano noti soltanto a Dio), ma offriva una certa possibilità di cogliere le leggi secondo le quali il mondo naturale era conservato da Dio. Inoltre, fu proprio un altro filosofo sperimentale laico, Isaac Newton, che però viveva e lavorava in un centro del potere ecclesiastico grazie a una dispensa reale, a portare al suo pieno sviluppo la nuova fisica matematica. Nel caso di Newton, tuttavia, la scelta entusiastica di questa nuova disciplina non fu un modo per convalidare l'ortodossia cristiana, quanto una via per difendersi dalle critiche dei teologi di Cambridge. Nei Principia (1687), rifiutando di 'inventare ipotesi' e insistendo nel dire che la causa della gravità rimaneva ignota, Newton riuscì a eludere, almeno in Inghilterra, le implicazioni materialistiche di una fisica astronomica, la quale sembrava suggerire che la materia potesse muoversi da sola e che Dio fosse indistinguibile dalla Creazione.
Nella prima parte del XVII sec., la nuova fisica matematica fu per lo più ignorata dagli altri filosofi sperimentali. Lo stesso Descartes, sebbene fosse un matematico innovativo, non tenne minimamente conto di Kepler nel formulare la teoria meccanica dei moti planetari. Il lavoro di Kepler fu ignorato persino da Galilei, il quale non riusciva a liberarsi dal pregiudizio che i pianeti dovessero avere orbite circolari.
All'inizio del XVIII sec., tuttavia, le conquiste di Newton erano state ormai riconosciute da tutti i maggiori rappresentanti del movimento scientifico, compresi coloro che, come Huygens e Leibniz, rimanevano nella convinzione che fosse possibile costruire una fisica razionalistica sulla base di principî che si spiegavano autonomamente. Newton era convinto di aver dimostrato l'inadeguatezza matematica della teoria dei vortici di Descartes che spiegava il movimento dei pianeti. I cartesiani dell'Académie Royale des Sciences passarono i primi decenni del XVIII sec. a cercare di dimostrare che la teoria cartesiana era solida dal punto di vista matematico. Alla fine, però, perfino la fisica causale di Descartes subì un processo di matematizzazione.
Nella battaglia matematica tra i cartesiani e i newtoniani della prima metà del XVIII sec., un ruolo importante fu svolto, ancora una volta, dalla Compagnia di Gesù. La maggior parte dei filosofi sperimentali gesuiti del XVII sec. si era limitata a raccogliere dati sperimentali, inserendoli nel quadro di riferimento aristotelico tradizionale. Se contribuirono al progetto di matematizzazione del mondo, di solito lo fecero promuovendo le nuove 'discipline matematiche miste' in cui la scienza dei numeri era applicata ad attività come la topografia, la navigazione e la scienza delle fortificazioni. La tradizione claviana, tuttavia, non si estinse mai e nella prima metà del XVIII sec. la Compagnia produsse un buon numero di abili matematici, il più famoso dei quali fu il newtoniano Ruggero Giuseppe Boscovich, che insegnava al Collegio Romano. Bisogna sottolineare che, come ordine, i gesuiti non erano contrari alla nuova scienza, purché non costituisse una minaccia per l'ortodossia. Anzi, all'inizio del Settecento, diversi gesuiti del Collège de Louis-le-Grand di Parigi, in particolare Louis-Bertrand Castel, vi rimasero come scienziati 'professionisti' dopo aver lasciato la cattedra di matematica, senza che venisse loro richiesto l'adempimento dei compiti pastorali. All'inizio del XVIII sec., dunque, il profilo intellettuale della Compagnia di Gesù aveva due volti. I suoi professori di filosofia insegnavano una fisica conservatrice che stava ormai rendendo l'Ordine oggetto di scherno: negli anni Trenta del Settecento, il corso di fisica dei gesuiti a Caen rifiutava ancora le teorie copernicane sulla base delle Scritture e accettava spiegazioni meccaniche soltanto quando si discuteva del mondo sublunare. I professori di matematica, invece, erano spesso all'avanguardia nella scienza naturale contemporanea: Castel, per esempio, fu uno dei principali artefici della critica matematica francese alla teoria dell'attrazione newtoniana.
Il metodo della ricerca sperimentale
La maggior parte dei professionisti che appartenevano alla comunità dei filosofi sperimentali, tuttavia, svolse un ruolo minimo nel promuovere la nuova fisica matematica. Questo era inevitabile data la loro formazione; almeno prima del 1650, era improbabile che un rappresentante medio delle professioni tradizionali avesse ricevuto un'adeguata preparazione nella scienza dei numeri. Certamente, nelle università inglesi l'insegnamento della matematica era ampiamente disponibile perfino nella prima metà del secolo e molti studenti ne approfittavano. Invece, nello stesso periodo, in numerosi collegi francesi, tedeschi, italiani e spagnoli spesso la matematica non veniva affatto insegnata, o veniva studiata solo fuori dal curriculum da giovani destinati a una carriera nell'esercito o nel commercio; nel 1627, solo in due dei quattordici collegi dei gesuiti della Francia settentrionale si impartiva questo insegnamento e sessantaquattro studenti ne seguivano le lezioni, rispetto ai più di ottocento che frequentavano le lezioni di filosofia nel resto della regione. Nella prima metà del secolo, i rappresentanti delle professioni tradizionali che appartenevano alla comunità dei filosofi sperimentali e che avevano una buona conoscenza della matematica erano spesso autodidatti. Dal Discours de la méthode non è chiaro se lo stesso Descartes avesse imparato la matematica in collegio. Molti professionisti, comunque, continuarono a ignorare questa scienza anche dopo il 1650. L'ugonotto Pierre Bayle, uno dei più colti savants della fine del XVII sec., fondò la rivista mensile di recensioni di libri, "Les nouvelles de la République des Lettres", che svolse un ruolo importante nella divulgazione della nuova scienza e di altri campi del sapere. Benché avesse ricevuto un'educazione sia calvinista sia gesuita e avesse anche insegnato filosofia per diversi anni nel collegio protestante di Sedan, Bayle era talmente ignorante in matematica che non riusciva a operare con le frazioni.
Da questo punto di vista, quindi, la partecipazione di molti chierici, avvocati e medici al movimento scientifico potrebbe aver effettivamente rallentato la trasformazione della filosofia naturale tradizionale nella moderna fisica matematica. Allo stesso modo, il peso della loro presenza spiegherebbe anche perché tanta parte della raccolta di dati sperimentali effettuata nel XVII sec. sembri mancare di rigore e di coerenza. La concezione moderna della sperimentazione, basata su osservazioni attente e ripetute e possibilmente espresse in termini matematici, non nacque immediatamente all'inizio del XVII sec., e neppure il metodo 'impersonale' moderno di registrare i risultati. In effetti, procedure assimilabili ai moderni protocolli si svilupparono solo nella seconda metà del Settecento. La maggior parte dei filosofi sperimentali dell'epoca classica della Rivoluzione scientifica avevano un atteggiamento più 'amatoriale' e 'personale' nei confronti della raccolta di dati. Come rivela il materiale presentato alla Royal Society negli anni Sessanta e Settanta del Seicento, non esisteva una procedura stabilita. Le osservazioni potevano essere condotte in modo attento o casuale; spesso venivano compiute una volta sola e alla presenza di una sola persona; l'enfasi era posta sui fenomeni straordinari piuttosto che su quelli comuni; le discussioni erano solitamente discorsive piuttosto che matematiche e i fantasmi venivano considerati oggetti di studio appropriati quanto la gravità. Perfino alcuni degli sperimentatori più autorevoli non sembravano prendere in considerazione il fatto che, se si voleva essere sicuri dei risultati, le osservazioni dovevano essere ripetute più volte. Quando nel 1648 Florin Périer, cognato di Blaise Pascal, diede la nota conferma dell'esistenza della pressione dell'aria misurando l'altezza di una colonna di mercurio alla base e alla sommità del Puy-de-Dôme, fece ben sei diverse misurazioni, ma tutte nello stesso giorno. Lo stesso Pascal era ancora più disinvolto: confermò a sua volta la dimostrazione di Périer ripetendo l'esperimento soltanto due volte, la prima alla base e in cima alla torre della chiesa parigina di St-Jacques de la Boucherie e la seconda volta al primo e all'ultimo piano di una casa parigina, distanti solo 90 scalini!
Un simile approccio alla raccolta di dati sperimentali non era semplicemente il risultato delle difficoltà incontrate nel compiere osservazioni e condurre esperimenti in un'epoca in cui mancavano laboratori costruiti a tale scopo e strumenti sofisticati, ma era anche legato all'esperienza personale di molti dei ricercatori. Quando i rappresentanti delle professioni liberali cominciarono a dedicare il loro tempo libero allo studio della Natura, non erano del tutto nuovi alla raccolta di dati. I medici laureati erano ovviamente osservatori professionisti; passavano anche quindici minuti a scrutare attentamente i loro pazienti per individuare i segni rivelatori di una particolare malattia, e spesso lo facevano due volte al giorno. In questo senso, si distinguevano dai medici empirici che presumibilmente dedicavano poco tempo ai loro pazienti per guadagnare più denaro possibile. Anche avvocati e chierici raccoglievano continuamente e vagliavano dati concreti alla ricerca di prove. Nel loro caso, tuttavia, non si può propriamente parlare di osservazioni e l'uso che essi facevano dei dati era decisamente poco obiettivo. Gli avvocati cercavano in un documento scritto o nella memoria dei loro clienti un fatto saliente su cui basare la loro difesa; i parroci setacciavano la Bibbia, le vite dei santi, le storie e altre opere alla ricerca di un particolare incisivo per illustrare i loro sermoni. Soltanto i giudici secolari e quelli ecclesiastici condividevano con i medici la preoccupazione di essere obiettivi. Anche da loro ci si aspettava che vagliassero le prove presentate con la massima attenzione, soprattutto nei processi per eresia e stregoneria e nei casi di canonizzazione.
Poiché i rappresentanti delle professioni liberali erano dunque professionisti della raccolta di dati, ci si poteva aspettare che essi avrebbero applicato le stesse metodologie anche allo studio della Natura. Il loro approccio poteva essere più o meno rigoroso a seconda della loro esperienza professionale, ma tutti tendevano comunque a presupporre che nello studiare i segreti della Natura al centro dell'interesse dovesse esserci l'insolito e l'eccezionale, non il comune e il quotidiano. Al tempo stesso, probabilmente, privilegiavano l'evento unico. Professionalmente, avevano a che fare con individui, non con l'umanità in generale o con i gruppi sociali, e sebbene accettassero l'idea che tutti gli esseri umani sono essenzialmente uguali dal punto di vista biologico e morale, credevano anche che ognuno fosse una creazione unica. I medici operavano sulla base di questa convinzione quanto i chierici e gli avvocati. Anche le malattie erano soltanto etichette linguistiche, non realtà oggettive: ogni paziente si ammalava in modo diverso, a seconda del temperamento, del carattere e della causa esterna specifica della malattia, per esempio un pasto eccessivamente abbondante. Per questo motivo i sintomi del paziente dovevano essere accuratamente e frequentemente osservati, per cogliere il carattere peculiare dell'afflizione. Gli empirici venivano derisi perché ignoravano questo principio e curavano i pazienti in modo indiscriminato. Quando i professori di medicina pubblicavano una selezione delle loro raccolte di casi, non vi aggiungevano alcuna conclusione patologica di carattere generale. Per esempio, le Observationes medicae di Lazare Rivière (Riverius) di Montpellier, che apparvero verso la metà degli anni Quaranta del Seicento, servivano soprattutto a pubblicizzare il suo rimedio per la febbre. A parte questo, il libro era essenzialmente un compendio di casi particolari che descriveva le difficoltà e i successi dell'autore nel corso degli anni.
'Torturare la Natura'
Gli amateurs del XVII sec., pur con i loro limiti, non ebbero un ruolo completamente negativo nella nascita del metodo della scienza moderna: per lo meno contribuirono a creare una tradizione sperimentale. L'idea di manipolare deliberatamente i fenomeni naturali faceva parte dell'eredità degli alchimisti medievali, estesa al mondo organico dagli allevatori e orticoltori del Rinascimento, e della quale poi si appropriarono i 'virtuosi'. Nei primi decenni del XVII sec. quest'idea trovò la sua espressione più controversa nelle attività dei vivisezionisti, come il medico William Harvey. Sebbene fosse deplorata da coloro i quali ritenevano che in questa pratica l'uomo giocasse a fare Dio causando spesso grande dolore, la convinzione che la Natura dovesse essere costretta a rivelare i suoi segreti era molto diffusa tra i filosofi sperimentali. La metodologia predominante e non matematica della nuova scienza era probabilmente molto lontana dai protocolli della moderna ricerca scientifica, ma aveva una cosa in comune con la sua più rigorosa discendente: una fede attiva e creativa. Indubbiamente il virtuosismo sperimentale dell'epoca aveva i suoi limiti. Quando gli scienziati di Londra e Parigi cominciarono a fare i primi esperimenti sulle trasfusioni di sangue a metà degli anni Sessanta del Seicento (dalle pecore agli uomini), i tentativi furono interrotti quando una delle 'cavie' francesi morì e i suoi parenti minacciarono di intentare causa. Resta il fatto che i filosofi sperimentali, per quanto fossero poco rigorosi nei loro esperimenti, non si tiravano indietro di fronte a pratiche cruente ed estreme, né si ponevano troppi scrupoli nel tentativo di esplorare i segreti della Natura.
I motivi di questo comportamento erano vari. In un'epoca patriarcale, in cui le donne venivano spesso trattate come proprietà, gli scienziati erano uomini e la Natura femmina. Era anche un'epoca crudele e poco sentimentale, in cui le teste dei criminali giustiziati infilzate sulle lance erano esposte alle porte delle città, oppure parti dei loro corpi erano appese ai rami degli alberi e lasciate marcire fuori delle mura cittadine, come accadeva di norma, per esempio, a metà del XVI sec. a Montpellier, secondo la testimonianza di Felix Platter. Cosa ancora più importante, questo comportamento nasceva dalla mentalità dei professionisti predominante nel movimento scientifico. La maggior parte dei filosofi sperimentali era sinceramente cristiana e accettava l'idea che l'umanità fosse il frutto della caduta. Anche se probabilmente molti intravedevano la possibilità di un miglioramento materiale dell'uomo ‒ anzi, Descartes nella conclusione del Discours de la méthode affermava che la sua nuova fisica avrebbe avuto conseguenze rivoluzionarie per la salute umana ‒ la loro era ancora essenzialmente una visione agostiniana del mondo. I chierici, gli avvocati e i medici avevano un'opinione particolarmente ostile nei confronti dei propri simili. Nell'esercizio della loro professione vivevano tra peccati e inganni. Perfino i medici pensavano di non doversi fidare dei pazienti e delle loro famiglie. Laurent Joubert, medico e professore di Montpellier affermava negli Erreurs populaires, au fait de la médecine et la régime de santé (1578) che gli ammalati chiamavano il medico quando era troppo tardi, non seguivano i suoi consigli, infangavano il suo nome se la cura falliva e mostravano ingratitudine quando aveva successo: "Ma quando si è guariti, si comincia a pensare che il Medico non abbia fatto nulla, o che si sarebbe guariti anche senza di lui. Che sia stato il voto fatto [a un santo] a causare la guarigione; o i buoni servigi degli infermieri, le buone minestre, oppure lo Speziale che vorrà attribuirsi tutto il merito, o la buona e forte costituzione del malato, o un caso fortuito, come qualche intemperanza a cui si è ceduto, al quale verrà attribuita follemente la guarigione" (ed. 1608, p. 66). Nella prima parte del XVII sec., molti tra coloro che praticavano le professioni liberali erano sicuri che il miglior antidoto contro l'inganno fosse il terrore. Può anche darsi che i primi tempi dell'Età moderna non fossero così 'spaventosi' come molti storici hanno creduto, ma i potenti sapevano usare bene la paura come meccanismo di controllo. I chierici puntavano sulla paura della sofferenza nel mondo ultraterreno; i giudici sulla paura della sofferenza in questo mondo. In buona parte dell'Europa continentale, l'accusato non aveva il diritto di tacere e un interrogatorio di solito prevedeva la tortura anche quando l'accusa era relativamente lieve. I giudici davano implicitamente per scontato che l'accusato avrebbe mentito e che l'unico modo per sapere la verità fosse torturarlo. Data questa mentalità sospettosa, i filosofi sperimentali che avevano una formazione legale non potevano non pensare che la Natura sarebbe stata riluttante a svelare i propri segreti. Non era una macchina incapace di provare dolore: la filosofia meccanicista avrebbe preso piede molto lentamente tra costoro soltanto nella seconda metà del XVII secolo. Per loro la Natura era viva e avrebbe risposto soltanto a un trattamento violento. Ancora una volta, quindi, la pratica professionale era alla base di un particolare approccio alla Natura e lo incoraggiava. Non è una coincidenza che il più famoso sostenitore della necessità di 'torturare la Natura' agli inizi della Rivoluzione scientifica fosse proprio il giurista inglese Francis Bacon. Nella common law, che prevedeva il diritto al silenzio dell'accusato, l'uso della tortura era perlopiù vietato. Questo tipo di protezione, tuttavia, veniva meno quando si trattava di difendere la sicurezza dello Stato. È probabile che Bacon fosse così affascinato dalla possibilità di torturare la Natura perché aveva assistito alle torture dei dissidenti cattolici alla fine del Cinquecento e sapeva bene con quale rapidità il dolore facesse sciogliere la lingua.
La comunicazione scientifica
L'esperienza professionale degli uomini di cultura influì anche sull'organizzazione del nuovo movimento scientifico. Quello che rendeva la nuova scienza più avanzata rispetto alle precedenti manifestazioni dello spirito sperimentale ‒ per esempio l'opera degli alchimisti del Tardo Medioevo ‒ era la rapidità con cui i risultati della ricerca di un singolo, se questi lo desiderava, potevano essere diffusi e discussi. Ciò era in parte conseguenza dell'invenzione e dello sviluppo della stampa nel corso del Rinascimento, ma rifletteva anche una maggiore apertura e larghezza di vedute: buona parte dei filosofi sperimentali ritenevano di essere moralmente obbligati a rendere pubblico il loro lavoro. Tutto ciò nasceva soprattutto dall'istituzionalizzazione della Repubblica delle Lettere. I curiosi non avevano alcuna collocazione istituzionale ovvia: alcuni avevano un compito a corte, altri nelle università, ma la maggior parte viveva fuori dalle mura domestiche. Nel corso del secolo, tuttavia, i virtuosi cominciarono a crearsi i propri supporti istituzionali: uno di essi era il circolo dei corrispondenti. Nella prima parte del XVII sec., un certo numero di persone ‒ soprattutto Peiresc, Mersenne e Samuel Hartlib ‒ si prodigarono nell'allestire e nel mantenere attiva una rete di corrispondenti, grazie ai quali le nuove informazioni potevano facilmente circolare tra le persone interessate. Il loro impegno fu decisivo. Trattandosi di un'epoca in cui i servizi postali statali quasi non esistevano, i contatti epistolari casuali non avrebbero mai potuto svolgere una funzione simile.
In secondo luogo, i curiosi crearono i propri centri istituzionali, le accademie, spazi privati in cui si potevano discutere e legittimare scoperte, nuove idee o opere d'arte. Fondate inizialmente in Italia, nei primi anni del XVII sec., le accademie delle scienze e delle arti sorgevano ormai in tutta Europa, perfino in Spagna e in Russia. E, cosa ancora più importante, due delle accademie più prestigiose e attive ‒ la Royal Society di Londra e l'Académie des Sciences di Parigi ‒ erano state fondate per decreto reale e avevano lo specifico incarico di promuovere la filosofia sperimentale.
Come nel caso della metodologia della nuova scienza, la creazione e lo sviluppo di questi supporti istituzionali dovettero molto all'esperienza professionale dei curiosi. I professionisti degli inizi dell'Età moderna non svolgevano il loro lavoro in modo isolato, ma facevano parte del più ampio mondo delle corporazioni. Gli appartenenti al clero regolare erano ovviamente membri di un ordine gerarchicamente organizzato, che controllava attentamente le loro attività; lo stesso valeva per i parroci o per i membri del capitolo di una cattedrale, come Pierre Gassendi, canonico a Digne. Analogamente, avvocati e medici, soprattutto nelle grandi città, erano di solito membri delle corporazioni professionali locali, che stabilivano norme di condotta e parcelle. Anzi, spesso si verificava che soltanto i membri della corporazione avessero il diritto di esercitare in quel luogo. In questo mondo professionale, individui e comunità si tenevano in contatto tra loro per corrispondenza. Le corporazioni legali e quelle mediche spesso si assistevano reciprocamente per difendere i propri privilegi, mentre c'era un continuo scambio di corrispondenza tra papa e vescovi, vescovi e preti, assemblea generale e concistoro (particolarmente in quest'epoca consacrata all'evangelizzazione delle masse). Gli ordini regolari costruivano e mantenevano elaboratissime reti di corrispondenza, ogni collegio gesuitico, per esempio, era obbligato a mandare a Roma brevi resoconti trimestrali delle proprie attività e rapporti annuali più dettagliati che, a loro volta, richiedevano spesso lunghe risposte. A metà del XVI sec., Ignazio di Loyola fu a capo dell'Ordine per soli sedici anni, ma la sua corrispondenza giunta fino a noi ammonta a circa seimila lettere, mille delle quali risalgono solo al 1554.
Ovviamente, i rappresentanti delle professioni liberali non avevano il monopolio degli scambi epistolari istituzionali. Le università si tenevano da tempo in contatto epistolare le une con le altre, per scambiarsi opinioni sulle più scottanti questioni teologiche. In un'epoca in cui la raccolta di informazioni segrete era uno dei passatempi più in voga, molte reti di corrispondenti partivano anche dalle corti. Per un Loyola che cercava di tenere sotto controllo il suo impero spirituale, c'era un Francis Walshingham o un cardinale Richelieu che teneva d'occhio i suoi aristocratici e nobili rivali. L'idea e le potenzialità di un circolo di corrispondenti dovevano essere quindi piuttosto note alla maggior parte dei filosofi sperimentali, quale che fosse la loro formazione, essendo questa una forma di comunicazione profondamente radicata. Il fatto, tuttavia, che la prima rete importante di corrispondenti scientifici sia stata creata da un avvocato di provincia come Nicolas-Claude Fabri de Peiresc e la seconda dal frate minimo parigino Marin Mersenne fa supporre che l'esperienza professionale abbia svolto un ruolo preponderante nel garantirne la diffusione. Sembra anche probabile che a rendere così durevole il circolo di corrispondenti di Mersenne sia stato il fatto che fosse in parte costruito su una rete già esistente. I minimi, che passavano di convento in convento per incarico dell'Ordine, probabilmente portavano le lettere di Mersenne ai dotti dell'Europa cattolica, proprio come i corrieri dei gesuiti indubbiamente svolgevano un ruolo simile per i propri filosofi sperimentali. Quindi Mersenne, per costruire la sua rete, probabilmente non dipendeva completamente dai buoni uffici di viaggiatori e mercanti, il cui senso del dovere era facilmente sopito dalla distanza. Sarebbe stato molto più difficile, per un cortigiano erudito, ottenere simili 'passaggi epistolari' dalle figure misteriose e sinistre che popolavano il mondo dei circoli di corrispondenti politici.
L'esperienza professionale deve aver svolto un ruolo importante anche nella nascita delle accademie. Normalmente, l'origine di tali istituzioni si fa risalire alle società letterarie aristocratiche sorte in Italia nel XVI sec., che a loro volta si ispiravano all'ideale platonico degli scambi tra studiosi, del tutto assenti nelle università dove il dibattito era solitamente pedante e querulo. Non c'è motivo di dubitare di questa genealogia, ma neanche c'è necessità di trattare le accademie scientifiche (private e statali) del XVII sec. come istituzioni essenzialmente frequentate da cortigiani e gentiluomini. La Royal Society e la sua antenata di Oxford probabilmente erano popolate in prevalenza da gentiluomini, anche se si trattava di chierici gentiluomini, ma le accademie private francesi precedenti l'Académie des Sciences erano state fondate da chierici, avvocati e medici come Pierre-Daniel Huet (1630-1721), poi vescovo di Avranches, dal parlementaire Henri-Louis Habert de Montmor (m. 1679) e da uno specialista della gotta come Pierre Michon Bourdelot (1610-1684).
La loro esperienza organizzativa di solito non era legata alla corte o ai salotti letterari parigini del secondo quarto del secolo, dominati dalle donne. Infatti, i salonniers e gli eruditi spesso avevano poco riguardo gli uni per gli altri, come rivela fin troppo chiaramente la tiepida opinione che di Peiresc aveva Jean-Luis Guez de Balzac. Nel 1637, scrivendo a un altro protagonista della cultura dei salons parigini, il teorico della letteratura Jean Chapelain, il romanziere sosteneva di non aver mai capito "gli straordinari meriti di questo signor de Peiresc". Sarà stato anche dotto e curioso, ma "mi sembra che tutto questo non basti a farne un gran personaggio […] c'è differenza tra le virtù eroiche e le virtù delle persone comuni; tra la gloria e la buona reputazione" (Balzac a Chapelain, 1° maggio 1637, in Miller 2000, pp. 72-73).
In Francia, il mondo istituzionale dei primi accademici della scienza era principalmente costituito dalla corporazione dei giudici, dai collegi dei medici e degli avvocati o dalle facoltà universitarie. Era un mondo accuratamente organizzato, spesso con regole scritte. Le riunioni si tenevano a intervalli precisi; gli associati di solito assistevano insieme a una funzione religiosa prima o dopo la riunione; gli incontri avevano un ordine del giorno, i documenti venivano registrati e si redigevano verbali; gli associati che commettevano errori venivano multati o addirittura espulsi. Era anche un mondo in cui ci si aspettava continuamente che gli associati esprimessero giudizi sulla base di prove. Il compito più comune era quello di esaminare potenziali nuovi associati in base a criteri stabiliti e di giudicare la loro eleggibilità. Di tanto in tanto, tuttavia, era richiesto anche da parte di esterni ‒ il municipio, o addirittura lo Stato ‒ di esprimere un parere collettivo su un problema particolarmente spinoso. Alle corporazioni dei medici, per esempio, nella prima metà del secolo, era chiesto continuamente di suggerire metodi per affrontare le epidemie di peste e di rendere pubblici i consigli per il bene della comunità. Era un mondo in cui le opinioni degli associati erano spesso in conflitto tra loro, dove bisognava saper affrontare dibattiti acrimoniosi e in cui il principio del voto di maggioranza era da tempo profondamente radicato. Quindi, un mondo ben lontano da quello raffinato della corte e dei salotti, le cui regole di comportamento erano probabilmente molto rigide ma non erano mai state formalmente codificate se non nei manuali di galateo.
Man mano che un numero sempre maggiore di accademie cominciava a trasformarsi in istituzioni corporative sponsorizzate dallo Stato, nella seconda metà del XVII e nel XVIII sec., fu il mondo delle regole che finì con il predominare piuttosto che quello della buona educazione di corte. Anche se la Royal Society rimase relativamente informale, le accademie continentali adottarono molti degli aspetti dei circoli corporativi e regolamentati fino a giungere al numero chiuso. A qualunque classe appartenessero i membri, erano essenzialmente istituzioni dell'Ancien Régime europeo, regolate dallo Stato tramite organi di intermediazione privilegiati. Può anche darsi che i curiosi avessero mutuato l'idea di istituzionalizzare i propri interessi intellettuali dai salotti letterari del Rinascimento, ma il loro modello organizzativo nella maggior parte dei casi fu la corporazione professionale. Inoltre, quando Richelieu nel 1635 fondò l'Académie Française, la prima accademia letteraria pubblica, costituita per creare una lingua letteraria francese che riflettesse quella vacuità delle conversazioni di corte che non costituiva pericolo dal punto di vista politico, ingabbiò anche quella in un guscio corporativo.
In un caso particolare è probabile che l'aspetto corporativo e quello accademico fossero strettamente intrecciati. La più importante accademia culturale parigina dell'epoca di Richelieu era ospitata dai fratelli Pierre e Jacques Dupuy ‒ un avvocato e un ecclesiastico ‒ nella biblioteca costruita dal defunto politique e parlementaire Jacques-Auguste de Thou. Questa accademia si occupava principalmente di problemi antiquari e storici. Le questioni inerenti alla filosofia sperimentale, invece, negli anni Trenta del Seicento erano principalmente dibattute durante le conferenze settimanali organizzate da un medico ex protestante, Théophraste Renaudot, che dirigeva anche la nuova "Gazette" di corte per il suo protettore, il cardinale Richelieu.
L'accademia di Renaudot, tuttavia, era probabilmente qualcosa di diverso da quello che poteva apparire. Le persone che vi si riunivano sicuramente provavano un grande piacere a occuparsi di filosofia sperimentale (e anche di altri aspetti della filosofia), ma si potrebbe obiettare che rappresentavano uno spaccato un po' particolare della Parigi colta. Le conferenze si tenevano al Bureau d'Adresses, un'altra delle invenzioni di Renaudot che era in parte agenzia di collocamento, in parte monte di pietà e in parte dispensario popolare; i suoi assistenti erano medici che come lui avevano completato il dottorato presso la Facoltà di medicina di Montpellier. In quanto tali, agivano illegalmente, anche se offrivano i loro consigli unicamente ai poveri, perché soltanto i membri del collegio dei medici di Parigi, che dovevano essersi laureati nella facoltà parigina, erano autorizzati a esercitare nella capitale. Non sappiamo nulla dei partecipanti alle conferenze, ma sembra ragionevole presumere che ci fosse una forte sovrapposizione tra le due istituzioni e che il Bureau di Renaudot e la sua accademia fossero in realtà una facciata che nascondeva una corporazione rivale di medici. Senza dubbio, Renaudot e i suoi colleghi speravano che presentando le proprie dotte credenziali e compiendo altri atti di pubblica utilità sarebbe stato loro concesso di esercitare indisturbati. Inutile dire che, nel mondo corporativo della Francia del XVII sec., questa tattica poté funzionare soltanto finché rimase in vita Richelieu, il protettore di Renaudot. Alla sua morte, il collegio medico di Parigi presentò un appello al Parlamento parigino affinché ne ribadisse i privilegi e Renaudot e le sue attività furono dichiarati illegali.
Da quanto abbiamo detto, risulta chiaro che le professioni liberali diedero un importante contributo allo sviluppo della nuova scienza. Le fornirono buona parte delle truppe d'assalto ed ebbero un notevole influsso culturale sulla nascita delle procedure e dell'organizzazione. D'altro canto, non bisogna pensare che un'alta percentuale dei membri di queste professioni fosse attivamente coinvolta nella Rivoluzione scientifica. Sebbene i membri delle professioni liberali fossero il gruppo che contribuì in modo predominante alla nascita della filosofia sperimentale, rappresentavano soltanto una esigua minoranza della loro classe. Nel XVII sec. in Francia c'erano probabilmente centomila chierici (secolari e regolari) e forse altrettanti uomini di legge (avvocati laureati, procuratori legali e notai che non avevano ricevuto un'istruzione universitaria). Solo un piccolo numero di essi però si interessava alla nuova scienza: Peiresc, Gassendi, Mersenne, Habert de Montmor, il gesuita Ignace-Baptiste-Gaston Pardies e altri, come l'oratoriano Nicolas Malebranche, erano figure eccezionali. La classe medica non era meglio rappresentata. Nella seconda metà del secolo, la Francia vantava dai milletrecento ai millesettecentocinquanta medici laureati e forse dai seimila agli ottomila chirurghi che non avevano ricevuto quasi nessuna educazione formale. Tra questi, i filosofi sperimentali saranno stati forse una decina, ed erano quasi tutti collegati, in un modo o nell'altro, all'Académie des Sciences o al Jardin du Roi, il giardino botanico reale fondato nel 1640, che offriva le strutture necessarie per condurre ricerche di anatomia e chimica, oltre che di storia naturale. In tutte le parti d'Europa, le uniche persone colte che contribuirono alla Rivoluzione scientifica, come gruppo, furono i matematici di professione, soprattutto in Italia, dove già prima di Galilei esisteva una tradizione di ricerca che sarebbe stata proseguita dopo la sua morte da Evangelista Torricelli e che continuerà con la dinastia dei Cassini. Ma i matematici professionisti, come abbiamo visto, erano una congrega particolare. Pochi di numero ‒ anche se sempre più importanti da quando professioni come quella del topografo, del cartografo e dell'architetto avevano cominciato ad acquisire maggiore rilievo ‒ erano ancora scarsamente visibili come gruppo professionale al di fuori del mondo delle università, dei collegi e delle corti.
Inoltre, molti dei membri delle professioni liberali coinvolti nella nuova scienza si interessavano alla filosofia sperimentale soltanto per qualche anno. In parte perché avevano altri interessi intellettuali ‒ Peiresc, per esempio, si divideva continuamente tra il suo entusiasmo per la storia naturale, l'anatomia e l'astronomia e la passione per lo studio del passato, tanto che oggi è più conosciuto come antiquario che come scienziato ‒ ma anche perché erano professionisti che spesso dovevano guadagnarsi da vivere con il loro lavoro. Nei medici, in particolare, che raramente avevano fonti di reddito al di fuori della professione, la passione sperimentale andava scemando quando invecchiavano. Nei primi anni di attività, i clienti e le responsabilità erano minori, ma arrivati alla maturità avevano moglie e figli da mantenere e dovevano dedicare molto più tempo a coltivare la clientela.
La storia di Richard Lower come filosofo sperimentale ne è un chiaro esempio. All'inizio degli anni Sessanta faceva parte del gruppo di medici di Oxford che portava avanti il lavoro di William Harvey; lui stesso aveva condotto esperimenti di trasfusione tra cani. Per queste attività era stato nominato membro della Royal Society e gli era stato chiesto di assistere Robert Hooke ed Edmund King nel famoso esperimento di trasfusione da una pecora a un uomo che ebbe luogo a Londra il 23 novembre 1667 davanti a quaranta testimoni riuniti ad Arundel House sullo Strand. Poiché evidentemente l'esperimento era riuscito ‒ essendo sopravvissuto il paziente volontario, un certo Arthur Coga ‒ Lower era diventato una celebrità internazionale. Sparì tuttavia dal mondo dei virtuosi quasi con la stessa rapidità con cui vi era entrato e si ritirò a Oxford a esercitare con buon profitto la sua professione. Anzi, nel 1675 fu espulso dalla Royal Society, probabilmente perché aveva rifiutato di aiutare Hooke a ripetere gli esperimenti di respirazione con il cane e il mantice criticati da un collega medico, Walter Needham.
Molti filosofi sperimentali principianti erano anche quasi sicuramente scoraggiati dal continuare a 'torturare la Natura' a causa delle pressioni degli altri membri della loro classe. La gran parte di coloro che esercitavano le professioni liberali non era solo disinteressata alla nuova scienza, ma era in buona parte molto critica nei confronti delle sue pratiche e delle sue pretese. Per molti agostiniani, tanto protestanti quanto cattolici, la filosofia sperimentale era un'impresa vana. I curiosi erano di solito personaggi sospetti e lo stesso nomignolo del resto indicava che si stavano dilettando di cose che avrebbero dovuto lasciare in pace. Gli uomini erano esseri imperfetti la cui capacità di comprendere la Creazione di Dio era stata seriamente compromessa dalla caduta. La punizione per la disobbedienza di Adamo ed Eva era una vita di duro lavoro e sofferenza (quale che fosse la posizione sociale). L'affermazione dei filosofi sperimentali ‒ spinti da Bacon, Descartes e altri studiosi ‒ secondo cui la nuova scienza avrebbe migliorato il benessere fisico e materiale dell'uomo, veniva liquidata come un'empia sciocchezza. Molti eminenti religiosi, quindi, tuonavano contro la vanità della nuova scienza e nessuno lo fece con maggior insistenza di Jonathan Swift, decano di St. Patrick a Dublino, che si prese selvaggiamente gioco delle pretese utilitaristiche della Royal Society nei Travels into several remote nations of the world (1726) con l'episodio del viaggio di Gulliver a Laputa. Secondo Swift, in un paese in cui dominassero i filosofi naturali tutti si affretterebbero a cercare sistemi più efficaci e produttivi per soddisfare le necessità della vita, gli antichi metodi verrebbero abbandonati e i campi verrebbero lasciati incolti. Tutti questi sforzi sarebbero però inutili, a giudicare dai progetti realizzati nel fittizio Regno di Lagado:
Il primo che vidi era sparuto, la faccia e le mani sporche, barba e capelli lunghi, stracciato e sbruciacchiato in varie parti; le vesti, la camicia, la pelle erano tutte dello stesso colore. Aveva dedicato otto anni ad un progetto per estrarre i raggi solari dalle zucche. Questi li avrebbe racchiusi in fiale di vetro, pronti per riscaldare l'aria in estati rigide e inclementi. Mi disse che nutriva la segreta speranza di potere, con altri otto anni di studio, dotare della luce solare, e ad un prezzo modico, i giardini del governatore. Per il momento si lamentava che i suoi fondi fossero all'asciutto e mi pregò di lasciargli qualcosa a titolo d'incoraggiamento del suo ingegno, tanto più che era stata una stagione proibitiva per le zucche. (ed. Brilli, p. 166)
Di conseguenza, in Inghilterra come altrove, nella seconda metà del XVII sec. i filosofi sperimentali costituivano una congrega fragile, spesso isolata e calunniata: questo spiega la nascita dell'immaginaria Repubblica delle Lettere, in cui potevano mettersi al riparo dagli attacchi dei loro nemici. Ci voleva coraggio, abitando in provincia tra colleghi scettici e forse ostili, lontano dai propri simili che vivevano nella capitale, per continuare a sperimentare. Non c'è da meravigliarsi del fatto che Newton fosse considerato un misantropo! Anzi, data la percentuale relativamente piccola, perfino nelle zone più 'avanzate' d'Europa, degli appartenenti a questa élite (nobili o non nobili, colti o incolti) che difendevano la filosofia sperimentale, è difficile capire come la filosofia naturale aristotelica tradizionale abbia mai potuto essere spodestata.
Rispondere a una domanda del genere va oltre i compiti di questo capitolo. In effetti, si tratta di uno dei grandi misteri irrisolti della Rivoluzione scientifica. In parte, tuttavia, può essere spiegato con la nascita di un nuovo tipo di professionisti, i burocrati laici e gli ufficiali dell'esercito colti. Sebbene la maggior parte dei chierici, degli avvocati e dei medici fosse indifferente alla nuova scienza, non si può dire lo stesso dei membri delle nascenti professioni statali. Qualunque cosa pensassero i loro dotti colleghi delle pretese utilitaristiche della nuova scienza, molti funzionari pubblici e uomini dell'esercito erano affascinati dalla possibilità di sfruttare la filosofia sperimentale per accrescere la ricchezza tassabile dei sudditi del principe e aumentare il potere dello Stato.
Al di fuori dell'Inghilterra, dove il topografo generale dell'esercito Sir Jonas Moore, il comandante della marina principe Rupert di Renania, e il diarista e commissario navale Samuel Pepys erano tutti membri della neonata Royal Society, poche di queste persone erano direttamente coinvolte nella filosofia sperimentale. Come gruppo legato alla filosofia economica del mercantilismo, tuttavia, offrivano sempre più la propria protezione ai filosofi sperimentali, nella speranza che le loro ricerche avrebbero garantito al principe il vantaggio decisivo in guerra e nell'espansione imperiale. Furono proprio questo impegno e questa lungimiranza che permisero ad alcuni dei filosofi sperimentali della seconda metà del XVII sec. di diventare ricercatori stipendiati dallo Stato, ma ne condizionarono le scelte di ricerca. L'Académie des Sciences, molto più della Royal Society, era un'agenzia di ricerche statale, i cui membri erano nominati per svolgere una serie di compiti, il più importante dei quali era quello di fornire a Luigi XIV un'accurata mappa dei suoi territori. Lo stesso, su scala meno grandiosa, si può dire dell'Osservatorio di Greenwich: John Flamsteed ebbe il compito specifico di dedicare "la più estrema cura e diligenza alla rettifica delle tavole dei movimenti dei cieli e delle posizioni delle stelle fisse, al fine di scoprire la tanto desiderata longitudine a mare per perfezionare l'arte della navigazione" (Jardine 2000, p. 14). In altre parole, a Flamsteed venne concesso uno stipendio statale per risolvere un problema che alcune delle migliori menti d'Europa tentavano di risolvere da circa cinquanta anni, nella speranza che, se ci fosse riuscito, l'Inghilterra avrebbe potuto conquistare il predominio sugli oceani.
In questo senso, quindi, almeno una parte dei professionisti contribuì attivamente a fornire credenziali sociali alla nuova scienza. Singoli filosofi sperimentali isolati potevano essere sconfitti dai loro critici, ma un gruppo di persone le cui attività erano patrocinate dalla Corona si sentiva collettivamente al sicuro. Il ruolo di questo nuovo gruppo sociale, inoltre, non può essere sottovalutato. I loro regali padroni e gli aristocratici della corte spesso mostravano poco interesse per la nuova scienza. Luigi XIV non amava la sua accademia scientifica e anche se Colbert fece realizzare una famosa incisione in memoria della visita del re all'Académie nel 1671, opera di Sébastien Le Clerc, la visita che commemorava non ebbe in realtà mai luogo. Per le teste coronate d'Europa, l'entusiasmo di Pietro I il Grande per la filosofia sperimentale (e per la tecnologia in generale) era una chiara prova della sua mancanza di raffinatezza, quanto lo erano i suoi modi rozzi. Anzi, durante il suo viaggio nell'Europa settentrionale del 1697-1698, lo zar russo dimostrò chiaramente che le due cose andavano di pari passo, ordinando ai suoi disgustati cortigiani di sezionare i muscoli di un soggetto sul tavolo anatomico di Leida usando i denti. Se nella seconda metà del XVII sec. l'apparato militare e quello burocratico fossero stati altrettanto poco professionali come lo erano allo scoppio della guerra dei Trent'anni, è difficile pensare che la nuova scienza avrebbe mai ottenuto il patrocinio dei principi in tanti paesi. Fu proprio un alto burocrate, Jean-Baptiste Colbert, alunno del collegio dei gesuiti di Parigi, direttore dei cantieri di costruzione reali, controllore generale delle Finanze e segretario della Marina, a procurare alla nuova scienza un posto preminente alla corte francese. Se fosse stato per il Re Sole, in Francia la filosofia sperimentale sarebbe rimasta in eterno sotto la cappa del clericalismo.
Come nei secoli precedenti, nel periodo della Rivoluzione scientifica gli europei continuavano a essere soggetti a carestie, inondazioni e malattie. Ancora nel 1721 a Marsiglia cinquantamila persone morirono di peste. Nonostante tutto, in quel periodo già molti segnali annunciavano che l'uomo stava cominciando a domare la Natura e che, almeno per i ricchi, la vita stava diventando più confortevole grazie all'introduzione e allo sfruttamento di nuove tecnologie; questo processo, che inizialmente era stato avviato soprattutto in Italia durante il Rinascimento, continuò a essere sviluppato anche al di là delle Alpi. In Inghilterra e nelle Province Unite ampie distese paludose furono sottratte al mare; in Francia, durante il regno di Luigi XIV, l'Atlantico fu collegato al Mediterraneo grazie al Canal du Midi, progettato da Pierre-Paul de Riquet; in Svezia furono aperte le prime importanti miniere di rame del Continente; ovunque furono disegnate per la prima volta le carte di paesi, coste, contee e città (anche se a diversi livelli di precisione) e le proprietà terriere furono accuratamente misurate. Contemporaneamente, il paesaggio fu modificato per sempre con la costruzione di nuove città e la ricostruzione di quelle distrutte dagli incendi, mentre nelle campagne sorgevano nuovi palazzi, dimore signorili, chiese e giardini ornamentali. Le élite del XVII sec. erano tanto facoltose da promuovere un gran numero di costruzioni e arredare gli interni di case e chiese con affreschi, arazzi, dipinti, sculture, ori, argenti, raffinata cristalleria, orologi e tappeti. Se gli Stati erano sufficientemente ricchi e potenti da indulgere periodicamente alle distruzioni belliche, dopo il caos della guerra dei Trent'anni le loro ancor più grandi e potenti macchine da guerra raramente minacciarono di eliminare queste conquiste materiali. Grazie al perfezionamento delle tecniche di fortificazione e a un migliore controllo e approvvigionamento delle truppe, i lussi dei ricchi non dovettero pagare il prezzo dell'avvento dell'era dell'artiglieria mobile, del moschetto e della baionetta.
Il compito di sfruttare a pieno le risorse naturali dell'Europa, di migliorare gli standard di vita dei ricchi, di costruire armi di distruzione di massa, e poi trovare il modo di contrastarne la potenza, fu affidato a una nuova fiorente classe di tecnici ‒ architetti, ingegneri, topografi, navigatori, fabbricanti di strumenti e decoratori ‒ che solo lentamente cominciarono a essere distinguibili dalla massa di capitani dell'esercito, muratori, carpentieri, mastri carrai, pittori, mastri vetrai e così via, dalla quale emersero e con la quale spesso continuarono a identificarsi. In effetti, nell'Irlanda del XVIII sec. era ancora nell'uso comune che l'architetto della casa di un gentiluomo si facesse chiamare carpentiere. Poiché chiaramente queste nuove professioni erano altamente qualificate, i dettagli erano curati con particolare attenzione e, in molti casi, era richiesta una buona conoscenza della matematica, ci si potrebbe aspettare che molti dei loro membri abbiano svolto un ruolo importante nello sviluppo della nuova scienza. In realtà non fu affatto così. Fra tutti i personaggi creativi le cui scoperte e teorie furono alla base della Rivoluzione scientifica, solo uno sparuto manipolo apparteneva alle nuove professioni tecniche.
La formazione tecnica
Indubbiamente, tra i promotori della nuova scienza si potevano contare quasi ovunque diversi architetti, ingegneri e ufficiali dell'esercito, come il soldato di ventura e cartografo dei Balcani Luigi Ferdinando Marsili, che in età più matura avrebbe sostenuto la fondazione dell'Istituto delle scienze e dell'Accademia delle arti di Bologna (1711-1714). Anche alcuni artisti ‒ come Rubens e Poussin ‒ mostrarono un vivo interesse per i progressi della scienza. Gli abili artigiani del metallo, del vetro o di altri materiali, tuttavia, erano raramente filosofi sperimentali praticanti. In Inghilterra, costituì un'eccezione Michael Dary, che di mestiere stazzava botti di vino, il quale ebbe uno scambio epistolare con Newton su problemi matematici. In Italia, rappresenta un'altra eccezione il fabbricante di strumenti Eustachio Divini, le cui ricerche sul microscopio furono riferite alla Royal Society nel 1668. Si trattava, tuttavia, di personaggi minori. L'unico artigiano che ebbe un ruolo importante nella Rivoluzione scientifica fu il mercante olandese, trasformatosi in molatore di lenti, Antoni van Leeuwenhoek. Anch'egli, tuttavia, si è conquistato una maggiore fama in epoca moderna di quanta non ne godesse al suo tempo. Inizialmente, la sua scoperta degli spermatozoi, alla fine degli anni Settanta, fu ridicolizzata dalla maggior parte dei filosofi sperimentali, i quali si rifiutavano di credere che quegli animalcula simili a girini, che sosteneva di aver trovato in sospensione nello sperma maschile, avessero qualcosa a che fare con la riproduzione.
Il limitato contributo delle professioni tecniche non ci sorprende. Come abbiamo sottolineato, era difficile svolgere un qualsiasi ruolo nello sviluppo della nuova scienza senza aver ricevuto un'istruzione superiore nelle università e nei collegi. Una buona conoscenza della letteratura latina e greca, e solide basi di filosofia naturale tradizionale, erano essenziali per diventare un filosofo sperimentale. Altrimenti, dato che il latino era la lingua franca di tutti gli scambi scientifici, era quasi impossibile tenersi al passo con le ultime scoperte. Inoltre, la nuova scienza era una branca del più vasto movimento umanistico: chi la praticava si interessava anche di antichità, di letteratura e di storia, quanto di filosofia naturale. Per entrare nel circolo bisognava avere una vasta cultura, ampi interessi e il tempo di coltivarli.
Erano ben pochi i membri delle professioni tecniche che avevano le qualifiche necessarie per accedervi, soprattutto la conoscenza delle lingue classiche. Le istituzioni dell'istruzione superiore si occupavano in particolar modo di coloro che avrebbero intrapreso le professioni liberali. L'accesso a quelle tecniche e al corpo degli ufficiali dell'esercito e della marina era ancora essenzialmente affidato a un periodo di apprendistato in cui si imparava il mestiere. Questo valeva anche per le poche attività per le quali la conoscenza della matematica sembrava di rigore, come la topografia. Sebbene alla fine del XVI sec. alcuni topografi e cartografi avessero fatto qualche tentativo di elevare il proprio status sociale sostenendo che anche questi mestieri erano professioni liberali e idealmente richiedevano una preparazione istituzionalizzata, nessuno dette loro ascolto.
È noto che, in Inghilterra, dove la battaglia per promuovere le nuove professioni tecniche a discipline umanistiche era stata particolarmente accesa, il Gresham College di Londra fu fondato appositamente nel 1597 per fornire ai 'rozzi meccanici' una preparazione in matematica e nelle discipline superiori. Sembra anche che, all'inizio del XVII sec., Giovanni Maurizio di Nassau-Siegen avesse istituito una Scuola di ingegneria all'interno dell'Università di Leida, mentre dopo il 1650 un numero sempre maggiore di collegi dei gesuiti cominciò a offrire corsi di matematica in volgare per gli apprendisti tecnici. È tuttavia molto difficile valutare il significato di questi sviluppi e sembra probabile che pochi apprendisti topografi, architetti e navigatori si avvalessero delle nuove opportunità. Fu soltanto nel corso del XVIII sec. che furono istituite con successo le prime scuole tecniche indipendenti, e ancora all'inizio del secolo successivo gli ingegneri e i topografi 'istruiti' si trovavano soprattutto al servizio dello Stato, ma non nella pratica privata.
Di conseguenza, coloro che praticavano le nuove professioni tecniche e che svolsero un ruolo di rilievo nella Rivoluzione scientifica erano quasi sempre persone istruite provenienti dall'aristocrazia terriera o dalle professioni liberali. Erano personaggi eccezionali, ben poco rappresentativi del loro gruppo sociale. Prendiamo, per esempio, i tre architetti e topografi che furono tra i fondatori del primo nucleo della Royal Society nel 1661: Jonas Moore (il topografo incaricato di realizzare la carta delle zone paludose del Wash, bonificate negli anni Cinquanta), William Petty (autore del primo rilevamento topografico dell'Irlanda) e Christopher Wren (l'architetto della Cattedrale di St. Paul a Londra). Tutti e tre avevano ricevuto un'educazione formale e appartenevano a buone famiglie; perfino il relativamente umile Moore, che, prima di diventare topografo, aveva lavorato come segretario del vescovo di Durham e aveva insegnato matematica al secondo figlio del re Carlo I. Wren, figlio di un decano della Cappella Reale di Windsor e professore a Oxford, era un chierico gentiluomo ed era diventato architetto per scelta, non certo per necessità. Quando accettò l'incarico di ricostruire Londra dopo il grande incendio del 1666, cercò di promuovere la nuova scienza e di accrescere al tempo stesso la sua fama personale. Partecipò addirittura alla progettazione del monumento commemorativo dell'evento, costituito da una colonna cava alta 202 piedi (più di 60 m), ideata affinché potesse servire come corpo per un gigantesco telescopio.
Il perfezionamento degli strumenti scientifici
Molti altri membri comuni delle professioni tecniche svolsero un ruolo fondamentale, anche se poco riconosciuto, nella Rivoluzione scientifica. Innanzitutto, il contributo di un piccolo gruppo di essi fu cruciale per il perfezionamento degli strumenti chiave che avrebbero potenziato le capacità di osservazione dei filosofi sperimentali. Inizialmente, la maggior parte di questi strumenti fu progettata e perfino costruita da scienziati praticanti. Robert Hooke fu un inventore particolarmente prolifico, che produsse un nuovo tipo di microscopio, la pompa pneumatica usata da Boyle per i suoi esperimenti sul vuoto, un igroscopio e diversi altri strumenti di misurazione, orologi, quadranti, una macchina aritmetica e una campana subacquea. Tuttavia, le invenzioni dell'inglese richiedevano spesso un intervento di raffinamento da parte di maestri artigiani prima di poter essere effettivamente usate per la ricerca scientifica. In particolare, Hooke faceva molto affidamento sull'abilità di un fabbricante di lenti londinese, Richard Reeve, proveniente dal Berkshire, che aveva ricevuto una certa istruzione e inizialmente si era guadagnato da vivere come tornitore di avorio da decorazione. Anche Christiaan Huygens era più capace nel progettare strumenti che nel farli funzionare. Può darsi che sia stato proprio questo filosofo sperimentale olandese a inventare l'orologio a pendolo e ad aprire la possibilità di misurare più accuratamente il tempo, ma fu l'orologiaio londinese William Clement a ideare il primo scappamento realizzabile per quell'orologio.
In un caso memorabile, tuttavia, fu proprio un umile artigiano a presentare per la prima volta al mondo uno di questi strumenti. Galilei infatti non inventò il telescopio, anche se fu il primo a metterne a frutto l'uso per lo studio dell'astronomia. Quest'onore sembra spettare, invece, a un fabbricante di occhiali della città olandese di Middelburg, di nome Hans Lipperhey, che presentò una petizione agli Stati Generali delle Province Unite, alla fine di settembre del 1608, affinché gli fosse concesso di brevettare un congegno "per mezzo del quale tutte le cose che sono a grande distanza possono essere viste come se fossero vicine". Tuttavia, neanche la scoperta di Lipperhey era stata fortuita. In fondo, egli la doveva a tutti gli altri fabbricanti di occhiali e molatori di lenti che nel secolo precedente, soprattutto in Italia, avevano per lungo tempo sperimentato varie combinazioni di lenti per correggere i difetti della vista.
Inoltre, un numero ancora più alto di artigiani assistette i filosofi sperimentali nelle loro imprese. Dietro ogni gentiluomo o membro delle professioni liberali che si accingeva a torturare la Natura, c'era una numerosa squadra di assistenti. I gentiluomini raramente costruivano da soli la loro strumentazione, anche se partecipavano alla progettazione e ne supervisionavano la produzione. Quello di costruire storte e provette, o di molare lenti, era un lavoro difficile e specializzato che era meglio lasciare ai professionisti. Sudare e sporcarsi in un'officina non si confaceva a gentiluomini nei quali erano stati inculcati i principî del Cortegiano (1528) di Baldassarre Castiglione e che vivevano in una società che disprezzava il lavoro manuale e apprezzava la pulizia e le buone maniere. Anzi, molte volte veniva chiesto agli stessi artigiani di condurre gli esperimenti, come se anche questo potesse essere visto come un lavoro manuale e interpretato come un comportamento sconveniente. Un tipico esempio di questa consuetudine è l'affidamento che Robert Boyle faceva sui suoi assistenti. Sebbene lo scienziato irlandese sia giustamente ricordato come uno dei più impegnati esponenti della filosofia sperimentale della seconda metà del XVII sec., è chiaro che doveva molto ai suoi aiutanti artigiani. È anche significativo che non riconoscesse quasi mai il loro contributo: nei resoconti pubblicati del suo lavoro, non c'è traccia di loro. Gli esperimenti di Boyle con la pompa pneumatica, per esempio, richiedevano un assistente muscoloso perché per svuotare il serbatoio di vetro ci voleva molto tempo e una grande forza. Nei New experiments physico-mechanical (1660) e nei successivi resoconti sul funzionamento della pompa, tuttavia, Boyle fa semplicemente riferimento in modo indiretto alla presenza di altre persone nel suo laboratorio e il loro contributo è spesso riassunto dal pronome 'noi'. In realtà, a parte il microscopista Robert Hooke, che teneva un diario ed era un gentiluomo con un'istruzione universitaria divenuto a pieno titolo una figura di rilievo nella comunità dei filosofi sperimentali, e il medico ugonotto Denis Papin, non sappiamo nulla di concreto sugli assistenti di Boyle, neanche il loro nome completo.
La superiorità delle professioni liberali
Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che i filosofi sperimentali del XVII sec. sfruttassero semplicemente l'esperienza e l'abilità degli appartenenti alle professioni tecniche. Nonostante i loro pregiudizi sul lavoro manuale, erano anche sinceramente interessati alle attività degli artigiani.
I filosofi naturali aristotelici tradizionali facevano una netta distinzione tra arti e scienze, che i professori rendevano ancora più netta nei loro commenti alla Fisica di Aristotele. Data la relativa ostilità all'idea di raccogliere dati sperimentali, essi comprensibilmente mostravano ben poco interesse per l'artigiano come depositario dei 'segreti' della Natura. Essendo anche convinti che tutti i fenomeni naturali assumessero un'identità e un'individualità attraverso la loro specifica forma, che di solito veniva vista come un'entità spirituale aggiunta alla base materiale, non riuscivano a vedere alcun rapporto tra corpi naturali e artificiali. I filosofi sperimentali del XVII sec. invece avevano idee diverse. Poiché consideravano importante raccogliere dati derivati dall'esperienza, erano ansiosi di interrogare gli artigiani sugli effetti naturali straordinari che questi ultimi avevano imparato a sfruttare. Anzi, Francis Bacon, che fu uno dei primi a tentare di garantire una base epistemologica alla nuova tradizione sperimentale, invertì completamente il giudizio tradizionale sulle arti meccaniche insistendo nel dire che il filosofo naturale poteva afferrare i misteri della Natura soltanto imitando i metodi degli artigiani e dei meccanici. Questo interesse crebbe ulteriormente nel corso del XVII sec., man mano che un numero sempre maggiore di filosofi sperimentali abbandonava la fisica aristotelica in favore di quella cartesiana o di qualche altro tipo di filosofia meccanicista. Poiché in quell'epoca era diffusa l'idea di Dio come orologiaio, la considerazione per l'operato degli artigiani aumentò. Le loro attività divennero lo specchio attraverso il quale si poteva comprendere il divino.
La profondità di questo apprezzamento per gli artigiani è dimostrata dal numero di pubblicazioni sulle arti e i mestieri che apparvero nel corso del XVII secolo. Alcune di queste, come l'enciclopedico Des principes de l'architecture, de la sculpture, de la peinture et des autres arts di André Félibien, pubblicato a Parigi nel 1676, intendevano introdurre le persone colte ai 'misteri' della produzione artigianale. Altre, come i Mechanick exercises di Joseph Moxon, che apparvero a Londra due anni dopo e costavano sei pences a copia, erano diretti agli stessi artigiani. Secondo l'etica della nuova scienza, ogni tipo di conoscenza doveva essere disponibile per tutti e non rimanere il segreto di un individuo o di una corporazione. Soltanto in questo modo poteva essere assicurato il progresso in tutti i campi. Poiché gli artigiani erano notoriamente riluttanti a svelare i loro procedimenti, gli scienziati sperimentali pensavano di avere il dovere, come filosofi, di essere informati sulle tecniche artigianali e di divulgarle a beneficio dell'umanità. Questo compito era considerato così importante che Bacon riteneva potesse essere portato avanti sotto l'egida dello Stato. Nella sua visione utopistica della Casa di Salomone (descritta nella New Atlantis del 1626), gli 'scienziati' di Stato avrebbero scritto la storia delle arti e dei mestieri ma anche verificato l'utilità delle diverse tecniche. Alla fine del XVII sec., non soltanto Louis Phélypeaux Pontchartrain, un consigliere del re di Francia, era della stessa opinione, ma fu anche fondata una Compagnie des Arts et Métiers per assolvere questo compito. Sebbene nel 1699 si fosse fatta carico del progetto l'Académie Royale des Sciences, non c'erano né la volontà né i fondi per portare avanti un'iniziativa così ambiziosa. Il progetto fu ripreso a metà del XVIII sec. dall'accademico e agronomo Henri-Louis Duhamel du Monceau, il quale, a quanto sembra, era insoddisfatto, o forse invidioso, del modo in cui le arti e le scienze erano trattate nell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. Alla fine Duhamel supervisionò la pubblicazione della più grande opera sulla letteratura tecnologica fino ad allora prodotta: settantaquattro trattati sulle arti e i mestieri (solo quello sull'industria del carbone ammontava a milletrecentocinquantasei pagine).
I filosofi sperimentali speravano anche che le loro scoperte avrebbero aiutato le arti. Ovviamente, la nuova scienza matematica del movimento aveva trovato applicazioni pratiche fin dall'inizio. Per tutta la seconda metà del XVI e nel XVII sec., la riscoperta della statica di Archimede costituì la base per arti come la scenografia e l'architettura di giardini, mentre l'invenzione da parte di Galilei della scienza della dinamica rivoluzionò l'arte della guerra. La maggior parte dei filosofi sperimentali, tuttavia, sperava che la nuova scienza avrebbe avuto conseguenze più positive. Sinceramente convinti della sua utilità pratica (rispetto all'aristotelismo delle scuole), aspettavano con ansia il giorno in cui la scienza avrebbe creato un mondo più sano e confortevole. Nel Discours de la méthode (1637), Descartes dichiarava addirittura che avrebbe preferito rinunciare alla possibilità di divenire famoso, piuttosto che sviluppare la nuova filosofia meccanicista a scopi distruttivi. Di conseguenza, i filosofi sperimentali sottolineavano continuamente le applicazioni quotidiane e pratiche delle loro invenzioni. La calcolatrice a spirale, il primo regolo logaritmico costruito da William Oughtred (1575-1660), era stata creata per essere utilizzata dagli ingegneri, non solo dagli astronomi; lo scopo di Descartes nella Dioptrique (1637) era quello di fornire la teoria che avrebbe permesso agli artigiani di realizzare lenti migliori; Blaise Pascal sperava di rendere la matematica una materia facile per tutti con la sua macchina calcolatrice; Robert Hooke nella Micrographia (1665) sottolineava l'utilità del microscopio composto per il lavoro dei miniaturisti. Perfino nei loro rapporti quotidiani con gli artigiani, i filosofi sperimentali facevano di tutto per aprire le proprie menti ai loro subordinati e condividere il frutto della loro conoscenza superiore. Sappiamo, per esempio, che il 2 maggio 1674 Hooke visitò il famoso orologiaio londinese Thomas Tompion, e gli fece una lunga disquisizione sull'arte di fabbricare orologi!
A quanto pare, tuttavia, queste iniziative ebbero scarsi effetti concreti. In generale, i membri delle professioni tecniche sembra traessero ben poco vantaggio dal lavoro dei filosofi sperimentali e non amavano essere trattati con sufficienza da quei 'dilettanti'. Gli scienziati, da parte loro, malgrado le buone intenzioni, non erano in grado di risolvere nessuno dei difficili problemi tecnici che gli artigiani si trovavano ad affrontare. Le corti della seconda metà del XVII sec. erano piene di 'progettisti' scientifici che promettevano la Luna, come il chimico e fisico Johann Joachim Becher di Spira, consigliere dell'imperatore Leopoldo I negli anni Settanta. I risultati, tuttavia, erano irrisori; in particolare, non si riuscì a ottenere nessun progresso nella definizione di un metodo accurato per calcolare la longitudine in mare, problema che una volta risolto avrebbe rivoluzionato l'arte della navigazione e salvato la vita di molti marinai. Alla fine del XVIII sec., come al suo inizio, le nuove applicazioni di una teoria scientifica rimanevano ancora un campo che aveva ben poco a che fare con la vita delle persone comuni. A Parigi, un giovane argentiere di nome Thomas Germain, al suo ritorno da Roma nel 1706, usò le scoperte di Pascal sull'equilibrio dei liquidi per stabilire lo spessore ottimale per modellare l'argento e dimostrò che poteva essere scolpito come qualsiasi altro metallo. Il risultato fu la stravagante argenteria rococò francese dell'epoca, ma nient'altro di veramente utile. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se Jonathan Swift nel 1726 prendeva in giro la scienza applicata della Royal Society, ritraendo i suoi membri come persone che perdevano tempo a cercare di estrarre raggi di sole dai cetrioli e cibo dagli escrementi umani.
Le professioni tecniche diedero molto alla nuova scienza, anche se lasciarono ben poca traccia della loro presenza nella storiografia tradizionale, ma la nuova scienza non le ricambiò nella stessa misura fino alla fine del XVIII sec., quando si riuscì ad applicare la chimica alle arti.
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