La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. Universita e ordini religiosi
Università e ordini religiosi
La retorica incentrata sull'idea di riforma del sapere che contraddistingue l'inizio dell'Età moderna ha gettato a lungo un'ombra sulle interpretazioni storiografiche del ruolo delle istituzioni scientifiche nel periodo della Rivoluzione scientifica, privilegiando le nuove forme di organizzazione a scapito di un sistema di istruzione intellettualmente stagnante. Malgrado le radicali differenze filosofiche che li separavano, i principali esponenti del rinnovamento intellettuale dell'inizio dell'Età moderna furono concordi nell'opporsi al sapere promulgato dalle università europee. Essi condannarono i filosofi naturali scolastici in quanto preferivano la servile interpretazione dei libri stampati alla lettura del 'libro della Natura'; polemizzarono contro i curricula universitari per la loro esagerata fedeltà ai testi e alle dottrine aristoteliche, e criticarono la rigida struttura sociale delle scuole perché ostacolava la ricerca libera da preclusioni necessaria al progresso della conoscenza. Tali critiche accelerarono e giustificarono la creazione di nuove forme di organizzazione quali le società scientifiche, le accademie o i salotti privati che promuovevano le attività scientifiche senza essere vincolati a obiettivi pedagogici formali. Queste iniziative suscitarono gli elogi dei sostenitori della nuova scienza i quali preferivano la filosofia della Natura che si divulgava in quei luoghi a quella insegnata nelle scuole e negli ordini religiosi cattolici.
Studi recenti, tuttavia, hanno messo in evidenza la grande complessità delle prospettive connesse all'insegnamento della filosofia della Natura nel Seicento, l'interesse con cui i membri dei diversi ordini religiosi indagavano il mondo naturale, all'interno e al di fuori delle scuole, e le molteplici connessioni che esistevano tra le istituzioni tradizionali e le nuove forme di organizzazione scientifica che nel corso del secolo andarono ricoprendo un'importanza sempre maggiore. In questo capitolo si valuterà l'importanza per la Rivoluzione scientifica delle 'vecchie' e 'nuove' istituzioni alla luce di tali recenti proposte storiografiche.
di Florence C.Hsia
Nel XVII sec. l'aristotelismo fornì le strutture concettuali per l'insegnamento della filosofia naturale sia nelle università dell'Europa confessionale, sia nei collèges de plein exercice francesi e nei gymnasia illustria tedeschi, sia in altre istituzioni che impartivano corsi di filosofia e di lettere in concorrenza con le universitarie Facoltà delle arti. Incentrati sul corpus dei libri naturales di Aristotele, i corsi di filosofia cominciavano con la Physica, che stabilisce i principî secondo cui la Natura deve essere studiata, e proseguivano con il De caelo, il De anima, il De generatione et corruptione, i Meteorologica, i Parva naturalia, e altri testi che trattavano ambiti particolari del mondo naturale. Né le critiche antiaristoteliche lanciate dagli umanisti del Rinascimento, né quelle dei riformatori religiosi contro i filosofi pagani, avevano fatto vacillare queste opere dal ruolo fondamentale che ricoprivano nell'insegnamento scolastico. Per l'importanza conferita ai testi e per l'approccio didattico il curriculum della filosofia naturale nel XVII sec. rispecchiava molto da vicino quello dell'università medievale.
La tradizione peripatetica promossa dalle istituzioni didattiche degli inizi dell'Età moderna era però una tradizione viva, cui la sua stessa flessibilità conferì una vita straordinariamente lunga. I manuali in uso nei corsi di filosofia, le presentazioni e le traduzioni umanistiche dei testi greci, le introduzioni alla tradizione dei commenti filosofici e le quaestiones che presentavano le diverse posizioni rispetto ai temi dibattuti, le sintesi di filosofia naturale sempre più usate come testi per l'insegnamento, testimoniano la difformità e l'eterogeneità delle diverse forme di 'aristotelismo' che si svilupparono all'interno del sistema d'istruzione della prima Età moderna. Nell'ultima decade del XVI sec., gli insegnanti del collegio della Compagnia di Gesù di Coimbra realizzarono un'edizione in vari volumi delle opere di Aristotele sulla filosofia naturale ‒ i Commentarii Collegii Conimbricensis Societatis Iesu ‒ che fu ristampata più volte e dovunque in uguale misura da cattolici e protestanti durante il secolo seguente, e che rappresentò anche il fondamento della maggior parte delle opere in lingua cinese relative alla filosofia naturale europea redatte dai missionari gesuiti che lavoravano nel Regno di Mezzo. Le edizioni di Coimbra delle opere di filosofia naturale riportavano il testo greco con la traduzione latina a fronte, corredata da un commento sul significato del testo e da lunghe analisi dei temi specifici che vi erano trattati. Non sorprende che per produrre queste edizioni gli autori attingessero abbondantemente alla tradizione di commenti latini e arabi ben noti ai filosofi della Natura medievali. Era facile tuttavia che si rivolgessero anche a commentatori greci e a fonti classiche non aristoteliche, molte delle quali erano state recuperate soltanto recentemente grazie all'attività degli umanisti, così come a commentatori contemporanei e autori medici quali Andrea Vesalio (1514-1564) e Jean-François Fernel (1487-1558).
In realtà, dati gli sviluppi che caratterizzarono il XVII sec., la filosofia naturale aristotelica diede prova di essere concettualmente flessibile, come si evince dal Cursus philosophicus (1653) di Emmanuel Maignan. Egli pubblicò questo poderoso volume dopo aver insegnato filosofia al Convento dei minimi della Santa Trinità dei Monti in Roma, dove incontrò il suo confratello Marin Mersenne e il gesuita Athanasius Kircher professore di matematica al Collegio Romano. Anche Kircher scrisse a Roma il suo primo libro, la Perspectiva horaria, sive de horographia gnomonica (1647): un voluminoso in folio che spiegava minuziosamente le matematiche miste e le tecniche necessarie per la costruzione di meridiane e di altri strumenti astronomici. Sebbene strutturato secondo il modello della filosofia naturale aristotelica, il Cursus di Maignan includeva relazioni sugli esperimenti con le pompe pneumatiche che aveva condotto egli stesso a Roma e su quelli barometrici, contemporanei, realizzati da Blaise Pascal e promossi anche da Mersenne. Maignan, pur obiettando che la teoria cartesiana dei vortici fosse incompatibile con le regole della meccanica, sostenne una visione decisamente non aristotelica del vuoto in Natura, e citò il lavoro di Galilei sulla caduta dei gravi. Il Cursus ebbe due successive riedizioni; la versione definitiva, rivista dagli studenti di Maignan, fu pubblicata nel 1703.
Il corso di filosofia tenuto da Charles Morton (1627-1698), laureato a Oxford e ministro dissidente, mostrò, come già era accaduto nel caso di Maignan, una tradizione peripatetica fortemente duttile. Morton emigrò in Massachusetts nel 1686 in seguito alla chiusura della sua accademia a Newington Green, un'istituzione che aveva rappresentato un'alternativa per l'istruzione degli studenti che non avessero prestato il giuramento di fedeltà alla Chiesa anglicana e alle sue dottrine richiesto per frequentare le università di Oxford e Cambridge. Alcuni taccuini di appunti, scritti a mano da studenti di Harvard di quel periodo, recano trascrizioni del Compendium physicae di Morton di poco successive al suo arrivo. Il corso, che con ogni probabilità si rifaceva all'insegnamento impartito da Morton a Newington Green, conteneva gran parte della scienza sperimentale del XVII sec., dai riferimenti alle osservazioni microscopiche di piante, piume e pidocchi, alle tesi di William Petty (1623-1687), Robert Boyle (1627-1691) e Henry Power (1623-1668) sull''elasticità' dei metalli, la 'forza elastica' dell'aria dimostrata dalle pompe pneumatiche, fino agli esperimenti torricelliani sulla pressione atmosferica. Morton respinse esplicitamente la distinzione aristotelica tra regioni celesti e terrestri, adducendo in sua ragione i mutamenti celesti ora osservabili grazie al telescopio e delineò alcuni degli argomenti in favore dello schema copernicano, in modo particolare la teoria delle maree di Galilei e le modifiche apportate da John Wallis (1616-1703), professore di geometria a Oxford. Nonostante tali elementi di novità, il corso che Morton tenne nel New England era visibilmente improntato alle concezioni aristoteliche. Malgrado una considerevole distanza geografica e confessionale il cursus di filosofia di Morton assomiglia chiaramente a quello organizzato dai gesuiti a Coimbra quasi un secolo prima.
Riconoscere il potenziale di sintesi della tradizione peripatetica serve a gettare luce sul fatto che la maggioranza di coloro che proponevano una nuova scienza possedeva un'istruzione di filosofia naturale impartita nelle scuole. Molti studi recenti riconoscono l'influenza di tali ricerche sulle figure principali della Rivoluzione scientifica, prendendo a esempio l'istruzione filosofica e teologica offerta nell'Università luterana di Tubinga dove studiò Johannes Kepler, la conoscenza della filosofia scolastica acquisita da Galilei nel Collegio Romano e nell'Università di Pisa, dove era studente e professore, e i fondamenti intellettuali che il Collegio di La Flèche e la filosofia scolastica in generale fornirono a René Descartes e a Mersenne.
La medicina
Nell'ambito del sistema universitario medievale, una delle tre facoltà più importanti, quella di medicina, godeva di un grande prestigio e, nello stesso tempo, di un livello più elevato di investimento istituzionale rispetto alle materie matematiche divenute piuttosto marginali. Ciononostante, gli studi universitari di medicina dei primi anni dell'Età moderna subirono l'influenza esercitata dall'Umanesimo e da un progressivo interesse culturale per gli aspetti materiali di una disciplina dotta, come si evince in modo particolare dalla crescente popolarità di giardini e collezioni esotiche. È certo che queste tendenze trovarono notevole espressione al di fuori del sistema di istruzione. Nel 1573, l'imperatore Massimiliano II riuscì a far arrivare Charles de l'Écluse (1526-1609) a Vienna per fondare un giardino medico imperiale. Benché l'impresa sia stata improvvisamente interrotta dal successore di Massimiliano, Rodolfo II, la collezione di quest'ultimo rimase celebre per i naturalia. Alcuni editti reali emanati nel 1626 e nel 1635 stabilirono le strutture legali, finanziarie e del personale del Jardin Royal des Plantes a Parigi. Il primo direttore del Jardin, Guy de La Brosse (1586 ca.-1641), era un medico al servizio di Luigi XIII che non ricopriva alcun incarico nella Facoltà di medicina di Parigi. La nomina di direttore del Jardin suscitò quindi una particolare disapprovazione da parte della stessa Facoltà per il fatto che La Brosse non era in possesso di credenziali soddisfacenti per l'insegnamento e, malgrado le proteste, presso il Jardin Royal si impartivano lezioni di botanica, farmacia (incluse preparazioni chimiche), chirurgia e anatomia.
L'ambito di azione dell'istruzione medica universitaria si andò estendendo anche oltre la semplice attenzione riservata dalla cultura medievale ai testi di Ippocrate, Galeno, Dioscuride e alle diverse autorità arabe, per abbracciare una certa pratica medicinale largamente utilizzata fino a quel momento da farmacisti, erboristi, chirurghi, barbieri e altri individui che offrivano servizi sanitari senza avere ricevuto un'istruzione universitaria. Nelle università dell'Italia settentrionale, la botanica e la farmacia riscossero sempre maggiore approvazione nel corso del XVI sec. attraverso l'istituzione all'interno delle Facoltà di medicina di cattedre dedicate a queste materie, e in seguito alla creazione di giardini botanici e di collezioni di storia naturale quali strutture sussidiarie all'università. Queste modifiche della struttura istituzionale dell'istruzione medica favorirono a loro volta l'introduzione di nuovi sistemi pedagogici, in particolare l'avvio di ricerche sul campo per osservare e acquisire esemplari di storia naturale. Durante il XVI e il XVII sec., tali innovazioni istituzionali e pedagogiche furono apportate altrove nelle Facoltà di medicina, particolarmente in Francia, nei Paesi Bassi e nel Sacro Romano Impero. Mentre la dissezione anatomica del corpo umano era stata prevista come una parte dell'educazione universitaria medievale, l'integrazione di chirurgia e anatomia nell'ambito del corso di studi universitario dell'Età moderna rientra nel quadro caratterizzato dal diffondersi di cambiamenti all'interno delle strutture istituzionali e dei servizi da esse offerti, che andavano dalla programmazione di lezioni su queste materie fino alla creazione di un numero sempre crescente di teatri per le lezioni di anatomia.
La matematica
Nelle scuole dell'inizio dell'Età moderna l'istruzione matematica differiva molto dai corsi di filosofia, secondo una tradizione ereditata dal modello didattico dell'università medievale. A eccezione dell'opera dei 'calcolatori' di Oxford del XIV sec., che cercarono di quantificare i concetti aristotelici di moto e mutamento con l'ausilio delle diverse tecniche matematiche, e i relativi sforzi di Nicola Oresme (1325 ca.-1382) e di altri dotti presso l'Università di Parigi, le arti del quadrivium ‒ aritmetica, geometria, astronomia, musica ‒ e altre matematiche miste venivano insegnate operando pochissimi collegamenti con gli argomenti affrontati nel corso di filosofia naturale e di conseguenza rivestivano un'importanza di gran lunga minore nel curriculum didattico degli studi letterari. Un cambiamento in tale situazione si avverte verso la fine del XVI sec., in un primo tempo a causa dell'intenso interesse degli umanisti per la tradizione matematica ereditata dall'antica Grecia, e poi per il crescente apprezzamento dell'utilità della matematica e la graduale rivalutazione del ruolo della materia quale disciplina all'interno del contesto educativo. Nel 1597, per esempio, fu istituita a Londra una nuova università grazie al lascito di un mercante, Thomas Gresham (1519 ca.-1579). La nuova istituzione era espressamente destinata all'istruzione di mercanti, navigatori e altri abitanti della città, che potevano ascoltare gratuitamente lezioni in latino e in inglese di astronomia, geometria, musica, medicina, teologia, legge e retorica. Pochi anni dopo, per ordine del principe Maurizio d'Orange-Nassau fu fondata una scuola di matematica applicata a Leida. In parte legata all'università, la nuova scuola offriva un corso di 'Duytsche Mathematique' ‒ impartito in vernacolo sotto la direzione del noto ingegnere Simon Stevin (1548-1620) ‒ che dedicava un'attenzione particolare alle applicazioni pratiche, soprattutto a quelle rilevanti da un punto di vista militare.
Le istituzioni universitarie già esistenti, tuttavia, non erano insensibili alla crescente domanda per la matematica pratica. Nel 1619, il matematico Henry Savile (1549-1622), rettore del Merton College, istituì a Oxford due cattedre per questi insegnamenti, una in geometria, l'altra in astronomia, specificando che "il professore di astronomia deve capire che costituisce necessariamente parte dei suoi doveri spiegare l'intera matematica di Tolomeo […] collocando le scoperte di Copernico, Geber, e di altri moderni scrittori nel posto che compete loro" (Feingold 1984, p. 48), ma anche impartire insegnamenti di ottica, tattica militare, geografia e navigazione, nella misura in cui queste materie si servono della matematica. Savile istituì al Merton College anche una cattedra di aritmetica, mentre quella di matematica presso l'Università di Cambridge fu creata grazie alla donazione di Henry Lucas nel 1663. La circolazione di insegnanti tra le università e il Gresham College rende difficile ipotizzare una radicale differenza nell'insegnamento della matematica. Henry Briggs (1560-1630) insegnò matematica a Cambridge prima di diventare il primo professore a occupare la cattedra di geometria del Gresham, incarico cui successivamente rinunciò per diventare il primo professore saviliano di geometria a Oxford. Peter Turner (m. 1651) e John Greaves (1602-1652), entrambi laureati all'Università di Oxford, insegnarono geometria al Gresham, tuttavia in seguito tornarono presso la loro università di appartenenza in qualità di professori saviliani di astronomia. Allo stesso modo, Isaac Barrow (1630-1677) rinunciò al suo incarico di professore al Gresham per diventare il primo professore lucasiano di matematica presso l'Università di Cambridge.
In Francia, analoghe trasformazioni nelle strutture accademiche stavano a indicare che il sistema d'istruzione di quel paese nutriva allo stesso modo una certa attenzione per le necessità degli studenti. Il ministro Jean-Baptiste Colbert, incaricato nel 1661 dell'amministrazione della marina francese, ne avviò una riforma che includeva la promozione dell'insegnamento pubblico dell'idrografia, o della scienza della navigazione, istituendo cattedre dedicate a queste materie. Quando l'istruzione navale venne considerata una sezione delle matematiche miste e quindi parte del corso di filosofia, gli sforzi dello Stato per promuovere il suo insegnamento trovarono una risposta entusiasta nei collegi gesuitici che tendevano ad attirare la nobiltà e ad assecondare le sue aspirazioni di successo sociale. Prima del 1700 in Francia vi erano ben più di venti collegi gesuitici in cui una cattedra era dedicata soltanto all'istruzione matematica. Dieci cattedre comprendevano l'insegnamento dell'idrografia, e di queste sette erano cattedre reali. Il proliferare di istituzioni fu consolidato da una tradizione di testi gesuitici che veniva incontro alle necessità contemporanee, presentando in francese la matematica applicata alla balistica, all'agrimensura, alle fortificazioni e applicazioni di ingegneria militare a un pubblico di matrice aristocratica.
di Florence C.Hsia
Il corso di studi e l'organizzazione dei docenti delle università dell'Europa del XVII sec. sembravano essere abbastanza flessibili, ma è possibile affermare la stessa cosa a proposito dei meccanismi istituzionali di controllo? La fortuna del cartesianesimo nelle università e nei collegi europei mostra che furono intentate anche diverse iniziative per cercare di controllare il contenuto delle materie di studio. Benché gli statuti stabilissero l'uso dei testi aristotelici per i corsi di filosofia naturale e gli studenti si uniformassero nei loro dibattiti all'insegnamento dei peripatetici e di Aristotele, e nonostante l'occasionale ammonimento da parte di alcune autorità universitarie di usare nelle dispute i testi di Aristotele in luogo di quelli di Descartes, né a Oxford né a Cambridge fu proibito ufficialmente di discutere le tesi cartesiane che si diffusero nelle università inglesi nella seconda metà del Seicento. All'inizio degli anni Quaranta, una serie di tesi cartesiane sostenute all'Università di Utrecht dal medico Henricus Regius (Hendrik van Roy, 1598-1679), suscitò l'ira della Facoltà di teologia, con la conseguente proibizione dell'insegnamento di 'nuove' filosofie per timore di nuocere alla teologia. Pochi anni dopo, un episodio simile verificatosi a Leida indusse il rettore dell'Università a vietare qualsiasi discussione di filosofia cartesiana ‒ sia in favore sia contro ‒ per evitare il verificarsi di disordini. Né le proibizioni ufficiali di menzionare le idee di Descartes, né gli statuti che ordinavano espressamente l'insegnamento della filosofia naturale aristotelica riuscirono, tuttavia, a impedire che a partire dalla metà del secolo alcuni elementi della filosofia cartesiana acquistassero un'importanza sempre maggiore nelle università olandesi.
In Francia, le polemiche sulle implicazioni teologiche delle filosofie non aristoteliche motivarono il decreto regio del 1671 con il quale veniva imposto all'Università di Parigi di assumere provvedimenti che garantissero l'uniformità dottrinale. Negli anni Settanta, le Facoltà di teologia di Parigi, Angers e Caen proibirono i corsi di filosofia ispirati alle dottrine cartesiane e nelle province alcuni professori furono denunciati e condannati. Questi avvenimenti e un'altra serie di condanne che si susseguirono, sia negli anni Novanta sia nella prima decade del Settecento, riflettevano una ripresa dell'antagonismo esistente nell'Università di Parigi tra teologi e filosofi. I primi incidenti furono inoltre complicati dagli sforzi indipendenti intentati dagli ordini religiosi cattolici di esercitare un controllo sulle idee filosofiche dei propri membri. Prima del 1700 gli oratoriani gestivano in Francia meno di trenta collegi in pieno esercizio, un numero molto inferiore rispetto a quelli della Compagnia di Gesù; ciononostante furono oggetto di molte critiche per aver consentito ai propri membri di sostenere opinioni non ortodosse. La Congregazione dell'Oratorio si era conquistata la fama di una comunità religiosa libera da molti dei vincoli istituzionali tradizionali legati agli ordini religiosi cattolici ‒ i suoi membri, per esempio, non osservavano il voto di povertà, castità e obbedienza, anzi non prendevano alcuno dei voti comuni ‒, ma nel 1678 il padre superiore generale della Congregazione fece atto di sottomissione all'autorità del re elaborando un documento di uniformità dottrinale che ingiungeva l'adesione alla fisica aristotelica e il rifiuto delle idee cartesiane. Nonostante tale documento, l'Oratorio poté vantare alcuni dei più noti esponenti del pensiero cartesiano del Seicento francese, quali Bernard Lamy (1640-1715), allontanato dalla cattedra presso l'Università di Angers per via delle sue posizioni cartesiane, e Nicolas Malebranche (1638-1715).
A differenza della reputazione di flessibilità di cui godeva l'Oratorio, la Compagnia di Gesù nella prima Età moderna era sinonimo di disciplina interiore e di uniformità esteriore. La Ratio studiorum (1599) rispecchiava le preferenze educative contemporanee indicando il Corpus aristotelico per lo studio nelle scuole dei gesuiti. Le Costitutiones della Compagnia eleggevano Aristotele quale autorità da seguire nel campo della filosofia naturale, esortavano all'unità di preghiera e di insegnamento, e richiedevano che i libri scritti dai membri fossero esaminati e approvati dalla società prima della loro pubblicazione. Recenti studi sui gesuiti, d'altronde, hanno rivelato che né la forza normativa di questi fondamentali documenti né gli elaborati meccanismi di censura producevano una teoria filosofica concorde nei temi dibattuti all'interno della Compagnia. Furono istituite alcune liste recanti le dottrine permesse e quelle proibite, e alcuni manoscritti furono riesaminati alla luce di complessi processi di autovalutazione collettiva. A sua volta, l'analisi di questi processi da parte degli studiosi, ha rivelato che la Compagnia di Gesù era una comunità di studiosi talvolta in lite fra loro che spesso non era in grado di mantenere neppure la parvenza, se non la sostanza, di uniformità di vedute. Anche se il carattere e il contenuto delle opere di filosofia naturale pubblicate dai gesuiti nel Seicento subirono certamente il peso della censura interna, le discussioni intorno a questioni delicate ‒ dalle teorie non aristoteliche sulla materia al Sistema del mondo ‒ di fatto uscirono indenni dal processo di revisione, a patto che per la dottrina sospetta si specificasse in modo appropriato la sua valenza di verità o che venisse sufficientemente riconosciuta la sua obbedienza all'autorità. Un testo come l'Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli, per esempio, non era propriamente rivoluzionario per la metà del secolo in termini cosmologici (si trattava di un sistema semiticonico), ma forniva un panorama completo dei progressi sia teorici sia pratici di quella disciplina, tanto che circa trent'anni dopo persino l'astronomo reale inglese John Flamsteed (1646-1719) se ne servì per preparare le sue lezioni di astronomia.
Nello stesso tempo, l'importanza dei dibattiti dei gesuiti su argomenti scientifici, alla luce della presenza essenziale della Compagnia nel sistema d'istruzione della prima Età moderna, non si limitò a questioni di contenuto didattico. Il professore di matematica al Collegio Romano, Cristoforo Clavio (1537-1612), a proposito della riforma del corso di studi dei collegi gesuitici si pronunciò contro la tradizionale subordinazione della matematica alla filosofia, e nello stesso tempo difese le discipline matematiche in quanto essenziali a una vera comprensione della filosofia naturale. Dai dibattiti della Compagnia di Gesù del tardo Cinquecento sul valore della matematica e su quale fosse il suo giusto posto all'interno della Ratio studiorum è sorta quella che di recente è stata definita 'la cultura matematica gesuita', che gli storici della scienza hanno soltanto da poco cominciato a esplorare nelle sue più diverse manifestazioni durante il corso dell'Età moderna in Europa.
Le implicazioni istituzionali del progetto di Clavio, però, si estendevano ben oltre l'ambito pedagogico. La proposta di prevedere nell'organico dei docenti dei collegi gesuitici la presenza di qualificati professori di matematica presupponeva un'organizzazione in grado di formare gesuiti specialisti, un'accademia che potesse usufruire delle ampie risorse e del forte potere didattico della Compagnia per preparare nelle discipline matematiche candidati adeguati, suscitando in questo modo grande ammirazione. Anche se 'l'accademia di matematica' che si formò intorno a Clavio nel Collegio Romano non ebbe lunga durata, l'idea di poter usare il sistema educativo gesuitico come struttura per le ricerche di filosofia naturale continuò ad affascinare per tutto il Seicento. Nella Compagnia di Gesù sono numerosi gli esempi della misura in cui un ordine religioso cattolico poteva tutelare la ricerca a scapito dell'istruzione. Forse il caso più eclatante è quello dell'erudito Athanasius Kircher (1602-1680), un gesuita ben più noto per i suoi volumi sul magnetismo e sull'ottica, sull'acustica e sull'astronomia, sulla linguistica, sulla medicina e sulla storia naturale; per la sua meravigliosa collezione di strumenti, macchine e naturalia; e per la vasta corrispondenza con gli eruditi dei primi anni dell'Europa moderna, piuttosto che per essere succeduto a Clavio nell'insegnamento presso il Collegio Romano.
L'Ordine dei minimi non aveva come finalità principale l'insegnamento; qui l'istruzione era perlopiù diretta ai novizi. Eppure le scuole dei minimi di Parigi e di Roma fornirono un modello importante per gli studi di matematica mista, attraverso le opere di Marin Mersenne in armonica, e gli studi di ottica e di astronomia di Jean-François Niceron (1613-1646) e di Emmanuel Maignan, così come per la ricerca botanica, attraverso le opere di Charles Plumier (1646-1704) e di Louis Feuillée (1660-1732).
di Florence C.Hsia
L'Italia
Certamente gli ordini religiosi cattolici fornirono all'Europa colta un importante modello per lo studio del mondo naturale nell'ambito di un contesto non pedagogico. Sia Pierre Gassendi (1592-1655) sia Mersenne, per esempio, fecero pressioni per ottenere che fosse chiesto ai missionari disseminati per il mondo di effettuare alcune osservazioni sulle variazioni magnetiche e le eclissi di Luna, mentre Kircher tentò di mettere a punto un progetto di riforma geografica finanziato dai contributi collettivi dei diversi ordini religiosi, specialmente quelli dei suoi confratelli gesuiti. Un altro modello istituzionale era quello delle accademie del Rinascimento italiano, dove gli studiosi si riunivano per discutere le varie questioni dell'epoca: politica e filosofia, poesia, musica e arte. Anche se la filosofia naturale non aveva grande rilevanza all'interno delle accademie del Rinascimento, tali riunioni di studiosi precorsero la creazione di un gruppo di individui dalle menti affini, al fine di investigare una serie di questioni d'interesse comune spesso sotto il patrocinio di qualche illustre personaggio.
L'influsso di questi modelli è evidente in quella che è forse la prima accademia del Seicento che pose l'investigazione naturale al centro della propria attività, l'Accademia dei Lincei a Roma. Fondata nel 1603 da Federico Cesi, l'Accademia fu progettata come un ritiro dall'adulazione e dalla falsità della vita di corte dell'Età moderna. Ispirato dalla Congregazione dell'Oratorio o dalla Compagnia di Gesù, Cesi intese l'Accademia in termini consoni a una comunità religiosa e sperava che nuove sedi fossero stabilite in tutta Europa ‒ ognuna con la sua biblioteca, il suo osservatorio e il suo giardino botanico ‒ dove si potesse studiare la Natura al riparo da distrazioni mondane. I Lincei collaborarono a un'edizione messicana di storia naturale riccamente illustrata e minuziosamente annotata, preparata dal medico spagnolo Francisco Hernández (1517-1587), in seguito pubblicata con il titolo di Rerum medicarum Novae Hispaniae thesaurus (1651), e lavorarono in difesa del loro membro più famoso, Galilei. Eppure, il gruppo si sciolse poco dopo la morte di Cesi nel 1630. Anche l'Accademia del Cimento, fondata nel 1657 con minore celebrazione rispetto all'Accademia dei Lincei, subì una sorte simile nel 1667 dopo che il suo protettore, il principe Leopoldo de' Medici, divenne cardinale. Il Cimento si dedicò all'investigazione sperimentale dell'aria, del magnetismo, dell'attrazione elettrica, del suono e del colore; parte di questi studi andarono a costituire l'unica opera pubblicata dall'Accademia, i Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento. Negli ultimi decenni del secolo, il gruppo toscano ispirò la fondazione dell'Accademia Fisicomatematica grazie al finanziamento dell'ecclesiastico Giovanni Giustino Ciampini, ma anche quest'ultima istituzione sembra essersi disgregata con la morte del suo protettore.
La Francia
Nel resto d'Europa, l'abbinamento tra innovazioni istituzionali e rinnovamento delle scienze divenne un obiettivo sempre più diffuso. Nell'introduzione alle Quaestiones celeberrimae in Genesim (1623), Marin Mersenne descrisse il suo desiderio di vedere fondate in tutta Europa, con l'aiuto di papi e di re, accademie nelle quali potersi dedicare al progresso collettivo in campo teologico, filosofico, matematico, medico e alchimistico. La considerazione di Mersenne nei confronti del ruolo che il finanziamento statale poteva ricoprire in queste iniziative fu probabilmente dovuta all'esempio di Théophraste Renaudot (1586-1653), uno dei medici reali che era incaricato di occuparsi dei poveri del regno. Il Bureau d'Adresse di Renaudot era nato come una sorta di punto di smistamento di beni e servizi, dove le persone si potevano recare in cerca di lavoro, per farsi visitare da medici specialistici, per esaminare la vasta gamma di oggetti in vendita, oppure per ottenere l'indirizzo di un insegnante. Nei primi anni del 1630, Renaudot incrementò l'ambito delle attività del Bureau istituendo degli incontri settimanali aperti al pubblico dove si affrontavano i più diversi argomenti, dalle virtù delle medicine chimiche, ai nuovi metodi per risolvere il problema della longitudine o per fare la vernice, fino alla velocità relativa dei corpi in caduta, la natura delle macchie visibili del Sole e della Luna e il moto terrestre. Per quasi un decennio, le conferenze di Renaudot rappresentarono un luogo pubblico di discussione sia di temi di filosofia naturale sia di altri argomenti più tecnici, e in gran parte furono pubblicate settimanalmente o come raccolta.
Attraverso la vasta corrispondenza e la rete personale di conoscenze scientifiche, che erano alla base delle riunioni erudite da lui tenute, Mersenne aiutò Renaudot a rendere pubbliche le sue conferenze. Nei primi decenni del Seicento, gli incontri organizzati a Parigi da Mersenne potevano contare sulla presenza di Descartes, Pierre Gassendi, Blaise Pascal e Gilles Personne de Roberval, così come anche degli inglesi esiliati Thomas Hobbes, Kenelm Digby, William e Margaret Cavendish, duca e duchessa di Newcastle.
La maggior parte delle persone che frequentavano le riunioni di Mersenne continuarono a incontrarsi dopo la sua scomparsa nelle case dell'élite parigina, i cui salotti diventarono comodi luoghi d'incontro dove conversare. È vero che, secondo i racconti dell'epoca quale Le grand dictionnaire des précieuses (1660) di Antoine Baudeau de Somaize, la maggioranza dei salotti parigini era di matrice letteraria. Ma quando Christiaan Huygens si recò a Parigi alla fine degli anni Sessanta, trovò una città che offriva diversi luoghi dove discutere di filosofia naturale, di matematica e di meccanica. In alcuni salotti erano ammessi sia gli uomini sia le donne, e coloro che intorno alla metà del secolo più spesso discutevano la filosofia naturale di Descartes stabilirono una tradizione di salonnières, in cui fino alla fine del secolo si raccolse il pubblico femminile interessato alla filosofia naturale. Il salotto, tuttavia, invece di rappresentare un modello si sarebbe in seguito rivelato un ostacolo per le nuove organizzazioni scientifiche fondate negli anni Sessanta. In qualità di membro dell'Académie des Sciences, Bernard Le Bovier de Fontenelle fornì una spiegazione letteraria di questo rapporto nello scritto intitolato Entretiens sur la pluralité des mondes (1686), nel quale un filosofo illustra i punti più ingegnosi della cosmologia cartesiana a una marchesa, mentre passeggiano insieme nel giardino di quest'ultima. Anche se Fontenelle aveva rappresentato un esempio di lezione scientifica in cui la filosofia naturale risultava un tema adatto anche alle donne, il contrasto che emerge negli Entretiens tra il filosofo saggio e la marchesa razionale ma sprovveduta di nozioni filosofiche rispecchia il fatto che fino alla metà del XX sec. le donne non furono ammesse all'Académie des Sciences di Parigi (1666), così come alla Royal Society di Londra (1662) o alla Societas Regia Scientiarum di Berlino (1700) ‒ molto tempo dopo, quindi, la loro ammissione ai corsi di laurea delle università delle altre città europee.
Tra i circoli parigini di maggior importanza per la futura Académie Royale des Sciences vi erano i gruppi che si riunivano regolarmente in casa di Henri-Louis Habert de Montmor (m. 1679), che aveva partecipato alle riunioni del noto cabinet dei fratelli Dupuy a Parigi insieme a Mersenne e a Gassendi, e di Melchisédech Thévenot (1620-1692), che manteneva una corrispondenza con l'Accademia del Cimento. A parte il fatto che molti dei loro membri avevano preso parte anche al circolo di Mersenne, i gruppi di Montmor e di Thévenot erano noti per il loro espresso desiderio di ottenere un'approvazione regia. I membri di questi circoli dotti inoltrarono molte richieste a Jean-Baptiste Colbert, ministro di Luigi XIV, affinché fosse fondata un'accademia reale dedicata alla matematica e alla fisica. Nel 1666, Colbert decise di bandire la selezione di circa venti persone cui sarebbero state assegnate pensioni reali per condurre ricerche in astronomia, geometria, fisica (poi anche in meccanica), chimica, anatomia, medicina (in seguito abbandonata) e infine in botanica. Durante il XVII sec. il numero di accademici reali mutò, rimanendo tuttavia intorno alla ventina. Composta quasi interamente da francesi, l'Académie ai suoi inizi contava due eminenti studiosi convinti a recarsi a Parigi: il filosofo naturale e matematico olandese Christiaan Huygens e l'astronomo italiano Gian Domenico Cassini (1625-1712), entrambi ‒ specialmente Cassini ‒ pagati assai più dei loro colleghi.
Il patrocinio da parte di Luigi XIV restò un mito per l'Académie, in quanto il re non dimostrò alcun interesse personale per i suoi accademici né concesse la sua presenza visitandone gli edifici per almeno dieci anni. Gli accademici potevano però utilizzare palazzi e servizi reali, conducendo i loro studi di botanica e anatomia al Jardin du Roi e incontrandosi alla Bibliothèque du Roi, dove avevano spazio a disposizione per le loro collezioni, un laboratorio costruito ed equipaggiato per le loro esigenze, e persino abitazioni per alcuni membri. L'Observatoire fu costruito appositamente per la ricerca e fornito di strumenti di notevole costo. Per tutto il Seicento diversi ministri di governo si fecero carico delle necessità finanziarie della nuova struttura, pagando almeno parte delle pensioni, sovvenzionando progetti, curando gli impianti, e finanziando alcune pubblicazioni, anche durante le guerre decennali che si ebbero verso la fine del secolo quando le risorse dello Stato erano drasticamente diminuite.
L'Inghilterra
Sia la speranza di Mersenne che si verificassero mutamenti istituzionali, sia le più concrete preoccupazioni di Renaudot per il bene pubblico trovarono il loro corrispettivo dall'altra parte della Manica. Nella concitata atmosfera della rivoluzione puritana, l'immigrato Samuel Hartlib (1600 ca.-1662) riunì intorno a sé un circolo di persone interessate ai progetti congiunti di riforma sociale, economica ed educativa. Nell'opera di genere utopistico A description of the famous kingdome of Macaria; shewing its excellent government [...] In a dialogue between a schollar and a traveller (1641) ‒ dedicata al parlamento nella speranza di ottenerne l'approvazione ‒ si descrive un collegio istituito per la scoperta di medicine migliori, inserito in un sistema in cui "tutti coloro che saranno in grado di dimostrare qualsiasi esperimento per la salute o la ricchezza dell'uomo, saranno onorevolmente considerati a carico pubblico, poiché la loro abilità nelle attività produttive, nella medicina e nella chirurgia, si sarà dimostrata eccellente" (p. 83). Nel 1649 Hartlib pubblicò The reformed school del rinomato teorico dell'educazione John Dury (1596-1680), nella quale si suggeriva l'utilità di un corso di matematica pratica così come di "tutte le Arti Utili e le Scienze", in cui si trattassero particolarmente l'agricoltura, l'architettura, l'ingegneria militare, la navigazione, la medicina chimica e la chirurgia. The reformed school fu nuovamente pubblicato nel 1651 insieme a The reformed librarie-keeper (1650) di Dury, che conteneva anche An idea of mathematics written by Mr. John Pell to Samuel Hartlib, di John Pell. Questi ultimi testi si somigliavano molto nel fatto di sostenere il possibile ruolo delle biblioteche all'interno della riforma del sapere. Pell, per esempio, affermava che uno degli strumenti fondamentali per migliorare la conoscenza matematica poteva essere una biblioteca pubblica, dotata di un buon catalogo e di testi e strumenti matematici, e gestita da un 'bibliotecario di gran giudizio' che avrebbe avuto anche il compito di valutare le nuove invenzioni, di registrare coloro che erano abili nel costruire strumenti matematici, di certificare la competenza dei matematici e di mantenere una corrispondenza con i colleghi di altri paesi, per essere sempre aggiornato sulle nuove pubblicazioni. Anche Dury era convinto che la biblioteca fosse un'istituzione adatta a incoraggiare la diffusione e quindi il progresso della conoscenza umana. Libri e manoscritti non erano che beni di scambio all'interno e fuori delle università, perfino a Oxford, definita nel The reformed librarie-keeper "sede della più rinomata Biblioteca esistente presso i Cristiani Protestanti" (p. 16).
Infatti, la biblioteca di cui scriveva Dury ‒ la Bodleian Library, fondata nel 1598 da Sir Thomas Bodley ‒ era stata creata per servire la 'Repubblica delle Lettere'. Lo stesso Hartlib sperava di divenirne bibliotecario nei primi anni Cinquanta, presumibilmente per dare concretezza ad alcune di queste idee. In seguito Gabriel Naudé (1600-1653), bibliotecario delle grandi collezioni raccolte da Richelieu e da Mazzarino, scrisse un Advis pour dresser une bibliothèque (1627), che si concludeva rispondendo all'interrogativo su quale dovesse essere la funzione principale di una biblioteca. La risposta di Naudé suggeriva che una biblioteca dovesse servire al pubblico e forniva l'esempio di tre istituzioni di questo tipo in Europa: la Bodleian Library a Oxford, la Biblioteca Ambrosiana a Milano, fondata dal cardinale Federico Borromeo nel 1607, e la Biblioteca Angelica nel convento agostiniano di Roma, fondata nel 1604 da Angelo Rocca, che aveva lavorato alla Biblioteca Vaticana ai tempi di papa Sisto V, sul finire del Cinquecento.
Il concetto di Naudé della biblioteca come 'strumento di scoperta' ‒ paragonabile agli strumenti astronomici, naturalia e artificialia, che raccomandava come elementi essenziali della biblioteca ‒ può ricondursi a un diverso tipo di sensibilità di tipo baconiano per l'utilità dei libri. Anche se Bacon dichiarava di esser pronto a fare a meno dei libri prodotti dall'uomo preferendo il libro della Natura, coloro che si definivano suoi seguaci, per esempio i primi membri della Royal Society, continuavano a utilizzare testi scritti come ausilio all'investigazione.
Con la restaurazione della monarchia nel 1660, la compromissione di Hartlib con il regime dell'Interregno era troppo stretta per farlo sperare in un appoggio ai suoi progetti di riforma scientifica. Al contrario, due diversi gruppi di 'filosofi sperimentali' costituirono il nucleo della Royal Society, che si formò in un primo tempo nel 1660 e che ricevette il riconoscimento regio nel 1662 e nel 1663. Uno dei gruppi comprendeva i matematici John Wallis e John Wilkins, come pure il medico Jonathan Goddard, e dal 1645 si riuniva regolarmente a Londra per esaminare problemi di astronomia, matematica, medicina e filosofia naturale. L'altro gruppo cominciò a incontrarsi a Oxford negli anni Cinquanta, e comprendeva Wallis, Wilkins e Goddard, che insegnarono in quell'Università. Fu il genero di Dury, Henry Oldenburg (1615 ca.-1677), in qualità di segretario della Royal Society, a mantenere con i dotti d'Europa la corrispondenza internazionale, che poi diffuse tra i membri e i lettori pubblicandone le lettere sulle pagine delle "Philosophical Transactions".
Tanto in Inghilterra quanto in Francia, gli idealisti associarono progetti comunitari ambiziosi, finalizzati allo studio della Natura, alla possibilità di finanziamento da parte del re. La Royal Society e l'Académie des Sciences riuscirono a ottenere aiuti economici dalla Corona, e con essi alimentarono la speranza di raggiungere una stabilità che non fosse legata alle vicissitudini personali di questo o quel sovrano. Sul frontespizio della History of the Royal Society (1667) di Thomas Sprat erano raffigurati i busti dei protettori dell'istituzione, Francis Bacon e Carlo II, e le parole di Sprat intendevano attirare possibili benefattori, non ultimo il re. Purtroppo, le speranze di ottenere un finanziamento andarono deluse, e nei primi decenni la nuova istituzione versò in gravi difficoltà finanziarie, dovendo dipendere, per coprire i propri costi operativi, quasi interamente dalle quote pagate dai membri. Il numero di questi ultimi inoltre mutò più volte fino alla fine del Seicento, oscillando fra un minimo di circa centotrenta e un massimo di duecentoventi o più membri. Le nuove organizzazioni scientifiche istituite negli anni Sessanta si differenziarono per consistenza e organizzazione finanziaria, per le caratteristiche proprie della struttura di ciascuna e per la disponibilità degli strumenti di ricerca. Nessuna di queste incarnò l'ideale di società scientifica descritta da Bacon nella New Atlantis, pubblicata postuma nel 1626, un'istituzione che godesse del beneficio di avere molti membri e una gerarchia del potere strutturata in modo ben preciso, cui lo Stato fornisse in larga misura gli strumenti, i macchinari, i laboratori, i giardini botanici e le collezioni necessari, ma che rappresentasse comunque il ricettacolo ultimo della conoscenza scientifica. Che fossero 'vecchie' o 'nuove' le istituzioni deputate alla conoscenza naturale ‒ le società e le accademie, i salotti e le biblioteche, le università e gli ordini religiosi ‒ dovevano fare i conti con i problemi di armonia sociale, libertà filosofica e trasmissione di tradizioni, il che rendeva il panorama istituzionale degli studi naturali alla fine del Seicento ancora più complesso di quanto lo fosse stato all'inizio del secolo.
di Antonella Romano
Alla luce dei contributi forniti dalla sociologia della scienza e dalla storia della cultura, le recenti interpretazioni della Rivoluzione scientifica hanno modificato la tradizionale storiografia, incentrata sugli eventi che hanno maggiormente segnato l'evoluzione delle discipline scientifiche e sulle principali figure di scienziati. La scienza è stata studiata come una delle diverse produzioni culturali, espresse da una particolare società in un preciso contesto politico-economico e il ruolo ricoperto da personalità cosiddette 'minori', provenienti anche da ordini e istituzioni religiose, è stato meglio definito. L'attenzione alla storia sociale delle pratiche culturali, stimolando le ricerche sulle forme di aggregazione intellettuale, ha prodotto un rinnovamento anche nel campo della storia religiosa, incrementando la conoscenza della cultura postridentina e degli ordini religiosi. Ciò ha consentito di arricchire il concetto stesso di Rivoluzione scientifica, individuando meglio il ruolo che vi ricoprirono personalità quali Cristoforo Clavio, Bonaventura Cavalieri, Charles Plumier o Marin Mersenne, membri della cosiddetta 'Repubblica delle Lettere' e al tempo stesso di ordini religiosi antichi o nati dalla Controriforma. In quanto religiosi, tali studiosi avevano a lungo ricoperto un ruolo soltanto marginale nella storia delle scienze dell'Età moderna. La scuola storiografica galileiana inoltre, soprattutto in Italia, ha permesso importanti progressi, indirizzando l'interesse degli studiosi verso il contesto in cui era sorta l'opera di Galilei, tenendo conto sia del ruolo dell'Accademia dei Lincei sia di quello dei gesuiti. Al di fuori dell'ambito galileiano, gli studi si sono diversificati estendendosi alle varie discipline scientifiche: l'età del predominio della storia della matematica nei confronti della storia delle altre scienze, e soprattutto di quelle della Natura o dell'uomo, è ormai conclusa. Si è abbandonata un'idea di storia ristretta alle 'scienze nobili' e si è ampliato il campo delle ricerche dalla matematica e dalla fisica all'alchimia, alla zoologia, alla geologia e alla psicologia. Senza trascurare quelle classiche, sono state utilizzate nuove fonti fra le quali sono comprese sia opere a stampa sia opere manoscritte e carteggi, prendendo in considerazione i diversi canali di circolazione del sapere per mezzo dei quali si è strutturata la 'Repubblica delle Scienze'. Anche da un punto di vista geografico si assiste a un ulteriore mutamento. Gli studi dedicati alla Spagna e al Portogallo permettono di ampliare la conoscenza dei protagonisti e di seguire la diffusione delle attività scientifiche in nuove aree del mondo cattolico, mettendo in evidenza l'impegno culturale profuso dagli ordini religiosi nella ricerca e nell'insegnamento scientifico nel periodo postridentino.
L'estensione delle indagini storico-scientifiche al mondo cattolico consente di chiarire il ruolo ricoperto dagli ordini religiosi nella scienza del Seicento e di determinare la figura dello 'scienziato religioso', cercando di sintetizzare gli orientamenti della ricerca negli ultimi venti anni. In tale prospettiva è importante distinguere due livelli di analisi e di studio: il primo è incentrato sull'attività individuale di membri degli ordini religiosi presi in esame soltanto in quanto scienziati, per esempio, il gesuita Bonaventura Cavalieri, discepolo di Galilei, specializzato nella matematica degli indivisibili; il secondo livello è basato sulla considerazione del ruolo delle istituzioni religiose nello svolgimento dell'attività scientifica. In questo secondo livello di analisi rientrano in particolare gli ordini coinvolti nelle attività di formazione intellettuale, i gesuiti in prima linea, ma anche i minimi, gli oratoriani e gli scolopi. Si tratterà di riflettere sui due aspetti dell'attività scientifica per tentare di capire come si intrecciano.
I gesuiti e l'attività di Clavio
L'importanza degli studi dedicati alla Compagnia di Gesù investe problematiche che in questa sede saranno circoscritte alla sola storia delle scienze, analizzando il modo in cui la scienza si affermò all'interno dell'Ordine. è necessario ribadire un fatto evidente: nessun ordine religioso nella prima Età moderna ha avuto come scopo l'attività scientifica in quanto tale, nemmeno quello gesuita. Per la Compagnia di Gesù, come per gli ordini che si ispirano al suo modello, il programma di istruzione teorizzato e diffuso su scala mondiale si inserisce all'interno di una strategia globale d'ispirazione postridentina. Appare tutt'altro che lineare il percorso che parte dalla formula di Ignazio di Loyola, No estudios ni lectiones en la Compania, e giunge all'istituzione di un ordinamento degli studi comune a tutti i collegi, la Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu del 1599, e alla fondazione della cosiddetta 'accademia di matematica' del Collegio Romano, meno di quarant'anni dopo. Le scelte operate e le tensioni emerse in occasione delle discussioni che accompagnarono tale processo investirono non soltanto gli ambienti del Collegio Romano ma tutte le province dell'Ordine.
Costruendo la sua identità sulla scelta di 'essere nel mondo', la giovane Compagnia si era preparata, come dimostrano le costituzioni, a essere presente dovunque il cattolicesimo si fosse trovato in pericolo. L'istruzione e l'insegnamento erano parte di questo progetto per un doppio ordine di motivi. Innanzitutto era necessario accogliere all'interno del nascente Ordine uomini di cultura, quali erano stati i fondatori. A questa esigenza si aggiunse una richiesta proveniente dall'esterno dell'Ordine e dettata da precisi motivi storici. Ai gesuiti furono affidate infatti le scuole fondate dalle élite nei paesi cattolici in lotta contro l'eresia: questo costrinse i membri della Compagnia a porsi il problema della formazione degli studenti 'esterni', coloro che non erano destinati a essere accolti nell'Ordine. Ciò non significa negare il fatto che la Compagnia abbia sviluppato proprie strategie d'insediamento, scegliendo preferibilmente determinate zone e città e certi tipi di case. Tali insediamenti, anzi, furono concentrati nelle grandi città europee che confinavano con paesi in cui erano diffuse le eresie. Va tuttavia rilevato che quest'esigenza proveniva, inizialmente, dalla richiesta sociale di un'istruzione cattolica. Soddisfare tale esigenza non significò soltanto aderire alla politica che orientava la fondazione di questo tipo di istituzioni, concentrando le forze sulle scuole di formazione superiore e sulle università, ma anche porsi il problema dei contenuti dell'insegnamento. All'interno di tale processo le riflessioni sulla filosofia naturale e sulla matematica acquistarono un grande rilievo sia sul piano della pratica dell'insegnamento sia su quello dei dibattiti sorti intorno alla redazione della Ratio studiorum.
Prima di proseguire su questo argomento bisogna precisare che si sta descrivendo una situazione probabilmente unica nel mondo moderno, in cui un'istituzione religiosa è coinvolta nel campo della scienza non tanto perché includeva scienziati ma in quanto annoverava professori di discipline scientifiche, e tale situazione non è certamente generalizzabile a tutti gli ordini religiosi. Nessuno degli ordini precedenti alla Controriforma o nati sulla sua scia si è dotato di strutture interne in grado di provvedere alla formazione di docenti specializzati nell'insegnamento della scienza e, in particolare, della matematica. Questo non significa che rappresentanti di ordini religiosi non abbiano ricoperto cattedre scientifiche nelle università o nelle scuole di istruzione superiore, ma la differenza è comunque importante.
L'impegno del matematico gesuita Cristoforo Clavio costituisce sicuramente una delle chiavi per identificare l'emergere di tale atteggiamento e riconoscere il buon livello di preparazione di un piccolo nucleo di dotti della Compagnia, che affrontarono con competenza i nuovi paradigmi epistemologici emersi sul finire del XVI secolo. L'attenzione che Clavio dedicò alla matematica era concentrata sia sulla tradizione euclidea sia sulla scienza astronomica e aveva le sue radici nel movimento definito da Rose (1975) "il Rinascimento italiano della matematica", negli sviluppi del dibattito sorto intorno alla mathematicarum certitudo e, più in generale, nelle riflessioni intorno al metodo. Lo scopo di Clavio non fu soltanto quello di pubblicare opere scientifiche che riteneva necessarie per il progresso della conoscenza matematica e scientifica della sua epoca, ma anche, e forse principalmente, di assicurare a un numero limitato di giovani novizi una formazione scientifica di alto livello, di cui si sarebbero potuti servire per garantire un insegnamento di primo livello nei collegi della Compagnia.
Poco si conosce del gruppo di gesuiti interessati alla matematica nato intorno a Clavio negli ambienti del Collegio Romano, come anche di formazioni analoghe sorte in altri centri. Si sa comunque che gli interessi coltivati dal gruppo romano erano quelli della comunità scientifica del tempo. Questo spiega perché Galilei, giunto a Roma nel 1611 per presentare il suo telescopio e le osservazioni dei Pianeti Medicei, espresse il desiderio d'incontrare i membri dell'accademia di matematica del Collegio Romano. La pubblicazione dei documenti che riguardano i piani di studio elaborati da Clavio per gli allievi di quest'accademia hanno confermato, d'altronde, che il suo intento era quello di garantire agli studenti del Collegio Romano la formazione più completa e accurata possibile.
Gli oratoriani
L'atteggiamento dei matematici della Compagnia di Gesù ‒ sostenuto talvolta dalla curia generalizia di Roma e, comunque, mai ostacolato (come nel caso dell'importante polo di formazione del collegio di Pont-à-Mousson) ‒ non è rintracciabile in altre istituzioni religiose. Gli oratoriani, noti per aver svolto una notevole attività d'insegnamento durante il Seicento, particolarmente in Francia, non hanno sviluppato una riflessione intorno al problema della formazione, per lo meno rispetto all'insegnamento della scienza. Negli statuti della congregazione, redatti negli anni Ottanta del XVII sec., l'unica regola che riguarda la formazione concerne il periodo del noviziato, vale a dire l'anno di ingresso nell'Ordine. In Francia, alla metà del Seicento si contano soltanto tre sedi per la formazione degli oratoriani: Parigi, Lione e Aix-en-Provence, tutt'e tre dedicate all'approfondimento della spiritualità berulliana. Dopo l'anno di apprendistato, la formazione intellettuale prosegue nelle scuole, dirette dagli oratoriani stessi, a seconda del livello di ciascun novizio al momento dell'entrata nella congregazione. Durante il XVII sec., l'Ordine non contava più di venti insediamenti in cui s'insegnava la filosofia, e in essi le cattedre erano affidate a confratelli che non avevano un alto livello di specializzazione. Il programma, che seguiva un'impostazione molto tradizionale, prevedeva, dopo un primo anno d'insegnamento di logica, un corso di fisica.
I minimi e le attività di Maignan
Ugualmente incentrati su un'impostazione tradizionale del cursus studiorum furono i programmi d'insegnamento adottati dai minimi, sebbene alcuni membri dell'Ordine, come Marin Mersenne (1588-1648) o Emmanuel Maignan (1601-1676), fossero scienziati di non poco rilievo all'interno del processo della Rivoluzione scientifica.
Emmanuel Maignan, nato a Tolosa, era figlio di Pierre de Maignan, nobile della Guienna, consigliere del re e decano della Cancelleria di Tolosa, e di Gandoise de Alvarez, figlia del professore reale di medicina dell'Università di Tolosa. La sua formazione intellettuale fu affidata ai gesuiti di Tolosa, presso i quali seguì il ciclo di studi filosofici. Quando, nel 1618, scelse la vita religiosa s'indirizzò all'Ordine dei minimi, presso cui proseguì per sei anni gli studi di filosofia e di teologia, approfondendo la conoscenza della matematica e dell'astronomia. Terminati gli studi, fu inviato presso il convento di Tolosa con l'incarico d'insegnare matematica ai confratelli più giovani. Maignan vi insegnò dal 1625 al 1636, anno in cui fu inviato a Roma presso il collegio, istituito nel 1622 nel convento di Trinità dei Monti di Roma, dove giunse in qualità di professore di filosofia e di matematica e di corrector, ossia di padre superiore.
Il periodo romano di Maignan fu caratterizzato da un'ampia sfera di interessi e di attività. Le sue lezioni erano rivolte a novizi il cui livello di formazione non è documentato, ma è difficile considerare interamente rappresentativo della sua attività di professore, lacunosamente documentata dalle fonti, il Cursus philosophicus, concinnatus ex notissimis cuique principiis, ac praesertim quoad res physicas instauratus ex lege naturae, sensatis experimentis passim comprobata, pubblicato a Tolosa nel 1653 (di cui fu stampata nel 1673 una nuova edizione ampliata). Quest'ultima fonte può essere integrata con le tracce dei diversi temi filosofici presenti nei suoi saggi, nella Sacra philosophia del 1672 e anche nell'edizione delle sue opere, dovuta al confratello Jean Saguens, De vita, moribus et scriptis R.P.E. Maignan, del 1697. Ne emergono un marcato antiaristotelismo e una grande apertura verso tendenze filosofiche innovative. Sul piano del lavoro personale, Maignan aveva dedicato una parte degli anni trascorsi a Roma allo studio della 'fisica nuova', prendendo parte anche agli esperimenti e ai dibattiti sul vuoto, che si svolsero prima a Roma e poi a Firenze, negli anni Quaranta.
Il secondo asse della sua produzione scientifica, che influenza anche i contenuti del suo insegnamento, è quello dell'ottica. La Perspectiva horaria sive de horographia gnomonica tum theoretica, tum pratica, pubblicata a Roma nel 1648, offre una sintesi delle sue riflessioni. L'opera, dedicata alla fabbricazione di quadranti solari, costituisce un vero e proprio trattato di ottica. La comprensione delle regole di propagazione della luce è indispensabile alla spiegazione del quadrante solare e Maignan ne tratta con completezza e competenza rivelando l'elevato livello di sviluppo raggiunto dalla produzione scientifica del suo tempo.
Il caso di Maignan illustra la figura del 'religioso scienziato', una tipologia presente nell'arco di tutta l'età della Rivoluzione scientifica e che, per quanto non sia eccezionale il suo contributo sul piano del progresso scientifico, riveste una grande importanza per quel che riguarda i meccanismi d'insegnamento e di diffusione della cultura scientifica, in particolare matematica, durante il XVII secolo. Nell'ambito della vita culturale dell'Ordine dei minimi, casi di studiosi come Maignan sembrano comunque rari. I confratelli che condivisero i suoi interessi furono pochi e dalle fonti non emerge che le loro attività fossero orientate da una consapevolezza istituzionale o da un progetto culturale preciso, nonostante il grande impegno profuso dall'Ordine per la formazione degli allievi.
L'insegnamento nei collegi
Tra le novità che caratterizzano le recenti interpretazioni della Rivoluzione scientifica, quelle che riguardano il ruolo delle strutture educative nel processo di diffusione della scienza moderna hanno subito importanti mutamenti. Certamente le classiche istituzioni per la formazione superiore, come le università, benché ancora legate all'eredità aristotelica, non costituirono soltanto freni per lo sviluppo della nuova scienza.
Gli insegnamenti scientifici che vi furono impartiti, per quanto pervasi dagli atteggiamenti aperti e non sclerotizzati che caratterizzano, soprattutto negli ambienti inglesi e francesi, il cosiddetto 'aristotelismo eclettico', rimasero sostanzialmente legati ai modelli tradizionali.
Un ruolo fondamentale nel processo di modernizzazione della scienza fu ricoperto dai collegi (non soltanto gesuitici) in cui si impartiva l'insegnamento scientifico. Il fatto che, a metà del Seicento, in quasi tutte le città dell'Europa cattolica, esistesse almeno un collegio retto dai religiosi, nel quale si trovava una classe di matematica ‒ anche se di livello mediocre ‒ costituisce un importante fenomeno culturale. Tale insegnamento, diffuso anche nei collegi asiatici e nelle province d'oltremare, e di cui beneficiarono allievi eccellenti quali René Descartes o Gian Domenico Cassini, fornì alla classe colta una cultura scientifica che rese possibile la diffusione e l'assimilazione dei nuovi paradigmi scientifici.
Questo processo è identificabile non soltanto attraverso lo studio dei programmi dei corsi impartiti nelle scuole, ma analizzando anche aspetti della cultura materiale, come le infrastrutture scientifiche di cui sono dotati i collegi e gli studia degli ordini: le biblioteche, sempre più ricche di libri e manoscritti; i cabinets di curiosità e di fisica, in cui si accumulano gli strumenti per l'osservazione, le macchine e ogni sorta di 'meraviglia'.
Tali strutture, che sono il segno concreto dei mutamenti introdotti dalla Rivoluzione scientifica, sono presenti anche all'interno di collegi e istituzioni religiose quali la biblioteca del convento dei minimi a Parigi, che fu uno dei principali luoghi d'incontro e di attività scientifica del gruppo costituitosi intorno a Mersenne. Si tratta di un modello comune a varie specole dei collegi dei gesuiti, nel Sud della Francia, e alle biblioteche conventuali di Roma, nella seconda metà del Seicento. Tali spazi furono anche aperti ad accogliere membri della comunità scientifica laica. Il galileiano Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), quando nel 1677 si trovava in una situazione economica difficile, fu accolto dai padri scolopi nella loro casa generalizia, annessa alla chiesa di S. Pantaleo a Roma. In questa casa, non solo insegnò matematica ad alcuni novizi, ma fece anche dono ai padri della sua biblioteca personale e dei suoi strumenti matematici. Questa stessa biblioteca è segnalata nelle guide di Roma della fine del Seicento, per la sua ricchissima collezione di manoscritti, tra i quali la traduzione del De rerum natura di Lucrezio realizzata dal lettore di matematica dell'Università di Pisa Alessandro Marchetti (1632-1714), successivamente messa all'Indice.
Per quanto riguarda l'insegnamento scientifico, lo studio delle diverse situazioni ‒ spagnola, portoghese, italiana, francese, messicana e brasiliana ‒ presenta un panorama molto ampio e una certa varietà di posizioni in merito all'atteggiamento adottato nei confronti dei nuovi paradigmi scientifici. L'analisi dei programmi e delle pratiche d'insegnamento dei vari collegi, a cominciare dal Collegio Romano, permette d'identificare un quadro molto più complesso e sfumato di quanto si fosse ritenuto. Passando dalla norma, stabilita in opposizione alle tendenze dei novatores, alle pratiche, si possono individuare atteggiamenti diversi nei confronti della nuova scienza, da cui emerge un quadro istituzionale meno chiuso alle novità di quanto si sia ritenuto. Un bilancio completo è ancora difficile da fare, ma si possono comunque individuare alcuni importanti elementi da tenere in considerazione: il criterio gerachico che determina la differenza tra i collegi, le influenze determinate dai vari contesti socio-culturali e geografici, l'atteggiamento nei confronti dei nuovi paradigmi scientifici.
In primo luogo, tra i collegi si stabilisce una gerarchia in virtù della quale in quelli universitari o delle grandi città si concentra un gruppo di insegnanti più specializzati, di quelli degli insediamenti più decentrati o minori. È il caso del Collegio Imperial di Madrid, in cui la cattedra di matematica è assegnata a scienziati che godono di una grande fama e hanno al loro attivo una produzione matematica di una certa importanza. Jean de La Faille, Claude Richard, José Zaregoza y Vilanova, che ricevono il titolo di 'cosmografo real', pur essendo gesuiti sono aperti alle innovazioni dell'astronomia copernicana. In centri di importanza minore, questo profilo alto scompare, e spesso l'insegnamento della matematica non è affidato a uno specialista, pregiudicando il livello delle lezioni.
Anche le differenze tra le varie zone geografiche determinano importanti variazioni: le materie insegnate cambiano a seconda del contesto socio-culturale. La aula de esfera del Collegio de São Antão di Lisbona, per esempio, serve in primo luogo alla formazione dei navigatori. I professori che vi insegnano incentrano i corsi sulla cartografia o sulla geografia, ma questo non implica un particolare coinvolgimento nei dibattiti astronomici e cosmologici correnti. L'astronomia di osservazione viene praticata anche senza tenere conto di tali dibattiti, così come avviene presso le cattedre di idrografia, istituite nei collegi francesi nella seconda metà del Seicento.
Un terzo aspetto da considerare è la differenza negli atteggiamenti assunti nei confronti dei nuovi sistemi filosofici e scientifici. Nel Collegio Romano, per esempio, l'interesse per la nuova scienza emerge fin dagli anni Quaranta del Seicento ed è manifestato da personalità come Athanasius Kircher, Niccolò Zucchi, Gaspar Schott, Giovanni Paolo Casati e Daniello Bartoli. Rispetto alle posizioni assunte nei confronti dei nuovi sistemi filosofici, il caso del cartesianesimo è emblematico. La filosofia cartesiana durante il XVII sec. è oggetto, soprattutto in Francia, di condanne ufficiali che i professori di filosofia sono tenuti a rispettare. Tuttavia, proprio i matematici gesuiti avranno un ruolo di primo piano nella diffusione del cartesianesimo nell'area culturale napoletana della seconda metà del Seicento.
Se è difficile stabilire in linea generale quale sia stato il ruolo della nuova scienza all'interno dei corsi scolastici, è anche vero che questi ultimi possono non rispecchiare le posizioni personali dei professori che sono sottoposti a controlli e anche alla censura. Per ovviare a tale difficoltà è tuttavia possibile enucleare nei testi pubblicati al di fuori dell'attività scolastica posizioni riguardo alla nuova scienza, che nei corsi sono assai più sfumate e meno dirompenti. Gli autori gesuiti di testi di filosofia naturale, per esempio, pur non rinunciando all'impostazione aristotelica espressa dalla Ratio studiorum, contribuiscono in maniera significativa alla costituzione di quella tendenza che è stata definita 'aristotelismo eclettico', ovvero aperto ad accogliere e integrare le nuove idee. Se la storiografia tradizionale, in gran parte ereditata dagli studi galileiani, aveva fatto dei gesuiti l'avanguardia dell'ortodossia cattolica e dunque il più importante obiettivo polemico della Rivoluzione scientifica, l'approccio attuale è più sfumato. Si tende a evidenziare un processo assai ricco di interpenetrazioni fra vecchi e nuovi paradigmi che conducono a un eclettismo epistemologico, spesso testimoniato dalla partecipazione degli scienziati religiosi, gesuiti e di altri ordini, alle nuove forme di attività della comunità intellettuale. Basti pensare al ruolo ricoperto in tal senso da Mersenne.
Proprio questo accenno a uno dei più importanti fondatori della 'Repubblica delle Lettere' induce a sottolineare l'importanza che rivestirono negli scambi scientifici le reti di corrispondenza organizzate da membri degli ordini religiosi. I carteggi contribuiscono alla costruzione di uno spazio pubblico per la comunicazione scientifica e permettono la circolazione sia delle nuove idee sia di informazioni necessarie alla strutturazione delle nuove discipline: è il caso delle nuove discipline fisico-matematiche e, in maniera ancora più incisiva, dell'astronomia e della cartografia che procedono soprattutto accumulando i risultati delle osservazioni. Alcuni membri di ordini religiosi si inseriscono pienamente in questo nuovo spazio della comunicazione e dell'attività scientifica e se ne fanno promotori. È il caso dell'ampia rete organizzata dal minimo Mersenne in Europa, o di quella coordinata dal gesuita Kircher, proiettata verso una dimensione universale, che rispecchia anche la vocazione missionaria dell'apostolato religioso della Compagnia di Gesù.
La missione come luogo della pratica scientifica
Il minimo Charles Plumier (1646-1704), originario di Marsiglia, è celebre per il suo contributo alla conoscenza delle piante delle Antille. Formatosi nel campo delle scienze fisico-matematiche a Tolosa, sotto la guida di Maignan, arrivò a Roma nel 1676. Qui, entrando in contatto con il responsabile della farmacia di Trinità dei Monti, il padre Sergeant, e con il medico romano Francesco de Onofrio (che a sua volta lo mette in contatto con il botanico toscano Paolo Boccone), intraprese lo studio della Natura. Da questo momento Plumier si dedicò alle discipline naturali partecipando direttamente alle spedizioni coloniali francesi. Fra il 1682 e il 1684 prese parte alla prima spedizione nelle Antille francesi, organizzata per decisione del re Luigi XIV, e vi tornò con una seconda missione nel 1693. In seguito gli venne conferito il titolo di 'botanico reale' e, tornato in Francia, pubblicò la Description des plantes d'Amérique (1693), corredata di importanti illustrazioni. Successivi viaggi lo condussero ancora nei Caraibi e in Brasile e in seguito a questa esperienza scrisse opere di botanica che avranno una grande importanza per lo sviluppo della disciplina.
Una figura dalle caratteristiche simili fu il minimo Louis Feuillée (1660-1732) che partecipò regolarmente alle missioni nella Nuova Francia, ove compì osservazioni astronomiche per conto dell'Académie des Sciences.
Molti religiosi, soprattutto gesuiti, contribuirono a raccogliere informazioni scientifiche nelle zone extraeuropee. Le loro attività evidenziano un interessante fenomeno di collegamento tra un processo epistemologico, la Rivoluzione scientifica, e un importante cambiamento politico, lo sviluppo delle monarchie imperialistiche. L'avviamento 'di politiche della scienza' nelle quali anche i religiosi ebbero un ruolo, spesso sotto il controllo delle nuove istituzioni accademiche, costituì un aspetto determinante sia nel processo di modernizzazione dello Stato, sia in quello dello sviluppo della scienza.
Coinvolti in questo processo fin dai primi contatti con i mondi sconosciuti o poco conosciuti, gli ordini religiosi fornirono già durante il XV e il XVI sec. un materiale assai ricco, principalmente attraverso libri che descrivono popoli, fenomeni naturali e piante. Con l'arrivo dei gesuiti in Cina, alla fine del Cinquecento, il ruolo della scienza nell'ambito della missione subì una modifica importante, conseguente a una riflessione e a una pianificazione più approfondite. Fu Matteo Ricci (1552-1610) a teorizzare la trasmissione di conoscenze scientifiche in Cina nell'ambito del programma di evangelizzazione, e fu sempre lui a iniziare nel 1595 il lavoro di traduzione nella lingua cinese di opere scientifiche europee. Quando fra il 1615 e il 1617 il gesuita Nicolas Trigault ripercorse, sulla sua scia, il viaggio dalla Cina all'Europa, sollecitò il centro romano affinché inviasse in Oriente libri di scienza e missionari esperti di matematica. Arrivarono così a Pechino i primi 'missionari matematici', Johann Schreck, Johann Adam Schall von Bell e Giacomo Rho, che si dedicarono, con l'aiuto di collaboratori locali, alla riforma dell'astronomia cinese.
Se questa situazione eccezionale motiva l'attenzione prestata dalla Compagnia di Gesù alla formazione scientifica, è anche vero che il fenomeno del trasferimento della scienza europea verso gli altri continenti, come anche l'accumulazione delle conoscenze, non si sono sempre sviluppati sul modello cinese. In Brasile, come testimoniano le relazioni e le lettere, i missionari non erano impegnati nella divulgazione della scienza e non avevano nemmeno una formazione specifica. Alcuni di essi si dedicarono tuttavia all'erboristeria, all'osservazione astronomica o alla descrizione dei fenomeni naturali, redigendo libri, rapporti e relazioni, inviando piante, disegni e mappe, conformemente alla tradizione inaugurata da José de Acosta, la cui Historia natural y moral de las Indias (1590) fu letta durante tutto il XVII secolo. Con la spedizione in Siam del 1685, di cui facevano parte sei 'matematici reali', Luigi XIV dava grande visibilità al processo di interconnessione fra politica dello Stato monarchico e spedizioni degli ordini missionari: questi ultimi lavoravano ad majorem regis gloriam. I sei gesuiti, partiti dalla Francia su una nave reale, dovevano svolgere una serie di compiti per conto dell'Académie des Sciences.
I religiosi scienziati, confrontandosi con i paradigmi della nuova scienza, per la loro funzione istituzionale o per i propri interessi, agivano sotto il controllo della Chiesa; tale controllo poteva riguardarli sia in quanto membri delle congregazioni dell'Indice o del Sant'Uffizio, di cui entravano a far parte come esperti, sia in quanto potevano essere essi stessi soggetti a indagine. La censura, infatti, era esercitata tanto internamente dalle istituzioni religiose sui propri membri, quanto esternamente, dalle congregazioni del Sant'Uffizio e dell'Indice sugli ordini stessi. Per quanto riguarda la censura interna, sono di nuovo i gesuiti a offrire un interessante campo d'indagine. Lo studio dei documenti riguardanti la Congregazione dei revisori generali (fondata su iniziativa del generale Claudio Acquaviva) e le varie province della Compagnia mostrano che il controllo interno non riguarda soltanto le opere, ma anche la didattica e le altre attività dei gesuiti.
La messa all'Indice di opere scientifiche non colpisce soltanto quelle scritte dai laici. Il 4 marzo 1709, il provvedimento ricade sull'opera filosofico-teologica di Maignan (ripubblicata nel 1703, dopo le edizioni precedenti, dal suo allievo e confratello Saguens con il titolo di Philosophia P. Maignani scolastica), perché l'interpretazione della transustanziazione proposta dall'autore non è giudicata conforme ai decreti del Concilio di Trento. L'attività censoria delle due congregazioni di controllo intellettuale nei confronti degli scienziati religiosi era principalmente incentrata sulle questioni teologiche, ma vi ricoprivano un ruolo determinante anche criteri geopolitici. La Spagna, per esempio, sembra essere stata più aperta alle novità scientifiche di quanto non lo fossero gli Stati italiani. L'aspetto della censura e del controllo interno consente di aggiungere un altro importante elemento per delineare la complessità e la disomogeneità del ruolo della Chiesa cattolica e dei religiosi scienziati nella Rivoluzione scientifica. Un ruolo che avvia ampi e importanti processi di cui si deve tener conto nell'analisi storica dell'avvento e degli sviluppi della scienza moderna.
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