La Robin Hood Tax
I seri problemi di costituzionalità della Robin Hood Tax sono stati aggravati dal d.l. 21.6.2013, n. 69, che ha esteso l’applicazione del prelievo e ne ha aumentato temporaneamente l’aliquota. Una prognosi di incostituzionalità e l’entità rilevante del relativo gettito, nell’attuale situazione di crisi finanziaria dello Stato, possono forse spiegare la decisione della Corte costituzionale di rinviare a nuovo ruolo la trattazione, fissata per il 27.3.2013, della questione di costituzionalità del prelievo. In tal modo, però, si corre il rischio di accentuare le difficoltà di bilancio dello Stato e di squilibrare lo sviluppo energetico.
Il 2013 ha apportato due novità per i contribuenti operanti nel settore energetico:
a) il rinvio a nuovo ruolo, disposto d’ufficio dal Presidente della Corte costituzionale, della trattazione della questione incidentale di costituzionalità dell’art. 81, co. da 16 a 18, del d.l. 25.6.2008 n. 112, quale convertito dalla l. 6.8.2008 n. 133 (cd. Robin Hood Tax), sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia con ordinanza del 26.3.2011 (R.O. n. 215/2011) e fissata per l’udienza pubblica del 27.3.2013;
b) l’ulteriore modifica di detta normativa (già modificata, prima, dagli artt. 27, co. 15, e 56, co. 3, l. 23.7.2009 n. 99; poi, dall’art. 7 del d.l. 13.8.2011 n. 138, come convertito dalla l. 14.9.2011 n. 148) ad opera dell’art. 5, co. 1, del d.l. 21.6.2013 n. 69, quale convertito dalla l.9.8.2013 n. 98.
Tali novità evidenziano la delicatezza dei problemi di costituzionalità posti dal suddetto prelievo, anche per la notevole entità del gettito.
L’art. 81 del d.l. n. 112/2008, quale convertito dalla l. n. 133/2008, ha introdotto – a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 – un prelievo aggiuntivo, qualificato «addizionale», all’IRES pari al 5,5% (con contestuale obbligo di abbandonare il metodo lifo e di adottare quelli fifo o del costo medio ponderato nella valutazione delle scorte di magazzino e con assoggettamento di tale valutazione, in sede di prima applicazione, ad un’imposta del 16%, sostitutiva di IRPEF, IRES, IRAP; v. anche l’art. 92 bis del TUIR), da applicarsi nei confronti delle imprese operanti in determinati settori a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, cioè la fase cosiddetta di upstream; b) raffinazione del petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale, cioè la fase cosiddetta di downstream; c) produzione o commercializzazione di energia elettrica, salvo il caso di produzione di energia elettrica effettuata mediante l’impiego prevalente di biomasse e di fonte solare-fotovoltaica o eolica) e che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi (derivante in prevalenza, rispetto all’ammontare complessivo, dai predetti settori, nel caso di cosiddetta “multiattività”) superiore a euro 25 milioni. Ha posto a carico dei soggetti passivi il divieto di traslazione sui prezzi al consumo ed ha affidato all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) il compito di vigilare e di presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione al Parlamento sugli effetti del tributo. Si precisa che i soggetti passivi che abbiano esercitato l’opzione per la tassazione di gruppo o, in qualità di partecipati, quella per la trasparenza fiscale (artt. 117 e 115 del TUIR) assoggettano autonomamente il reddito imponibile all’«addizionale» (co. 16-bis e ter). La ratio del prelievo, per il Governo, consiste nel colpire sia i profitti “di congiuntura” (windfall profits), derivanti dalla rivalutazione delle scorte in caso di aumento del prezzo del petrolio, sia quelli “eccessivi” (excess profits), cioè superiori alla misura “normale”, realizzabile in regime di concorrenza. Poiché il gettito avrebbe dovuto alimentare (unitamente ad altre fonti) un fondo sociale per l’acquisto di generi alimentari e pagamento di bollette in favore dei cittadini meno abbienti, il ministro Tremonti ha definito l’«addizionale» (che portava l’aliquota dell’IRES dal 27,5% al 33%) «Robin Hood Tax», attribuendole finalità etiche ed antispeculative.
Successivamente, gli artt. 27, co. 15, e 56, co. 3, della l. n. 99/2009, in vigore dal 15.8.2009, hanno aumentato l’addizionale al 6,5% (per finanziare contributi in favore dell’editoria), portando così l’aliquota IRES al 34%, ed hanno stabilito che l’AEEG dispone per l’adozione di meccanismi semplificativi degli adempimenti a carico della imprese con fatturato inferiore a quello indicato dal co. 1, prima ipotesi, dell’art. 16 l. n. 287/1990 (in tema di antitrust), cioè a euro 472 milioni (v., in attuazione di questa disposizione, la deliberazione n. VIS133/09 del 25.11.2009)
In una terza fase, l’art. 7 del d.l. n. 138/2011, quale risultante dalla legge di conversione n. 148/2011, in vigore dal 13.8.2011, ha esteso la sfera di applicazione dell’«addizionale», da un lato, al settore (nella lett. c.) di trasmissione e dispacciamento, nonché di distribuzione di energia elettrica ed a quello del trasporto o distribuzione del gas naturale (lett. c-bis.), eliminando nel contempo la clausola di esclusione dal prelievo prevista in favore dei produttori di energia “verde” (cioè derivante dal l’impiego prevalente di biomasse e da fonte solare-fotovoltaica o eolica); dall’altro, richiedendo, per applicare il prelievo, i requisiti congiunti di un volume di ricavi e di un reddito imponibile superiori, rispettivamente, a euro 10 milioni ed a euro 1 milione. Ha, poi, stabilito che l’aliquota dell’«addizionale» è aumentata di 4 punti percentuali (10,5%, per una aliquota complessiva IRES del 38% ) per i tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31.12.2010 (quindi, di norma, per gli anni dal 2011 al 2013), precisando che il divieto di traslazione opera anche per tale aumento.
Infine, con il quarto intervento legislativo (art. 5, co. 1, d.l. n. 69/2013, quale risultante dalla l. conv. n. 98/2013 ed in vigore dal 21.8.2013), si è ulteriormente ampliata la sfera di applicazione dell’«addizionale», subordinandola alla ricorrenza congiunta di un volume di ricavi e di un reddito imponibile superiori, rispettivamente, a euro 3 milioni ed a euro 300 mila.
Nel corso di un giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto corrisposto all’ente impositore, a titolo di Robin Hood Tax, da un gestore di carburante (settore c.), il giudice tributario – facendo proprie e riproducendo le censure del contribuente – ha sollevato questione di costituzionalità di tale prelievo, nel testo originario del d.l. n. 112/2008, come convertito in legge, per violazione dei seguenti articoli della Costituzione:
a) 77, perché non sussisterebbero i presupposti della necessità ed urgenza richiesti per il decreto-legge;
b) 23, perché si tratterebbe di prestazione imposta in forza non di una legge, ma di un decreto-legge;
c) 3 e 53, perché mancherebbe un indice di capacità contributiva e vi sarebbe una ingiustificata disparità di trattamento: 1) tra le imprese operanti nei settori soggetti all’«addizionale» e le altre; 2) nell’àmbito delle prime, tra quelle aventi un volume di ricavi superiore o no a euro 25 milioni; 3) tra produttori e distributori di greggio, in quanto solo i primi sarebbero in grado di traslare l’onere dell’«addizionale»;
d) 3 e 41, perché renderebbe piú onerosa l’iniziativa economica delle imprese operanti nel settore degli idrocarburi e, tra queste, di quelle distributrici, che, diversamente dalle imprese produttrici, non sarebbero in grado di effettuare la traslazione;
e) 41 e 117, secondo comma, lett. e, perché il suddetto divieto di traslazione, risolvendosi in una fissazione autoritativa del prezzo, altererebbe la libera concorrenza e, quindi, limiterebbe l’iniziativa economica privata.
Ad un sommario esame non sussistono motivi ostativi all’esame del merito, in quanto:
i) la normativa successiva, non incidendo sulla disciplina del rimborso applicabile ratione temporis nel giudizio principale, renderebbe ingiustificata la restituzione degli atti al rimettente per consentirgli di valutare lo ius superveniens;
ii) la condivisione, da parte del giudice, delle eccezioni di incostituzionalità prospettate dalle parti non comporta difetto né di motivazione né di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, perché le eccezioni sono state riportate nell’ordinanza stessa;
iii) la rilevanza della questione non pare dubbia, essendo pacifico che il contribuente ha pagato l’«addizionale» in quanto ad essa assoggettato.
Nell’àmbito della sovrapposizione di fattispecie tributarie, occorre distinguere – al di là della spesso incoerente terminologia del legislatore – tra:
a) “sovraimposta”, con cui un soggetto attivo applica sui medesimi presupposto ed imponibile un’aliquota aggiuntiva rispetto a quella applicata dal (diverso) soggetto attivo del tributo-base: la variazione dell’aliquota del tributo-base non influenza il gettito della sovraimposta, che è regolata da un regime relativamente autonomo (ad esempio, per le esenzioni);
b) “addizionale”, con cui un diverso soggetto attivo applica un’aliquota aggiuntiva al gettito del tributo-base: la variazione dell’aliquota del tributo-base influenza il gettito della sovraimposta, che – salvi gli aspetti relativi alla pratica attuazione del prelievo (ad esempio, per l’accertamento e la liquidazione) – non è regolata in modo autonomo;
c) “maggiorazione di aliquota”, costituita dall’incremento percentuale dell’aliquota di un tributo dal quale ripete integralmente la disciplina.
Ciò premesso, è evidente che la Robin Hood Tax costituisce una “maggiorazione di aliquota” dell’IRES, applicabile (senza sostanziale specificità di disciplina) ai medesimi presupposto ed imponibile di questa.
Secondo quanto riportato nella relazione dell’AEEG al Parlamento n. 18/2013 I/Rht del 24.1.2013, il prelievo ha prodotto un gettito, dal 2008 al 2011, di complessivi 3,424 miliardi di euro (provenienti per oltre i 3/4 dal settore energia elettrica e gas). Se si considera che la stima del gettito del 2012 è di circa euro 2 miliardi (secondo fonti di stampa), pari a quella del 2013, una pronuncia di incostituzionalità potrebbe incidere (salvo decadenze dai rimborsi) per euro 7,5 miliardi.
La citata ordinanza di rimessione, a parte alcuni profili di dubbia consistenza (la grave crisi finanziaria in atto potrebbe ben integrare motivi di necessità ed urgenza anche con riguardo ad un prelievo non temporaneo; la riserva di legge per le prestazioni patrimoniali imposte è rispettata anche da un decreto-legge; il divieto di traslazione di un tributo non lede né la libertà di iniziativa economica privata né la concorrenza, ove sia diretto ad incidere sulla capacità contributiva del soggetto passivo), solleva la fondamentale questione dell’irragionevole discriminazione qualitativa tra redditi imponibili ai fini IRES.
In primo luogo, appare insussistente la sopra ricordata ratio indicata dal Governo, perché:
a) i precedenti storici di prelievi intesi a colpire i profitti “di congiuntura” (la statunitense Crude Oil Windfall Profit Tax dal 1980 al 1988) o “eccessivi” (le imposte straordinarie sui profitti di guerra di cui al d. luogotenenziale n. 857/1918 ed alla l. n. 813/1940) sono, a differenza di quello in esame, temporanei e non strutturali; non riguardano l’intero reddito; presuppongono (per i profitti eccessivi) un reddito “normale”, calcolato su medie di anni precedenti;
b) un profitto congiunturale è ipotizzabile soprattutto per la fase upstream del settore petrolifero o gas naturale e solo con difficoltà per la fase downstream;
c) la Robin Hood Tax si applica nonostante il calo del prezzo del greggio (sopravvenuto subito dopo l’introduzione dell’«addizionale») e nonostante la mancata dimostrazione di profitti “di congiuntura”;
d) l’IRES, colpendo i redditi e non la redditività (cioè lo scarto tra reddito netto e costo), non può incidere selettivamente sui profitti “eccessivi” (oltre tutto, difficilmente ipotizzabili in una economia di mercato);
e) l’applicazione della Robin Hood Tax è normativamente condizionata ad una soglia di ricavi, non ad un excess profit;
f) il mercato del gas ed elettrico è regolato;
g) il prelievo non ha neppure finalità etiche (antispeculative, solidaristiche o redistributive) né extrafiscali di disincentivo delle attività nei settori colpiti ed il suo gettito, di fatto, non ha mai alimentato fondi di solidarietà.
In secondo luogo, una volta esclusa la suddetta ratio, la strutturale discriminazione qualitativa di redditi colpiti con aliquote IRES maggiori, pur in presenza di una medesima situazione fiscale e di una medesima capacità contributiva, non è giustificabile in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.: l’ipotesi è diversa da quella di aliquote progressive applicabili a tutti. La sentenza della Corte costituzionale, 19.1.2005, n. 21 non è invocabile a sostegno di tale discriminazione, perché ha ammesso la legittimità di maggiori aliquote IRAP per alcuni settori di attività (istituti finanziari e imprese assicurative) solo in ragione della temporaneità di esse e del fatto che l’IRAP, nel sostituire precedenti prelievi, aveva avvantaggiato proprio i contribuenti di quei settori. La fondatezza della censura, investendo l’intero prelievo, assorbirebbe altri possibili profili, non sollevati (come quello del difetto di coordinamento con la normativa sulla tassazione del reddito personale dei soci o quello della illegittimità di una retroattività cd. “non autentica”, cioè limitata all’inizio del periodo d’imposta in corso, nel caso in cui la retroazione irragionevolmente ledesse la capacità contributiva o l’affidamento del contribuente) e travolgerebbe le successive modifiche della disciplina.
Il rilevante gettito e la possibile incostituzionalità del prelievo possono forse spiegare il rinvio della decisione da parte della Corte costituzionale, data la grave crisi finanziaria dello Stato. Tuttavia il rinvio rischia di aumentare l’entità del rimborso (salvo decadenze) e di perpetuare le distorsioni indotte (propensione a minori investimenti nei settori colpiti; contraddizione con gli incentivi previsti per il settore dell’energia “verde”). Per altro verso, data la spesso facile elusione del divieto di traslazione del tributo (l’AEEG ha fornito dati indiziari in tal senso), la pronuncia di incostituzionalità potrebbe far iniquamente rimborsare l’imposta ad imprese che, di fatto, hanno già operato la traslazione.