Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Romania è un Paese fortemente arretrato che tra il 1913 e il 1918 amplia i propri confini. La vita politica tra le due guerre vede l’affermazione di un regime autoritario e poi di un regime fascista che trascina il Paese nel secondo conflitto mondiale. I comunisti, grazie all’Armata Rossa, conquistano il Paese. Il potere è detenuto dagli anni Sessanta da Ceausescu che, pur perseguendo una politica di maggiore autonomia dall’URSS, crea un regime di terrore e miseria fino al cruento crollo nel 1989.
La Romania tra prima e seconda guerra mondiale
La Romania per molti secoli è sottoposta all’Impero ottomano che ne condiziona lo sviluppo economico. L’agricoltura è estremamente arretrata e nel corso dei tre secoli dell’età moderna non si registra alcun aumento demografico, sintomo di assenza di qualsiasi sviluppo. Giunta nella seconda metà del XIX secolo all’indipendenza, nel 1937 i dati statistici evidenziano che è il Paese dell’Europa orientale più distante dagli standard occidentali.
Nel 1913 partecipa alla seconda guerra balcanica contro la Bulgaria, allargando i propri confini con l’annessione della Dobrugia. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, la Romania resta inizialmente neutrale, intervenendo dal 1916 contro gli imperi centrali. A seguito dei trattati di Trianon e di Sèvres, per l’esigenza di creare un cordone sanitario intorno alla Russia bolscevica, ottiene ampliamenti territoriali considerevoli, tanto da raddoppiare il suo territorio. Nasce così la Grande Romania che, però, è un conglomerato multinazionale che origina tensioni con gli Stati vicini.
Nel 1918 si vara una riforma agraria per distribuzione della terra, che viene portata avanti e realizzata in tempi diversi a seconda delle regioni, soprattutto con differenze tra i vecchi e i nuovi territori, nei quali le minoranze vengono sfavorite.
Nel 1921, con Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Francia, stringe la Piccola Intesa, interessata a mantenere lo status quo in Europa orientale.
Nella fragile democrazia rumena si affermano negli anni Trenta tendenze autoritarie, di cui si fa portavoce la stessa casa reale, mentre nel Paese si diffonde il movimento fascista della Guardia di Ferro. Fondata nel 1930 da Corneliu Zelea Codreanu (1899-1938), gode dell’appoggio dei contadini poveri, tra i quali è molto diffuso l’antisemitismo. Tuttavia, le classi dirigenti conservatrici riescono a contrastare il movimento. Lo stesso sovrano Carol II (1893-1953), d’altra parte, approfittando della situazione agitata tra le forze politiche del Paese, instaura nel 1938 una dittatura personale. Allo scoppio della guerra, il sovrano mantiene la neutralità, ma è costretto prima a rilevanti cessioni territoriali all’URSS, all’Ungheria e alla Bulgaria, e poi ad abdicare a favore del figlio Michele (1921-), mentre il governo viene assunto dal filonazista Ion Antonescu (1882-1946), che si allea con l’Asse. Nel 1944 un ennesimo colpo di Stato monarchico scalza Antonescu e si inizia a trattare per l’armistizio, ma ciò non evita l’invasione dell’esercito sovietico.
L’avvento del comunismo
In Romania, alla fine della guerra, il movimento comunista non conta che poche centinaia di persone, peraltro etnicamente neanche rumene. L’URSS è inoltre considerata nemico nazionale poiché dal 1940 si è annessa la Bessarabia. Nel Fronte Popolare, costituito nell’ottobre 1944, confluiscono comunisti, socialdemocratici e altri piccoli partiti dei contadini organizzati dagli stessi comunisti, mentre tutti i partiti non comunisti ne restano fuori. I comunisti conquistano, però, l’appoggio delle minoranze nazionali, emarginate dai precedenti regimi. L’avvento del comunismo è possibile grazie all’imposizione dell’armata russa. Il capo della Commissione di Controllo Alleata, il generale sovietico Vasili Ivanovich Vinogradov (1895-1967), fa allontanare dal governo le forze borghesi. Nel dicembre 1944 i comunisti, secondo una prassi tipica, acquisiscono il controllo del ministero degli Interni, mentre i Sovietici costringono re Michele a esautorare il primo ministro e a imporre a capo del governo Petru Groza (1884-1958), molto vicino ai comunisti. Nel corso del 1945 si utilizzano, poi, in modo strumentale, manifestazioni di piazza per consolidare le posizioni. Negli anni successivi il Partito Comunista acquisisce il controllo del Partito Socialista, pilotando varie scissioni e isolando gli elementi più indipendenti, che finiscono poi arrestati per attività sovversiva. Nel 1947, infine, re Michele è costretto ad abdicare e viene proclamata la Repubblica Popolare Rumena.
L’obiettivo economico della dirigenza comunista è trasformare rapidamente la Romania in un Paese industriale. L’economia, a partire dal 1948, in sintonia con gli altri Paesi dell’Est, viene progressivamente nazionalizzata, mentre l’agricoltura è sottoposta a collettivizzazione, anche se, a causa del malcontento contadino, si istituiscono numerose cooperative agricole nelle quali i contadini possono mantenere il possesso della terra.
La Romania rappresenta un’eccezione nell’ambito del blocco sovietico, poiché persegue una politica autonoma sia dal punto di vista economico che politico. Sul piano economico si oppone alla pressione sovietica di una più piena integrazione agli altri Paesi del Comecon, perché il piano di divisione internazionale le impedirebbe di proseguire l’industrializzazione del Paese e la ridurrebbe a fornitrice di materie prime per i Paesi più avanzati del blocco. Politicamente, facendo leva sul tradizionale nazionalismo, la Romania si mantiene neutrale nella disputa ideologica che contrappone l’URSS alla Cina e mantiene buoni rapporti diplomatici con alcuni Paesi occidentali.
La Romania di Ceausescu
Nel 1967 sale al potere Nicolae Ceausescu (1918-1989) che accentua le distanze da Mosca per ragioni nazionaliste. Si rifiuta di partecipare all’invasione nel 1968 della Cecoslovacchia che, anzi, condanna pubblicamente. La Romania gode, per le sue posizioni di autonomia dall’URSS, di una buona considerazione da parte dell’Occidente con il quale incrementa il suo commercio. Gli Stati Uniti le applicano la clausola di nazione privilegiata nei rapporti commerciali. Agli inizi degli anni Settanta viene ammessa nella comunità finanziaria internazionale. L’economia si basa sullo sfruttamento del petrolio, che permette l’industrializzazione del Paese. Si prosegue una politica di sviluppo dell’industria pesante, nonostante sia antieconomica.
La spregiudicata politica internazionale ed economica non ha nessuna ricaduta nel grado di liberalizzazione della società rumena, che resta controllata da un Partito Comunista di stampo neostalinista, mentre i membri della famiglia Ceausescu occupano tutti i posti vitali della nazione. Nel 1971, inoltre, comincia una sorta di rivoluzione culturale rumena, con la persecuzione degli intellettuali e dei burocrati di ispirazione riformista, nonché con l’oppressione delle minoranze ebree e ungheresi, mentre crescono le competenze della Securitate, il servizio segreto rumeno che ha al soldo migliaia di agenti.
Negli anni della crisi petrolifera, la politica di indipendenza costa cara alla Romania che non usufruisce degli aiuti sovietici. Da produttore del petrolio, la Romania a metà anni Settanta è costretta a importarne e agli inizi degli anni Ottanta ormai si registra un calo della produzione in tutti i settori. Il nazionalismo di Ceausescu serve per distrarre la popolazione dalle dure condizioni di vita in cui versa, ma la violazione dei diritti umani in Romania diventa pratica quotidiana, tanto che le stesse relazioni con l’Occidente nel corso degli anni Ottanta si vanno deteriorando. Nel 1983, gli Stati Uniti le annullano lo status di “nazione favorita” nelle relazioni commerciali. Tuttavia, la leadership di Ceausescu resta indiscussa e il clima di terrore stalinista impedisce lo sviluppo di qualsiasi movimento di opposizione. Gli ultimissimi anni del regime si caratterizzano per una politica economica totalmente restrittiva. Il Programma per un’Alimentazione Razionale, sostenendo che i rumeni sono in realtà sovralimentati, riduce drasticamente la disponibilità di cibo, e rivolge tutta la produzione all’esportazione. A costo di pesantissimi sacrifici, il regime di Ceausescu pochi mesi prima della sua caduta consegue il pagamento dei debiti esteri.
La Romania è l’unico Paese in cui il crollo del comunismo assume dimensioni violente, e questo appare inevitabile a causa della natura del regime instaurato da Ceausescu. Questi, noncurante degli avvenimenti in corso negli altri Paesi del blocco comunista, continua la politica contro le minoranze. A questa reagiscono gli Ungheresi del villaggio di Timisoara che si sollevano nel dicembre 1989. A Bucarest, nel corso di una manifestazione organizzata a sostegno del regime, il 21 dicembre la piazza si ribella, innescando violenti scontri con la polizia. Ceausescu è costretto alla fuga, ma viene arrestato, processato e fucilato. Il potere viene gestito da un Fronte di Salvezza Nazionale, nato da un circolo di riformatori comunisti con l’intenzione limitata di stabilizzare il Paese. Il Fronte Nazionale deve, però, accelerare il processo di transizione e nel 1991 si trasforma in Partito Socialdemocratico aperto al mercato e fa approvare una nuova costituzione pluralista.