Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia russa del Settecento è dominata da due grandi ma controverse figure: Pietro I e Caterina II. È soprattutto grazie all’azione di questi sovrani che la Russia si conquista una posizione di primo piano nel sistema delle grandi potenze europee. Ma l’ingresso della Russia zarista in Europa non ha solo un dimensione politica e militare. Pietro e Caterina avviano anche un tentativo di modernizzazione, che assume la forma di una occidentalizzazione che suscita nella società russa forti resistenze ed è caratterizzato da profonde contraddizioni. A una modernizzazione tecnica, e in parte culturale, non corrispondono mutamenti nell’assetto sociale – fondato sulla contrapposizione fra grandi proprietari e servi della gleba – e in quello politico che anzi è sempre più caratterizzato dal potere assoluto e dispotico degli zar.
Pietro il Grande: l’ascesa al trono
Pëtr Alekseevic Romanov, nato nel 1672, diventa zarevic nel 1682, alla morte di Fëdor Alekseevic, per volontà del patriarca della Chiesa e della Duma dei boiari, ma deve condividere il titolo con il fratellastro Ivan per imposizione della guarnigione militare della capitale (il corpo speciale degli strel’cy, strelizzi). Diventato maggiorenne il 30 maggio 1689, la reggente Sof’ja (figlia di primo letto dello zar Aleksej Michajlovic e di Marija Miloslavskaja) dovrebbe lasciare il comando dello Stato che fino ad allora aveva esercitato con la sua famiglia, e vedere salire al potere il partito avverso (quello che si raccoglieva intorno a Natal’ja Narysmina, che di Aleksej Michajlovic era stata la seconda moglie). Pietro, tuttavia, che nella sua infanzia e nella prima giovinezza non era vissuto al Cremlino, essendo stato relegato insieme alla madre nel villaggio di Preobrazensko e ed essendo stato testimone di una serie di congiure, omicidi e sommosse che avevano lasciato un’impronta indelebile sulla sua personalità, invece di muovere immediatamente verso Mosca e deporre con la forza la reggente, sceglie un’altra strategia. Stabilisce infatti la sua “corte” nel monastero di Troickij, dove si era rifugiato temendo un assalto degli strelizzi, e chiama a sé i boiari che intendono dissociarsi dai progetti di un colpo di Stato della famiglia Miloslavskij. L’ingresso ufficiale del patriarca nel monastero, diventato residenza della regalità, insieme ai boiari più eminenti e al corpo degli ufficiali stranieri dell’esercito russo guidato dal generale scozzese Patrick Gordon (1635-1699), che aveva addirittura portato dalla sua parte un cospicuo gruppo di strelizzi, segna la conclusione della crisi. Sof’ja viene imprigionata in un monastero nei pressi della capitale, il principe Golicyn è esiliato e il capo deglistrelizzi, rimasto fedele alla reggente, viene giustiziato. Lo zarevic Ivan (incapace d’intendere e volere), contro ogni aspettativa, viene mantenuto dallo zarevic Pëtr come secondo capo dello Stato.
Pietro peraltro non assume neppure la funzione di primo capo dello Stato. Lascia, infatti, una sorta di reggenza informale alla madre Natal’ja, che chiama come principale collaboratore il patriarca Joakim e imprime all’azione di governo un indirizzo piuttosto conservatore rispetto alle prospettive che si erano aperte all’epoca dello zar Fëdor Alekseevic. Il marito aveva infatti proceduto all’abolizione del sistema gerarchico feudale denominatomestnicestvo, secondo il quale l’ordine di successione delle cariche, soprattutto militari, era stabilito dall’origine e dal servizio degli antenati; aveva provveduto inoltre alla riduzione del potere dei patriarchi della Chiesa ortodossa nella vita politica e all’introduzione di misure di rafforzamento e centralizzazione dell’apparato statale.
La guerra contro gli Ottomani e la creazione della flotta
Pietro rimane nella Nemeckaja Sloboda (quartiere degli artigiani stranieri a Mosca). E non si tratta d’un atto solamente simbolico. La colonia tedesca (nemeckaja) è piena di tecnici ed esperti delle più svariate discipline (in primo luogo militari e navali, ingegneristiche, chimiche e metallurgiche) e il giovane zarevic è interessato a conoscerle. Nemmeno la morte della madre nel 1694 modifica il suo piano di formazione “antirussa” e di educazione tecnica. È infatti nel quartiere degli stranieri che si costruisce la trama “occidentalista” di Pietro. Il gruppo di persone cui lo zar si lega comprende, oltre al cattolico scozzese Patrick Gordon che – come abbiamo visto – era stato determinante nello spostare il sostegno degli ufficiali da Sof’ja a Pëtr, il calvinista ginevrino François Lefort, che diventerà ammiraglio della marina russa in fase di formazione e resterà uno dei principali esponenti del Consiglio. Solo l’anno successivo, quando la Russia deve rispondere alle pressioni turche sul suo territorio meridionale, Pietro assume le funzioni di comando dell’esercito.
La spedizione per la conquista di Azov è un insuccesso dal punto di vista militare. Ma l’esperienza diretta permette di imprimere una svolta decisiva alla trasformazione dell’esercito russo e della stessa storia russa nel suo complesso. Pietro comprende che, al di là delle carenze tradizionali derivanti dall’arretratezza della tecnica militare rispetto all’evoluzione dei saperi occidentali, c’era un limite strutturale da superare: non si poteva condurre un conflitto moderno su vasta scala senza una flotta da guerra da contrapporre all’egemonia ottomana nel Mar Nero. A questo fine vengono destinate tutte le risorse finanziarie ed economiche del Paese in collaborazione con esperti, non solo militari, inviati dai governi amici. Nel maggio del 1696 dall’arsenale di Vorone escono le prime 29 galee e un migliaio di barconi da trasporto delle truppe che arrivano alle foci del Don, riaprendo la guerra contro l’Impero ottomano per la conquista di Azov, che capitola il 18 luglio. Il successo dell’impresa consente a Pietro di inserire a bilancio, inasprendo considerevolmente la pressione fiscale, una cospicua somma per raddoppiare il potenziale navale.
La politica di modernizzazione tecnica e i suoi limiti politici
Tale investimento finanziario è accompagnato da una grande iniziativa per modificare la cultura della classe dirigente del Paese che deve offrire allo Stato i suoi figli più dotati da avviare agli studi all’estero: in Olanda, in Inghilterra e a Venezia. All’apice di questa complessa operazione “assolutistica” e al contempo “illuministica”, che viene considerata parte integrante del servizio di Stato e comporta delle gravi penalità (addirittura perdita del patrimonio) nel caso di inosservanza degli obblighi, si colloca la geniale idea di Pietro di intraprendere personalmente un viaggio d’istruzione attraverso i Paesi europei maggiormente sviluppati. È difficile distinguere in questo periplo gli avvenimenti reali dalla loro rappresentazione. Così com’è difficile stabilire la dialettica cognitus/incognitus già in parte sperimentata ad Azov negli scambi di persona e di onori con Fëdor Jurevic. Romodanovskij (1640-1717) che, in assenza del sovrano, tiene nelle sue mani il governo dello Stato. Non si tratta di mettere in discussione che Pietro, o meglio “il sottufficiale Pëtr Michajlovic”, come si legge nell’elenco ufficiale della delegazione russa di circa 200 persone partita da Mosca sotto il comando di Lefort, non si sia dedicato ai “mestieri” che gli vengono attribuiti e non sia quindi stato apprendista carpentiere per oltre quattro mesi ad Amsterdam o nell’arsenale regio di Depford a Londra; non si sia iscritto a lezioni di specialisti (corsi di artiglieria, preparazione delle polveri da sparo, calcoli balistici); non abbia frequentato marinai di ogni nazionalità nei porti che visitava e curiosato in ferriere, manifatture, opifici, ospedali; non abbia cercato di sperimentare di persona tutti i processi produttivi cui assisteva nelle cartiere o nei laboratori d’incisione in rame o nelle telerie di lino. Tutto questo è ampiamente documentato. Così com’è documentata la relativa indifferenza di Pietro nei confronti di una cultura politica – quella dei Paesi Bassi, del Gran pensionario Anthonie Heinsius e dell’Inghilterra di Guglielmo III Orange-Nassau – che sta trasformando l’Europa. Il problema è che Pietro sembra non essere in grado di comprendere che le “tecniche” delle quali egli voleva impossessarsi per trasformare la Russia in un qualcosa che non fosse solo una grande potenza militare non sono una questione “tecnica” che potesse essere data in gestione alla nobiltà nel servizio di Stato, con la mediazione di esperti stranieri comprati sul mercato internazionale degli specialisti.
Le riforme, lo Stato e la società
Mentre Pietro porta a termine il suo viaggio d’istruzione, i suoi collaboratori, sotto la guida di Lefort, si occupano della politica estera dello Stato cercando di stringere alleanze contro gli Ottomani per consentire alla Russia di insediarsi in Crimea e impossessarsi del passaggio dal Mare d’Azov al Mar Nero tramite l’occupazione di Kerc. L’incontro a Vienna tra Pietro e l’imperatore Leopoldo d’Asburgo non sortisce però i risultati sperati.
Pietro rientra a Mosca nell’agosto del 1698, dando immediatamente al periodo delle “riforme”. Il primo grande intervento riguarda l’adeguamento della struttura dell’organizzazione militare russa a quella degli altri Paesi europei. Durante il viaggio dello zar il generale Patrick Gordon aveva represso un pericoloso tentativo di insubordinazione degli strelizzi, fomentati dalla famiglia dei Miloslavskij, e ne aveva incarcerato circa duemila in attesa di sapere quale dovesse essere la loro sorte. Quest’antica milizia di fanti era stata organizzata con Ivan IV come una truppa regolare permanente di arcieri o balestrieri di guardia al corpo dello zar. Aveva però esercitato un ruolo complesso e contraddittorio nei rapporti tra i sovrani e i boiari dopo che era diventata ereditaria. La sua autonomia è tuttavia incompatibile con una qualsiasi teoria dello Stato moderno. Pietro, appena tornato a Preobrazensko, si comporta di conseguenza e ordina una serie impressionante di esecuzioni capitali (un migliaio) nei luoghi più importanti della capitale. Il corpo degli strelizzi viene, quindi, definitivamente sciolto nel giugno del 1699.
Per le conseguenze che ebbero sul rapporto tra Pietro e il popolo, le deliberazioni simboliche di adeguamento dell’Oriente all’Occidente sono quelle su cui si è maggiormente esercitata la vecchia storia culturale. In effetti, tale adeguamento non provoca solo una spaccatura culturale, ma anche una rottura che coinvolge l’intera società, soprattutto quando la Chiesa ortodossa diventa obiettivo privilegiato delle iniziative polemiche dello zar il quale, agli occhi della gerarchia ecclesiastica e del popolo, diventa l’anticristo. Si hanno così “strane” alleanze tra religione e politica che riportano sulla scena le immagini di un possibile usurpatore del trono: Pëtr Alekseevic si diceva fosse morto durante un viaggio nelle terre dell’eresia e al suo posto fosse entrato sul suolo russo uno straniero.
La guerra del Nord
Abbiamo visto che alla fine del periplo europeo dello zar è tramontata l’idea di coinvolgere diverse potenze nel disegno russo di impossessarsi delle coste del Mar Nero e insediarvi una flotta mercantile che avrebbe consentito alla Russia di entrare nel commercio mediterraneo, rendendola una grande potenza economica. Pietro, dopo le lunghe trattative concluse nel congresso di Karlowitz (gennaio 1699) e la successiva pace con la Turchia che lo liberano dal fronte meridionale, sempre nel tentativo di trovare uno sbocco sul mare si volge al Baltico, controllato quasi interamente dalla Svezia, e, alleandosi con la Polonia e la Danimarca, apre la guerra con la Svezia. Dopo una prima fase di umilianti sconfitte, come quella iniziale di Narva nel 1700, la Russia riesce a impadronirsi di parte delle province baltiche. Qui nel 1703, Pietro costruisce ex nihilo la nuova capitale dell’impero: San Pietroburgo. La sconfitta che Pietro infligge nel 1709 a Poltava a Carlo XII di Svezia segna una svolta nel conflitto che continua ancora per 12 anni, allargando sempre di più i possessi baltici della Russia e a riducendo di conseguenza la potenza svedese, progressivamente decaduta dalla posizione di grande potenza europea. La pace di Nystand del 30 agosto 1721 segna la fine della guerra del Nord e sancisce la nascita di una nuova potenza – la Russia zarista – ormai pienamente inserita nel sistema degli Stati europei.
Tra Pietro e Caterina la Grande
La seconda metà del XVIII secolo è caratterizzata dal protagonismo della zarina Caterina II così come il cinquantennio tra il 1682 e il 1725 era stato dominato da Pietro. La sequenza dei sovrani tra l’uno e l’altra non è priva di importanza ma in alcuni casi si tratta di regni di brevissima durata: Caterina I, Pietro II, Ivan VI sotto la reggenza di Anna Leopoldovna, Pietro III; per altri, di regni di media durata come quelli di Anna (al potere dal 1730 al 1740), su designazione del consiglio privato, non avendo Pietro III eredi, e di Elisabetta (al potere dal 1741 al 1761), ma di modesto rilievo sul piano interno o quello delle relazioni internazionali. Una parziale eccezione è costituita dal regno di Elisabetta che, giunta al potere con un colpo di Stato, ottiene molti successi diplomatici, affidando il ministero degli Esteri a Aleksej P. Bestuzev-Rjumin e anche buoni risultati in politica interna, promuovendo lo sviluppo del commercio e delle manifatture, dando continuità alla colonizzazione dei territori siberiani e introducendo riforme nell’amministrazione dello Stato. Nell’ambito della politica culturale notevole è la fondazione dell’università di San Pietroburgo e il rinnovo di quella moscovita.
SofiaAnhalt-Zerbst nasce a Stettino, in Pomerania, nel 1729, figlia di un generale prussiano e della principessa tedesca Giovanna Holstein-Gottorp, sorella del re di Svezia Adolfo Federico. Nel 1743 viene scelta dalla zarina Elisabetta (figlia di Pietro e della seconda moglie Caterina), come moglie per il nipote (figlio di Carlo Federico di Holstein-Gottorp e Anna Petrovna Romanova, salito al trono come Pietro III, che dalla consorte viene detronizzato e fatto uccidere dopo appena sei mesi di regno).
Caterina si avvale nel governo di uomini come Grigorij A. Potëmkin, il quale imposta il piano di colonizzazione delle steppe ucraine e, in ambito militare, ottiene il grande risultato di conquistare la Crimea. Il regno è però scosso da un’imponente sollevazione cosacca (1773-1774), guidata da Emel’jan I. Pugacëv, che – riprendendo il modello degli impostori – si presenta come lo zar Pietro III e nel suo dvor crea una corte alternativa a quella di Caterina.
Illuminismo e dispotismo: Le Istruzioni
Il ruolo che ha Caterina nella storia della cultura russa sta tutto nel fatto di avere allestito un immenso teatro “illuministico”: dalla corrispondenza con Voltaire, autore anche della prima biografia di Pietro il Grande, all’amicizia con D’Alembert. Ed è propriamente questo teatro, non accettato nelle sue istanze più profonde né dall’imperatrice né dalla corte coinvolta nei suoi progetti, che fa germogliare idee nuove (anche se destinate per qualche tempo a restare marginali e minoritarie) in alcuni settori della società e dello Stato, mentre dà al contempo forza alle opposizioni più reazionarie alla modernità introdotta da Pietro il Grande. Molti studiosi si sono confrontati con la personalità autocratica di Caterina e la sua apparenza “illuminata”, insistendo sul fatto che la gestione della comunicazione politica internazionale da parte della sovrana è stata in grado di formare un’immagine della Russia come parte integrante della cultura politica europea, pur senza introdurre alcuna riforma simile a quelle “dispotiche” ma illuminate dei contemporanei come Giuseppe II nel campo dei rapporti tra Stato e Chiesa, delle riscritture dei codici giudiziari civile e penale, dell’intervento dei governi nella vita economica.
Al centro delle discussioni degli studiosi sta la storia di un testo, le cosiddette Istruzioni, che Caterina compila da sola sulla base di una serie di letture che, sulle prime, sembrano l’espressione di un coinvolgimento personale nelle discussioni allora in corso nell’Europa occidentale. Le ricerche filologiche hanno dimostrato che si tratta di un centone di citazioni provenienti soprattutto dall’Esprit des lois di Montesquieu e Dei delitti e delle pene di Beccaria. Ma si rintracciano anche pensieri di seconda mano tratti da Institutions politiques di Bielfeld, De iure belli et pacis di Grozio, De iure naturae et gentium di Pufendorf. Caterina è ben consapevole che le il contenuto delle Istruzioni non è opera sua. Lo confessa, oltre che a Federico il Grande re di Prussia, a D’Alembert: “Lei vedrà come io, per il bene del mio impero, abbia saccheggiato […] Montesquieu senza nominarlo. Se egli dall’altro mondo vede il mio lavoro, spero che mi vorrà perdonare questo plagio in considerazione del beneficio che ne verrà a venti milioni d’uomini”. Alcuni studiosi hanno messo in evidenza come Caterina voglia semplicemente “civettare” con le idee progressiste, senza essere per nulla intenzionata ad attuarle.
Non c’è dubbio che sia così. Eppure queste Istruzioni sono straordinariamente importanti per chi sia interessato a capire il rapporto culturale tra i significanti e i significati. Lo si comprende ancora meglio quando si fa la storia delle differenti redazioni del testo, sottoposto dal 1766 a una commissione legislativa composta dai rappresentanti di tutti i ceti (564membri), che avrebbe dovuto tradurre in “codici” i pensieri politici illuminati della sovrana. Come aveva previsto il figlio, lo zarevic Pavel Petrovic, non se ne fa nulla: “Le Istruzioni non sono che un attraente giochetto. Con esso si getta polvere negli occhi degli stranieri, si imbrogliano i maggiori tra di loro, sì che tutti ne restano incantati, ma l’attuazione delle belle teorie che vi si contengono è impossibile”.
Alla morte di Caterina II, il 6 (17) novembre del 1796, sale al trono suo figlio Paolo ereditando, insieme alla corona, una difficile situazione finanziaria. Le casse dello Stato sono ormai vuote. Gli emolumenti da pagare agli ufficiali che prestano servizio all’esercito e il soldo delle truppe così come gli stipendi da versare ai funzionari dell’amministrazione civile sono in grave arretrato. La disponibilità finanziaria, alimentata fino ad allora dalla massa di carta moneta messa in circolazione senza copertura, si riduce sempre di più,costringendo il governo a ricorrere a prestiti presso le banche estere e quindi pagare interessi enormi.
Il “fantasma di gloria e di grandezza” inseguito dal governo di Caterina, scrive un diplomatico tesdesco, “lascia dietro di sé un impero” pieno di sciagure e una “amministrazione guasta in tutti i suoi rami”.
La politica di Caterina e del suo favorito, Grigorij A. Potëmkin, autore di “fantastici” progetti di colonizzazione che comportano il trasferimento in territori vergini di una grande massa di servi della gleba, doveva essere modificata radicalmente per dare contenuto concreto al ruolo di grande potenza cui Pietro il Grande aveva avviato la Russia. Ma proprio qui stava il problema.
La cristallizzazione di una struttura sociale e politica fondata sulla contrapposizione fra grandi proprietari terrieri e servi della gleba (sotto Caterina il loro numero era aumentato di un milione e mezzo), impedisce, malgrado i progetti occidentalisti di Pietro il Grande, la formazione di un ceto con un ruolo economico, politico e culturale simile alla borghesia europea.
Il nuovo zar, arrivato alla successione a 42 anni, aveva nutrito nei confronti della madre una profonda ostilità ed era stato messo da parte quando aveva cercato di partecipare alle “riforme” presentando un piano di riorganizzazione dell’esercito. Affetto da una grave malattia mentale che si manifesta anche attraverso manie religiose di tipo mistico, Paolo si circonda di consiglieri, la cui unica occupazione è quella di appoggiare il sentimento di vendetta (esumazione delle spoglie del padre e sua collocazione nel pantheon; dissotterramento del cadavere di Potëmkin che venne gettato in un fossato) o di semplice ribaltamento delle presenze favorite nella corte (riabilitazione dei dignitari cacciati) o di vessazione economica e culturale (divieti di esportazione di merci all’estero; divieti d’importazione di libri stranieri). Quando però la situazione comincia a preoccupare il sistema, non resta che adottare lo schema d’intervento della tradizione russa: il colpo di Stato. Il 23 marzo 1801 Paolo I viene infatti assassinato da un gruppo di ufficiali e gli succede il figlio Alessandro I.