Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Integrazione, variabilità, interattività, ipermedialità e simulazione: questi sono i tratti che caratterizzano la costruzione di opere in una nuova forma mutante e combinatoria, reincarnatasi in web performance, videoteatro, drammaturgia ipertestuale, con una serie infinita di possibilità trasformative. Tra rottura e continuità, si va dall’utopico progetto di opera d’arte totale (Wagner) all’odierno teatro virtuale, passando, fra l’altro, per lo spettacolo futurista, gli happening, le performances, gli "intermedia".
Verso un rinnovamento della sintesi scenica dei linguaggi
L’idea di multimedialità e di interattività è stata variamente sperimentata a lungo nel mondo delle arti sceniche, trovando una prima definizione e una significativa dimensione interdisciplinare sin dalle prime avanguardie storiche, quindi in anticipo sull’innovazione tecnologica che oggi la concretizza, ovvero il digitale, con la possibilità di trasferimento, elaborazione e interazione di qualsiasi testo, immagine o suono nell’ambito dello stesso tipo di metamedium. Nuove frontiere per il teatro si aprono grazie alle caratteristiche di variabilità, interattività, ipermedialità, simulazione proprie del sistema integrato digitale, che obbligano a ripensare l’arte nel suo rapporto con la scienza e con la tecnica e per le quali occorre elaborare un nuovo linguaggio critico e una nuova estetica. Le nuove tecnologie digitali trasformano tutte le fasi produttive dello spettacolo, dalla progettualità alla dimensione scenica, coinvolgendo anche il contesto stesso della ricezione, dall’osservazione all’immersione.
Il digitale propone modalità tecniche ed espressive sia di rottura che di continuità: rottura rappresentata dalla tecnologia di sintesi numerica, in base alla quale non c’è più un rapporto generativo con la realtà materiale, e continuità con alcuni motivi cardine del modernismo, tra i quali: l’unione dei linguaggi (anche quelli della tecnica); la partecipazione allargata all’evento spettacolare; la creazione di un ambiente dalla "totalità percettiva" e sinestetica.
Il teatro si apre a condividere altre spazio-temporalità, altre modalità narrative, integrando la tecnica e trasformandola in linguaggio espressivo, sin dalle prime esperienze simboliste, all’indomani dell’invenzione della luce elettrica, con Edward Gordon Craig e Adolphe Appia. La prospettiva multimediale del teatro – come affermano, ad esempio, Béatrice Picon-Vallin, Nicola Savarese, Andrea Balzola – non fa altro che perfezionare l’utopia della sintesi delle arti propugnata dalle avanguardie storiche. Ma già il Gesamtkunstwerk di Wagner, ovvero l’"opera d’arte totale" teorizzata ne L’opera d’arte dell’avvenire (1849), pur suscitando posizioni e interpretazioni divergenti nei registi moderni, prefigura una comune aspirazione a un ideale di accordo dei diversi linguaggi componenti lo spettacolo. Si tratta di una "strategia della convergenza, della corrispondenza e della connessione", come la definisce lo studioso Emanuele Quinz.
Il teatro diventa così un campo magnetico per tutte le arti (Kandinskij). Queste alcune delle proposte: la "totalità espressiva" del nuovo teatro di Gordon Craig, luogo di una "musica visiva"; la sintesi organica e corporea di arti dello spazio e arti del tempo secondo Adolphe Appia; la "composizione scenica astratta" di suono, parola e colore di Wassily Kandinskij, sorretta dal principio costitutivo dell’unità interiore, traducibile in un evento spirituale capace di suscitare vibrazioni e risonanze condivise dal pubblico; la rappresentazione "simultanea sinottica e sinacustica" del "teatro totale" della Bauhaus; la "simbiosi impressionista dei linguaggi" della multiscena tecnologica di Josef Svoboda; il programmatico "No Borderline between the Arts" di George Maciunas per il movimento Fluxus, ovvero: non più scultura, poesia e musica, separati, ma eventi che inglobino e mescolino tutte le arti.
Sintesi, totalità e sinestesia: principi che si sono declinati in una rinuncia agli spazi tradizionali del teatro all’italiana, per rivitalizzare in senso espressivo e relazionale luoghi dell’esperienza quotidiana nell’ottica di una "drammaturgia dello spazio". Si tratta di un cammino verso una narrazione non lineare e cinetico-visiva, verso inedite modalità di avvicinamento fisico allo spettatore, fino a una sua inclusione nell’opera, e verso una sempre più spinta dilatazione tecnologica, fatta di dispositivi e supporti diversi e di strategie scenografiche adeguate a soddisfare un’esigenza di prossimità o di mobilità rispetto a eventi sparsi, mobilità che riguarda anche l’intercambiabilità tra attore e pubblico.
Dalle imprevedibili azioni di disturbo delle composite spettacolazioni futuriste fino all’attacco "alla sensibilità dello spettatore" teorizzato da Artaud. Il teatro, come già il cinema delle avanguardie storiche, "chiama al lavoro dello sguardo ma anche al coinvolgimento di tutti i sensi" (Sandra Lischi) con macchinari per muovere le scene, piattaforme girevoli, palcoscenici simultanei e circolari, proiezioni cinematografiche – esempi in tal senso si riscontrano in Terra capovolta (1923) di Mejerchol’d e in Hoplà noi viviamo (1927) di Piscator –, scenografie dinamiche – ad esempio le rampe elicoidali per R.U.R. di Kiesler (1890-1965) nel 1922 –; si apre alla percezione della "curvatura del mondo", cioè verso una multidimensionalità e un nuovo rapporto tra attore e pubblico, raggiunto sia con l’architettura sia con l’uso di immagini cinetiche sincronizzate con l’azione scenica. L’Endless Theatre di Kiesler, il teatro a U di Molnár, il progetto di Teatro Totale di Gropius e i dispositivi di Polieri (la sala giroscopica, la scena tripla, ruotante o telecomandata) sono alcuni dei pionieristici tentativi di allargare la cornice scenica in un’utopica spinta verso quella partecipazione globale di cui l’interattività appare oggi come la realizzazione concreta.
Il teatro dei mezzi misti
La riproposta delle istanze sintetiche e sinestetiche perorate dalle avanguardie storiche si ritrovano negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, con l’azione concertata di Cage, Rauschenberg e Cunningham al Black Mountain College nel 1952, data che costituisce anche l’inizio di un cammino di tutte le arti verso una condizione sempre più teatrale. Musica, danza e film, con esclusione drastica del testo se non della parola, il carattere "attimale" dell’opera in base al quale conta principalmente l’accadere dell’evento (lo spazio-tempo reale, a volte dilatato per diverse ore), l’interazione con il pubblico e con il contesto ambientale (i luoghi urbani), con tanto di mobilità e coinvolgimento fisico e percettivo dello spettatore: sono queste le caratteristiche principali del "teatro dei mezzi misti", o intermedia – secondo la definizione di Richard Higgins – che si inaugura a New York (1959) con 18 Happening in 6 Parts di Allan Kaprow. Nastri non sincronizzati, diapositive proiettate, suoni e rumori provenienti da un altoparlante, pareti affrescate con collage, oggetti sparsi, azioni eseguite meccanicamente e frasi ripetute da attori si susseguono in un alternarsi di luci colorate, davanti e intorno a un pubblico invitato a spostarsi nelle tre camere separate da pannelli di plastica.
Naturale evoluzione dell’ happening è l’Environmental theatre. All’inizio degli anni Sessanta Richard Schechner comincia a esplorare lo spazio della città – già luogo deputato di manifestazioni e di sit-in di protesta – aggiungendo all’evento teatrale una dimensione ambientale e decretando la fine del "punto di vista unico, sorta di marchio di fabbrica del teatro tradizionale". In Sei assiomi per l’Environmental Theatre (1968) Schechner propone una nuova definizione del fatto teatrale come "un insieme di rapporti interagenti (tra gli attori, tra il pubblico, e tra essi e lo spazio e gli elementi della rappresentazione)".
Anni Ottanta: teatro-immagine, postavanguardia e videoteatro
Il teatro-immagine è legato alla figura di Robert Wilson, punto di riferimento di quella ricerca teatrale degli anni Settanta tesa a una visionarietà antinarrativa sempre più affine alla processualità e allo spazio-tempo tecnologici (cinema e video). Wilson ha da sempre modellato i suoi spettacoli-quadro in un’ottica di totalità e di sintesi architettonica di luci e suoni, con azioni sceniche rarefatte e rallentate, aderenti ai principii della slow motion e del loop: da Einstein on the Beach (1976) a Edison (1979), realizzati con effetti luministici a forte vocazione pittorica e improntati a un’estetica minimalista (anche nel suono, grazie alla musica di Philip Glass, fino a Monsters of Grace (1999), contenente animazioni computerizzate in 3D.
Il teatro-immagine segna anche in Italia una stagione particolarmente fertile, che vede tra i protagonisti Mario Ricci, Giuliano Vasilicò, Simone Carella, Giancarlo Nanni e Memé Perlini. Si tratta di una scena fortemente influenzata dal cinema delle avanguardie storiche, dalle sperimentazioni visive di Balla e Moholy-Nagy. Il passaggio a un’estetica teatrale fortemente attratta dalla fascinazione urbana e invasa da altri linguaggi (film, fotografia, fumetti, musica rock, mass media, fantascienza) si inaugura con la Transavanguardia, ufficializzata nel 1976 a Salerno da una rassegna a essa dedicata da Giuseppe Bartolucci. Sono protagonisti: Simone Carella (regista di Autodiffamazione, 1976, spettacolo astratto senza attori), la Gaia Scienza di Giorgio Barberio Corsetti con La rivolta degli oggetti nel 1976, il Carrozzone (primo nucleo dei Magazzini Criminali, con Presagi del vampiro, 1976, manifesto programmatico del loro teatro analitico-patologico-esistenziale). Spettacoli come Punto di rottura (1979), dove quattro monitor sezionavano la scena, e Crollo nervoso (1980), dei Magazzini Criminali, diventano un punto di riferimento per la successiva generazione teatrale sempre più spinta verso le suggestioni dei mass media. La rassegna Paesaggio metropolitano/Teatro-Nuova Performance/Nuova Spettacolarità (Salerno, 1981) apre la strada a una nuova "scrittura scenica" ispirata all’immaginario cinematografico e videografico (soprattutto quello della videomusica). Se in Tango glaciale (1982), manifesto della Nuova Spettacolarità, Mario Martone, fondatore del gruppo Falso Movimento, smaterializzava la scena, bidimensionalizzandola grazie alla proiezione di diapositive che definivano una scenografia fatta di luce, in Ritorno ad Alphaville (1986), definito un "remake teatrale" da Godard, egli simulava il cinema usando il suo stesso codice. Quanto a Giorgio Barberio Corsetti, con Studio Azzurro sarà il protagonista di questa innovativa stagione teatrale, significativamente definita "videoteatrale" anche per la produzione di un ragguardevole numero di originali sintesi video.
Ecco le caratteristiche preminenti delle sperimentazioni degli anni Ottanta, che cercano di "teatralizzare il video piuttosto che di televisivizzare il teatro", rintracciate da Andrea Balzola: dialettica straniante tra corpo reale sulla scena e corpo virtuale sullo schermo; sperimentazione di modalità di ripresa che interagisca fisicamente con i corpi degli attori/danzatori; ossessione dei primi piani e dei particolari dei volti e dei corpi; suggestione dei colori freddi e brillanti dell’elettronica; uso in funzione espressiva della bassa definizione, della sgranatura materica e delle scie luminose dell’immagine video; elaborazione dell’immagine in postproduzione, con l’ausilio del mixer e del computer, soprattutto lavorando sulle chiavi cromatiche, sugli effetti di scomposizione dell’inquadratura e di montaggio.
Prologo a diario segreto contraffatto (1985) e Camera astratta (1987), di Corsetti e Studio Azzurro, sono gli spettacoli più emblematici di quest’epoca in cui si introduce un dialogo tra corpo e ambiente elettronico e un rapporto straniante tra immagine video e presenza attoriale. In Camera astratta un’architettura geometrica mobile attraversa il palco in varie parti, con monitor posti su binari o montati su assi oscillanti e sospesi come un pendolo: questi, in una perfetta sincronia di movimenti, incorporano e scompongono i corpi con un passaggio continuo e fluido della narrazione dal video al teatro, creando per la prima volta sulla scena un’idea di attore "schermico". In questi spettacoli, ricorda Barberio Corsetti, "il televisore rafforza le potenzialità dell’azione teatrale, agendo come elemento linguistico in un contesto teatrale in cui si rinnovava la modalità percettiva".
Dispositivi di visione
La presenza di schermi e monitor a teatro comporta una diversa disposizione percettiva poiché le immagini sono spesso frammentate, velocizzate, proposte simultaneamente su più schermi. L’effetto prodotto richiama la molteplicità di prospettive e la scomposizione della figura umana dell’avanguardia cubista. In Marat-Sade (1984), di Carbone 14, e in The Merchant of Venice (1994), di Peter Sellars, il video sottolinea il volto, ferma il tempo e isola il gesto; volti che sembrano imprigionati nella scatola televisiva, come le teste "ritagliate" su cuscini nelle videoinstallazioni di Tony Ousler. Il video in scena smaschera procedimenti mediatici, mostrando lo scarto percettivo tra realtà e immagine (il Teleracconto di Giacomo Verde), oppure diventa dispositivo psicologico introspettivo: introduce il passato o l’altrove, il nascosto e il perturbante, la memoria e il vissuto. In Elsinore (1995) di Robert Lepage, Amleto si "guarda dentro", e nella solitudine di Elsinore, luogo divenuto mentale, incontra in video tutti i personaggi della tragedia, i quali non sono altro che scomposizioni della sua personalità psichica.
Uno dei migliori esempi di integrazione di dispositivi multischermo con la scena è The Seven Streams of the River Ota (1994) di Lepage, dedicato alla memoria di Hiroshima. La scena è strutturata come la facciata di una tradizionale casa giapponese, con sette pannelli trasparenti su cui vengono retroproiettate immagini video e ombre. L’effetto di "intarsio" tra l’immagine video e il corpo dell’attore, e tra la figura e lo sfondo monocromo luminescente, genera un surreale dialogo tra corpi e luce: la scena fatta di schermi diventa una lastra fotosensibile e l’intero spettacolo una scrittura di luce, metafora di un percorso di ricordo, di illuminazione e conoscenza.
Tornando in Italia, i gruppi Motus, Teatrino Clandestino, Fanny & Alexander, Accademia degli Artefatti e Masque Teatro (quasi tutti operanti in Emilia Romagna) sono tra i protagonisti della "Generazione Novanta", o "terza ondata". Si tratta di un teatro dai forti connotati visivi, caratterizzato da una visione mediatizzata e da una ossessiva indagine sulle tematiche del corpo (postorganico, fagocitato nel meccanismo tecnologico, esposto, violato, costretto). In Twin Rooms (2003) di Motus, l’azione teatrale, che procede per riquadri e primi piani e ricostruisce un set, simula il cinema; la regia teatrale diventa regia di montaggio. La struttura (una camera d’albergo) si raddoppia dando vita a una "digital room" contenente immagini preregistrate o provenienti da telecamere a circuito chiuso e mixate dal vivo con quelle girate in diretta dagli attori in scena. Il video incombe quale inquietante presenza dentro questo claustrofobico contenitore di corpi-immagine, drammatizzando così l’alienazione e la perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé.
Verso un teatro virtuale
Il teatro affronta la questione del virtuale aprendo un nuovo fronte interattivo, attraverso la creazione di una scena delle interfacce. Per Quinz due sono le possibili varianti di questa nuova scena: la prima è rappresentata da un puro sistema di interfacce in cui il dispositivo e il software servono da intermediari fra il computer e le unità periferiche (videocamere, strumentazione virtuale). Si tratta di una regia digitale che combina fonti diverse, visive e sonore: immagini video ed elaborazione in tempo reale, immagini da internet o d’archivio, sonorità elettroniche. Il secondo tipo ("ambiente-mondo"), è quello degli ambienti virtuali, incentrato sulla creazione computerizzata di oggetti a partire dalla captazione di movimenti degli interpreti in combinazione con l’utilizzo di periferiche di interazione uomo-macchina tramite sensori (elettromagnetici, elettromeccanici e fotoelettrici). Ne sono esempi i data glove per la manipolazione della Realtà Virtuale, i sistemi di Motion Capture o la piattaforma EyesWeb, dispositivi che catturano gesti e movimenti e volubilità dell’attore (pulsazioni cardiache, temperatura), generando uno spazio reattivo, un ambiente multimodale interattivo. Qui si può parlare di corpo come hyperinstrument: l’attore, indossando queste interfacce, può gestire autonomamente, in tempo reale e con il solo movimento, input da diverse periferiche e animare oggetti, ambienti, grafica, immagini, suoni, personaggi in tre dimensioni, dando vita all’azione scenica vera e propria.
Il data glove è stato usato in Italia da Giacomo Verde (1956-) e Stefano Roveda per dare vita al burattino virtuale Euclide (1992) mentre Jean Lambert Wild, con Orgia (2002), ha sperimentato il rapporto tra corpo dell’attore e immagine mediato da un’interfaccia (Sistema Daedalus): questa generava esseri artificiali il cui movimento era influenzato da respiro, temperatura e battito cardiaco degli attori muniti di particolari sensori.
Navigazione ipertestuale, ambienti virtuali 3D, immagini di sintesi, installazioni interattive: da un’opera chiusa e strutturata a un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione da parte del navigante-spettatore (altrimenti definito "co-autore" o performer), una possibilità di continua variazione. I responsive environments di Myron Kruger (Videoplace, 1970), gli ambienti sonori interattivi di David Rokeby (Very Nervous System, 1986), gli ambienti sensibili di Studio Azzurro (Coro e Tavoli, 1995) creano le condizioni per un’esperienza sensoriale, creativa e relazionale; un dialogo tra osservatore e ambiente, attraverso un dispositivo elettronico sonoro, visivo e grafico. In Storie mandaliche 3.0 di Zonegemma, Andrea Balzola ha creato la complessa drammaturgia ipertestuale per uno spettacolo di narrazione interattivo (con programma di animazione Flash) in cui il pubblico può decidere di passare da un personaggio a un altro a ogni link, viaggiando all’interno di un labirinto di migliaia di possibili narrativi.
Immersione partecipativa, ricerca di uno spazio sensoriale e sollecitazione a una visione e un ascolto "sinestetico" ("la sinestesia è l’inclinazione naturale dei media contemporanei", come afferma Bill Viola): nello spettacolo di Studio azzurro Giacomo mio salviamoci! (1998) la scena è un ambiente in parte interattivo dove i personaggi possono interagire con la narrazione e provocare accadimenti di tipo visivo e sonoro. Giardini Pensili crea un’opera-ambiente fatta di suoni e immagini rigorosamente live e in metamorfosi digitale continua. L’immersione è resa possibile da una "iperstimolazione sensoriale" visiva e acustica: suoni dalle frequenze anomale, gravi e sovracute, inseguono e avvolgono lo spettatore grazie a sistemi di spazializzazione multicanale associati a strati di immagini-sinopie su veli trattate digitalmente e che affiorano con ritardi, effetti e rallentamenti (Metamorfosi, Stelle della sera).
Marcel Antunez Roca, fondatore della compagnia catalana Fura dels Baus, propone un nuovo cyberteatro o teatro tecnobiologico in cui l’ibridazione e lo scambio è tra robotica e biologia, operando tra "corpi in-macchinati e macchine in-corporate". Qui il performer incarna l’utopia postumana della tecnomutazione, dell’ampliamento della struttura biologica verso nuove sensibilità extratattili, diventando, attraverso innesti temporanei di dispositivi elettromeccanici, una cybermarionetta. Dai robot pneumatici che reagiscono alla presenza del pubblico (Joan, uomo di carne, 1992) al corpo-macchina del performer sottoposto all’invadente molestia telematica dello spettatore attraverso un mouse (Epizoo, 1994), alla narrazione attraverso un’interfaccia corporea di natura esoscheletrica (dresskeleton) con possibilità di controllo ipermediale, grazie al quale l’attore diventa "uomo-orchestra", elaborando una sistematurgia, ovvero una drammaturgia che ha bisogno del sistema informatico per gestire l’intera complessità narrativa fatta di suoni e immagini. Mutazione come felice alienazione dell’uomo nella sfera biotecnologica, passaggio a una nuova "artificialità naturale", tematica comune alla nuova carne del cinema mutageno di Cronenberg e al cyborg di Donna Haraway. In Transpermia (2003) Antùnez, come già in Afasia, sostituisce la keyboard con una protesi elettromeccanica, recuperando con il programma Midi Reactor funzioni organiche non più limitate alla vista e al tatto, potendo suonare con il suo corpo, modulare la voce, animare immagini e disegni che mostrano ironiche ipotesi di interfacce per identità sempre mutanti.
Queste operazioni affermano la centralità dell’attore quale fulcro vitale dell’esperienza scenica il cui corpo-interfacciato permette di far funzionare per contagio tecnologico l’intero spettacolo. Il cyber-attore torna ad assumere i connotati della Supermarionetta profetizzata da Craig, dell’"uomo-architettura ambulante" di Oskar Schlemmer e infine dell’attore biomeccanico mejercholdiano per il quale "il corpo è la macchina e l’attore il meccanico". Frontiere futuribili si intravedono per un nuovo teatro on line fatto di hyperdrama e virtual drama e di una performatività deterritorializzata, estesa a vari canali per sperimentare diversi luoghi anche immateriali della comunicazione (senza fondamenta e smisurati, come nel caso delle opere nel web) e diverse modalità di partecipazione: #hamnet (1993) (performance realizzata tramite una chat via internet), degli Hamnet Players, e Webcam teatro (2001-2005), di Giacomo Verde, che utilizza le web community. L’interrogativo, al di là dei generi e dei canali usati è: può il teatro – anche quello che usa le tecnologie più avanzate – mettere in discussione modelli, sistemi e poteri? Brecht è ancora attuale? È stato proprio Brecht, nei testi relativi alla Radio (1927-1936), ad aver intuito che il problema stava nell’appropriazione e nell’epicizzazione del mezzo, nel controllo espressivo da parte dell’artista – e della voce collettiva che si nasconde dietro di lui – dello strumento tecnico e della nuova concezione dell’arte che supera la separazione tra "produttore" e "consumatore".