La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. La struttura del sapere
La struttura del sapere
Il periodo che precede la 'rinascita' del XII sec. appare caratterizzato dal recupero della tradizione latina antica e tardo-antica. Questo recupero risulta particolarmente evidente in due casi. Il primo caso riguarda l'opera grammaticale di Prisciano, con l'intensificarsi dell'interesse per le Institutiones grammaticae e per le opere minori; già avviato nell'VIII sec., esso esplode nel IX e X sec., come testimonia il gran numero di codici che hanno avuto origine in quel periodo. Il secondo caso concerne Boezio e soprattutto il Boezio 'logico', vale a dire il traduttore e commentatore dell'Organon di Aristotele nonché autore di monografie di argomento logico, ma anche il Boezio autore delle opere del quadrivio e degli opuscoli teologici; questi ultimi sono assunti come libri di testo e fatti oggetto di commenti fino a tutto il XII sec. nel circolo degli autori legati alla Scuola di Chartres (Gilberto Porretano, Thierry di Chartres, Clarembaldo d'Arras); nel XIII sec. si registrano soltanto i commenti di Tommaso d'Aquino al De hebdomadibus e al De Trinitate. Per contro, gli apporti più notevoli giunti da altre culture, dopo le traduzioni dei Padri greci compiute da Giovanni Seoto Eriugena nel IX sec., sono rappresentati dalle traduzioni dal greco e dall'arabo dovute, rispettivamente, ad Alfano e a Costantino l'Africano, i quali operano tra Montecassino e Salerno, nell'XI secolo.
Con le traduzioni eseguite nell'XI sec. cominciarono le grandi novità culturali, determinate dal numero ancora maggiore di traduzioni sia dal greco sia dall'arabo che si ebbe nel corso del XII sec. e poi ancora nel XIII, e che portò all'acquisizione delle opere di Aristotele, di alcune opere di Platone e dei neoplatonici (Proclo), della scienza antica (Archimede, Erone, Tolomeo), della medicina ippocratico-galenica e araba, nonché del pensiero di Avicenna e di Averroè (v. cap. XII).
Queste novità obbligarono gli uomini di cultura a ripensare l'assetto delle conoscenze per fare spazio alle ultime acquisizioni. Di qui il fiorire di nuovi trattati sulla divisione della filosofia e sull'origine delle scienze, e la produzione di moderne enciclopedie capaci di inquadrare e rendere accessibile la nuova cultura mediando fra tradizione e innovazione; in questo accrescimento di conoscenze è da cercare anche la motivazione profonda dell'impulso alla fondazione di nuove scuole e alla nascita delle università.
Ugo di San Vittore
Nella prima metà del XII sec., Ugo di San Vittore fornì un quadro sistematico delle scienze a lui note seguendo il filo della tradizione latina e raccogliendo gli elementi maturati per quanto riguarda formulazioni classificatorie e giustificazioni dottrinali. Si può dire che la sua sistemazione abbia rappresentato il risultato più maturo della tradizione tardo-antica e altomedievale di ispirazione agostiniana e che, come tale, abbia continuato a costituire un importante punto di riferimento. Nel Didascalicon de studio legendi (composto negli anni Venti del secolo), Ugo intende offrire una guida alla lettura (cosa leggere, in che ordine e in che modo) e alla meditazione, prendendo in esame la biblioteca a lui accessibile sia per le discipline umane (considerate nei primi tre libri) sia per gli scritti sacri (Libri IV-VI). I principî dell'ordinamento fornito da Ugo furono dettati dalla sua visione antropologica, che lo indusse a un allargamento della concezione stessa della filosofia. Come si legge nel Didascalicon, la cosa più desiderabile è la sapienza, in cui consiste la "forma del bene perfetto"; la sapienza illumina l'uomo perché possa conoscere sé stesso. Ma l'animo umano, stordito dalle passioni corporee, perde coscienza di sé; la dottrina pone riparo a questa condizione aiutandoci a ritrovare il nostro vero essere; impariamo così a non cercare fuori di noi ciò che possiamo trovare in noi stessi. La vita umana dev'essere perciò tesa alla ricerca della sapienza.
Ora, la ricerca della sapienza è la filosofia, che è 'amore, studio e amicizia della sapienza', e che considera le realtà veramente esistenti e immutabili ed esclude la conoscenza delle arti tecniche (prima definizione di filosofia, ricavata da Boezio); la sapienza così intesa è la sola ragione prima delle cose, e la filosofia è illuminazione dell'intelletto umano da parte della sapienza nella sua forma più pura (I, 1-2). Data la natura dell'anima umana e delle sue facoltà, due sono i compiti primari dell'anima razionale: conoscere tutte le cose con la speculazione, e fissare i principî dell'azione morale (I, 3). Poiché, però, soltanto l'uomo ha il privilegio di cercare la sapienza, ne deriva che questa deve essere la guida di tutte le attività umane. Di qui l'adozione di una nuova definizione di filosofia (intesa come disciplina che indaga a fondo le ragioni di tutte le cose umane e divine), più ampia di quella precedente in quanto include non soltanto la speculazione del vero e la ricerca dei principî morali, ma anche i principî teorici di tutte le attività umane; in effetti, una stessa attività può rientrare nell'ambito della filosofia per i suoi principî (ratio) ed esserne esclusa per quanto riguarda la sua realizzazione pratica (administratio). Vi sono quindi tanti ambiti della filosofia quante sono le realtà da essa considerate (I, 4).
Le linee dell'antropologia di Ugo emergono più decisamente quando l'autore afferma che lo scopo cui deve tendere l'uomo sotto la guida della sapienza è quello di restaurare l'integrità della natura umana e di provvedere alle necessità della vita corporea: l'integrità della vita umana si ripara con la scienza e con la virtù. L'uomo non è tuttavia un essere semplice, in quanto è formato dall'unione di anima immortale e di corpo mortale, là dove il corpo è la realtà più bassa tra gli esseri ed è corruttibile (I, 5). La somiglianza dell'uomo con Dio si restaura con la speculazione della verità e l'esercizio delle virtù (nel De sacramentis, I, pars VI, 2, Ugo spiega che l'uomo è fatto a immagine di Dio quanto alla sua ragione e alla ricerca della verità, ed è fatto a somiglianza di Dio quanto all'amore della virtù), mentre si provvede alle necessità di questa vita in tre modi, e cioè con attività che procurino nutrimento al corpo, che lo salvaguardino e proteggano dai danni che vengono dall'esterno, o che riparino i danni da esso subiti; è attività divina quella che compiamo per restaurare il nostro essere più proprio; è attività umana quella che compiamo quando provvediamo al nostro corpo; la prima si può chiamare intelligenza, la seconda, scienza; e l'autore conclude: "Se dunque la sapienza […] governa tutte le azioni che scaturiscono dalla ragione umana, dobbiamo perciò dire che la sapienza comprende, come sue parti, l'intelligenza e la scienza. Poi dividiamo l'intelligenza […] in due parti: teoretica cioè speculativa e pratica o attiva, detta anche etica o morale. Chiamiamo invece meccanica, cioè 'adulterina', la scienza che si occupa delle opere umane" (Didascalicon, I, 8).
Così sono individuate le prime tre parti della filosofia: teoretica, etica e arti meccaniche. Quanto a queste ultime, Ugo afferma che esse riguardano le opere dell'uomo, che si distinguono dalle opere del Creatore e da quelle della Natura. Le opere dell'uomo non sono naturali, ma imitano la Natura in quanto l'uomo cerca di produrre una forma simile a quella che osserva in Natura. 'Meccanico' vuol dire per lui 'adulterino', ed è tale quel che è prodotto a imitazione di ciò che è naturale; il naturale è superiore all'artificiale. Le tre parti della filosofia non stanno quindi sullo stesso piano: le prime due, che riguardano la 'restaurazione' dell'anima, sono più nobili della terza che si occupa del corpo, confortandolo e sovvenendo ai suoi bisogni. D'altra parte, riprendendo l'antico tema del confronto tra l'uomo e l'animale, Ugo afferma che soltanto l'uomo viene al mondo inerme e nudo, mentre gli altri animali sono provvisti dalla nascita di 'armi' a loro protezione, e ciò ha un suo motivo; la Natura infatti ha provveduto agli animali, incapaci di provvedere da sé, mentre all'uomo ha dato la possibilità di trovare con la ragione ciò che gli altri hanno per natura; così è stata ottenuta l'infinita varietà di invenzioni che suscitano ammirazione non soltanto per la Natura, ma anche per l'artefice (I, 9). La quarta parte della filosofia, la logica, nasce per ultima, originata dal bisogno di trovare regole per discutere correttamente di ogni cosa ed evitare gli errori. Il Libro I del Didascalicon si conclude così con l'affermazione che la filosofia ha quattro parti fondamentali, ossia teoretica, morale, meccanica e logica, che comprendono tutte le altre; un rinvio a Macrobio offre un fondamento pitagorico alla quadripartizione (I, 11).
Il Libro II espone analiticamente le singole parti della filosofia con le loro articolazioni. Per sommi capi (per quel che segue ci si riferisca alla tab. 1) si può ricordare che Ugo, seguendo Boezio, divide la filosofia teoretica o speculativa in tre parti (II, 2): teologia (scienza dell'essere intellettibile), matematica (scienza dell'essere intelligibile) e fisica (scienza degli esseri naturali). In particolare, l'autore afferma che la matematica considera la quantità astratta (che Boezio chiama intelligibile) e spiega che l'anima umana è partecipe della sostanza intellettibile per la sua incorporeità e semplicità, ed è intelligibile in quanto, a contatto con il corpo, riceve le immagini delle cose sensibili (II, 3). La matematica si articola nelle quattro discipline: aritmetica, musica, geometria, astronomia (II, 6). Passando alla fisica, Ugo ricorda che il termine può designare, oltre che una parte della teoretica, anche tutta la filosofia teoretica; quest'ultima è l'accezione del termine 'fisica' nella tripartizione della filosofia in fisica, etica e logica (l'autore nota che in questa articolazione non è compresa la meccanica, il che può far pensare che la quadripartizione della filosofia risulterebbe dall'integrazione della meccanica nella tripartizione tradizionale; II, 16). Ricapitolando l'esposizione della filosofia teoretica, Ugo ricorda i nomi usati per designare le parti di essa (teologia, matematica, fisica; intellettibile, intelligibile, naturale; divina, dottrinale, fisiologica), riservandole l'appellativo di sapienza perché a essa spetta la speculazione della verità delle cose, mentre la logica studia il linguaggio, e la meccanica e l'etica riguardano la morale e le opere dell'uomo (II, 18). La filosofia pratica riprende la tripartizione di origine aristotelica, e anche qui Ugo ricorda i nomi da essa ricevuti nelle esposizioni precedenti (individuale, privata, pubblica; etica, economica, politica; morale, domestica, civile; II, 19).
Le arti meccaniche, che nella favola delle nozze di Mercurio e Filologia rappresentano, come Ugo sottolinea, la dote nuziale data da Filologia a Mercurio, sono sette scienze (si tratta di insiemi di arti più che di singole arti). Tre di esse, ossia lanificium (vestiario), armatura (scienza degli strumenti che riguarda sia le opere architettoniche sia l'attività dei fabbri) e navigatio (arte della navigazione e del commercio), a somiglianza del trivio, servono alla difesa 'esterna' della vita, mentre le rimanenti quattro, ossia agricultura, venatio (caccia, uccellagione, pesca, cucina), medicina e theatrica (spettacoli e giochi), servono, a mo' del quadrivio, a rafforzare 'dall'interno' la nostra vita con il cibo, vegetale o animale, le cure, il ristoro. In questo contesto la meccanica è definita "la scienza a cui ricorre la produzione di tutte le cose" (mechanica est scientia ad quam fabricam omnium rerum concurrere dicunt; II, 20). La presentazione delle arti meccaniche è esemplata su quella delle arti liberali, con un tentativo di stabilire una corrispondenza tra retorica e commercio, di cui si tesse l'elogio come fattore di pace e di benessere tra gli uomini (II, 23); come quelle liberali, le arti meccaniche sono articolate in trivio e quadrivio (II, 20, mentre in I, 8 si parla non di bipartizione, ma di tripartizione: provvedere al nutrimento del corpo, proteggerlo dai danni provenienti dall'esterno, rimediare ai danni subiti).
Per la logica, infine, Ugo fornisce due articolazioni. Dapprima (I, 11) dice che 'logica' viene da lógos, che significa ragione o discorso; in quanto scienza razionale, la logica ha come sue parti la dialettica e la retorica; in quanto si occupa del discorso (sermocinale), essa comprende grammatica, dialettica e retorica: la logica sermocinale è considerata la quarta parte della filosofia. Più avanti (II, 28), per contro, Ugo afferma che la logica si divide in grammatica e teoria dell'argomentazione (ratio disserendi); quest'ultima (II, 30) ha come sue parti l'invenzione degli argomenti e il giudizio su di essi, e si suddivide in argomento dimostrativo, probabile e sofistico; l'argomento dimostrativo o necessario appartiene ai filosofi, quello probabile alla dialettica e alla retorica. In III, 2, Ugo ricorda i nomi dei personaggi che hanno iniziato o perfezionato le varie scienze.
La classificazione delle scienze che Ugo compone come articolazione della filosofia (in 21 parti: in VI, 15 è aggiunta una breve trattazione della magia) costituisce un vasto sistema ottenuto con il recupero della tradizione boeziana e cassiodorea per le scienze teoretiche e pratiche, il recupero della logica come parte della filosofia (il che mostra come l'autore abbia fatto tesoro dell'insegnamento boeziano della logica e probabilmente abbia coscienza del ruolo da essa assunto nel contesto culturale del tempo, pur non tacendo la problematica collocazione nella filosofia, oltre che della grammatica, della teoria dell'argomentazione, in quest'ultimo caso con riferimento a Boezio: v. II, 28), e infine con l'inserimento delle arti meccaniche nella filosofia (VI, 14). Per quanto riguarda la collocazione delle arti meccaniche accanto alla filosofia teoretica e a quella pratica, si è detto (v. cap. III) che nelle divisioni altomedievali della filosofia d'ispirazione aristotelica le scienze produttive non figurano accanto a quelle teoretiche e a quelle pratiche; Ugo avrebbe tuttavia avuto la possibilità di venire a conoscenza della tripartizione in teoretica, pratica e 'poietica' grazie a un excerptum da Quintiliano (Institutio oratoria) relativo alle arti e trasmesso dalla terza recensione del Libro II delle Institutiones di Cassiodoro (Sternagel 1966).
Entro gli elementi strutturali di classificazione, tuttavia, Ugo conserva le tradizionali gerarchie di rapporti tra le discipline: nell'apprendimento, la logica e la matematica precedono la fisica, giacché esse hanno funzione di 'strumento', del quale deve impossessarsi chi desidera avviarsi alla speculazione fisica; tutte le arti tendono all'unico fine della filosofia (Didascalicon, II, 17, e I, 11, per la logica), sono strumenti per la comprensione della filosofia e fondamento di ogni sua dottrina (III, 3 e 4); la filosofia poi è finalizzata alla sapienza divina, come Ugo afferma nel De sacramentis (I, prol. 6): "tutte le arti naturali servono alla scienza divina, e la sapienza inferiore bene ordinata conduce a quella superiore". In realtà, l'ispirazione agostiniana di Ugo non pone separazione e alterità tra la filosofia e la sapienza divina: le arti liberali e la filosofia sono propedeutiche alla scienza della Sacra Scrittura.
Il fondamento della classificazione delle scienze di Ugo trova giustificazione nell'antropologia cristiana, con la dottrina della caduta originale e della redenzione, che si traduce nel programma di restaurazione dell'immagine di Dio nell'uomo. Nel penultimo capitolo del Didascalicon esso è sintetizzato in questi termini: vi sono tre mali della vita umana, ossia ignoranza, vizio e infermità, e contro di essi sono stati trovati tre rimedi, sapienza, virtù e necessità (vale a dire, ciò senza di cui l'uomo non può vivere). In funzione di quei tre rimedi sono state trovate le arti e le discipline: per la sapienza, la teoretica; per la virtù, la pratica; per la necessità, la meccanica. In seguito, in funzione dell'eloquenza è stata trovata la logica, che è l'ultima nell'ordine delle scoperte, ma che necessariamente dev'essere la prima nell'insegnamento, seguita in successione da pratica, teoretica (anteponendo la matematica alla fisica: Didascalicon, II, 17) e meccanica; quest'ultima è per sé del tutto inefficace senza le precedenti (VI, 14). In questa posizione, che ha avuto un'influenza notevole nel XII (naturalmente presso i vittorini, ma anche presso qualche autore influenzato da Chartres, o seguace di Abelardo, o porretano, cioè seguace di Gilberto Porretano) e nel XIII sec. (Vincenzo di Beauvais, Speculum doctrinale, I, 9), l'eloquenza non risulta opposta ad alcun male; ma ben presto, presso altri autori, un quarto male compare accanto ai tre indicati, ed è la taciturnitas (secondo l'Ysagoge in theologiam) o imperitia loquendi (per lo Pseudo-Bernardo Silvestre); a esso si pone rimedio con il ritrovamento dell'eloquenza (de Rijk 1967).
L'antropologia cristiana invocata a giustificare l'articolazione della filosofia e l'inserimento in essa delle arti meccaniche pare avere avuto una matrice nel De civitate Dei (XXII, 24; Lusignan 1982), dove Agostino afferma fra l'altro che, dopo il peccato originale, nell'uomo non è del tutto estinta quella 'scintilla della ragione' per cui è fatto a immagine di Dio, il quale ha dato all'anima umana la mente che, dapprima sopita, con l'età rende il giovane abile a percepire la verità e l'amore del bene, in modo che possa poi attingere la sapienza e acquisire le virtù con cui combattere gli "errori e gli altri vizi congeniti"; le "arti del ben vivere", dette virtù, sono dono della grazia; da parte sua, l'uomo ha trovato tante e importanti arti, alcune necessarie, altre voluttuarie (v. cap. III).
Una lunga tradizione ha alimentato questa riflessione antropologica (si ricordino i commenti al De nuptiis di Marziano Capella del IX sec.), messa a fuoco in modo efficace dal Vittorino. Ma già qualche anno prima il benedettino Ruperto di Deutz (De sancta Trinitate et operibus eius, II. In Genesim, II, 3; l'opera è stata terminata nel 1117) spiegava che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio con riferimento rispettivamente alla ragione e alla condotta morale; a causa del peccato originale, l'uomo ha perso la somiglianza con Dio, ma non ha perso la facoltà della ragione, che è lo strumento datogli perché possa ricercare la somiglianza e pervenire alla restaurazione di sé stesso. Per quanto riguarda poi la positiva valutazione delle arti meccaniche, lo stesso Ruperto (ibidem, XL. De operibus Spiritus Sancti, VII, 3-5) offre alcuni interessanti elementi di riflessione là dove dà una divisione delle scienze (di cui la filosofia è una sezione). Divise le scienze in letterali e illetterali, l'autore afferma che le prime sono quelle contenute nei libri, mentre le seconde sono quelle che non si apprendono leggendo libri, come la scultura o l'arte dei fabbri, che sono tuttavia dette scienze a giusto titolo. Le scienze letterali, a loro volta, sono liberali o illiberali. Letterale e illiberale è la medicina, non professata dai filosofi; scienza letterale e liberale è la filosofia, composta da trivio (indicato come 'logica') e quadrivio (la 'fisica'). Secondo Ruperto, tutto ciò che è compreso sotto le articolazioni della scienza è dono di Dio, anche la scienza illetterale e illiberale; essa tuttavia non fa parte della filosofia.
Ancora all'inizio del XII sec., Onorio (Augustodunensis) di Regensburg, nell'opuscolo De animae exilio et patria (PL, v. CLXXII, coll. 1243 A-1245 D), tracciò un programma di studio delle 'scienze' secolari presentato come un cammino in dieci tappe (raffigurate come città e ville) capace di portare l'uomo "dall'esilio dell'ignoranza alla patria della sapienza" (la Sacra Scrittura); dopo il trivio e il quadrivio, all'ottavo posto è collocata la medicina (il termine usato è physica, ma l'autorità evocata è Ippocrate), grazie alla quale si cerca la patria procedendo dalla cura del corpo a quella dell'anima (secondo Isidoro, la medicina si giova dello studio di tutte le arti liberali); al nono posto si trova la meccanica, che insegna al viandante la lavorazione di metalli, legno e marmo, pittura e scultura, e tutte le arti che si servono delle mani; infine decima è l'economica, che introduce negli 'atri della patria', disponendo i regni e le dignità e insegnando all'uomo come congiungersi con gli ordini angelici. La posizione di Onorio si colloca nella tradizione isidoriana, rispetto alla quale introduce la novità dell'economica (la divisione della filosofia delle Differentiae di Isidoro è attestata ancora nel XII sec.; Grabmann 1909-1911, II).
La trattazione delle arti meccaniche di Ugo è stata riconsiderata verso la fine del XII sec. da Goffredo di San Vittore nel suo Microcosmus (1185 ca.); per un verso, egli associò l'etica e le arti meccaniche in una stessa categoria delle scienze pratiche in base alla considerazione che entrambe sono scienze utili e oneste, necessarie alla vita dell'uomo, e sgorgano dalla stessa fonte (le bibliche acque sotto il cielo, Genesi, 1, 7); le seconde sono denominate 'meccaniche' per l'abuso che per lo più ne fanno gli uomini, ma sarebbero da definire pratiche come le altre per il buon uso che se ne fa. La prima, che si articola in tre, è detta pratica in senso proprio perché serve a rendere "onesta e ornata" la vita umana. Per un altro verso, pur riconoscendo che le arti meccaniche sono innumerevoli, Goffredo si limitò a enumerarne sette ridenominando il settenario e sostituendo la fabricatoria alla teatrica (Microcosmus, I, 55-58; le acque sopracelesti alimentano le due vene, della sapienza con la sua tripartizione e dell'eloquenza con il trivio, ibidem 73-74). Alla fine del secolo (1192-1193), poi, il porretano Radulfo Ardens (in apertura del suo Speculum universale o Summa de vitiis et virtutibus, che è una trattazione di morale cristiana in quattordici libri) accolse l'articolazione quadripartita della 'scienza', aggiungendo però la precisazione che la meccanica è scienza in senso improprio in quanto serve ai bisogni dei sensi, mentre le altre tre servono allo spirito. La meccanica è detta adulterina perché il senso rischia di adulterare lo spirito. Radulfo indica nelle quattro scienze i quattro antidoti o rimedi che sono dati da Dio per i quattro mali (ignoranza, ingiustizia, ineloquenza, miseria) di cui l'uomo soffre in conseguenza del peccato originale; in particolare, risistema il settenario delle arti meccaniche presentando le arti in modo più razionale, vale a dire in base al criterio dei principali bisogni dell'uomo ai quali esse provvedono (nutrimento, vesti, costruzioni, strumenti e veicoli, medicina, commercio, forme di difesa); nella presentazione di Radulfo la teatrica non è menzionata (Gründel 1966; Grabmann 1909-1911, I).
Le discussioni suscitate dalla classificazione di Ugo di San Vittore sono testimonianze dell'impatto che essa ha avuto sulla cultura del tempo. Tenendo conto di questo sfondo, è possibile apprezzare le novità apportate dall'influenza araba e dalle traduzioni delle opere antiche.
Gilberto Porretano, Guglielmo di Conches e Thierry di Chartres
Gli autori legati alla Scuola di Chartres hanno contribuito ad argomentare la connessione delle conoscenze o approfondendo la classificazione delle scienze teoretiche nei commenti al De Trinitate di Boezio, oppure mettendo a fuoco il rapporto tra scienze secolari e dottrina sacra.
Nel suo commento al De Trinitate, Gilberto abbozza una classificazione delle scienze distinguendole in teoretiche, o genericamente speculative, e pratiche o attive (sono ricordate medicina e magia); tralasciate queste ultime, si concentra sulle scienze speculative, che secondo Gilberto prendono la denominazione da ciò che studiano, e sono perciò dette (tab. 2) scienze fisiche o naturali, etiche o morali, logiche o razionali (si tratta della ben nota divisione triadica della filosofia). L'autore tralascia anche l'etica e la logica ed esamina le scienze naturali che, come egli precisa, sono dette più spesso (usu maiore) 'speculative'; ebbene, queste hanno tre parti: quella più specificamente naturale (il termine, come sappiamo, ha un valore generale quando sta per tutte e tre le scienze speculative aristotelico-boeziane, e uno speciale quando designa una sola di esse), la matematica e la teologia. Esse sono descritte mediante la combinazione dei due termini 'separazione' e 'movimento' e dei loro contrari (Expositio in Boecii librum primum De Trinitate, I, 2, 7-8; Haas 1987; Jolivet 1990). Come si vede, a Gilberto interessa mettere a fuoco la tripartizione delle scienze teoretiche presente nel testo che sta commentando e tralascia tutto il resto.
Diverso è il caso di Guglielmo di Conches, che nelle Glosse sulla Consolazione della filosofia di Boezio e nelle Glossae super Platonem dà una divisione complessiva delle scienze, partendo dalla distinzione, di matrice ciceroniano-isidoriana, tra eloquenza e sapienza (tab. 3). L'eloquenza comprende le discipline del trivio. La sapienza coincide di fatto con la filosofia e si divide non in tre specie (come in Isidoro), ma in due (come in Boezio e Cassiodoro), vale a dire teoretica e pratica. La pratica comprende etica, economica e politica; la teoretica comprende teologia, matematica (il quadrivio) e fisica. Nella giovanile Philosophia (IV, 23, 58) Guglielmo fissa l'ordine che è necessario seguire nell'apprendimento delle discipline; si comincia con l'eloquenza (grammatica, dialettica e retorica), si passa successivamente allo studio della filosofia, studiando dapprima il quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia), quindi si accede alla divina pagina, giacché grazie alla conoscenza delle creature si perviene alla conoscenza del Creatore. Secondo le Glosse sulla Consolazione della filosofia, invece, la via da seguire nell'apprendimento della sapienza o filosofia, come indica lo stesso Boezio con la descrizione delle lettere intessute nella veste di Filosofia, va dalla pratica (etica, economica, politica) alla teoretica (da matematica e fisica, che riguardano ciò che è corporeo, alla teologia che contempla l'incorporeo); mentre nell'apprendimento dell'eloquenza si procede dalla grammatica alla dialettica per concludere infine con la retorica (Jourdain 1862).
Celebre è la concezione di Thierry di Chartres, formulata nel prologo all'Eptatheucon; raccogliendo in un unico corpus le opere necessarie allo studio delle arti liberali, egli ha inteso mettere insieme ciò che i principali dottori hanno scritto sulle sette arti (Jeauneau 1973; per le opere comprese nel trivio e nel quadrivio, v. cap. XII, par. 3). Ispirandosi a Marziano Capella, Thierry sostiene di avere così sposato i due strumenti del filosofare, che sono il quadrivio e il trivio (il primo illumina l'intelletto, mentre il secondo fornisce all'intelletto l'espressione elegante, razionale e ornata), ottenendo un unico strumento di tutta la filosofia: "abbiamo maritato trivio e quadrivio per l'incremento della generosa stirpe dei filosofi". Certo, le arti liberali sono strumenti e non vanno studiate per sé, ma per la filosofia; senza di esse però non ci può essere filosofia. Una profonda convinzione dell'unità del sapere muove Thierry, sicché a suo parere tutte le conoscenze collaborano alla comprensione della realtà accessibile all'uomo e le discipline umane sono messe a frutto nell'interpretazione del dato rivelato: il sapere filosofico-scientifico e quello teologico si compongono in unità.
Tutti e tre gli autori hanno esercitato una profonda influenza sul XII sec., tanto che tracce di Guglielmo e Thierry si trovano, per esempio, in Gundisalvi. In questi maestri non è presente una riflessione sulle arti meccaniche; quando in una partizione delle scienze lo schema divisivo sapienza-eloquenza, adottato da Guglielmo, include la meccanica, è all'opera l'ispirazione vittorina, come illustrano i due esempi che seguono.
Il primo è rappresentato da un testo, Compendium philosophiae, attribuito da alcuni manoscritti a Ugo di San Vittore e ora conosciuto come Pseudo-Guglielmo di Conches perché costruito con materiali tratti dalla Philosophia di Guglielmo. Il Libro I del Compendium, d'impronta vittorina, è introdotto da un capitolo che esalta l'eccellenza dell'uomo sugli altri animali per tre motivi, ossia la stazione eretta, la ragione o sapienza, l'eloquenza, e prosegue ricordando che la natura umana soffre di tre mali (ignoranza, concupiscenza, infermità), a cui la "divina benignità" ha opposto tre beni o rimedi (sapienza ed eloquenza contro l'ignoranza; virtù contro la concupiscenza; necessità o 'comodo' contro l'infermità). Divise poi le scienze in sapienza ed eloquenza e definita con Pitagora la filosofia come studio della sapienza, l'autore passa alla divisione della filosofia in teoretica (nell'ordine matematica o quadrivio, fisica e teologia) e pratica con la tripartizione consueta. Le parti teoretiche sono le "viscere della filosofia", le parti pratiche o arti ne sono le "figlie". L'eloquenza o logica comprende le tre discipline del linguaggio, che rappresentano le "appendici" o gli "strumenti" della filosofia, e non ne fanno parte, ma sono in funzione di essa. Se sapienza ed eloquenza pongono rimedio all'ignoranza, le virtù (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) si oppongono alla concupiscenza, madre dei vizi. Infine, le sette arti meccaniche o "servili" provvedono alle infermità umane con la necessità o comodo, che è ciò senza cui non possiamo vivere; ma secondo l'autore "vivremmo più felici se potessimo vivere senza di esso" (la giustificazione della meccanica data da Ugo è attribuita a quidam). Questa articolazione è completata da informazioni sulla magia e sulle sue divisioni. Sapienza, virtù e comodo rappresentano ciò a cui tutti gli uomini tendono e che si ripercuote nell'articolazione della società: gli uomini di scuola tendono alla sapienza; i religiosi, alla virtù; i commercianti (negotiatores mundani) tendono al comodo, cioè si occupano delle arti meccaniche.
Il secondo esempio è costituito da un testo del ms. Q. VI. 30 di Bamberga (Grabmann 1909-1911, II), nel quale alla divisione della filosofia in sapienza ed eloquenza segue l'articolazione della sapienza in teoretica con le sue tre scienze, pratica con la sua tripartizione, e meccanica, che a sua volta si divide non nel settenario, ma in tutte le opere umane. L'eloquenza, che propriamente non è "sapienza o filosofia", ma che è anche indicata come "l'altra specie della filosofia", si divide nel trivio. È interessante notare l'ordine da tenere nell'apprendimento, che coincide con quello indicato da Guglielmo di Conches nelle Glosse su Boezio: si comincia con la filosofia pratica (etica, economica e politica), segue quindi la teoretica (nell'ordine matematica, fisica, teologia). Nell'eloquenza si comincia con la grammatica, segue la dialettica, infine conclude la retorica. Sapienza ed eloquenza compongono la scienza perfetta. La meccanica è parte della filosofia, e il testo ne differisce la trattazione "perché bisogna introdurre più cose per poterla conoscere"; la presentazione che se ne fa dipende da Ugo di San Vittore e l'autore conclude affermando che con il discorso sulla filosofia intende invogliare verso l'intelligenza che restaura nell'anima l'immagine del Creatore.
L'influenza araba: Alfarabi e Avicenna
I medievali conobbero alcuni testi di Alfarabi (870 ca.-950), tra i quali l'opuscolo intitolato Enumerazione delle scienze (Liber de scientiis, tradotto da Gherardo da Cremona). L'opera, in cinque capitoli, dà conto delle scienze riconosciute dalla cultura arabo-islamica del tempo. Sulla base della divisione della filosofia in teoretica e pratica, e tenendo conto delle articolazioni datene dalla filosofia alessandrina, a cui è aggiunta la logica (tutte queste sono le scienze degli Antichi), Alfarabi dà una sistemazione che include le tradizionali discipline indigene della scienza islamica, e cioè la scienza del linguaggio e le scienze religiose, comprese la giurisprudenza (fiqh) e la teologia (kalām). La presentazione delle varie scienze inizia nel capitolo primo con la scienza del linguaggio, che ha sette parti principali. Il secondo capitolo è dedicato alla scienza della logica, che secondo la tradizione tardo-antica ha otto parti (oltre alle sei opere comprese nell'Organon di Aristotele ‒ e cioè Categorie, De interpretatione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici ed Elenchi sofistici ‒ erano considerati libri logici anche la Retorica e la Poetica); Alfarabi indica la quarta parte ‒ la dottrina della scienza degli Analitici secondi ‒ come la più sublime della logica alla quale sono finalizzate tutte le altre. Il terzo capitolo tratta della matematica, che ha sette parti principali, vale a dire il quadrivio e l'ottica (scientia de aspectibus), la statica (scientia de ponderibus) e le tecniche (scientia de ingeniis). L'aritmetica e la geometria sono divise in teorica e pratica; le parti teoriche delle due discipline considerano i rispettivi oggetti in sé stessi; l'aritmetica pratica si occupa del numero applicato ai corpi (per es., nel commercio) e la geometria pratica si occupa delle applicazioni della disciplina ai casi concreti (operazioni degli agrimensori e dei vari artigiani). L'ottica è un campo particolare della geometria e segue immediatamente a essa nell'esposizione. La scienza delle stelle comprende l'astrologia, che riguarda la conoscenza degli eventi futuri significati dagli astri, e l'astronomia, che è lo studio matematico dei corpi celesti. La musica ha una parte pratica e una speculativa. La statica studia i principî degli strumenti usati per sollevare e spostare pesi. Le tecniche insegnano a costruire macchine utilizzando i corpi naturali secondo principî matematici e a costruire strumenti per le varie discipline; secondo Alfarabi, esse insegnano i principî delle "arti pratiche civili".
Il quarto capitolo è dedicato alla scienza naturale e alla metafisica (scientia divina). La scienza naturale si divide in otto parti e comprende le opere di Aristotele: (1) Fisica, (2) De caelo, (3) De generatione, (4) i primi tre libri dei Meteorologica, (5) il Libro IV dei Meteorologica (l'opera nei due casi è indicata come Liber impressionum superiorum), (6) un liber mineralium e (7) un liber plantarum non aristotelici, e infine (8) De animalibus, De anima e gli altri libri naturali di Aristotele. La metafisica si divide in tre parti, che trattano rispettivamente degli enti, dei loro attributi, dei principî delle dimostrazioni delle scienze teoretiche 'particolari' (che sono tre, cioè logica, matematica e scienza naturale) e delle intelligenze (enti che non sono corpi né sono in un corpo). Il quinto capitolo ha per oggetto la politica, la giurisprudenza e la teologia. La politica, o scienza civile, ha varie funzioni, la principale delle quali è insegnare la distinzione tra la vera felicità (raggiungibile soltanto nella vita futura) e la felicità ritenuta tale (che si fa consistere nell'ottenere vittorie, gloria e piaceri), e insieme insegnare il modo di conseguire la vera felicità (nel testo, Alfarabi ricorda la Politica e l'Etica di Aristotele e la Repubblica di Platone). Giurisprudenza e teologia, come del resto il linguaggio, non sono considerate scienze universali; ci sono tante giurisprudenze o teologie quante sono le religioni o le leggi divine (e tante lingue quante sono le nazioni). Scienze universali sono invece logica (a cui spetta trattare di ciò che è comune alle varie lingue), matematica, scienza naturale e metafisica, politica (Mahdi 1975).
È bene notare che la medicina non ha un posto preciso in questa esposizione. Essa è tuttavia presente in un altro testo d'origine incerta attribuito ad Alfarabi ed edito con il titolo De ortu scientiarum; come dice il sottotitolo, si tratta di un'epistola sulla causa per cui sono sorte le scienze della filosofia e dell'ordine secondo il quale devono essere apprese (Epistola de assignanda causa ex qua ortae sunt scientiae philosophiae, et ordo earum in disciplina). L'epistola è divisa in quattro capitoli di cui è opportuno leggere i primi due. L'esposizione parte dall'affermazione che si danno solamente sostanza e accidenti, e il creatore dell'una e degli altri. Il testo mostra come dalla sostanza e dagli accidenti siano sorte le varie scienze, e procede in questo modo: la sostanza ha ricevuto la divisione in molte parti (dalla molteplicità, il numero), le quali sono soggette a figure (geometria); la sostanza è naturalmente in moto (la scienza del moto è l'astronomia, che è possibile raggiungere grazie alle due precedenti); la sostanza mossa ha ricevuto l'accidente del suono (musica).
Più complesso il discorso sull'origine della scienza della Natura. Poiché la sostanza è soggetta a mutamenti, è stata trovata la scienza dell'azione e della passione ('scienza delle nature'); l'indagine su di essa ha individuato i quattro elementi e le loro quattro qualità, che sono all'origine degli accidenti della sostanza e dell'azione e passione; così è nata "la scienza che cade sotto il circolo della Luna". Le sue parti sono otto: la scienza dei giudizi astrologici (scientia de iudiciis), la medicina, la negromanzia naturale (scientia de nigromantia secundum physicam), la scientia de imaginibus, l'agricoltura, la navigazione, l'alchimia, la scientia de speculis. Si ha così conoscenza di tutti gli accidenti della sostanza contenuta sotto il cielo della Luna. Resta la scienza della sostanza superiore, che è la sfera mobile del cielo secondo il moto naturale e che serve alla costituzione del mondo secondo la potenza e la sapienza di Dio. La sostanza celeste ha portato alla conoscenza delle stelle. La scienza della natura si occupa dunque del mondo celeste e di quello sublunare. Indagando sulla sostanza celeste e sulla sua origine, si giunge alla conoscenza del Creatore (scienza divina, o metafisica: scientia post naturam). Questo è il contenuto del primo capitolo dell'epistola. Il secondo capitolo fornisce l'ordine da seguire nell'insegnamento delle discipline; e poiché l'insegnamento avviene mediante il linguaggio, si comincia con la scienza della lingua, che riguarda l'imposizione dei nomi alla sostanza e agli accidenti. Seguono grammatica, logica, poetica, le quattro discipline matematiche, la scienza naturale e la metafisica. Manca ogni riferimento alle scienze morali e alle discipline islamiche.
Molti aspetti della trattazione di Alfarabi vanno sottolineati per l'influenza che i suoi testi hanno esercitato sul Medioevo latino. Innanzi tutto, nell'ordinamento farabiano, la matematica precede la fisica, recependo in ciò la tradizione alessandrina che vedeva nella matematica una disciplina propedeutica alla fisica (ma in questa direzione andava già Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 9, 1142a 11-20). Inoltre, le discipline matematiche occupano un posto centrale e comprendono le rispettive parti applicative, aprendo alla trattazione delle arti meccaniche (nel senso della meccanica antica; v. Aristotele, Analitici secondi, I, 9, 76a, 23-24 e 13, 78b, 36-39; Sternagel 1966). Ma soprattutto va notato che al sommo della gerarchia delle discipline filosofiche è collocata non la metafisica, com'era nella tradizione, ma la politica, in ragione della sua funzione di suprema ordinatrice della vita umana.
Una tale concezione è condivisa da Ruggero Bacone, che considera la morale come la scienza suprema. Egli (Moralis philosophia, V, 2-3) condivide anche l'allargamento della logica da sei a otto libri, e pensa che retorica e poetica siano le parti migliori della logica, perché sono la logica della morale. L'ordinamento farabiano delle scienze, con al vertice la morale, è presente in qualche modo anche nel Convivio di Dante; nel trattato secondo, là dove istituisce la comparazione tra i cieli e le scienze, il poeta apre la serie delle discipline con la grammatica, a cui seguono le altre discipline del trivio (dialettica e retorica) e il quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia); a ciascuna disciplina corrisponde uno dei pianeti. All'ottava sfera (cielo stellato) corrispondono la fisica e la metafisica; alla nona (primo mobile) corrisponde la morale; all'empireo la teologia (Convivio, II, 13, 8). A differenza di Dante, Alfarabi include la retorica nella logica, e alla scienza del linguaggio e alla logica fa seguire la matematica con sette parti e non con il solo quadrivio. Ma in Dante un cielo, in Alfarabi un unico capitolo è dedicato alla fisica e alla metafisica, e in Dante la morale (in Alfarabi, la politica) sta al culmine delle discipline umane; in entrambi le scienze religiose coronano il sistema delle scienze. L'ordinamento dantesco delle scienze può così essere ricondotto a quello farabiano, almeno per qualche aspetto.
Per quanto riguarda il contributo all'ordinamento delle scienze dato da Avicenna (la sua epistola sulla divisione delle scienze intellettuali non è stata conosciuta nel Medioevo latino, ma soltanto in età rinascimentale tradotta da Andrea Alpago), si possono indicare i punti sui quali la sua influenza sul Medioevo è stata più rimarchevole. Innanzi tutto, egli mette in evidenza che ciascuna scienza si caratterizza per la sua materia od oggetto; inoltre, diversamente da Alfarabi, Avicenna mantiene l'ordinamento aristotelico delle scienze speculative (fisica, matematica, metafisica). Ma soprattutto, l'ordinamento delle scienze filosofiche è ottenuto mediante divisione; l'autore apre la Logica affermando che "la filosofia si occupa della comprensione della verità di tutte le cose, per quanto è possibile all'uomo comprendere", e prosegue dichiarando che delle cose che sono, alcune hanno l'essere indipendentemente dall'intervento umano, altre invece hanno l'essere a seguito dell'intervento umano; la conoscenza delle cose indipendenti da noi si chiama filosofia speculativa, mentre la conoscenza delle cose dipendenti da noi si chiama filosofia attiva o pratica. Il fine della filosofia speculativa è la perfezione dell'anima, che si ottiene soltanto con la conoscenza, mentre il fine della filosofia pratica è la conoscenza volta all'azione. Per questa sua indipendenza dall'azione, la filosofia speculativa è più degna di quella pratica. Al termine di un lungo processo di divisione, Avicenna nella Logica (f. 2r a-b) giunge a dividere la filosofia speculativa in tre parti in base all'oggetto considerato: la scienza naturale si occupa delle cose che hanno l'essere nel movimento e che dipendono dalla materia; la disciplinale o scienza del numero studia le cose considerandole separate dalla materia solo quanto alla conoscenza (separata ab his [sc. materiis] in intellectu tantum); la scienza divina considera le cose che sono separate dalla materia sia quanto all'essere sia quanto alla conoscenza.
Nel Liber de philosophia prima (I, 2) Avicenna presenta le discipline teoretiche come segue: la scienza naturale ha per oggetto ('soggetto') il corpo in quanto sottoposto al moto e alla quiete; l'oggetto della scienza dottrinale è la misura e il numero, indipendentemente dal fatto che siano conosciuti nella materia o senza di essa, e gli accidenti che ne conseguono; l'oggetto della filosofia prima o scienza divina è l'essere in quanto tale con le sue proprietà. Secondo Avicenna Dio non è 'soggetto' della metafisica o punto di partenza o principio di essa, ma ne è piuttosto oggetto d'indagine, la cui esistenza è 'provata' in questa disciplina. Averroè per contro ritiene che l'esistenza di Dio è provata nella fisica, e che perciò oggetto della metafisica e suo punto di partenza sono Dio e le sostanze separate (di qui il dibattito scolastico sull'oggetto della metafisica).
La filosofia pratica si divide in scienza civile, domestica o economica e morale (Avicenna, Logica, f. 2r b); poiché le cose non sono ignote se non per noi, e noi acquistiamo la conoscenza procedendo dal noto all'ignoto, è necessaria una scienza che studi i modi di conoscere e le operazioni razionali per cui si passa dal noto all'ignoto. Questa scienza è la logica, che è strumento della filosofia, se si considera la filosofia come scienza delle cose che sono; se invece si considera la filosofia come scienza che si occupa della ricerca speculativa, qualunque essa sia, allora la logica è parte della filosofia ed è insieme strumento delle altre parti. Nel Liber de philosophia prima (I, 2) Avicenna afferma che oggetto della logica sono le intenzioni seconde conseguenti alla conoscenza delle cose (intenzioni prime), e cioè sono le determinazioni concettuali o modi di conoscere che accompagnano ogni nostra conoscenza delle cose. Con ciò egli mostra di dipendere dalla stessa tradizione alessandrina da cui dipendeva Boezio, ritrovandosi in sintonia con la posizione da questi sostenuta nel secondo commento all'Isagoge di Porfirio.
Un particolare apporto alla classificazione delle scienze è dato da Avicenna là dove egli analizza ciò in cui la scienza naturale conviene con le altre scienze. Nel Liber primus naturalium, 8, la fisica è messa in rapporto con le discipline matematiche; la quantità e i suoi accidenti essenziali (lunghezza, altezza e profondità) accompagnano il corpo naturale; per esempio, soggetto della geometria è la quantità, che è uno degli accidenti del corpo; poiché gli accidenti di cui si occupa la geometria sono accidenti della quantità, sembra che la geometria si particolarizzi in qualche modo nella scienza naturale, mentre lo stesso non si può dire della geometria 'pura'. Ciò è più difficile dirlo dell'aritmetica, che è più semplice della geometria. Ma vi sono altre scienze, le quali sono subordinate all'aritmetica o alla geometria: la statica (scientia de ponderibus), la musica, quella delle sfere mobili, l'ottica (scientia de aspectibus), l'astrologia. Esse ricevono i principî dalla filosofia della Natura e da una scienza matematica (la musica, dalla fisica e dall'aritmetica; l'ottica e la statica, dalla fisica e dalla geometria); in particolare, l'astrologia ha un oggetto che è gran parte dell'oggetto della fisica, e i suoi principî sono fisici e geometrici; essa perciò è una sorta di scienza mista di fisica e matematica (Liber primus naturalium, ed. van Riet, p. 72: hec scientia est quasi sit mixta ex naturali et disciplinali), ed è come se ponesse la matematica, in sé astratta, in una materia particolare (in materia designata). Si tratta delle cosiddette scienze medie, che hanno a che fare con la fisica e con la matematica per esempio secondo Tommaso d'Aquino (Nascimento 1974) e anche per lo Speculum astronomiae attribuito ad Alberto Magno (cap. 3). Avicenna parla di scienza 'mista', Averroè (Physicorum libri, II, comm. 20), a proposito dell'ottica, dice che il geometra considera le grandezze astratte, e il naturalis le grandezze nella materia, mentre l'ottico (aspectivus) considera la linea non semplicemente (come il geometra), né in quanto fatta di una certa materia (come il naturale), ma in quanto è visibile, che è essere medio tra quello fisico e quello matematico (la linea perciò è considerata in dispositione media; Gagné 1969).
Domenico Gundisalvi e Michele Scoto
Membro del Capitolo di Segovia, come è documentato fino al 1190, Gundisalvi partecipa all'acquisizione della scienza e della filosofia araba come traduttore di Avicenna (De anima, Liber de philosophia prima) e al-Ġazālī (Logica e Philosophia o Metaphysica), che si rifà ad Avicenna, ed è autore di due trattati sulla classificazione delle scienze, il De scientiis, che è una rielaborazione dell'opuscolo di Alfarabi, e il De divisione philosophiae, opera più personale composta intorno al 1150. Le fonti principali di Gundisalvi in quest'opera, oltre alla tradizione latina, sono Alfarabi e Avicenna (e al-Ġazālī); di Avicenna ha anche tradotto e inserito nel suo De divisione la Summa Avicenne de convenientia et differentia subiectorum (leggi scientiarum; Hugonnard-Roche 1984); si tratta di un capitolo della logica non incluso nella sezione di logica edita tra le opere di Avicenna tradotte in latino; esso si occupa della classificazione delle scienze in base ai relativi soggetti.
Nel prologo del De divisione, Gundisalvi afferma che l'uomo, composto di anima e corpo, è mosso naturalmente dal desiderio di ciò che giova alla carne o allo spirito. Le cose che riguardano la carne sono di tre tipi: necessarie al sostentamento della vita, voluttuarie (e cioè riguardanti il diletto) o curiose (come il possesso di ricchezze). Delle cose che toccano lo spirito, alcune sono nocive, come i vizi; altre sono vane, come gli onori e le arti magiche; altre sono utili, come le virtù e le scienze oneste, nelle quali consiste la perfezione dell'uomo. Quanto alle scienze oneste (scientiae honestae: si segua la tab. 4) è divina quella rivelata da Dio, mentre sono umane quelle trovate dalla nostra ragione, come tutte le arti liberali; di queste, alcune spettano all'eloquenza (grammatica, poetica, retorica e leggi umane), altre spettano alla sapienza, e sono le scienze che illuminano alla conoscenza del vero o che accendono l'amore del bene; queste ultime sono le "scienze della filosofia". Poiché non si dà scienza che non sia una parte della filosofia, l'autore si chiede in primo luogo cosa sia la filosofia e perché sia chiamata così; poi quali ne siano l'intenzione e il fine; poi ancora quali siano le sue parti con relative suddivisioni; da ultimo, cosa si debba sapere di ciascuna di essa.
Dopo aver esaminato varie definizioni di filosofia, quando discute dell'intenzione di essa, l'autore riprende Avicenna (intenzione della filosofia è comprendere la verità di tutte le cose per quanto è possibile all'uomo) e prosegue con temi avicenniani mediati da al-Ġazālī, dicendo che tutto ciò che è, o proviene da noi oppure non proviene da noi, ma da Dio o dalla Natura. Poiché ogni scienza ha un suo subiectum, e non c'è niente che non cada in uno dei due membri di quella partizione, la filosofia si divide innanzi tutto in theorica (che fa conoscere cosa bisogna intendere; Domenico Gundisalvi, De divisione, ed. Baur, pp. 4-12) e in practica (con cui conosciamo le disposizioni delle nostre opere). L'autore passa quindi ad articolare la filosofia teoretica, che è esaminata con procedimenti che seguono quelli di Avicenna, per concludere con lui che tre sono le parti della teoretica: la prima e "infima" è la physica o 'naturale', che considera ciò che non è separato dalla materia né quanto all'essere né quanto alla conoscenza; la seconda è la mathematica o 'disciplinale', che considera ciò che è separato dalla materia quanto alla conoscenza, ma non quanto all'essere (separata a materia in intellectu, non in esse); la terza è la theologia, 'scienza prima' o 'filosofia prima' o 'metafisica', che si occupa di ciò che è separato dalla materia sia quanto all'essere sia quanto alla conoscenza.
Gundisalvi conclude dicendo: "per questo Boezio dice che la fisica è inabstracta et cum motu, la matematica è abstracta et cum motu, e la teologia è abstracta et sine motu" (ibidem, pp. 14-15). Il riferimento è al De Trinitate di Boezio (v. cap. III), dove le qualificazioni sono attribuite alle discipline piuttosto che ai rispettivi oggetti; ma Gundisalvi corregge la formulazione boeziana per ciò che riguarda la matematica, che in Boezio è sine motu inabstracta (il sine motu ha a che fare con la speculazione delle forme senza la materia e perciò senza il movimento, mentre l'inabstracta sottolinea che le forme sono nella materia). Nella formulazione di Gundisalvi (abstracta et cum motu), abstracta qualifica la considerazione intellettiva, mentre cum motu fa riferimento all'essere nella materia. Come si può vedere, questa formulazione è ispirata da quella avvicenniana precedentemente ricordata (separata a materia in intellectu, non in esse). I problemi non finiscono qui per Gundisalvi; già a p. 13 dell'edizione sopra citata egli riecheggia la formula boeziana dicendo che, oltre agli oggetti della metafisica, "ci sono altre cose che non sussistono senza movimento, e tuttavia sono considerate senza movimento" (et alia sunt que quamvis non sint sine motu, tamen intelliguntur sine motu, ut quadratura). Più oltre, trattando del genere dell'arithmetica, l'autore riprende addirittura la formula boeziana, dicendo che l'aritmetica è la prima delle discipline matematiche e considera le cose "non astratte e senza movimento" (inabstracta et sine motu, p. 92), mentre introducendo il genere della geometria, afferma che essa è una delle quattro discipline che considerano abstracta et cum motu (p. 103). Gundisalvi continua illustrando come l'articolazione delle tre scienze teoretiche si abbia combinando abstracta/inabstracta e cum motu/sine motu: la teologia è abstracta et sine motu; la naturale è inabstracta et cum motu; la matematica è abstracta et cum motu, ed è media tra le altre due. Nel complesso, l'intenzione di Gundisalvi è chiara; comunque, non costitusce problema l'aver posto il rapporto della matematica con il movimento, giacché almeno l'astronomia ha per oggetto il movimento circolare dei cieli.
Dopo la partizione della filosofia teoretica, Gundisalvi nel prologo fornisce quella della filosofia pratica, che comprende la farabiana scienza del 'governo della città' o politica (accostata alla civilis ratio di Cicerone), alla quale sono finalizzate grammatica, poetica, retorica e scienza delle leggi secolari (o giurisprudenza); seguono la scienza del governo della famiglia, e l'etica o morale. A proposito dell'utilità di queste scienze, Gundisalvi ribadisce che le sei scienze filosofiche (speculative e pratiche) servono all'acquisizione della perfezione dell'anima in vista della felicità futura o eterna (pp. 16-17). Il prologo si conclude con una riflessione sulla logica, disciplina finora non considerata: poiché essa insegna a pervenire dal noto all'ignoto e a raggiungere il vero, è necessario che preceda tutte le parti della filosofia sia teoretica che pratica; a sua volta, la logica, che tratta di proposizioni e di termini, ha bisogno della grammatica; infine, ogni scienza o è parte della filosofia (sono ricordate soltanto le tre discipline teoretiche, non quelle pratiche), o è solamente uno strumento (tale è la grammatica), oppure è insieme parte e strumento della filosofia: tale è la logica.
Come si è appena detto, l'autore omette di ricordare le discipline pratiche, e ciò può anche essere casuale; è un fatto però che la trattazione della pratica è confinata in fondo all'opuscolo, dopo la Summa Avicenne, e svolta utilizzando Alfarabi. Trattando la scienza della politica, Gundisalvi afferma con Alfarabi che a essa spetta distinguere le azioni che portano alla beatitudine e quelle che sono ritenute tali ma che non portano a essa, e dice che "la vera beatitudine non si può avere nel presente, ma è da cercare nel futuro" (p. 134). A proposito della scienza del governo della famiglia, l'autore afferma che tale governo è esercitato in tre modi: con la disciplina si correggono i vizi, con la cura (sollicitudo) si provvede alle necessità dei familiari, che con la dottrina sono istruiti nelle arti oneste, alcuni in quelle liberali e altri in quelle meccaniche (fabriles), secondo quel che conviene a ciascuno. Di seguito, venti righe sono dedicate alle arti meccaniche, le cui specie sono distinte secondo le materie lavorate (non si fa alcun riferimento al settenario vittorino); dall'arte meccanica "si ricava un sussidio alla vita presente con cui si sovviene alle indigenze dei familiari" (p. 140).
Passando alla trattazione delle singole scienze (in risposta alla domanda su che cosa sia da indagare riguardo a ciascuna disciplina), Gundisalvi si propone di condurre l'indagine rispondendo a undici questioni (p. 19; esse sono documentate nei primi decenni del XII sec., come risulta dalle opere di Guglielmo di Conches, Thierry di Chartres e Pietro Elia, intorno al 1150; Fredborg 1988). Egli segue scrupolosamente i vari quesiti, che però non applica alla filosofia pratica e a poche altre discipline, come si dirà. La prima disciplina esaminata è la scienza naturale, di cui Gundisalvi presenta le specie e le parti. Poiché le scienze sono universali o particolari, e 'scienze universali' sono quelle che contengono sotto di sé molte altre scienze, la scienza naturale è universale perché sotto di essa sono contenute otto scienze che ne sono le 'specie' (le specie di una scienza sono le discipline a essa subordinate). Le otto specie sono quelle elencate nel De ortu scientiarum attribuito ad Alfarabi: la medicina, la scienza dei giudizi astrologici (scientia de indiciis: leggi iudiciis), la negromanzia naturale, la scienza delle immagini, l'agricoltura, la navigazione, la scientia de speculis e l'alchimia; inoltre, come già Alfarabi nel capitolo quarto del Liber de scientiis, anche Gundisalvi divide la fisica in otto parti, corrispondenti alle opere di filosofia naturale di Aristotele integrate da opere pseudoaristoteliche sui minerali e le piante.
Il fine della fisica è la conoscenza dei corpi naturali; lo strumento di cui si serve il fisico è il sillogismo dialettico, che procede da premesse vere o soltanto probabili (così Gundisalvi interpreta l'indicazione di Boezio relativa al metodo della filosofia della Natura: "Strumento di quest'arte è il sillogismo dialettico, che risulta da ciò che è vero e probabile. Perciò Boezio dice: nella filosofia naturale è necessario procedere secondo ragione", p. 27). Poiché si serve di sillogismi, la filosofia della Natura dev'essere insegnata e appresa dopo la logica (v. anche p. 81, dove l'autore afferma che la logica si pone come media tra le scienze dell'eloquenza e quelle della sapienza).
La seconda scienza speculativa è la matematica, che è scienza astrattiva perché considera 'senza' la materia le cose esistenti 'nella materia'. L'astrazione è l'apprensione della forma di qualsiasi cosa, e poiché una forma è appresa diversamente dalle varie facoltà apprensive, la forma può essere astratta in modo più o meno perfetto. Soltanto l'intelletto apprende la forma astraendo perfettamente da ogni materia o accidente di essa. Oggetto o materia della matematica è la quantità in generale, che comprende grandezza e molteplicità. Essendo scienza universale, la matematica ha sotto di sé sette arti, o specie (v. anche tab. 4): aritmetica, geometria, musica, astrologia, ottica (scientia de aspectibus), statica (scientia de ponderibus), tecniche (scientia de ingeniis). Questo settenario corrisponde a quello del capitolo terzo del Liber de scientiis di Alfarabi. 'Parti' della matematica sono le discipline del quadrivio, che hanno come 'materia' tutta la categoria di quantità. Se le specie di una scienza universale sono le discipline a essa subordinate, pare strano che l'aritmetica e la geometria figurino tra le scienze subordinate alla matematica (mentre è comprensibile che lo siano la musica e l'astronomia). Lo strumento argomentativo della matematica è la dimostrazione, cioè il sillogismo che procede da proposizioni vere e prime. L'autore ricorda anche che si danno due arti dimostrative, la logica e la geometria, e riserva qualche cenno agli Elementi di Euclide (p. 33). Secondo Gundisalvi, l'ordine impone che la matematica sia studiata dopo la fisica: qui egli segue Avicenna, mentre nel suo De scientiis segue Alfarabi collocando la matematica dopo la logica e prima della fisica. Caratterizzata poi la metafisica o scienza divina (che non è la scienza rivelata) secondo la tradizione araba (soprattutto Alfarabi e Avicenna), Gundisalvi afferma che essa deve essere studiata dopo le altre discipline teoretiche (in realtà, allo studio della metafisica sono necessarie le scienze naturali, l'aritmetica, la geometria e l'astronomia; le altre discipline matematiche e quelle morali sono utili, ma non necessarie a essa, p. 39).
In effetti, dopo la presentazione nel prologo delle varie parti della filosofia e dopo lo studio dettagliato delle tre discipline teoretiche con l'indicazione delle loro specie e parti, Gundisalvi passa all'esame (mediante le undici questioni) delle singole scienze, anche di quelle introdotte come articolazioni delle discipline universali. Poiché le scienze dell'eloquenza precedono cronologicamente quelle della sapienza, Gundisalvi comincia dalle prime. Di grammatica, poetica, retorica e logica egli dà una trattazione che mette a frutto fonti latine (per grammatica e logica, anche fonti arabe; per la retorica è utilizzato Thierry di Chartres; Fredborg 1988); lo stesso avviene per la medicina, per cui fa ricorso a Isidoro (salvo qualche riferimento ad Avicenna). La medicina è l'unica delle otto specie della fisica di cui si dia un'esposizione; distinta in teorica e pratica, e fornita di strumenti naturali e artificiali, ha il suo 'artefice' nel medico. Le altre specie della fisica non sono trattate perché l'autore confessa di non averne conoscenza (quoniam ad cognicionem earum nondum peruenimus, p. 89). Perciò alla medicina fanno seguito le sette specie della matematica, nell'ordine: aritmetica, musica, geometria, ottica, 'astrologia' (che per Gundisalvi è la scienza della grandezza mobile o astronomia), a cui l'autore aggiunge la trattazione dell''astronomia' (si tratta in realtà dell'astrologia); seguono la statica (de ponderibus) e le tecniche (de ingeniis). Le tre scienze di ottica, statica e tecniche sono illustrate utilizzando Alfarabi e senza il ricorso alle undici questioni.
Va rilevato che anche nella trattazione delle matematiche l'autore introduce, quando può, la distinzione tra parte teorica e parte pratica della disciplina, indicandone gli strumenti e gli artefici. In particolare per l'aritmetica, Gundisalvi afferma che la dimostrazione è lo strumento della parte teorica, mentre l'abaco è lo strumento di quella pratica, e chiama 'aritmetico' colui che è competente nell'una o nell'altra parte. Per la geometria, egli indica soggetti diversi per le due parti; l'artifex della teoria è il geometra, che conosce e insegna la geometria e che si serve della dimostrazione, mentre l'artifex della pratica è colui che esercita operando, ossia gli agrimensori e i fabbri, che operano nelle "arti meccaniche" (pp. 108-109). Per l''astrologia' (astronomia), la parte contemplativa è lo studio dei corpi celesti, delle loro proprietà e dei loro moti anche in rapporto alla Terra; i suoi strumenti sono quelli enumerati nell'Almagesto (i regoli di Tolomeo e la sfera armillare; v. cap. XXVIII, par. 2): l'astrologo sa comprendere il suo oggetto con argomenti e strumenti adeguati (certis racionibus et instrumentis, p. 118); mentre l''astronomia' (astrologia) ha come strumento l'astrolabio ed è studiata dall''astronomico'. Alla statica l'autore dedica soltanto sette righe rifacendosi ad Alfarabi, e allo stesso autore si rifà nella più ampia trattazione delle tecniche, dove Gundisalvi afferma con Alfarabi che le 'scienze' degli ingenia forniscono i principî delle "arti pratiche civili" (come si è visto, le arti meccaniche sono ricondotte da Gundisalvi al governo della famiglia).
Con la trattazione delle specie della matematica si conclude l'esposizione delle parti speculative della filosofia (p. 124). Il trattato non contiene nient'altro che il testo di Avicenna e la breve esposizione della parte pratica della filosofia, di cui si è già detto. Resta da fare qualche considerazione sulla logica, la quale ha una posizione diversa dalle altre arti del linguaggio, che sono ricondotte alla politica. Gundisalvi cita Alfarabi che le assegna otto parti (p. 71), ma abbiamo visto che la retorica e la poetica sono di fatto trattate tra le scienze dell'eloquenza, cioè prima della logica (p. 82). Le specie della logica sono i tre generi delle questioni (morale, naturale e razionale, p. 75, indicate da Aristotele nei Topici, I, 14, 105b, 20); l'oggetto o la materia della logica sono le avicenniane seconde intenzioni (p. 70). La trattazione, che utilizza materiali di provenienza araba e latina, sottolinea con Alfarabi l'importanza degli Analitici secondi, la cui dottrina tratta della prova più forte (la dimostrazione): per questo l'opera è ritenuta la più degna di tutta la logica e quella a cui tutta la logica è finalizzata (pp. 71-72); essa è anche inclusa nel programma di insegnamento (p. 83). Prima di Gundisalvi, Thierry di Chartres aveva incluso nell'Eptatheucon tutto l'Organon di Aristotele con esclusione degli Analitici secondi, mentre Giovanni di Salisbury fornisce elementi della dottrina degli Analitici secondi nel Metalogicon. L'inclusione effettiva dell'opera nei programmi di studio è attestata da Alessandro Neckam negli ultimi anni del XII secolo.
Come si può constatare, l'articolazione delle scienze offerta da Gundisalvi non fa appello all'antropologia cristiana né in generale alla dimensione religiosa (salvo in modo marginale, con il riferimento alla scienza divina rivelata e alla vita futura, alla maniera di Alfarabi), ma anzi delinea un'antropologia naturale, per la quale l'uomo tende a soddisfare i suoi desideri e bisogni, fisici e spirituali, per conseguire la propria perfezione, che consiste nell'acquisire la scienza onesta e la virtù.
Quanto all'intervento sulla divisione della filosofia attribuito a Michele Scoto, attivo nei primi tre decenni del XIII sec. (alcuni frammenti inclusi nello Speculum doctrinale di Vincenzo di Beauvais sono stati raccolti da L. Baur in appendice al De divisione philosophiae di Gundisalvi), esso è caratterizzato da una duplice divisione della pratica. Anche per Michele, come per tanti altri dotti, la filosofia si divide in teoretica e pratica; la teoretica è divisa in naturale, matematica e divina. La pratica invece è divisa in due modi diversi. Una prima volta è distinta in civile (comprendente "la scienza della lingua, la morale, la meditazione e tutte le altre scienze che riguardano gli uomini civili e onesti") e volgare (che comprende "l'arte del calzolaio, quella del fabbro e le altre arti che riguardano il volgo e gli uomini vili", Domenico Gundisalvi, De divisione, p. 399). Tenendo conto di questa divisione della pratica, Michele fissa tre gradi, o livelli, delle scienze: quelle nobili (cioè le teoretiche), quelle civili e quelle volgari. La seconda divisione della pratica è modellata sulla tripartizione della teoretica. Alla filosofia naturale corrisponde una parte che comprende medicina, agricoltura, alchimia, negromanzia, scienza dei giudizi astrologici, scienza degli specchi, navigazione "e molte altre" (rispetto all'elenco di otto scienze dato da Alfarabi e Gundisalvi, manca soltanto la scienza delle immagini); esse "hanno rapporto con la parte teoretica che è detta naturale e la riguardano a mo' di pratica di essa". Alla seconda scienza teoretica, matematica o scienze dottrinali, corrispondono commercio, carpenteria, arte del fabbro, del cementiere, del tessitore, del calzolaio "e molte altre che riguardano la meccanica [per 'matematica'?] e ne sono in certo modo la pratica". Alla terza, la teologia, corrispondono la scienza morale, la scienza della legge divina e "tutte le scienze che invogliano alla pietà e alla virtù, le quali tutte, sia civili che volgari, riguardano la scienza divina e ne sono in certo modo la pratica" (p. 399). Negli altri frammenti che descrivono le scienze teoretiche, Michele afferma che la matematica va letta dopo la fisica, il che è conforme all'insegnamento di Avicenna, ripreso anche da Gundisalvi.
La fama di Michele Scoto nel Medioevo fu enorme; essa è documentata anche dall'utilizzazione del suo testo da parte di Vincenzo di Beauvais. L'influenza di Gundisalvi si è affiancata a quella di Alfarabi e di Avicenna ed è stata notevole, come si può rilevare dalla lettura del De ortu scientiarum di Kilwardby, e da tracce che rischiano di restare marginali se non si utilizza anche la letteratura filosofica in lingua volgare. Nei primi capitoli de Li livres dou Tresor di Brunetto Latini, per esempio, è introdotta una divisione della filosofia che conserva elementi dell'influenza araba mediata da Gundisalvi. La filosofia è vera ricerca delle cose naturali, di quelle divine e di quelle umane, in quanto è possibile all'uomo comprendere. Essa si divide in tre scienze. La prima ci fa conoscere la natura delle cose e si suddivide in teologia, fisica e matematica (la matematica è il quadrivio, che comincia con l'aritmetica, la quale insegna l'abaco e l'algorismo). La seconda scienza è quella pratica, che ci insegna cosa si deve o non si deve fare, e si articola in etica, economica e politica, la quale è "la scienza più alta". La politica insegna tutte le arti e tutti i mestieri necessari alla vita dell'uomo, concernenti i due versanti, delle opere e delle parole. Riguardano le opere, i mestieri detti 'meccanici'; riguardano il linguaggio, le tre arti o scienze della grammatica, della dialettica e della retorica. La terza scienza della filosofia è la logica, che insegna a 'mostrare ragione' per cui si devono fare alcune cose e non altre; essa si articola in dialettica, dimostrativa e sofistica (I, 2-5; Imbach 1996).
L'organizzazione del sapere nelle università
L'anonimo Tractatus quidam de philosophia et partibus eius propone quattro sistemi di divisione della scienza. Il primo è costituito dalla divisione della 'filosofia' che Origene sostenne nel commento al Cantico dei cantici (v. cap. III, par. 1), e cioè fisica, etica e teologia. Il secondo corrisponde alla divisione delle 'scienze' di Guglielmo di Conches che, a giudicare dall'estensione dell'esposizione, l'anonimo autore condivide. Il quarto propone la divisione della filosofia in quattro parti (fisica, etica, teorica o razionale, e teologia), che è forse da accostare a un'analoga divisione data da Eriugena (v. cap. III, par. 1). La terza divisione (che sembra originale all'editore del testo, Gilbert Dahan) comprende tre scienze che si propongono di "conservare" l'uomo: la fisica (o medicina), che cura il corpo, la teologia, che ha cura dell'anima, e il diritto, che ha cura di ciò che è necessario alla congiunzione dell'anima e del corpo. Le sette arti liberali, distinte in trivio e quadrivio, costituiscono le vie che portano a queste scienze. Tale divisione è importante almeno per tre motivi. In primo luogo, per l'inclusione del diritto accanto alla fisica-medicina e alla teologia; il diritto è poco presente nelle classificazioni delle discipline, e di solito non ha un ruolo autonomo, ma è associato alla politica; la sua collocazione in questo schema potrebbe essere segno del forte ruolo assunto nella cultura del tempo. In secondo luogo, per l'ispirazione vittorina che permea lo schema, sia perché le tre scienze sono considerate non proprio 'rimedi', ma una sorta di 'cura preventiva' per l'uomo, sia perché alle arti liberali sono accostate quelle meccaniche, le quali, per la verità, sono introdotte a completare per contrasto la definizione della natura delle arti liberali; difatti la presentazione delle arti meccaniche ‒ adulterine in quanto imitatrici delle liberali, e di cui si indicano il numero, la nomenclatura (tra di esse è la medicina) e gli inventori ‒ spezza la trattazione delle arti liberali. Il terzo motivo per cui questa divisione delle scienze è importante è la sottolineatura del fatto che le arti liberali sono vie che portano alla filosofia, mentre di solito ne sono considerate parti, almeno da Alcuino in poi (per Thierry di Chartres però esse sono strumenti della filosofia).
La posizione espressa dal terzo schema del Tractatus può rappresentare una riflessione sulle nuove forme di organizzazione scolastica che prendevano corpo nelle università e registrare la fioritura delle scuole che erano riconosciute dalla corporazione. Le università medievali (dette studia nella loro strutturazione complessiva; il termine universitas indica la corporazione) riconoscevano quattro grandi ambiti disciplinari o facoltà (ma 'facoltà' è anche sinonimo di 'scienza'): arti, medicina, diritto canonico e civile, teologia. Medicina e diritto erano ritenute scienze lucrative; arti e teologia erano ritenute liberali (per la verità, la medicina, considerata per lo più un'arte meccanica, è inclusa tra le discipline universitarie per il grande impegno teorico che la caratterizza). Nell'università erano dunque riconosciute le discipline che realizzavano appieno l'ideale del sapere; le arti meccaniche non andavano al di là della corporazione di arti e mestieri.
Quanto al rapporto tra la Facoltà delle arti e le Facoltà cosiddette superiori, bisogna dire che l'Università di Oxford stabilì (1253) che il candidato al magistero in teologia dovesse avere svolto le funzioni di maestro in arti; lo stesso requisito doveva essere richiesto dalla Facoltà di teologia di Parigi (la norma è presente nei tardi statuti della Facoltà di teologia di Bologna, esemplati su quelli di Parigi). Per l'accesso alle altre facoltà era richiesto che i candidati avessero una preparazione 'sufficiente', ed era normalmente riconosciuto che lo studio delle arti costituiva l'indispensabile preparazione per poter seguire con profitto i corsi delle altre facoltà; di solito, il candidato a una delle tre facoltà era passato per la Facoltà delle arti. I religiosi appartenenti agli ordini mendicanti (domenicani, francescani, agostiniani, carmelitani) istituirono scuole interne di grammatica, logica, filosofia e teologia; una volta stabilizzato il sistema delle scuole conventuali, i religiosi candidati al magistero in teologia (titolo che soltanto l'università conferiva, mentre i docenti approvati solamente dall'ordine erano detti 'lettori') godettero del privilegio dell'esenzione dagli obblighi imposti ai candidati secolari.
L'insegnamento della filosofia (e delle scienze, ossia filosofia della Natura e quadrivio) era impartito nella Facoltà delle arti. Gli statuti parigini di arti del 1215, i più antichi pervenuti, permettono di dare uno sguardo alla primitiva organizzazione dell'insegnamento. I corsi principali (ordinari) erano quelli di logica o dialettica, 'vecchia' (Isagoge di Porfirio, Categorie e De interpretatione di Aristotele, alcune monografie boeziane) e 'nuova' (detta così perché i relativi testi entrarono in uso dalla metà circa del XII sec.: Analitici primi e Analitici secondi, Topici ed Elenchi sofistici di Aristotele), e i corsi di grammatica (Istituzioni di Prisciano); vi erano poi corsi impartiti nei giorni festivi (straordinari) e riguardavano i primi libri dell'Etica Nicomachea, il quadrivio e la retorica; vi erano, infine, i corsi proibiti, quelli impartiti sulla filosofia naturale di Aristotele e sui commenti a essa. L'arrivo delle traduzioni delle opere naturali di Aristotele e la loro utilizzazione come libri di testo nelle lezioni aveva creato difficoltà a Parigi, e nel 1210 l'autorità ecclesiastica aveva proibito, sotto pena di scomunica, che si impartissero lezioni su quei testi. La proibizione fu a lungo ribadita, anche se la scomunica fu tolta nel 1231; soltanto nel 1255 gli statuti della Facoltà delle arti richiesero che il candidato conoscesse gran parte del corpus delle opere di Aristotele (compresi alcuni testi pseudoaristotelici). Successivamente l'insegnamento della filosofia si svolse sui testi di Aristotele non soltanto a Parigi, ma anche nelle altre università. L'insegnamento del quadrivio restò poco definito dagli statuti delle università e va ricostruito per altre vie, anche se gli statuti delle Facoltà di medicina e di arti di Bologna del 1405 documentano un curriculum di astrologia.
Particolare importanza ebbe sempre l'insegnamento della logica. Come si è detto, si distingueva tra 'logica vecchia' (logica vetus) e 'logica nuova' (logica nova), le quali costituivano la 'logica antica' (logica antiqua), ossia l'insieme dei testi ereditati dall'Antichità; di contro alla logica antica, si poneva la 'logica dei moderni' (logica modernorum), che rappresenta il contributo originale dei maestri medievali. La logica forniva gli strumenti argomentativi da usare nelle varie discipline e nella discussione delle formulazioni linguistiche in esse impiegate, con il risultato che il linguaggio assunse un carattere fortemente tecnico, governato da regole precise. Ciò avvenne soprattutto nell'ambito della filosofia della Natura, a proposito di temi della Fisica di Aristotele o di temi connessi con essi, riguardanti il moto locale, il cambiamento di una forma (acquisizione, accrescimento o intensificazione, oppure diminuzione e perdita), il grado d'intensità di un fenomeno, il limite di una potenza; questi temi costituirono parte importante del contributo dei maestri oxoniensi e parigini alla critica ad Aristotele, che ebbe ampia diffusione in Europa.
Infine, la ricezione degli Analitici secondi, nei quali Aristotele delinea la propria concezione della scienza, segnò una svolta nelle riflessioni sullo statuto epistemologico delle varie discipline, non soltanto di quelle tradizionalmente più forti (quelle speculative), ma anche di altre, come la grammatica o la teologia. Tali riflessioni si svilupparono con maggiore intensità a Parigi verso il 1270, quando si affermò la grammatica speculativa dei modisti (Martino di Dacia e Boezio di Dacia), e, dopo un'elaborazione durata qualche decennio, fu rifinita la concezione della teologia come scienza, che ebbe il più noto sostenitore in Tommaso d'Aquino (Chenu 1969).
Per tutto il XIII sec. fiorirono le opere di introduzione alla filosofia o di divisioni delle scienze, che sono importanti anche perché fanno conoscere i programmi effettivi dei corsi nelle varie discipline (le parti dei testi la cui conoscenza era formalmente ‒ de forma ‒ richiesta). Studi recenti forniscono strumenti per l'approfondimento di questi temi (Lafleur 1988, 1997). Qui di seguito ci si sofferma sul testo di Kilwardby, che rappresenta il contributo più significativo del XIII sec. al dibattito sull'articolazione delle scienze.
Roberto Kilwardby e l'aristotelismo
L'inglese Roberto Kilwardby (m. 1279) studiò nella Facoltà delle arti dell'Università di Parigi (dal 1231 ca.), di cui divenne maestro (dal 1237 al 1245 ca.), prima di entrare nell'ordine dei domenicani e intraprendere gli studi di teologia. Intorno al 1250 compose il De ortu scientiarum, sull'origine e le connessioni delle scienze, che rappresenta il contributo più rilevante del XIII sec. al dibattito sull'articolazione delle conoscenze. In quest'opera l'autore fornisce un quadro della riflessione maturata sulla tradizione del Didascalicon di Ugo di San Vittore, molto apprezzato da Roberto, tenendo conto dell'opera di Gundisalvi; ciò che caratterizza Kilwardby è peraltro l'utilizzazione di quasi tutto il corpus delle opere di Aristotele, e in particolare degli Analitici secondi, a cui egli ha dedicato un ampio commento, il secondo commento latino a noi pervenuto nella sua interezza dopo quello di Roberto Grossatesta. Kilwardby utilizza Averroè e non cita espressamente né Alfarabi né Avicenna, ma ne riprende, direttamente o indirettamente, alcune posizioni.
Come già aveva fatto Gundisalvi, anche Roberto esordisce (tab. 5) distinguendo la scienza in divina e umana; divina è quella rivelata da Dio agli uomini, umana è quella prodotta dall'uomo. La scienza umana è in parte degna di lode (licita, ed è la philosophia) e in parte vituperabile (illicita, ed è la magica); infatti, la ragione umana ha (agostinianamente) sopra di sé e in sé le ragioni eterne del vero lume, e fuori di sé le ragioni impresse dalla legge della concupiscenza che si giovano dell'aiuto degli spiriti maligni. Attingendo alle ragioni eterne, l'uomo trova la verità degna di lode che è la filosofia; volgendosi sotto di sé alla concupiscenza e agli spiriti maligni, trova la scienza vituperabile, cioè la magia (a essa è dedicato l'ultimo breve capitolo dell'opera, a imitazione di Ugo di San Vittore). Si dà così una triplice scienza: la prima è necessaria alla salvezza, e di essa il trattato non parla; la terza allontana l'uomo dalla verità e dall'onestà con l'offerta di voluttà e vanità, e perciò è da evitare perché nociva; la seconda non è necessaria, ma è utile e da seguire, perché insegna per un verso la verità delle cose, e per un altro il modo di vivere onestamente. Questa è la filosofia, di cui l'autore si occupa. La filosofia ha un duplice oggetto, in quanto considera tutte le cose divine e umane (subiectum de quo), e mira a orientare l'uomo (subiectum in quo) verso la vita onesta, che è il fine verso cui è ordinata ogni conoscenza (De ortu scientiarum, capp. 1-2). Seguendo Aristotele (De anima, III, 8, 431b 24-26), la divisione della filosofia è basata sulla divisione delle cose di cui tratta. Occupandosi di cose divine e umane, la filosofia si divide in due parti, delle quali la prima (de rebus divinis) è la speculativa, la seconda (de rebus humanis, ma non ha un nome generale e complessivo) si articola in operativa (etica e meccanica) e sermocinalis (scienza del linguaggio; De ortu scientiarum, cap. 3), articolata in grammatica, logica e retorica. L'origine della filosofia speculativa in generale è illustrata dall'autore con puntuale ricorso alla Metafisica (per natura tutti gli uomini desiderano conoscere) e agli Analitici secondi (ogni dottrina intellettiva è prodotta da una conoscenza preesistente): l'uomo conosce partendo dal senso e pervenendo all'universale; il fine della speculativa è il compimento del desiderio umano di conoscere (De ortu scientiarum, cap. 4). Anche la divisione della filosofia speculativa in naturale, matematica e divina è fondata su Metafisica VI. La prima ha per oggetto le cose mobili e materiali in quanto tali, la seconda considera le cose mobili e materiali non in quanto tali, ma astraendole dal movimento e dalla materia; la terza considera le cose del tutto immobili e veramente separate dalla materia. L'autore nota che "scienza divina" si dice della teologia dei cristiani e della metafisica dei filosofi; la prima è scienza divina sia perché parla di Dio sia perché è data da Dio; la seconda lo è perché parla di Dio come sostanza per eccellenza, ma è stata trovata dalla ragione umana (De ortu scientiarum, cap. 5).
Sempre con precisi riferimenti ad Aristotele, l'autore illustra origine, oggetto, fine e definizione della filosofia naturale (ibidem, cap. 6), e ne approfondisce la dottrina ponendo alcuni dubbi e rispondendo a essi (v. par. 2). La trattazione della filosofia della Natura si conclude con la divisione di essa, che segue l'ordine dei libri in cui è contenuta; sono enumerate le opere di Aristotele, con l'integrazione dello pseudoaristotelico De plantis (di Nicola di Damasco). Rispetto alla divisione della scienza naturale in otto parti, trasmessa da Alfarabi, i Meteorologica sono considerati non come corrispondenti a due parti, ma come l'opera che complessivamente tratta del 'corpo inanimato'; inoltre, manca in Kilwardby la menzione di un qualche 'libro sui minerali'. Concludendo questa parte, Roberto esamina l'opinione (sostenuta anche da Ruggero Bacone, maestro in arti a Parigi negli stessi anni in cui insegnava Roberto), per la quale, essendo i corpi animati di tre tipi ‒ vegetale (vegetativum), animale (sensitivum) e umano (intellectivum) ‒ accanto al De plantis e al De animalibus bisognerebbe porre la medicina, che tratta del corpo animato dall'anima intellettiva. A tale obiezione l'autore risponde innanzi tutto che il corpo umano non è curato in quanto 'intellettivo', ma in quanto vegetativo e sensitivo; e poi, che Aristotele nel De animalibus ha trattato anche del corpo umano; infine, che la filosofia naturale è scienza speculativa, mentre la medicina è scienza meccanica; le due scienze perciò non stanno l'una accanto all'altra perché non sono incluse nella stessa parte della filosofia (De ortu scientiarum, cap. 10).
La complessa trattazione della matematica inizia dalla definizione della geometria, la parte della matematica che studia la quantità continua, stabilendone l'origine, l'oggetto e il fine (ibidem, cap. 11, con riferimenti a Euclide). Dalla geometria deriva l'astronomia, l'altra disciplina che si occupa della quantità continua, che è distinta in tre parti: la prima, detta da Isidoro astronomia, è la parte matematica ed è vera scienza, nota agli uomini probabiliter; la seconda, detta astrologia, è la parte fisica che cerca di dar ragione degli eventi naturali del mondo sublunare a partire dall'influenza dei cieli (è anch'essa vera scienza, nota a Dio e agli uomini di spirito retto, ma per lo più del tutto ignota o pochissimo nota); la terza, detta anch'essa astrologia, cerca di predire il futuro, ed è mendace e superstiziosa. L'astronomia (matematica) è connessa con l'astrologia (naturale) perché questa non può conoscere natura e influssi delle stelle senza di quella (cap. 12). L'astronomia sorge dalla geometria, e così pure l'ottica, che è trattata di seguito (ma non è considerata come quinta disciplina matematica, perché appartiene alla scienza naturale; è naturale per l'oggetto e le proprietà che dimostra di esso, ma è subalterna alla geometria quanto alla dimostrazione; infatti, la geometria fornisce la causa, il propter quid, di ciò di cui l'ottica dimostra l'esistenza, il quia; capp. 13 e 17). I temi introdotti sono approfonditi con l'esame di alcuni dubbi (dubitationes) riguardanti innanzi tutto il rapporto tra le due discipline speculative, fisica e matematica, e poi sulla geometria e sull'astronomia, oltre che sull'ottica, affrontando problemi di subalternazione delle scienze. L'autore passa quindi alla quantità discreta, trattando della musica e dell'aritmetica (cap. 18), e ponendo e rispondendo a dubbi (in alcuni casi si parla di quaestiones), uno dei quali gli dà modo di diffondersi sul tema dell'infinito (cap. 24).
Prima di lasciare la trattazione della matematica, Roberto pone il problema dell'astrazione, la quale è soprattutto attribuita al matematico, sebbene ogni scienza 'astragga' (la scienza è infatti dell'universale). Ci sono tre gradi di astrazione, corrispondenti alle tre scienze speculative: il grado minimo è quello della fisica, che astrae soltanto dalla materia in quanto sensibile e individuata nell'hic et nunc; il secondo è quello della matematica, che astrae dal moto di alterazione e dalla materia in quanto soggetta a qualità sensibili, ma non astrae dal moto continuo del corpo celeste e dalla materia in quanto soggetta all'accidente della quantità; il terzo grado è quello del metafisico, che astrae da qualsiasi accidente, in modo da considerare la sostanza nella sua purezza (cap. 25). Nella trattazione della filosofia prima (scienza divina o metafisica), l'autore pone il problema del suo oggetto, e afferma che è l'ente in quanto ente. Di conseguenza, la metafisica ha per oggetto "tutto da un punto di vista universale" (omnia in universali), cioè la causa prima e i suoi effetti (cap. 26). Una prima parte della metafisica tratta di Dio, l'altra delle creature. Dei problemi esaminati ne vanno ricordati almeno due: uno riguarda la materia del cielo (cap. 30) e degli enti creati (cap. 31); l'altro riguarda l'insieme delle scienze speculative, che sono distinte non in base alle dieci categorie, ma secondo i tre gradi di astrazione (cap. 33).
Le scienze che riguardano l'operare umano, come si è visto, sono tre: la morale, le arti meccaniche e le scienze del linguaggio. Ciascuna di esse ha le sue articolazioni. Come per la filosofia speculativa, anche la presentazione dell'origine della scienza morale o attiva in generale, del suo oggetto, del suo fine e della sua definizione, prende le mosse da Aristotele (Etica Nicomachea, I, 1, 1094a 2). Ogni cosa desidera il bene, ma si desidera ciò che non si ha; quando si consegue il bene, l'appetito si trasforma in amore del bene conseguito. Il bene è raggiunto grazie alla virtù motiva e alle sue operazioni; è infatti l'azione della facoltà conoscitiva che porta al vero che ne è la perfezione, ed è azione dell'appetito il movimento intrinseco o estrinseco (oppure sia intrinseco sia estrinseco) con cui conseguiamo il bene, perfezione dell'appetito. All'uomo mancano molti beni spirituali e corporali che può ottenere con movimento e azione; egli ha così prodotto le scienze pratiche che lo dirigono nelle operazioni tese al raggiungimento dei vari beni. La filosofia pratica o attiva ha come oggetto le operazioni umane e i loro effetti, e come fine la perfezione dell'appetito, ottenuta mediante il conseguimento del bene; nella definizione di Roberto, la scienza attiva è la parte della filosofia che tende alla perfezione dell'appetito umano per mezzo del bene che esso desidera (De ortu scientiarum, cap. 35). Ciò premesso, risulta chiara la divisione della filosofia pratica (che è in linea con la posizione di Goffredo di San Vittore): l'etica tratta del bene spirituale dell'uomo; la meccanica del bene corporale. Il bene spirituale dell'uomo è la beatitudine sia secondo i cristiani sia secondo gli antichi filosofi, i quali però parlano per lo più di felicità. I cristiani tuttavia pensano che la beatitudine non si possa conseguire pienamente in questa vita, mentre alcuni filosofi, tra i quali lo stesso Aristotele, ritengono che l'uomo, vivendo una vita virtuosa, la più perfetta che gli è possibile, possa raggiungerla in questa vita. E l'autore argomenta: "Se dunque la beatitudine è desiderata naturalmente, poiché il desiderio naturale non è vano, ne risulta che la beatitudine si può raggiungere" (ibidem, p. 125); per raggiungerla è necessaria la virtù, e per far progredire gli uomini nella virtù i filosofi hanno fissato regole e precetti. Così è sorta l'etica, che si articola in individuale (monastica e morale), economica (privata e dispensativa) e politica (pubblica e civile). A questa scienza, e soprattutto a quella civile, appartengono anche il diritto canonico e quello civile (cap. 36).
A sua volta, la meccanica è sorta perché l'anima umana naturalmente desidera unirsi al corpo (di cui vuole il bene) e odia separarsene. La ragione umana ha provveduto alle molte debolezze del corpo con le arti meccaniche, che perciò sono nate dal desiderio umano (cap. 37). Kilwardby ha molto rispetto per Ugo di San Vittore, che le ha sistemate nel settenario (modellato su quello delle arti liberali, distinte in trivio e quadrivio), ma non condivide né l'impianto del settenario, né la trattazione delle arti, né le denominazioni utilizzate dal Vittorino. Per rendere più congruente per i cattolici l'approccio alle arti meccaniche, egli propone le sue osservazioni (ritenendo che Ugo conservi ancora l'approccio pagano); suggerisce l'espulsione della teatrica (riconducendo alla medicina ciò che nella teatrica è lecito) e, contestualmente, include l'alchimia nella mercatura. Non fornisce divisione, definizione, oggetto e fine delle arti meccaniche, affermando che esse sono conosciute più da chi "opera con la mano" che dai filosofi, e inoltre perché possono essere distinte in vario modo: secondo Roberto, "non si vede alcuna necessità di porre proprio un settenario in arti tanto innumerevoli, ma solo un'apparente congruenza con il settenario delle arti liberali. E forse si potrebbe facilmente trovare una qualche arte meccanica non riducibile agevolmente a una di queste" (p. 133). Tuttavia l'autore finisce per fornire il suo proprio settenario delle arti meccaniche: terraecultus, cibativa o nutritiva e medicina sono ricordate a mo' di trivio; mentre vestitiva o coopertiva, armatura o armativa, architectonica e mercatura sono annoverate a mo' di quadrivio.
L'autore solleva un problema importante circa l'appartenenza delle scienze pratiche alla filosofia. All'obiezione secondo la quale esse non sono scienze, ma arti, perché la scienza si occupa dell'universale e del necessario, mentre l'etica e la meccanica si occupano di cose riguardanti gli individui, che sono contingenti, Roberto risponde precisando il valore dei termini e introducendo delle distinzioni. Innanzi tutto, il termine 'filosofia' (come del resto 'scienza' e 'disciplina') è detto delle scienze speculative e di quelle pratiche non allo stesso modo e allo stesso titolo, ma in maniera analogica. Inoltre, quando dice che la scienza riguarda l'universale, Aristotele parla della dimostrazione, che è l'argomentazione propria della parte speculativa della filosofia, non di quella attiva; quando poi dice che la scienza riguarda il necessario, il filosofo parla delle scienze dimostrative per eccellenza, che sono le matematiche, e non di quelle pratiche. Queste ultime, tuttavia, nonostante tutto sono insieme 'scienze' e 'pratiche': scienze, perché implicano qualche speculazione sull'universale (il che le accomuna alle speculative); pratiche, perché compete loro anche la capacità di operare; esse hanno perciò a che fare con il singolare, propriamente con il singolare 'vago' che, come si vedrà, è una forma di universale, e riguardano soltanto accidentalmente l'individuo. Certo, neppure la fisica, che pure è parte della speculativa, produce sempre conoscenza certa, poiché si occupa del contingente; essa si occupa del contingente naturale che per lo più si comporta in uno stesso modo (contingentia nata quae ut frequentius se habent uno modo). L'etica e la meccanica, invece, si occupano degli "infiniti ed erratici" contingenti che dipendono dall'arbitrio umano, perciò esse non producono conoscenza certa; la fisica invece produce conoscenza certa nella maggior parte dei casi, ma non in tutti.
Quanto alla verità e alla certezza conseguita dalle singole scienze, Kilwardby fornisce la seguente gerarchia: al primo posto stanno metafisica e matematica (l'una per la dignità dell'oggetto, l'altra per il modo certo della dimostrazione); segue la fisica, poi l'etica, infine la meccanica (cap. 41). Le scienze si dividono, in base al fine principale che perseguono, in speculative, che hanno come fine la verità, e pratiche, che hanno come fine l'azione (cap. 42; il riferimento è ad Aristotele, Metafisica, II, 1, 993b 21-22). Infine, Roberto si pone il problema della subalternazione della meccanica alle scienze speculative, e afferma che tutte le arti meccaniche sono subalterne non alla metafisica, ma alla fisica e alla matematica; dagli esempi addotti risulta infatti che nelle loro operazioni fanno ricorso, di volta in volta, alla fisica, all'aritmetica, alla geometria e all'astronomia. Fisica e matematica forniscono la dimostrazione propter quid (dalla causa) di ciò di cui le meccaniche forniscono la dimostrazione quia (dall'effetto). Quanto ai rapporti tra etica e meccanica, l'autore ritiene che la meccanica non sia subalterna all'etica, ma che essa aiuti l'uomo a vivere una vita virtuosa. Del resto, tutte le scienze attive, come anche quelle speculative, sono finalizzate all'etica: il fine ultimo di tutta la filosofia è infatti la morale in quanto tutto ciò a cui tende la filosofia è ordinato alla beatitudine (De ortu scientiarum, cap. 43).
Le scienze del linguaggio (sermocinali) sono le ultime scoperte dall'uomo. La loro origine è fondata sul bisogno umano di evitare errori nella ricerca della verità, condotta con procedimento razionale, e nel comunicare con gli altri parlando e scrivendo. L'uomo è progressivamente passato da una pratica di queste attività (esse in usu, ossia ragionare, parlare, e poi anche scrivere) alla loro riduzione a regola e ad arte (esse in arte). La scienza sermocinale è quella parte della filosofia che si occupa del discorso, insegnando a ragionare, parlare e scrivere correttamente, ed è detta nel suo insieme 'logica' (cap. 46). Ma subito sorgono le obiezioni: come è possibile che si abbia scienza del discorso, il quale 'passa' appena è pronunziato? Inoltre, il discorso è un segno sensibile che, colto dal senso, dà a intendere qualcosa di altro all'intelletto; la scienza invece è conoscenza intellettiva, e il sensibile non è intelligibile. L'autore, già famoso come maestro in arti per i suoi contributi di logica e grammatica, risponde che si ha scienza anche di ciò che non permane; per esempio, dell'eclissi di Sole si dà dimostrazione (e quindi conoscenza certissima), e tuttavia essa è un evento raro. Kilwardby argomenta che l'essere su cui si può fondare la scienza è di tre tipi: in atto, in potenza, in disposizione (o potenza incompleta, come lo è l'occhio cieco). Perciò, sebbene il discorso passi una volta proferito, ne restano tuttavia i principî naturali che hanno sempre la capacità di produrlo di nuovo. All'altra obiezione l'autore risponde che è falso che il sensibile non sia intelligibile; anzi, tutto ciò che è sensibile è intelligibile, e non viceversa. L'obiezione, tratta dalla presunta opposizione tra sensibile e intelligibile, non regge dunque perché il sensibile è intelligibile (oltre tutto, la fisica si occupa in gran parte di cose che cadono sotto i nostri sensi). Altra è la scienza che verte sull'universale, altro è l'intelligibile, altro l'universale, in quanto all'universale si oppone il singolare. Qui bisogna però distinguere, secondo Kilwardby, tra il singolare individuale, sempre dato in una dimensione spaziotemporale (signatum per certum hic et nunc), e il singolare che 'astrae' dalle condizioni individuanti e che egli, seguendo Avicenna (Liber primus naturalium, 1), chiama singulare vagum; del primo, che è opposto all'universale, non si dà scienza; del secondo, che è una specie di universale, si dà scienza (De ortu scientiarum, cap. 47). Il ragionamento è lo strumento di tutte le scienze, e lo è anche di sé stesso: di esso infatti si può avere scienza; e perciò la logica è detta 'scienza razionale' che verte (avicennianamente) sulle seconde intenzioni, cioè considera le proprietà (universale, particolare, antecedente, conseguente, ecc.) che risultano dal confronto delle cose (intenzioni prime) tra loro (cap. 48).
Come detto, la scienza sermocinale ha per oggetto il segno, e il segno dà a conoscere qualcosa di altro da sé ed è per natura finalizzato ad altro, strumentale; ne segue che la scienza sermocinale è ordinata alle altre scienze. Essa si divide in rapporto al fine a cui è di volta in volta ordinata. Il discorso in quanto 'significativo' è oggetto della grammatica; in quanto indaga su ciò che è ignoto (mettendo in opera un ragionamento), è oggetto della logica e della retorica: è oggetto della logica, se indaga mediante sillogismo su qualcosa in generale, prescindendo dai singolari; è oggetto della retorica se indaga (mediante le sette 'circostanze') su cose attinenti ai singolari, come nei procedimenti giudiziari. La retorica infatti serve all'oratore ed è parte della scienza civile (cap. 49); il 'retore' insegna in che modo bisogna trattare i problemi politici, mentre l''oratore' lo mette in pratica; il primo è 'speculativo', il secondo è 'attivo' (cap. 62).
La grammatica include anche l'ars dictandi e la poetica (e ha riferimenti a Orazio e a Gundisalvi). La logica (nome equivoco per il nostro autore, che si rifà a Ugo di San Vittore; qui Roberto intende trattare della scienza razionale distinta da grammatica e da retorica) si occupa del modo di argomentare sia nel discorso interiore sia in quello esteriore o proferito. Il modo di argomentare nelle sue varie forme è trattato negli Analitici primi di Aristotele. L'autore illustra anche il contenuto degli Analitici secondi, dei Topici e degli Elenchi sofistici, che insieme agli Analitici primi studiano ogni forma, corretta o scorretta, di ragionamento; le altre due opere dell'Organon di Aristotele (cioè il De interpretatione, che studia la proposizione che compone, nell'affermazione, o divide, nella negazione, i termini di cui è intessuta l'argomentazione, e le Categorie, che considerano l'essere o il non essere delle cose cui si riferisce la composizione o la divisione dell'intelletto) sono ordinate ai quattro libri suddetti (De ortu scientiarum, cap. 53). Kilwardby non pare far propria l'idea che i libri logici di Aristotele costituiscano le 'parti' della logica. La retorica, finalizzata all'etica civile o politica, è infine presentata con riferimenti a Boezio, alla Rhetorica ad Herennium, a Gundisalvi, a Ugo di San Vittore e a Isidoro (cap. 59). E riconsiderando le arti del linguaggio nel loro insieme, Roberto indica le scienze a cui ciascuna serve e conclude affermando che la scienza sermocinale è 'serva' (famula) della filosofia speculativa e attiva, ma non è a essa subalterna né è parte di essa; è invece una parte a sé stante della filosofia (cap. 62).
Avviandosi alla fine della sua complessa esposizione, Kilwardby propone un triplice ordine delle scienze, sulla base di tre parametri: l'origine, l'ordine naturale e l'apprendimento. Quanto all'origine, prima è la meccanica, poi la speculativa, cominciando dalla fisica, quindi l'etica, ultima la sermocinale (cominciando con la grammatica e finendo con la logica). L'ordine naturale è più complesso, perché può essere considerato in rapporto all'oggetto, al fine o alla certezza raggiungibile (che è detta 'forma'). Quanto all'oggetto, nelle scienze speculative le cose divine vengono prima di quelle umane, e le cose semplici e più astratte sono anteposte alle altre; per le cose umane ‒ operazioni e linguaggio ‒ si possono fare varie considerazioni; per un verso, le operazioni (comuni a uomo e animale) vengono prima del linguaggio (proprio dell'uomo), di modo che la scienza attiva viene prima della scienza sermocinale. Tra le operazioni, poi, quelle morali vengono prima di quelle meccaniche; infatti, la morale è naturale, e sarebbe stata sempre necessaria all'uomo anche se egli non avesse peccato, mentre la meccanica è conseguenza del peccato originale; per questa via le scienze sermocinali hanno l'ultimo posto; poiché però pure il linguaggio, istituito prima del peccato, sarebbe stato necessario all'uomo anche senza il peccato, l'ordine tra le cose umane vede al primo posto la morale, seguita dal linguaggio e dalla meccanica. Quanto al fine, prima è l'etica e ultima la meccanica. Dell'ordinamento secondo la certezza o forma si è detto sopra. L'ordine nell'insegnamento vede al primo posto la grammatica, cui segue la logica, quindi le scienze speculative (dopo aver ricordato varie opinioni, l'autore ritiene più ragionevole adattare l'insegnamento alle qualità degli allievi; i più sensibili cominciano con la fisica, i più dotati d'intelletto con la metafisica, e quelli dotati d'immaginazione con la matematica); quindi l'etica, con il diritto e la retorica; infine la meccanica, per chi voglia conoscere la filosofia in tutte le sue parti; ci si può tuttavia limitare alle arti liberali e lasciare la meccanica agli "ottusi", incapaci di dedicarsi alle discipline superiori (cap. 63).
Il De ortu scientiarum di Kilwardby documenta fino a che punto l'autore, sebbene legato alla tradizione agostiniana e nemico di certe novità 'aristoteliche' relative alla dottrina della materia e della forma (Schmücker 1963), abbia assimilato la filosofia aristotelica e come una nuova antropologia sia posta alla base dell'articolazione delle scienze. Secondo l'autore, "ogni scienza è stata trovata per rimediare a una qualche deficienza del corpo o dell'anima dell'uomo" (De ortu scientiarum, p. 214). Ma la ricognizione delle deficienze è fatta in termini di bisogni e di desideri naturali da soddisfare e, pur non ignorando il peccato originale (come si è detto, la meccanica è conseguenza del peccato), l'autore è ben lontano dal far ricorso a Ugo di San Vittore (per Kilwardby, la meccanica ha la sua origine nel desiderio 'naturale' dell'anima di unirsi al corpo e di provvedere a esso, come si è detto). La teoria dei bisogni naturali appare sostanzialmente scorporata dall'antropologia cristiana.
L'atteggiamento del domenicano Kilwardby è in ciò solidale con quello dei maestri della Facoltà delle arti di Parigi, del cui consorzio ha fatto parte. La prima lezione di un'anonima Lectura in librum De anima, databile al 1246-1247 ca. (di origine incerta, forse parigina), ripropone la dottrina dei difetti dell'uomo, senza chiamare in causa il peccato originale. Qualche anno dopo (1270 ca.), un maestro della Facoltà delle arti di Parigi, Boezio di Dacia, rispondendo alla questione se la grammatica sia necessaria all'uomo, riprende il tema dell'uomo "povero e nudo" trasponendolo in termini aristotelici: "Per l'uomo è poca cosa avere ciò che ha per natura. La Natura, infatti, abbandona l'uomo del tutto imperfetto (valde imperfecte dimittit hominem); senza la sapienza, l'uomo è come un animale bruto" (Boezio di Dacia, Modi significandi, quaest. 5). Per Boezio, ciò che caratterizza l'uomo è vivere secondo ragione, e per realizzarsi pienamente secondo la propria natura egli ha bisogno di alcune scienze; innanzi tutto, delle scienze che servono ai bisogni della vita e a rimediare alle insufficienze del corpo, le arti meccaniche; poi, delle scienze morali, che guidano l'uomo al raggiungimento del fine ultimo; infine, delle scienze speculative, grazie alle quali egli può in qualche modo conoscere tutte le cose. Le scienze morali e quelle speculative permettono all'uomo di vivere una vita beata, giacché la vita beata consiste in queste tre cose: "operare il bene, conoscere il vero e godere di entrambi". Secondo Boezio, dunque, i tre tipi di scienze sono necessari, perché senza di esse l'uomo non può raggiungere la perfezione; la loro necessità è sostenuta facendo ricorso a citazioni di Aristotele (Etica Nicomachea) e di Averroè. In questo quadro, anche la grammatica è necessaria affinché l'uomo possa esprimersi in modo corretto; essa è però scienza introduttiva e strumentale nei riguardi delle altre scienze, più degne di onore e che vanno cercate come fine e non come mezzo. Pur partendo da un inventario dei bisogni, Boezio perviene a delineare un ideale di vita basato sulla dottrina dei filosofi, del quale nell'opuscolo De summo bono ci ha lasciato un'affascinante presentazione. Questo ideale, condiviso da altri maestri della Facoltà delle arti in quegli anni, non è subalterno agli ideali proposti dalla Facoltà di teologia, anche se non è in contrasto con essi; con questa proposta la Facoltà delle arti reclama, anche a livello culturale, l'autonomia rivendicata nell'ambito della corporazione.
Tuttavia, accanto all'affermazione della filosofia aristotelica, una vigorosa teologia difende le proprie posizioni. Il testo più celebre concernente l'articolazione delle conoscenze, e spesso preso in considerazione dalla storiografia, è il De reductione artium ad theologiam del francescano Bonaventura da Bagnoregio (databile forse alla fine degli anni Cinquanta del Duecento). In esso il maestro francescano, ispirandosi alla tradizione della dottrina agostiniana dell'illuminazione, parte dall'affermazione dell'Epistola di Giacomo (1, 17), secondo la quale ogni dono perfetto viene dall'alto, dal "Padre dei lumi", origine di ogni illuminazione, e distingue quattro lumi della conoscenza umana (tab. 6). Il lume esteriore (lumen exterius) ci fa conoscere le forme artificiali, che sono all'esterno e sono state trovate per sopperire all'indigenza del corpo; esso è quello dell'arte meccanica, servile e diversa dalla conoscenza filosofica, e perciò è detto esteriore e si moltiplica in sette secondo l'insegnamento di Ugo di San Vittore. Segue un lume inferiore (lumen inferius), che ci fa apprendere le forme naturali nella conoscenza sensibile e si moltiplica per i cinque sensi. Il terzo lume (lumen interius) è quello della conoscenza filosofica, che ci fa scrutare le verità intelligibili, i cui principî sono naturalmente insiti in noi; esso si triplica nell'indagine sulla verità dei discorsi, sulla verità delle cose e sulla verità dei costumi e nelle nove discipline risultanti. Il quarto lume (lumen superius; in realtà, con la tripartizione del lume precedente, è ormai il sesto), che porta alla verità salvifica, è quello della grazia e della Sacra Scrittura, e viene dall'alto per ispirazione. Bonaventura mostra in quale modo i sei lumi corrispondano ai sei giorni della Creazione e come tutte le altre illuminazioni (sensibile, delle arti meccaniche, della filosofia razionale, della filosofia naturale e della filosofia morale) si riconducano al lume della Sacra Scrittura e 'servano' alla teologia, la quale perciò può usarle tutte e riprendere da esse a buon diritto esempi e terminologia.
La posizione di Bonaventura non rappresenta certo un atteggiamento comune ai teologi del suo tempo, e non è rappresentativa neppure di un indirizzo dottrinale condiviso da tutti i francescani (per gli ideali culturali di Ruggero Bacone, v. cap. XVII). Il domenicano Tommaso d'Aquino ha seguito altri indirizzi, che lo hanno portato lontano anche dal suo confratello Roberto Kilwardby. Questi, sostenitore della dottrina della pluralità delle forme, nella sua qualità di arcivescovo di Canterbury condannò, tre anni dopo la morte di Tommaso, la tesi tommasiana dell'unicità della forma sostanziale dell'uomo.
Tommaso non ha lasciato un'opera sulla divisione della filosofia, ma ha preso posizione su aspetti importanti di essa. Nelle questioni 5 e 6 incluse nel commento sul De Trinitate di Boezio, Tommaso discute le definizioni fornite dal testo per le tre scienze speculative (filosofia naturale, matematica, scienza divina o metafisica) e i rispettivi procedimenti (razionale, disciplinale, intellettuale). Non è escluso che nella riflessione sulle scienze speculative Tommaso abbia fatto ricorso, qui e altrove, al De ortu scientiarum di Kilwardby. In particolare (quaest. 5, art. 1, ad 3), Tommaso rifiuta la divisione della filosofia teoretica nelle sette arti liberali, le quali invece a suo avviso sono da considerare propedeutiche a essa (sulla base dell'insegnamento di Ugo di San Vittore, a cui viene affiancata l'autorità di Aristotele ‒ che in Metafisica [II, 3, 995a 13-14], afferma che il 'modo della scienza' dev'essere cercato prima della scienza stessa ‒ e quella di Averroè [Metafisica, II, commento 15], il quale spiega che la logica insegna il 'modo' di procedere di tutte le scienze, e perciò dev'essere appresa prima delle altre scienze). In questo contesto Tommaso afferma che alla logica è ricondotto l'intero trivio, e, seguendo Aristotele (Etica Nicomachea, VI, 9, 1142a 11-20), ripete che dopo la logica può essere appresa dai ragazzi la matematica (cioè il quadrivio), ma non la fisica, che richiede esperienza; perciò conclude che, anche concesso che le arti liberali siano filosofia, esse in realtà preparano l'animo alle 'altre' discipline filosofiche. Tommaso prosegue prospettando un'articolazione delle scienze, che appare più compiutamente formulata nella sua Sententia libri Ethicorum (I, 1), dove si parte dal presupposto che compito del sapiente sia conoscere l'ordine delle cose. Tommaso ritiene che l'ordine si rapporti alla ragione in quattro modi. Un primo ordine è quello che la ragione conosce soltanto, ma non fa, ed è l'ordine delle cose naturali. Il secondo ordine è quello che la ragione considera e fa nell'atto suo proprio (come le operazioni logiche e grammaticali). Il terzo è quello che la ragione considera e fa nelle operazioni della volontà. Da ultimo, c'è l'ordine che la ragione conosce e realizza nelle cose esteriori. Secondo Tommaso, ai diversi tipi di ordine corrispondono diverse scienze: al primo corrisponde la 'filosofia della Natura', che in questo caso comprende anche la metafisica; al secondo corrisponde la 'filosofia razionale'; all'ordine delle azioni volontarie corrisponde la 'filosofia morale', mentre a quello che l'uomo realizza o produce nelle azioni esteriori corrispondono le 'arti meccaniche'. La filosofia morale è poi divisa in tre: monastica (o morale individuale), economica e politica.
Nel commento sulla Metafisica (VI, 1), l'Aquinate illustra la distinzione aristotelica di 1025b 25 ("ogni scienza è o attiva, o produttiva o teoretica"), e distingue fra l'altro tra 'agire' e 'fare' o 'produrre': si agisce quando l'operazione o azione resta nell'agente (scegliere, intendere), per cui le scienze attive sono dette scienze morali; si fa o produce, invece, quando l'operazione è rivolta all'esterno, diretta alla trasformazione d'una materia. Le scienze fattive o produttive sono dette arti meccaniche (sulla distinzione di azione e produzione e sulla definizione dell'arte come "retta ragione delle cose da produrre" [recta ratio factibilium], v. Sententia libri Ethicorum, VI, 3-4). Particolarmente interessanti sono i passi riservati alle scienze medie. Nel commento sul De Trinitate di Boezio (quaest. 5, art. 3, ad 6), Tommaso afferma che tre ordini di scienze si occupano delle realtà naturali e matematiche: scienze puramente naturali, scienze puramente matematiche e scienze medie, "che applicano i principî matematici alle realtà naturali", ed esemplifica citando la musica, l'astrologia "e altre simili"; esse tuttavia per l'autore "sono più affini a quelle matematiche, perché nella loro considerazione l'aspetto fisico funge quasi da materia, mentre quello matematico funge da forma". Tommaso torna su questo tema in altre opere, come, per esempio, il commento alla Fisica e l'Expositio libri Posteriorum (Nascimento 1974). Nel prologo a quest'ultimo commento, Tommaso ha fornito un'articolazione della logica in otto parti secondo la tradizione tardo-antica e araba (e cioè con l'aggiunta di Retorica e Poetica alle sei opere comprese nell'Organon), che ha costituito un paradigma di notevole fortuna.
Le enciclopedie del XIII secolo
Accanto alle divisioni delle scienze e alle introduzioni alla filosofia, sono da ricordare anche alcune notevoli enciclopedie che svolsero una funzione di mediazione nell'assetto culturale del secolo. A differenza delle enciclopedie altomedievali a carattere grammaticale e linguistico (il cui esempio più illustre è rappresentato dalle Etimologie di Isidoro di Siviglia), le nuove enciclopedie fin dai titoli si presentano come centrate sulle cose (Picone 1994). In effetti, a cominciare dal De naturis rerum di Alessandro Neckam (1157-1217) che forse risale alla fine del XII sec., e proseguendo con il De proprietatibus rerum del francescano Bartolomeo Anglico, databile al 1230-1240, e con il De naturis rerum del domenicano fiammingo Tommaso di Cantimpré, terminato forse prima del 1244, i titoli segnalano una nuova impostazione. Tuttavia la realizzazione di queste opere mostra che la cultura dei loro autori, che pure sono in contatto con centri universitari o con protagonisti della cultura del tempo (Alessandro è stato maestro a Parigi; Bartolomeo visse a Parigi e divenne lettore del suo ordine; Tommaso ha ascoltato Giacomo da Vitry, si è formato con Alberto Magno ed è stato lettore del suo ordine), risente ancora della tradizione della moralizzazione, e cioè dell'interpretazione in senso morale della natura e delle proprietà delle cose, che ha caratterizzato i bestiari, gli erbari e i lapidari.
Nella prefazione della sua opera, Neckam avverte il lettore di non aspettarsi una trattazione filosofica o scientifica, giacché egli intende comporre un trattato morale (De naturis rerum, I). Bartolomeo ha finalità religiose e spirituali (arrivare all'intelligenza della Sacra Scrittura, che lo Spirito Santo ha 'velato' con "simboli e figure di proprietà delle cose naturali e artificiali"), anche se il procedimento che adotta è più 'scientifico'; si limita infatti a raccogliere dalle opere dei santi e dei filosofi, in modo compilativo e aggiungendo poco o nulla di suo, le conoscenze relative alle nature e proprietà delle cose di cui tratta la Sacra Scrittura e a offrirle ai lettori (indicati con la locuzione simplices et parvuli) che non possono indagare per proprio conto data la moltitudine di libri (De proprietatibus rerum, epilogo). Quanto a Tommaso di Cantimpré, egli, nella sua opera, Liber de natura rerum, si propone fini di edificazione e include delle brevi moralità. L'orizzonte in cui si collocano le tre opere è ancora in gran parte quello tradizionale della lettura simbolica e spirituale del libro della Natura. Di altro respiro è l'enciclopedia più importante del Medioevo, cioè lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais.
Passando ora a considerare ciascuna delle enciclopedie ricordate, va detto che dell'opera di Neckam sono editi due libri costituenti l'introduzione ad altri tre libri, inediti, i quali contengono un commento all'Ecclesiaste (si ricordi che, secondo Origene, l'Ecclesiaste è l'opera di Salomone che rappresenta la fisica; Hunt 1984). L'opera fornisce una descrizione del mondo, partendo da Dio e dalla Creazione e terminando con l'uomo. Alessandro, che ha composto anche un De nominibus utensilium, descrive i mestieri e le tecniche impiegate dall'uomo, le discipline intellettuali che ne adornano l'animo e i vizi che deve combattere (un'altra opera di Alessandro, Laus sapientie divine, è una parafrasi del De naturis rerum con aggiunte e omissioni).
L'enciclopedia di Bartolomeo Anglico si compone di 19 libri. La trattazione parte dagli esseri immateriali (Dio e gli angeli), quindi si sofferma sull'uomo (anima, corpo, età della vita, malattie e cure); passa poi a considerare la cosmologia (Universo e corpi celesti, il tempo); materia e forma, e gli elementi: il fuoco; l'aria, con i fenomeni atmosferici e gli uccelli; acqua e pesci; la Terra (geografia, pietre e metalli, vegetali, animali); colori, odori, sapori, liquori. L'opera ha avuto una notevole diffusione manoscritta, anche di sezioni particolari a uso di un determinato pubblico, ed è stata tradotta in volgare (v. cap. XXX).
L'enciclopedia di Tommaso di Cantimpré ha avuto l'onore della stampa soltanto di recente, mentre ha avuto una grande e complessa diffusione manoscritta. A differenza dei suoi predecessori, Tommaso ha impostato la trattazione, inizialmente in 19 libri, aprendo con l'antropologia e proseguendo fino alla descrizione del Cosmo. Nella seconda redazione, Tommaso ha aggiunto un ventesimo libro, relativo ai movimenti celesti e alle eclissi, a integrazione dell'esposizione già data. L'opera, quando può (per es., nei Libri IV-IX, X-XII e XIV), adotta l'ordine alfabetico. Di essa sono state diffuse versioni abbreviate; la versione detta 'Tommaso III', di cui sono identificati un centinaio di manoscritti, ha enucleato i temi scientifici dell'enciclopedia (Vollmann 1994). Un adattamento e le traduzioni in volgare sono ulteriore prova del successo medievale dell'opera di Tommaso.
Lo Speculum maius del domenicano Vincenzo di Beauvais (sottopriore del convento parigino di Saint-Jacques, poi lettore presso l'abbazia cistercense di Royaumont) è stato composto a partire dal 1244-1246 e portato avanti fino al 1256-1259 con il sostegno del re Luigi IX. Vincenzo ha proceduto con il metodo del florilegio, cioè raccogliendo insieme i testi a suo avviso più importanti sui vari temi (oltre che Michele Scoto, ha utilizzato fra l'altro l'enciclopedia di Tommaso di Cantimpré, tralasciandone le moralizzazioni, e le questioni De veritate di Tommaso d'Aquino, che risalgono al 1256-1259), e ha organizzato il materiale in tre parti, ciascuna delle quali ha un suo proprio titolo: lo Speculum naturale tratta della Natura secondo l'ordine dei giorni della Creazione; lo Speculum doctrinale è dedicato all'esposizione delle varie discipline; lo Speculum historiale percorre la storia dell'umanità dall'origine fino alla metà del XIII sec. (una quarta parte, lo Speculum morale, non è autentica). Opera diffusissima anche a stampa e usata fino in Età moderna, a noi interessa per la seconda parte, in cui propone un'organizzazione delle scienze di ispirazione vittorina, ma che tiene conto delle novità nel frattempo intervenute. L'esposizione è aperta da un'introduzione e dalla trattazione della scienza della lingua (Libro I), cui seguono grammatica (II), logica, retorica e poetica (III); vengono quindi le scienze pratiche: morale (IV-V), economica (VI), politica con diritto (VII-X); il Libro XI è dedicato alle arti meccaniche, con la sostituzione dell'alchimia alla medicina, la quale, distinta in pratica e teorica, occupa i Libri XII-XIV; gli ultimi tre libri sono riservati a fisica (XV), matematica e metafisica (XVI), e teologia (XVII).
A partire dal XII sec., la produzione letteraria presenta molte novità, che riguardano soprattutto la tipologia dei testi e derivano dallo sviluppo delle attività scolastiche e delle tecniche d'insegnamento; soprattutto queste ultime hanno dato forma alla letteratura scientifica in quanto gran parte di essa è il risultato delle attività didattiche. Le opere di questo periodo, a parte le raccolte di excerpta e florilegia, frutto di una pratica tradizionale, si possono distinguere in cinque grandi generi: trattati intesi all'esplicazione di una dottrina o all'istruzione morale, spirituale, religiosa; raccolte di sentenze e summe; commenti; questioni; sermoni.
Per quanto riguarda le questioni, già prima dell'XI sec. è presente una tradizione ispirata ai Problemata pseudoaristotelici, e più tardi circolano raccolte di questioni di carattere naturale, sotto forma di domande e risposte, legate all'ambiente salernitano (Lawn 1969); molte questioni prescolastiche hanno avuto una vita lunga e si sono mescolate anche alle raccolte di questioni più propriamente scolastiche, di cui si dirà. Per quanto riguarda i trattati, genere letterario peraltro variegato, esso non rappresenta una novità, ma prosegue una veneranda tradizione. Alcuni trattati risultano dall'adattamento di questioni (alcuni testi, infatti, sono indicati come 'trattati' e come 'questioni').
A loro volta, le raccolte di sentenze e le summe nascono nel solco della tradizione dei florilegi (v. cap. III, par. 3), ma presentano tratti innovativi. 'Sentenza' (termine dalle molte accezioni) è infatti in questo caso l'opinione, il parere, la dottrina di un autore (classico, Padre della Chiesa, dottore o maestro) che è selezionata e ricopiata perché ritenuta degna di nota, o per essere inserita in un discorso tendente a definire una posizione dottrinale. Bisogna ricordare almeno due tipi di raccolte di sentenze: quello delle sentenze attribuite a un certo autore (Sententiae Anselmi, Sententiae magistri Petri Abelardi), e quello delle sentenze, anche di autori diversi, raccolte per temi, intese a fornire un'organica esposizione dottrinale (Sententiae divinae paginae, a carattere teologico). La più celebre raccolta di sentenze di questo secondo tipo è rappresentata dal Liber sententiarum di Pietro Lombardo; l'autore le ha scelte e coordinate al fine di produrre un'esposizione ragionata della dottrina cristiana, organizzata secondo quattro punti fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un libro (Dio uno e trino; Creazione e caduta; cristologia; sacramenti). Quanto al metodo seguito, Pietro Lombardo, nel prologo alle Sententiae, fornisce un'indicazione precisa; egli ha raccolto le sentenze dei Padri citandone le testimonianze, in maniera tale che il ricercatore abbia a disposizione ciò che cerca senza alcuno sforzo e in un piccolo volume, senza il bisogno di ricorrere a una grande quantità di libri. Per questa via la raccolta delle sentenze tende a costituire una summa ben ordinata ed esauriente su un certo tema. 'Summa' infatti è una raccolta sintetica (come del resto il termine indica) delle sentenze, che mira a esporre e definire una dottrina in modo esauriente. Esiste una Summa sententiarum della prima metà del XII sec., attribuibile forse a Ottone, vescovo di Lucca, che costituisce una delle fonti di Pietro Lombardo.
Il genere delle summe riguarda anche ambiti diversi da quello teologico; si possono ricordare la Summa philosophiae, edita sotto il nome di Roberto Grossatesta, e la Summa iuris di Enrico di Susa, entrambe del XIII secolo. Le summe più celebri sono quelle di Tommaso d'Aquino: la Summa contra gentiles e, soprattutto, la Summa theologiae. Le due opere di Tommaso sono diverse tra loro; mentre la prima è un'esposizione dottrinale che ha la forma della trattazione sistematica, organizzata per libri e capitoli, la seconda è un manuale di teologia, diviso in più parti, ciascuna della quali segue l'articolazione in questioni e in articoli. Per la sua celebre summa (che, come è detto nel prologo, risponde al criterio della brevità e della chiarezza, onde evitare la moltiplicazione di questioni inutili, la mancanza di ordine, la ripetizione), Tommaso ha adottato il procedimento disputativo, che procede per obiezioni e risposte. Il termine 'summa' è usato anche per designare una raccolta di questioni che hanno origine da atti scolastici, e cioè da esercizi o sedute di disputa prescritti dagli statuti: è il caso della Summa quaestionum ordinariarum di Enrico di Gand. C'è dunque una notevole differenza tra le summe del XII e quelle del XIII sec.; infatti, tra le une e le altre c'è di mezzo lo sviluppo del metodo scolastico e della prassi dell'insegnamento.
Il metodo scolastico e l'origine della questione
Il metodo scolastico nasce nell'ambito della logica vetus. Il commento di Boezio ai Topici di Cicerone è importante perché ha trasmesso i presupposti dell'elaborazione medievale del procedimento della questione. Cicerone ha definito l'argomento come "lo strumento razionale [ratio] che convince [fidem facere] di una cosa dubbia". Di qui Boezio parte per affermare che, se l'argomento è ciò che è addotto a provare qualcosa, e se può essere provato soltanto ciò che è dubbio, là dove si pone un dubbio c'è una questione. La questione è una proposizione soggetta a dubbio; di per sé la proposizione afferma il vero o il falso ("ogni uomo è animale"); se invece è posta in forma interrogativa ("pensi che ogni uomo sia animale?", oppure "qualcuno chiede se ogni uomo sia animale"), la proposizione è soggetta al dubbio; in quanto tale, essa pone un'alternativa e include una contraddizione, cioè un'affermazione e una negazione ("il cielo è rotondo, o non lo è?"). La questione infatti può avere una risposta affermativa o una negativa. L'argomento è addotto a sostegno di una parte della contraddizione (Boezio, In Topica Ciceronis commentariorum libri sex, I). Lo stesso Boezio, nel prologo del De Trinitate, parla della discussione dell'unità e trinità di Dio, tema dell'opuscolo, come di una questione strutturata con ragioni, cioè logicamente argomentata, e messa per iscritto (quaestionem […] formatam rationibus litterisque mandatam). Commentando questo testo di Boezio, Gilberto Porretano insiste sul fatto che si ha una questione quando è possibile portare argomenti a sostegno di entrambe le parti della contraddizione; quando non è possibile addurre argomenti a favore di una della due parti, o quando nessuna delle due parti può essere provata, non c'è questione. Non ogni contraddizione è una questione; perché lo sia, deve essere possibile formare argomenti a favore della verità di entrambe le parti della contraddizione (Expositio in Boecii librum primum De Trinitate, I, 3, 3, prol.).
Su queste basi, Ademaro di Saint-Ruf (Tractatus de Trinitate, praef. 43; 1180 ca.) fornisce la descrizione della questione, affermando che Boezio ha "formato" la questione sulla Trinità e l'ha redatta: egli "diede forma alla questione predetta, disponendone ordinatamente le due parti e aggiungendo a entrambe l'argomento [rationem] dal quale sembrava che ciascuna parte potesse essere provata; poi sciolse il nodo della questione, confermando con ragioni teologiche la parte difesa dai cattolici e confutando [improbando] la parte degli ariani". Nel testo di Ademaro la questione appare definita nei suoi tratti salienti. Tenendo conto della successiva stabilizzazione della terminologia, si può dire che la cellula prima della questione comprende i seguenti elementi: (1) titolo (introdotto di solito da utrum); (2) argomenti a sostegno di una parte (arguitur oppure videtur quod sic/non); (3) argomenti a favore dell'altra parte (sed contra oppure in oppositum, in contrarium); (4) risposta, con 'determinazione' o definizione dottrinale della questione (respondeo dicendum quod; ad quaestionem dicitur; ad hoc dicendum); (5) valutazione o confutazione degli argomenti addotti a sostegno della parte non accolta nella risposta (responsio ad rationes; et tunc ad rationes). La questione medievale risulta dal vario sviluppo di una simile struttura di base.
Se queste sono l'origine e l'articolazione 'boeziana' della questione, l'affermazione della questione stessa si è avuta quando le raccolte dei passi biblici, patristici e canonistici, hanno fatto emergere posizioni contrapposte, che bisognava interpretare facendo ricorso alle risorse della ragione per sanarne l'apparente contraddizione e comporle in armonia. Il Sic et non (1121-1132) di Abelardo raccoglie testi della Scrittura e dei Padri, ma anche di autori come Cicerone e Macrobio, intorno a 150 temi di natura teologica, morale e giuridica; i testi sono esposti in modo da presentare una coppia di contraddittorie. Nel prologo, Abelardo propone le regole da seguire nell'esame dei testi in discussione, le quali mirano al superamento della contraddizione e all'affermazione della concordanza. Come ha scritto il padre Chenu a proposito del Sic et non: "Di fatto, storicamente il passo abelardiano è il risultato di un'organizzazione progressiva della defloratio dei testi patristici e tradizionali, e al tempo stesso l'enunciato dei principî di una critica letteraria, ideologica, persino storica, delle sententiae, imposta dall'incoerenza del loro contenuto bruto" (Chenu 1966, p. 351). Intorno al 1140 il monaco camaldolese Graziano raccolse e riorganizzò le collezioni del diritto canonico, cercando di superare i casi di canoni in conflitto tra loro; il titolo dell'opera (Concordia discordantium canonum, detta poi Decretum Gratiani) esprime bene l'intento del maestro bolognese. In questo modo si è andato definendo il metodo scolastico; l'arrivo della logica nova (cioè delle opere dell'Organon di Aristotele non usate prima nel Medioevo, e soprattutto del Libro VIII dei Topici e degli Elenchi sofistici) ha fornito poi un ulteriore contributo, che ha portato alla definizione della tecnica della disputa scolastica.
Le tecniche d'insegnamento e i nuovi generi letterari
Le tecniche d'insegnamento sono state avviate nelle scuole del XII sec. e si sono affermate nel XIII, restando poi in uso per secoli. Le attività didattiche fondamentali erano la lezione e la disputa (il sermone, che ha varie forme, interessa qui in quanto atto prescritto in apertura dell'anno scolastico o all'inizio di un ciclo di lezioni). Si suole parlare di lezione ordinaria, straordinaria e cursoria. Poiché però non è agevole distinguere i tratti della lezione straordinaria e di quella cursoria, ci si sofferma sul tipo di lezione più ampiamente documentata. In tutti gli ambiti disciplinari, la lezione era impartita sempre su un libro di testo e, a giudicare dalla documentazione pervenuta, si svolgeva secondo modalità stabilite, che per le discipline di arti e medicina sono: il passo esaminato nella lezione del giorno era letto dal maestro ad alta voce, 'come sta' (sicut iacet); il maestro procedeva quindi a introdurlo raccordandolo con ciò che precedeva e a indicarne il tema, e passava subito alla divisione del testo (divisio), cioè a individuare le articolazioni del passo in esame, sezionandolo in tutti i suoi elementi e indicando nel testo i punti di attacco di ciascun membro della divisione. La lezione procedeva poi secondo l'ordine degli elementi di testo individuati dalla divisione, esponendo la dottrina o il pensiero dell'autore (sententia) in modo sostanzialmente parafrastico ('l'autore dice che…') e provvedendo eventualmente all'esplicazione letterale (expositio litterae), necessaria se si trattava di testi tradotti dal greco o dall'arabo, parola per parola, con frequenti calchi sulla struttura della lingua originale, pieni spesso di traslitterazioni (la spiegazione della lettera arrivava talora a proporre la costruzione della frase). Il maestro passava quindi a illustrare gli elementi più interessanti (notabilia, la cui formula d'introduzione più semplice è nota quod), che miravano alla chiarificazione del testo con la distinzione dei vari significati dei termini chiave e l'esame di qualche opinione rilevante; infine, si formulavano le questioni (dubitationes, quaestiones) che sorgevano dalla lettera del testo o dal contenuto dottrinale di esso. Antonio da Scarperia, nella lettura perugina della Tegni di Galeno, si propone di procedere dividendo, sentenziando ed esponendo il testo con i notabilia e le questioni (Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 4448, f. 2r b). Questo tipo di commento è detto expositio o sententia; esso può anche non includere le questioni, ma nel caso le comprenda, tutto ciò che le precede (cioè la parte di analisi del testo) è anche detto sententia.
Un altro tipo di commento che si affermò a partire dalla metà del XIII sec. è costituito di sole questioni, che si vanno concentrando sui punti salienti del testo. Nella letteratura si trovano almeno tre forme di commento: (a) commento letterale (expositio, sententia); il caso più noto è quello dei commenti di Tommaso d'Aquino su Aristotele; in altri casi potrebbe trattarsi di un commento che in origine includeva le questioni, le quali tuttavia non sono state tramandate; (b) commento con questioni (sententia cum quaestionibus); (c) commento in forma di questioni (per modum quaestionis), composto di sole questioni (quaestiones supra…). Da commenti di tipo (b) talora sono state estratte le questioni, le quali così hanno avuto anche una circolazione autonoma; in tal caso il commento manca della relativa 'sentenza' e appare simile a quello di tipo (c), ma talora le questioni rinviano alla sentenza mancante (Gauthier 1984). È noto il caso di un testo di Alberto Magno: il maestro domenicano ha commentato due volte l'Etica Nicomachea; il primo è un commento di tipo (b); il secondo ha la forma inconsueta della parafrasi, ispirata forse alle opere di Avicenna. L'antico catalogo Stams degli scrittori domenicani attribuisce ad Alberto un duplice intervento sull'etica (super libros ethicorum dupliciter: per modum scripti et commenti); registra però anche super libros ethicorum quaestiones (Meersseman 1936, p. 58); le questioni di Alberto ritrovate in un manoscritto sono nient'altro che le questioni del primo commento, le quali, estratte dal commento, hanno avuto presto una circolazione autonoma, registrata dall'antico catalogo.
La redazione dei commenti (e delle questioni) pervenuti può essere una reportatio (recollectio), cioè un testo risultante dagli appunti presi durante la lezione (o la disputa) da un ascoltatore, il quale è responsabile della forma finale più o meno rielaborata del testo. Si può però avere una rielaborazione dell'autore con interventi più o meno profondi (ordinatio); o anche un testo redatto dall'autore a tavolino secondo le forme del commento in uso nelle scuole senza essere il risultato di un corso impartito. Come si è detto precedentemente, i commenti di Tommaso d'Aquino alle opere di Aristotele hanno la forma del commento (a), ma non sono il risultato di corsi impartiti (nei titoli occorre sia il termine 'esposizione' sia il termine 'sentenza': Expositio libri Posteriorum, Sententia libri Ethicorum); il commento di Tommaso Super Boetium De Trinitate, che probabilmente ha avuto la stessa origine, è invece un commento di tipo (b).
La questione sorge dal testo ma, per il rilievo che assume in ragione della difficoltà che importa, è dal maestro rinviata ad altro tempo, cioè al pomeriggio (il glossatore Giovanni Bassiano afferma: "nell'ultima [parte della lezione] avevamo l'abitudine di sollevare una questione, che discutevamo subito nella stessa lezione o che rinviavamo al vespro per poter dedicare a essa una disputa più ampia data la sua difficoltà", Materia ad Pandectas, col. 1143). Nasce così la disputa, l'altra attività fondamentale dell'insegnamento scolastico. Essa designa propriamente l'atto scolastico, la questione ne è il risultato letterario, la redazione scritta. La disputa si svolge nella classe del singolo maestro come esercizio (disputa privata), oppure è un atto solenne, pubblico e periodico della facoltà o dell'intera area disciplinare (medicina, filosofia, ecc.) e ha insieme il carattere dell'esercizio e quello della promozione dell'indagine dottrinale. La disputa pubblica è presieduta a turno da un maestro, che ne è responsabile; a essa devono partecipare gli altri maestri con i loro studenti. Può essere di due tipi: la disputa generale od ordinaria, che si svolge su tema scelto dal maestro, e la disputa quodlibetale, che si svolge su temi proposti dal pubblico (de quolibet; Bazàn 1985). Nell'uno e nell'altro caso il maestro si limita a introdurre la discussione e a vigilare sul corretto svolgimento di essa. I protagonisti della disputa sono piuttosto i giovani; alcuni studenti e altri partecipanti (baccellieri e maestri) propongono argomenti a sostegno dell'una o dell'altra posizione (sono gli opponentes o arguentes); uno (raramente più di uno) studente progredito (un baccelliere) svolge le funzioni di colui che risponde agli argomenti proposti (è il respondens). Finita la discussione, il primo giorno utile o il giorno fissato dagli statuti, il maestro procede alla determinatio magistralis, cioè alla definizione dottrinale della questione o dei temi discussi; se vuol fare onore al suo respondens, ne conferma le risposte, altrimenti fornisce una propria definizione dei problemi affrontati, magari premettendo il resoconto dello svolgimento della discussione precedente; il maestro è inoltre tenuto a curare la redazione del testo della determinatio e a metterlo a disposizione perché sia copiato dagli interessati. Non tutti gli ambiti disciplinari hanno tutti i tipi di atti scolastici; il diritto ha infatti vari tipi di dispute, ma non pare avere la questione quodlibetale, mentre ha la repetitio, che è la discussione approfondita di una legge letta al mattino; grammatica e logica hanno il sofisma, una discussione che assume come punto di partenza una proposizione che presenta difficoltà logico-linguistiche. Di tutti questi atti scolastici di disputa esistono testi scritti, ossia questioni ordinarie o questioni disputate, questioni quodlibetali, sofismi, spesso raccolti dai maestri che ne hanno curato la diffusione; anche questi testi infatti possono essere riportati oppure redatti dai maestri (pare difficile individuare tracce delle dispute 'private' del maestro con i suoi allievi). Le attività di disputa si svolgevano in primo luogo nelle scuole, ma anche fuori dalle scuole, in luoghi indicati dagli statuti, come rivelano testimonianze contenute nei manoscritti. Anche questo elemento va accertato per individuare la natura della fonte pervenuta.
Il sermone, infine, previsto come atto pubblico all'inizio dell'anno e all'apertura di un ciclo di lezioni, ha come tema obbligato l'elogio dello studio o l'elogio della disciplina insegnata e del libro letto (Maierù 1994); vi si trovano talora tracce della concezione del sistema delle scienze e della connessione delle conoscenze adottata di volta in volta da colui che lo propone.
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