La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. Scienza e cultura popolare
Scienza e cultura popolare
Nonostante le difficoltà di definire e di giustificare l'espressione 'cultura popolare', si è sempre accettata l'idea che gli elementi di conoscenza trasmessi oralmente, spesso indipendenti dai testi scritti e in opposizione all'ideologia o alla cultura ufficiali, costituiscano un aspetto distinto e significativo della civiltà umana. Ugualmente accettata è l'idea che, in genere, la lingua con la quale sono espresse tali conoscenze non è quella letteraria, autorevole e ufficiale, bensì quella volgare. La lingua letteraria e quella volgare possono essere completamente diverse (è il caso, per es., del latino e del tedesco nei paesi germanici medievali), oppure registri diversi di una medesima lingua (per es., il latino letterario e il cosiddetto 'latino volgare' nell'Italia medievale). La coesistenza in una stessa comunità di due lingue socialmente differenziate e gerarchizzate è un fenomeno noto come 'diglossia' e spesso è proprio una situazione di diglossia che permette alla cultura popolare di conservarsi. Il concetto di 'scienza popolare' in riferimento al Medioevo è tuttavia problematico; col termine 'scienza' si denotava qualunque area del sapere in cui potevano essere avanzate spiegazioni causali vere, ma il concetto di 'popolare' di norma implica proprio l'assenza di spiegazioni causali (come avviene, per es., nella medicina popolare). Inoltre, l'espressione 'scienza popolare' può essere interpretata come descrizione sia delle modalità di creazione sia di quelle di trasmissione e di ricezione del sapere; esistono quindi due modi assai diversi di definire tale concetto. Rispetto alle origini si tratta di una scienza o di un sapere derivati da tradizioni popolari anonime, che non possono essere ricondotte a una fonte autorevole, mentre, in relazione al processo di trasmissione e di ricezione, si tratta invece di un sapere volgarizzato, che ha origine nella cultura letteraria ma subisce un processo di semplificazione, persino di svilimento, per adattarsi a un pubblico non istruito e incapace di riflessione speculativa. Per questa ragione la volgarizzazione del sapere va ampiamente presa in considerazione, tenendo conto del fatto che la cultura popolare è spesso connessa a testi e contesti di cultura alta.
Nel caso del Medioevo raramente si possono assumere con un certo rigore contrapposizioni del tipo colto/popolare, latino/volgare, tradizione scritta/tradizione orale, laico/ religioso, logico/prelogico, originale/tradizionale, simbolico/pratico, popolare/dominante. Poiché quasi tutte le testimonianze a noi accessibili sono state tramandate in forma scritta, spesso fortemente stilizzata, non s'incontra mai la cultura popolare in maniera diretta o isolata, vale a dire nella sua forma pura; tutt'al più, si può tentare un recupero parziale o una ricostruzione, a partire principalmente da testimonianze aneddotiche ed eterogenee, ma non si riuscirà mai a epurare il materiale da tutti gli elementi 'estranei', derivati di solito dalla cultura letteraria.
Un'altra difficoltà è costituita dal fatto che ciò che, con metodi di analisi spesso non omogenei, noi consideriamo parte di una cultura popolare potrebbe non esserlo stato per coloro che l'hanno tramandato. Alcuni scrittori ‒ come Teofrasto (m. 287 a.C.), Plinio il Vecchio (23-79) o Sorano (II sec. d.C.) ‒ definiscono esplicitamente popolari o superstiziose alcune nozioni e credenze, ma è una pratica non generalizzata e anzi talvolta in contrasto con il desiderio degli autori di opere mediche ‒ tra cui, per esempio, anche alcuni autori del Corpus Hippocraticus ‒ di accrescere la fiducia dei pazienti sfruttando l'effetto placebo e quindi occultando le origini o lo status del metodo terapeutico.
Plinio, inoltre, non segue alcun criterio sistematico nell'individuare ciò che è magia, superstizione o errore, e alcune delle notizie meno credibili che si trovano nella sua opera sono riportate senza alcun commento. D'altra parte, lo stesso atteggiamento si ritroverà ancora dodici secoli più tardi in Bernardo di Gordon da Montpellier, il quale nel suo Lilium medicinae condanna in generale le pratiche magiche e i rimedi empirici, pur raccomandando talvolta questi metodi, inclusi gli incantesimi. Opere di questo tipo sono fonti preziose in quanto, condannandole oppure approvandole, seppure in modo non esauriente e incoerente, riportano le credenze del vulgus o dei rustici. Non possiamo comunque dare per scontato che le cose ivi riportate si riferiscano a pratiche coeve, poiché gli autori sono mossi spesso da una precisa volontà di recupero di materiale antico e da un'evidente sensibilità antiquaria, come dimostra il fatto che tali pratiche sono state tramandate in copie che mostrano in genere pochi segni di revisione o di adattamento. In altre parole, gli elementi della cultura popolare, già privi di un'origine chiaramente identificabile, sono ben presto dispersi in ampie compilazioni o compendia in cui non sono presentati o riconosciuti esplicitamente come tali e in cui è difficile stabilire confini tassonomici, poiché assai di frequente si verificano commistioni reciproche tra cultura popolare e cultura letteraria.
Ancora oggi la coesistenza di una medicina 'alternativa' accanto a quella 'scientifica' dimostra il complesso rapporto che sussiste tra scienza e credenze popolari. Lo studio di alcune costanti culturali può aiutare a distinguere il prodotto di una scoperta, o di un'invenzione individuale, da un vasto patrimonio comune di fenomeni simili, come nel caso di certe ricette mediche e di certi incantesimi che hanno un'identità pressoché universale; ma resta certa l'impossibilità di fornire una definizione esatta della scienza popolare e un metodo infallibile per individuarla. Naturalmente, a partire dal XIII sec. diventa più facile distinguere la scienza universitaria da quella popolare, ma nella cultura monastica dei secoli precedenti la distinzione tra ciò che era insegnato e ciò che era appreso o acquisito attraverso la tradizione orale è assai più sfumata e l'assenza di una ricerca scientifica istituzionalizzata rappresenta un serio ostacolo per operare tale distinzione. Già nella scienza greca forme di pensiero tradizionali o popolari si mescolavano spesso a indagini più volutamente razionali; talvolta le influenzavano ed erano incorporate in sistemi con pretese di scientificità che però, in molti casi, non erano altro che razionalizzazioni di credenze popolari che, una volta fissate in forma scritta o addirittura letteraria, potevano acquisire uno status pseudoscientifico.
L'Occidente medievale ereditò una tradizione che mescolava religione e scienza, conoscenze ufficiali e informali, speculazione teorica ed 'empirìa'; i Romani trasmisero una tradizione scientifica popolare che comprendeva sia nozioni ricavate empiricamente sia superstizioni e credenze popolari di ogni sorta, registrate in testi scritti e principalmente in latino. Alcune pratiche, quali l'uso di amuleti magici e di incantesimi, nonché una grande quantità di credenze popolari, furono incorporate nelle opere di Quinto Sereno Samonico (II-IV sec.), Quinto Gargilio Marziale (III sec.), Marcello da Bordeaux (IV-V sec.), nelle quali si mescolano liberamente elementi della cultura popolare con cognizioni più avanzate e specialistiche derivate dall'arte farmaceutica antica. A loro volta, i compilatori medievali di ricettari, inclusi quelli anglosassoni, si rifecero a tali scritti, e non è un caso che questa stessa commistione di scienza e superstizione si ritrovi anche in alcuni testi di medicina. Tale disciplina, difatti, segna la confluenza di scienza popolare, magia e religione, tre elementi già associati in quelle componenti non razionali della scienza greca, che stimolarono l'indagine sui 'segreti della Natura e delle arti'.
Parte della tradizione ellenistica fu segnata dall'esoterismo e dall'occultismo. Si pensava che alcuni aspetti della Natura fossero conoscibili solamente mediante una rivelazione divina, e che tale conoscenza rivelata andasse protetta dal vulgus, dall'uomo comune, ignorante e inadatto ad accoglierla; essa era quindi occultata deliberatamente, allo scopo di evitarne svilimenti o abusi. I misteri della Natura erano così nello stesso tempo nascosti nella Natura stessa e intenzionalmente occultati agli ignoranti; era inevitabile allora che insorgesse il desiderio di registrarli, una volta scoperti, nei manuali o libri secretorum che facevano parte della tradizione enciclopedica romana e medievale. Questi segreti o experimenta erano di vario genere; si andava dalle proprietà curative di erbe, animali e pietre, alle arti meccaniche come la lavorazione dei metalli, la pittura e la tintura, alle ricette culinarie, alle magie e gli illusionismi, a varie tecniche artigianali. Essi avevano le loro radici essenzialmente in una tradizione orale e pragmatica, che, tuttavia, si trovava riflessa in forma anonima nei testi antichi ed era recuperata di seconda o terza mano. Raramente qualcuna di queste tradizioni può essere ricondotta a una singola e specifica fonte; le arti meccaniche, tuttavia, ad Alessandria d'Egitto, divennero oggetto, particolarmente nel II e nel III sec., di una letteratura criptica, con gli scritti 'ermetici' attribuiti al leggendario Ermete Trismegisto e assai diffusi nel Medioevo.
L'opera più importante di scienza popolare redatta in lingua latina è l'enciclopedia romana di Plinio il Vecchio ‒ la Naturalis historia del I sec. d.C. ‒ un vasto repertorio di conoscenze in 37 libri in cui l'autore registrò notizie e osservazioni che abbracciano l'intero scibile; quest'opera conservò la sua popolarità nell'Occidente d'Europa per ben 1.500 anni (la prima edizione a stampa risale al 1469), grazie all'unione di intrattenimento, erudizione e leggenda. Nella dedica all'imperatore Tito Flavio Vespasiano (9-79 d.C.), Plinio definisce il tema, le realtà della Natura, come materia che necessita inevitabilmente di un trattamento in vocaboli popolari o stranieri, o persino barbari; inoltre, dichiara che il risultato dei suoi sforzi è una raccolta di 20.000 fatti ricavati da 2.000 libri di 100 autori. Poiché l'organizzazione del materiale per argomenti ne facilitava la consultazione, la Naturalis historia, assieme alle opere di Beda, entrò saldamente nella cultura monastica, dando origine a compendi quali la Medicina Plinii, la Physica Plinii e le Deflorationes (I florilegi; 1130 ca.) di Roberto di Cricklade, nonché a revisioni filologiche (uno degli interessi coltivati da Francesco Petrarca lungo tutta la sua vita). Nell'opera si mescolano nozioni desunte dai testi delle auctoritates a informazioni di natura puramente aneddotica, cui si aggiungono occasionalmente osservazioni personali, in particolare relative a prodigi. Plinio era incoerente e incostante nei confronti delle credenze astrologiche e della magia ‒ pur attenendosi al principio dell'osservazione personale ‒ e imprevedibile nell'interesse per le cognizioni e le credenze dei rustici; per tutti questi aspetti egli fu una figura interamente medievale (soprattutto perché la sua aspirazione a un sapere universale ne limitava la possibilità di indagine indipendente). Ovviamente, egli non era l'unico autore ad accettare credenze magiche e superstiziose; lo stesso Galeno (130-200 ca.) riconosceva l'esistenza di forze curative prodigiose non riducibili a una singola, specifica, proprietà della sostanza che le manifestava; le virtù miracolose decantate da Dioscuride Pedanio (Dioscoride Lombardo; I sec. d.C.) nella sua farmacologia o i prodigi descritti negli scritti scientifici di Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) erano considerati manifestazioni di forze occulte e distinti, spesso arbitrariamente, dalle pratiche dei magi (che erano invece apertamente condannate, come nei capitoli iniziali del Libro XXX della Naturalis historia).
Le testimonianze relative alla scienza popolare, dunque, non costituiscono un corpus autonomo chiaramente delimitato, ma devono essere estratte da contesti più ampi. Le tecniche divinatorie rientravano tra le artes magicae, ed era operata in genere una distinzione tra magia demoniaca e magia bianca o naturale. La prima, nota anche come 'magia nera' o 'necromanzia', era connessa al controllo degli spiriti maligni, mentre la seconda, 'magia naturale' o 'taumaturgia', consisteva nell'individuazione e nello sfruttamento delle forze segrete od occulte presenti nella Natura; ovviamente, anche questo secondo tipo di magia poteva essere sospettato di associazioni demoniache, sicché le due forme non erano sempre nettamente distinte. La magia naturale era comunque legata a una parte considerevole delle indagini sulla Natura sviluppate nell'ambito della cosiddetta 'scienza popolare'; essa poté essere cristianizzata, adattata a scopi particolari ‒ terapeutici, diagnostici o di prognosi ‒ e, in misura maggiore o minore, resa scientifica. Ovviamente, il suo valore e la sua importanza non possono essere valutati sulla base dell'efficacia misurata con criteri causali, bensì alla luce dei benefici che si credeva derivassero dalla precisa esecuzione delle istruzioni e dei riti prescritti.
Medicina, arti manuali, divinazione ed experimenta costituivano, come si è detto (v. cap. XI), le cosiddette artes mechanicae e l'oggetto di una letteratura tecnica; le arti manuali (opificium) includevano l'alchimia, la metallurgia, la preparazione di composti chimici, la tessitura, la tintura e la lavorazione del vetro. La quantità di materiale non pubblicato relativo alle quattro artes mechanicae è imponente; il solo Repertorium di documenti in medio-olandese di Jansen-Sieben comprende più di 900 manoscritti.
Nel corso del Medioevo i ricettari medici hanno un'ampia diffusione in tutta Europa e documentano l'esistenza di un patrimonio comune di cognizioni mediche popolari di cui si hanno esempi sia nella medicina romana sia nei receptaria (ricettari) e negli antidotaria (raccolte di antidoti) dei monasteri. Prive di ogni base teorica, tali raccolte di prescrizioni riguardano quasi esclusivamente l'uso terapeutico di determinati rimedi naturali (materia medica), e sarebbe ingiusto negare loro ogni valore scientifico. È vero però che il più delle volte esse includono pozioni magiche, incantesimi, talismani e amuleti, nonché preghiere, benedizioni, giuramenti ed esorcismi, spesso non molto diversi dagli altri rimedi magici.
I primi documenti relativi a una cultura medica popolare in lingua volgare nell'Europa settentrionale sono i testi medici anglosassoni. Se il Bald's leechbook (950 ca.) evidenzia il lato scientifico della medicina anglosassone, combinando il meglio delle fonti mediterranee con un materiale indigeno ben assimilato in un sistema altamente organizzato, un libro di poco posteriore, Lacnunga (Rimaedi), presenta, per contro, circa 200 ricette, per lo più di carattere magico-superstizioso ‒ incantesimi, formule magiche, amuleti ‒, dove la medicina popolare si mostra nel suo aspetto meno sofisticato e scientifico. In un'epoca intermedia tra i due testi si colloca poi il Leechbook III, una preziosa guida alla medicina locale relativamente immune da influenze mediterranee, che, nonostante il suo carattere razionale, accoglie elementi magici. Questi tre testi contengono circa 3000 rimedi e costituiscono un documento significativo della letteratura medica in volgare. Elementi di cultura popolare si ritrovano anche in alcune traduzioni locali dal latino, in particolare nell'Herbarium dello Pseudo-Apuleio, che contiene anche un breve trattato sugli usi medicinali della betonica e un erbario supplementare, e nel cosiddetto Medicina de quadrupedibus, che comprende due trattati sulle proprietà medicinali dei prodotti animali e un terzo sulle proprietà terapeutiche delle more del gelso. Nel periodo successivo troviamo due compilazioni mediche in latino nel Canterbury classbook e nel Ramsey scientific compendium, a ulteriore testimonianza dell'evoluzione della medicina popolare in Inghilterra.
Sporadici nel XII sec., i ricettari anglo-normanni conoscono una notevole diffusione nelle Isole britanniche durante il secolo successivo, andando a costituire la base di tre importanti raccolte: la Lettre d'Hippocrate à César, in prosa, e due raccolte in versi note rispettivamente come Physique rimée e La novele cirurgerie (titolo, quest'ultimo, piuttosto fuorviante). È difficile stabilire se si tratti di produzioni autoctone, poiché gran parte del materiale si ritrova anche in manoscritti dell'Europa continentale; ne La novele cirurgerie sono riportati in prosa anche alcuni incantesimi. Benché queste raccolte non abbiano una struttura organica (a parte l'ordine a capite ad calcem, dalla testa ai piedi), le ricette possono essere classificate nei seguenti gruppi: terapeutiche, prognostiche, diagnostiche, cosmetiche, dietetiche o, sporadicamente, eclettiche. Si tratta per lo più di ricette farmaceutiche, ma anche religiose o magiche, che combinano prescrizioni, preghiere e incantesimi (v. cap. XXVI).
Altre raccolte, che sembra si siano conservate in singole copie, usano indifferentemente il latino e due lingue volgari, il francese e l'inglese (e in un caso l'irlandese), secondo una procedura, nota come mescolanza o scambio di lingue, che non può essere completamente spiegata con il carattere compilatorio dei testi. Un ambizioso compendio privo di titolo, in un manoscritto del Trinity College di Cambridge che risale al XIII sec., non soltanto mescola ricette in latino e in anglo-normanno, ma comprende anche traduzioni in anglo-normanno di alcuni trattati pseudoippocratici sulla prognostica e sulle urine. Un altro trattato, Euperiston, è scritto interamente in anglo-normanno; esistono inoltre numerose traduzioni in anglo-normanno di trattati salernitani. Dalla fine del XIV sec. molte raccolte sono poi in inglese, ma i compilatori continuarono a copiare ricette in francese per almeno tutto il secolo successivo. Gran parte dei rimedi popolari, infine, è tramandata in latino ed è contenuta in quattro importanti compendi medici di autori inglesi: il Compendium medicinae (1240 ca.) di Gilberto Anglico, la Rosa medicinae o Rosa anglica (1305-1317) di John di Gaddesden, il compendio di John di Greenborough (XIV sec.) e il Breviarium Bartholomei di Giovanni di Mirfeld (m. 1407). Alcuni manoscritti del secondo e del terzo di tali compendi contengono anche materiale in anglo-normanno e in medio-inglese; d'altra parte, nel Basso Medioevo l'inglese è usato in numerosi ricettari, erbari e trattati medici, la maggior parte dei quali ancora inediti.
Nella Francia settentrionale il materiale in volgare comparve più tardi rispetto all'Inghilterra o alla stessa Francia meridionale, dove già nel XIII sec. circolavano ricette e trattati in provenzale. In Francia, comunque, si sono conservati almeno 500 manoscritti contenenti ricette in latino, e senza dubbio esiste molto materiale in francese che attende ancora di essere riportato alla luce. Sono note tre raccolte in volgare, risalenti al XIV sec., che dimostrano una certa familiarità con la medicina salernitana, essa stessa fortemente influenzata da elementi popolari. La prima di queste raccolte fa parte di una compilazione nota come Recettes enseignées au roy Philippe le Bel ed è attribuita al normanno Jean Pitart (1230 ca.-1328), chirurgo di Filippo IV il Bello dal 1298 e in seguito di Carlo di Valois; nel XIV sec. il piccardo Jean Sauvage, originario di Picquigny ma attivo a Blois, mise insieme un'ampia collezione di ricette in cui incluse la sua traduzione (in larga parte in versi) del Thesaurus pauperum di Pietro Ispano (anch'esso ricco di materiale popolare e tradotto in francese per la prima volta nelle Recettes di Pitart) e materiale tratto dalle compilazioni di cui si è già fatta menzione per l'area anglo-normanna, questa costituisce la seconda raccolta; infine, la terza raccolta è palesemente la traduzione dell'opera di un certo "mastro Rogier Poutrel, chirurgo e abate e maestro in medicina e in chirurgia" e fu realizzata nel 1300 ca. dal monaco Jean de Prouville. Circolavano poi alcuni trattati ginecologici, basati su diverse versioni della cosiddetta Trotula, che includevano una certa quantità di materiale popolare, per la maggior parte della Scuola salernitana; verso la fine del secolo comparvero alcune enciclopedie mediche ‒ per esempio Le régime du corps di Aldobrandino da Siena ‒ basate su fonti arabe e greche.
In Germania i primi testi medici in volgare risalgono al XII secolo. Dopo un lapidario (Prüler Steinbuch, Libro delle pietre di Prül) e un erbario (Prüler Kräuterbuch, Libro delle erbe di Prül) provenienti da Regensburg, si ha l'Arzneibuch Ipocratis (Farmacopea di Ippocrate), nonché un analogo Züricher Arzneibuch (Farmacopea di Zurigo) che contiene alcuni passi in tedesco, inclusa una traduzione del testo pseudoippocratico di prognostica dal titolo Capsula eburnea; antiche raccolte di ricette si trovano anche nell'Innsbrucker Arzneibuch (Farmacopea di Innsbruck). All'inizio del secolo era apparso il compendio Bartholomaeus, destinato ad avere vasta risonanza, di cui sono stati catalogati oltre 200 manoscritti e dal quale furono ricavati numerosi estratti. Oltre a una considerevole quantità di ricette e di materiale presalernitano, l'opera contiene alcune traduzioni di trattati medici e rimase ineguagliata nel suo genere sino al 1400 ca., quando il suo predominio fu contrastato dalla forte influenza di Ortolf di Baierland. Una terza compilazione, il Corpus oberdeutscher Klostermedizin (corpus di medicina conventuale della Germania meridionale, del 1300 ca.), offre un ricchissimo materiale che include testi di diagnostica, di prognostica e prescrizioni dietetiche.
Per quanto riguarda la scienza veterinaria ‒ un ambito piuttosto trascurato, nonostante l'importanza cruciale del cavallo nel Medioevo ‒ ci sono giunti pochissimi testi specifici oltre al trattato di Giordano Ruffo (1200 ca.-1256), che per quasi due secoli fu di fatto il principale testo di riferimento nella disciplina; di quest'opera esistono circa cinquanta versioni in vari volgari, ma l'unica traduzione in francese è La marechaucie des chevaux (La mascalcia dei cavalli) risalente al XIV secolo. Mentre l'approccio di Giordano era decisamente scientifico, le opere successive si basarono in misura crescente sulle credenze popolari, inclusi incantesimi e preghiere; ciò vale in particolare per Guglielmo di Villiers (XV sec.), la cui opera, conservata in tre manoscritti e divisa in 158 capitoli, è tuttora inedita.
Non di rado ricette veterinarie si trovano sparse in alcune compilazioni mediche. Nel manoscritto di Dublino, Trinity College 367, vi sono alcuni frammenti di un testo di veterinaria in anglo-normanno, attribuito in una rubrica a un certo Frere Nicholle mareschal hospiteler d'Acrys (frate Nicola maniscalco ospedaliero di Acri). In Germania, Meister Albrant ‒ "fabbro e maniscalco a Napoli" al servizio di Federico II ‒ nell'ultimo quarto del XIII sec. scrisse un trattato di ippiatria, un'opera non influenzata da quella di Giordano e che, conservata in 218 manoscritti, costituisce uno dei più importanti testi tecnici in volgare di notevole fortuna. In medio-olandese esiste poi una traduzione del XV sec. della Marescalia di Lorenzo Rusio, e si ha altresì un considerevole corpus di ricette concernenti le malattie dei cavalli e dei falconi; il trattato di Rusio, che contiene materiale astrologico, ebbe anche due traduzioni in italiano e una in francese.
In Inghilterra il primo trattato in volgare sulle malattie equine risale al XIV sec. (Londra, BL, Sloane 2584); abbiamo poi tre trattati in volgare (seguiti da vari incantesimi) ‒ tutti inediti ‒ contenuti in un manoscritto di Cambridge dell'inizio del XV sec. (University Library, Dd. iv. 44); inoltre, sono stati pubblicati altri due trattati ai quali si dovrebbero aggiungere diverse collezioni di ricette veterinarie, spesso contenenti superstizioni e una varietà di cognizioni empiriche. In Spagna si ha un materiale documentario assai ricco, che comprende, tra l'altro, un importante trattato di veterinaria, il Libro de menescalcia di Juan Alvarez Salamiellas, e il Libro de la menescalia (1443-1450) del catalano Manuel Diez de Calatayud, che si rifece abbondantemente al trattato di Rusio e la cui opera fu tradotta in spagnolo e poi nuovamente in catalano (dello stesso autore si ha anche un Tractat de les mules). Un'estesa collezione di ricette ippiatriche è l'Enfermedades de los caballos di Don Fadrique; infine, esiste un modesto corpus documentario sulle malattie dei falconi in anglo-normanno, inglese, provenzale, castigliano, catalano e portoghese, sia in versi sia in prosa.
Per quanto concerne le arti manuali, la tradizione letteraria alla base dei libri di ricette di argomento tecnico risale all'epoca ellenistica e comprende i celebri papiri egiziani del III sec. d.C. (i cosiddetti papiri di Leida e di Stoccolma). Molte delle ricette, 250 ca., contenute in questi documenti ‒ concernenti la lavorazione dei metalli e la colorazione, la politura o la contraffazione delle pietre preziose ‒ riappaiono nel IX sec. nella Mappae clavicula e nel codice di Lucca noto come Compositiones ad tingenda musiva, dedicato anch'esso principalmente alla preparazione di pigmenti, alla colorazione dei vetri per i mosaici, alla tintura dei tessuti e del cuoio e alla fabbricazione di leghe metalliche.
All'origine di questi trattati vi erano opere di alchimia, rispetto alle quali però l'aspetto puramente tecnico ha finito per prevalere su tutti gli altri, compresa l'insistenza sulla segretezza. Le ricette circolavano correntemente in numerose copie (per es., le prescrizioni della Mappae clavicula ricorrono, dal IX al XV sec., in circa 80 manoscritti), e pur se derivate da un corpus evidentemente comune, molte furono divulgate secondo una tradizione incerta, di carattere eminentemente letterario, legata al nome di Eraclio (che potrebbe aver avuto origine nell'Italia del X sec.). Una delle opere più note è il De diversibus artibus (1120 ca.) attribuita a un tal Teofilo, probabilmente opera di Ruggero di Helmarshausen un monaco benedettino e artigiano del metallo.
Il carattere compilatorio di simili trattati tecnici, ricchi di materiale empirico, è evidente e risulta ulteriormente accentuato nei compendia del XIII e del XV sec., come pure in alcuni manoscritti che includono ricette in volgare (per es., Londra, BL, Cotton Titus D XXIV; Sloane 3550). Questi trattati non devono essere considerati semplici manuali pratici destinati alle botteghe artigiane, ma piuttosto tentativi di preservare il patrimonio di cognizioni tecniche e di abilità artigianali, per quanto snaturato da inevitabili travisamenti connessi al processo di trasmissione e dall'aggiunta di experimenta dozzinali. Molte ricette appaiono sparse in miscellanee di uso pratico, sia in latino sia in volgare; il ms. Wellcome 517 (Londra, Historical Medical Library) per esempio, contiene ricette chimiche per preparare inchiostro, calce e tinture.
Gli scritti alchemici, assai numerosi, fanno parte per lo più di una tradizione erudita, tuttavia alcune opere in volgare includono elementi di carattere popolare. Un'importante fonte documentaria anglo-normanna è il ms. del XV sec. Sloane 1574 (Londra, BL), un'antologia di testi di medicina e di alchimia che nei ff. 153r-162v riporta un testo intitolato Ici comence le livre de alkemye en fraunceys; inoltre, nei ff. 222r-231v si trovano ricette e istruzioni per preparare la calce viva, l'oro e l'argento, per ottenere il colore giallo, per tingere di nero i capelli bianchi e così via. Un'altra raccolta (ff. 138r-142v) offre ricette per preparare soluzioni d'arsenico, per calcinare lo stagno e il piombo e purificare il piombo, la ricetta di un elisir per ottenere l'argento, quella per l'olio di aneto e così via, seguite da experimenta per verificare l'autenticità delle pietre preziose e per colorarle, e da istruzioni per ottenere colori e tinture. Sull'uso delle gemme esistono numerosi lapidari volgari sia in versi sia in prosa, per lo più basati sull'opera in latino di Marbodo di Rennes, molti dei quali risalgono al XII sec.; vi sono altresì occasionalmente ricette per levigare le gemme.
Sin dall'Antichità la magia era stata connessa alla divinazione e nel Medioevo l'interesse per questa attività non accennò a diminuire; essa era associata in vario modo alla Natura, a Dio, ai corpi celesti e ai demoni, e Isidoro di Siviglia (560-636 ca.) le aveva dedicato ampio spazio nella sua influente trattazione della magia. La cultura popolare non s'interessava tanto allo spirito dell'indagine scientifica, ma piuttosto nutriva un interesse pratico ed eclettico per tutto ciò che poteva contribuire al benessere dell'uomo; la divinazione era considerata per molti aspetti una forma di magia naturale o di scienza popolare, nella misura in cui cercava di utilizzare a beneficio dell'uomo le conoscenze ottenute attraverso l'interpretazione di elementi e segni naturali: l'acqua (idromanzia), l'aria (aeromanzia), il fuoco (piromanzia), ma anche i sogni (oniromanzia), il volo e il verso degli uccelli, le linee della mano (chiromanzia), le unghie (onicomanzia). A ciò si aggiungevano varie altre tecniche di divinazione basate sulle figure che si ottenevano unendo con delle linee i punti tracciati a caso sul terreno (geomanzia), sul lancio di dadi o astragali (astragalomanzia), sui segni delle ossa scapolari di vari animali (scapulomanzia), sulle loro viscere (aruspicio), sui nomi e sugli equivalenti numerici delle lettere dell'alfabeto (onomatomanzia), sugli specchi o sulle superfici riflettenti (catottromanzia).
Il più antico trattato in latino di chiromanzia che ci è pervenuto è quello in appendice al Salterio di Eadwine del 1160 ca.; ne esistono uno in anglo-normanno del XIII sec. e tre in medio-inglese che risalgono al XV secolo. Una chiromanzia, una onomatomanzia e un lunario, sempre del XV sec., sono attribuiti al prolifico Johann Hartlieb (1400 ca.-1468). A quanto pare, i trattati di geomanzia erano scritti esclusivamente in latino, probabilmente allo scopo di garantirne la segretezza, e la loro diffusione era circoscritta alle cerchie intellettuali e alle corti principesche; abbiamo nondimeno un poema geomantico provenzale basato su un trattato latino compilato nel 1295 a Montpellier da Bernardo di Gordon, un'opera francese in versi del XV sec., L'esbatement de géomancie (Parigi, BN, f. fr. 1660), con alcune versioni in tedesco dello stesso secolo; in Spagna si ha il Libro de Calatarrama, tradotto dall'arabo in ebraico e poi in spagnolo. L'astragalomanzia è rappresentata da una serie di opere, come quella in medio-inglese dal titolo The chaunse of the dyse.
La divinazione basata sui segni naturali includeva lo studio della Luna; i cosiddetti 'lunari' ‒ ossia le predizioni per ciascuno dei trenta giorni del mese sinodico lunare ‒ occupavano una posizione di primo piano tra le guide pratiche della vita quotidiana. Le fasi lunari erano visibili a tutti e facilmente comprensibili; in base a esse si formulavano previsioni sulla qualità generale della giornata, sulle nascite, sui periodi di degenza, sul periodo in cui effettuare i salassi e si interpretavano i sogni. I movimenti degli altri corpi celesti erano essenzialmente di pertinenza dell'astrologia scientifica, rappresentata in numerosi scritti in volgare del Medioevo, ma decisamente fuori dall'ambito della cultura popolare sia per la sua complessità sia per le sue fonti (v. capp. VII e XX).
Nell'XI sec. si affermò la tendenza ad antologizzare i sistemi di calcolo, usando testi discorsivi anziché semplici tavole, in compilazioni di carattere astronomico o medico (queste ultime sono rappresentate in oltre 400 manoscritti in latino tra il IX e il XV sec.). Assai diffusi erano anche i lunari zodiacali semplificati, nonché le previsioni basate sulle 28 case lunari. Ci sono giunti inoltre numerosissimi almanacchi in latino e in diversi volgari europei; soltanto in medio-inglese esiste un notevole corpus di materiale documentario sull'influsso dei pianeti e dei loro movimenti, che comprende tanto traduzioni relativamente sofisticate di fonti dotte quanto manuali divulgativi con pretese assai più modeste, destinate ad aiutare le persone a scegliere il periodo migliore per intraprendere una data attività. Una raccolta di testi di questo genere in latino e in inglese si trova nel ms. Wellcome 510 (Londra, Historical Medical Library). In Francia il lunario in versi Lunaire de Salemon comprende anche ricette mediche. I lunari fornivano previsioni basate sia sul passaggio della Luna nello Zodiaco sia, più semplicemente, sulle fasi lunari; in genere i lunari semplici si trovano nei calendari, mentre le previsioni zodiacali si trovano negli almanacchi medici professionali (le prognosi sull'esito della malattia erano formulate in base alla fase della Luna nel giorno in cui il paziente era caduto ammalato).
La divinazione si basava anche sui fenomeni meteorologici; uno dei primi esempi di testi divinatori in volgare è rappresentato infatti da una serie di trattatelli in antico-inglese sull'interpretazione del tuono (brontoscopia), nei quali veniva attribuito un particolare significato divinatorio a ogni mese in cui si verificava il fenomeno. In Germania esistono numerosi pronostici meteorologici molto simili a quelli in latino e in inglese del XIV e del XV sec.; quelli più tardi conservano ancora un carattere popolare, ma sono destinati a un pubblico urbano.
Simili pronostici ‒ e ciò vale del resto per gran parte della scienza popolare ‒ avevano le loro radici nella cultura letteraria, ma nel corso del tempo furono popolarizzati e assorbiti nel patrimonio delle tradizioni popolari calendariali trasmesse oralmente. Seguirono ben presto brevi trattati, sempre in volgare, che in base al calendario pronosticavano i giorni infausti dell'anno, i giorni rischiosi o 'giorni canicolari' (quando erano visibili Sirio o Procione, le stelle principali rispettivamente della costellazione del Cane Maggiore e del Cane Minore), oppure i 'giorni egiziani' (quando si credeva che Dio avesse inviato le piaghe d'Egitto) ‒ in sostanza due o tre giorni al mese ricavati dall'arbitraria divisione interna del calendario romano. Gli oroscopi predicevano il destino dei nascituri e ne descrivevano l'aspetto; quasi tutte le scelte erano fatte in base alla posizione delle stelle, che indicavano le date favorevoli per intraprendere determinate attività, e talvolta i giorni propizi erano classificati proprio in relazione alle attività specifiche (salassi, viaggi, parti).
Vi erano poi numerosi pronostici basati sul calendario; per esempio, in un certo tipo di trattati (a volte in versi) le previsioni si basavano sul giorno della settimana in cui cadeva il Natale o il Capodanno ed erano piuttosto generiche per ciascun giorno. Le versioni latine sono state tramandate di frequente sotto il nome di Ezechiele o di Esdra, ma vi sono anche antiche versioni volgari in francese, provenzale e inglese. Ci sono giunti circa 34 pronostici in tedesco per il nuovo anno risalenti al XIV e al XV sec., e un calendario in anglo-normanno proveniente dalla cattedrale di Worcester (ms. 61) contenente oroscopi e consigli (in versi) per ciascun giorno del mese lunare, basati sull'anniversario di un evento biblico. Uno dei primi calendari in versi anglo-normanni in cui sono indicati anche i giorni infausti è del 1256, opera di Ralph di Lenham; all'incirca nella stessa epoca il poeta provenzale Raimon Feraut (m. 1325) scrisse un Comput en vers provençaux (Computo in versi provenzali); un altro fu compilato un decennio più tardi nella Francia settentrionale. Destinato ai contadini era poi il Fevrier de tous les mois, un calendario che indicava i lavori agricoli di ciascun mese.
Gli almanacchi che contenevano prescrizioni igienico-dietetiche si basavano sul tempo solare, stagionale e sublunare, percepibile attraverso i cambiamenti della luce, della temperatura e della pressione atmosferica. Un testo anglo-normanno (contenuto nel ms. di Oxford, Bodl., Rawlinson Poetry 241) è dedicato ad Alessandro Magno, e un testo provenzale in versi di argomento dietetico si basa largamente sulla Epistula Aristotelis ad Alexandrum; la Physique des mois è un poema dello stesso genere basato sull'opera Ephemeris dello Pseudo-Beda. Il tempo astronomico dei lunari, d'altro canto, era alla base della medicina astrologica lunare e della prognostica medica, che avevano un ruolo essenziale nella decisione del medico di accettare o meno un determinato paziente. Il tempo astronomico costituiva poi il fondamento di opere più complesse che, a differenza dei testi popolari, fornivano spiegazioni di tipo razionale. In Spagna le opere di questo genere erano spesso traduzioni di testi arabi, come nel caso dell'Almanach catalano del 1306 ca. e della versione portoghese risalente allo stesso anno; un Almanach catalano del 1301 è attribuito a Profazio Giudeo. Assai influente fu l'opera El lunari di Bernat de Granollachs, apparsa a Barcellona, e vi furono anche compilazioni di testi di pronostici basati sulla Luna, come il lunario di Alfonso Ferrer composto a Valencia nel XV sec., il Repertorio de los tiempos di Andrés de Li e un'opera anonima, il Tractat del cos de la luna, in cui si afferma che ogni cavaliere e gentiluomo di qualsivoglia condizione dovrebbe conoscere i moti lunari.
Un'altra tecnica di divinazione si basava sui dadi e sui numeri e derivava in larga misura dalle raccolte latine delle cosiddette sortes (quali, per es., le note Sortes sanctorum). I libri di divinazione per sorti in genere presentano, dopo il calcolo numerico basato sul lancio di dadi o di astragali, una lista o tavola di quesiti, di solito venti, per i quali si desidera ricevere una risposta (le opportunità di guadagno, il sesso di un nascituro, la possibilità di recuperare una refurtiva, le probabilità di una pace e così via). Segue un'altra lista o tavola di risposte alternative associate a determinati nomi o simboli (Sole, Luna, stella, tortora, aquila, pavone, cappone, segni dello Zodiaco). Assai raramente ai destinatari sono date indicazioni sufficienti a rendere il sistema interamente comprensibile e i diagrammi di cui è generalmente corredato il testo non sono affatto chiari.
Anche questi metodi hanno origine nella cultura letteraria (per es., nell'opera di Astrampsychus, nel Liber experimentarius di Bernardo Silvestre, nonché in vari trattati arabi) e sono stati poi gradualmente modificati e semplificati per l'uso popolare. Esistono libri di divinazione per sorti sia in lingua anglo-normanna sia in francese, tanto in versi quanto in prosa; il libro vallone in versi Li sort des Apostres risale alla seconda metà del XIII sec., e ne esiste una traduzione in prosa nel dialetto di Albi, nella Francia meridionale. Queste sortes bibliche cristianizzate (Sortes sanctorum, Sortes apostolorum, Sortes XII tribuum) si basavano su varie tecniche di sorteggio: l'apertura a caso di un salterio, la deposizione sull'altare di strisce di pelle su cui erano scritte le possibili risposte a un quesito, l'uso combinato di libri di preghiere e del lancio dei dadi. In questo modo la Chiesa cercava di sfruttare le credenze e le pratiche popolari con tecniche imitative di sorteggio miranti a ridare speranza, a guidare o a rassicurare i fedeli; si tratta dunque di un altro esempio del modo in cui la Chiesa adattava la magia a scopi pastorali e terapeutici. Le Sortes sanctorum furono tradotte in provenzale alla fine del XIII sec. e in seguito versificate in francese antico.
Anche l'interpretazione dei sogni diede origine a numerosi 'libri di sogni' ‒ alcuni dei quali estremamente ambiziosi ‒ sia in latino sia in volgare, ma il loro uso, come quello delle sortes, richiedeva abilità e cognizioni considerevoli. Si trattava, in ogni caso, di metodi che non potevano essere trasmessi oralmente e gli illetterati dovevano far ricorso alla consulenza di esperti. Esistono alcuni testi in medio-inglese e in anglo-normanno che riguardano una tecnica divinatoria basata su una sfera pitagorea che associa aspetti onomatomantici, lunari, planetari e zodiacali; un altro testo di onomatomanzia è basato su una tavola aurea pitagorica. Entrambi insegnano come determinare la causa di una malattia, prevedere l'esito di una battaglia o di un viaggio, rientrare in possesso della refurtiva e così via. Lo studio della diffusione di simili opere potrà contribuire a stabilire il tipo di pubblico cui erano destinate; nella maggior parte dei casi si tratta comunque di miscellanee medico-astrologiche. Il ms. Add. 15236 (Londra, BL, del XIII sec.), di origine anglo-irlandese, mescola glossari medico-botanici, ricettari e una varietà di testi divinatori, sia in francese sia in latino (lunari, libri di geomanzia e di chiromanzia, libri dei sogni, pronostici basati sul giorno in cui cade il Natale, uno zodiologion). Il ms. Digby 86 (Oxford, Bodl.), uno dei più famosi manoscritti britannici, è una raccolta di passi di vari testi ‒ sia dotti sia popolari ‒ in latino, anglo-normanno e inglese, copiati da un laico alla fine del XIII secolo. In queste pagine si trovano ricette mediche e incantesimi, experimenta, previsioni relative al giorno in cui cadrà il Capodanno, elenco dei giorni fausti e infausti calcolati in base alla posizione della Luna, una tecnica di interpretazione dei sogni consistente nell'aprire a caso il Salterio prendendo la prima lettera del centro del libro, nonché una lista di giorni dolorosi. Analogamente, il ms. Royal 12 C XII (Londra, BL) della prima metà del XIV sec., è una miscellanea in latino, francese e inglese, in cui si trovano regole di divinazione per sorti in latino applicate all'interpretazione dei sogni, ricette in prosa francese per tingere i tessuti di lino, incantesimi contro i topi nei granai, ricette culinarie, due trattati sulla divinazione, i pronostici di Esdra seguiti da un pronostico per il nuovo anno attribuito a Ezechiele scritto in versi francesi, ricette mediche in latino e in francese che includono prescrizioni dietetiche per i singoli mesi, i periodi indicati per il salasso, nonché l'elenco dei giorni rischiosi (in francese e in latino), due libri di sortes (sempre in francese e in latino) e una nota in latino sulla chiromanzia corredata da un diagramma. In altre parole, si tratta di miscellanee di informazioni utili attinte da ogni fonte accessibile. Un manoscritto vallone del XIII sec. (Darmstadt, Hessiche Landes-und Hochschulbibliothek, 815, ff. 158r-174v), infine, contiene un ricettario, un libro dei sogni, un lunario e un erbario medico, tutti in volgare, e rappresenta una sorta di vademecum del medico laico. Gli experimenta erano una gamma assai variegata di tecniche e ricette, sia magiche sia pseudoscientifiche, ispirate dall'intento di smascherare la disonestà e il crimine oppure di intrattenere ospiti e amici con trucchi e illusionismi di vario genere. La loro storia più antica è tuttora oscura; rinvenibili in Galeno e nel cosiddetto Liber Vaccae, gli experimenta possono comparire raggruppati insieme (per es., Oxford, Bodl. e Museo, 219, ff. 186r-188v; Londra, BL, Sloane 146, ff. 65v-66r) oppure sparsi, di solito in manoscritti di argomento medico. Molti riguardano la scoperta di furti, la localizzazione e il recupero della refurtiva, ma da un rapido sguardo agli experimenta rubricati nei testi se ne deduce facilmente il tipo di utilizzazione possibile: per una donna che non ama il marito; per accertare se una donna ama il marito più di ogni altro; per conquistare l'amore di una donna; per scacciare le mosche (uso dell'acqua santa); contro la perdita del senno a causa di un maleficio. Poi vi sono incantesimi cristiani contro i topi, contro i ladri, contro le api, contro la peste suina; per far attecchire un fuoco, per proteggere gli uccellini dai predatori, per evitare di parlare nel sonno, per trasportare il ferro incandescente, per prevenire gli incendi nei boschi, per evitare di essere colpiti dal fulmine.
Seguono ricette di economia domestica; per esempio, per non far arrugginire gli utensili, o per combattere i vermi. Molti experimenta sono dedicati alla preparazione di illusionismi, giochi di prestigio per i ricevimenti e fuochi d'artificio al chiuso; altri servono a simulare un'inondazione nella casa, per far cantare oggetti inanimati, per far sembrare che i vestiti siano in fiamme quando non lo sono, per produrre un colore argento, per far sì che la carne cruda sembri cotta, per far sembrare mangiata dai vermi la carne cucinata, per trasformare l'acqua in vino. La raccolta del ms. 219 (Oxford, Bodl. e Museo), contiene experimenta in latino che propongono incantesimi, scritture cifrate e talismani per catturare i ladri, per prevenire le scottature, per mettere le mani nell'acqua bollente o afferrare i carboni ardenti, per catturare gli uccelli con le mani, per ricomporre le liti tra amici, per rappacificare i coniugi, per far rassodare le uova, per fabbricare l'aceto, per trasformare l'acqua in vino, per far saltare fuori dalla padella un pesce morto, per evitare di essere rapiti (o, qualora ciò accada, per ottenere un immediato rilascio), per indurre il sonno, per sembrare decapitati, per simulare la lebbra, per far cuocere più rapidamente la carne dura, per cuocere la carne senza fuoco, per suscitare il desiderio in una donna.
Molti di questi experimenta compaiono anche in altre raccolte, per es., nel ms. Add. 34111 (Londra, BL); altrove si ritrovano invece incantesimi per evitare che i pesci in vasca muoiano, per far ardere una candela sott'acqua, per fabbricare una scrittura invisibile che può essere vista solamente di notte (usando un pezzo di corteccia di frassino o succo di cipolla), per maneggiare l'alcole in fiamme senza ustionarsi le mani, per fabbricare una polvere che provoca prurito, per fabbricare una tinta che renda il manto di un cavallo verde brillante, per simulare di aver inghiottito un coltello, per mutare il colore di una rosa da bianca a rossa, per trasformare l'acqua in latte. Tra i metodi per identificare un ladro, ve n'è uno consistente nel chiedere a un individuo che si trova nella lista dei sospettati di osservare un occhio disegnato sulla parete con schiuma d'argento; se l'uomo è colpevole, il suo occhio destro si riempirà d'acqua, e se si conficca un chiodo di rame nell'occhio disegnato il colpevole urlerà dal dolore. Il ms. Digby 86 riporta experimenta per far riaccendere spontaneamente una candela spenta, per ottenere il lume di una candela da un'ombra sulla parete, per scrivere alla rovescia, per fabbricare una scrittura invisibile che appare soltanto se esposta al calore, per far sì che un uovo non affondi nell'acqua.
Molti di questi experimenta, come si è detto, si trovano sparsi in opere mediche; in un erbario vallone si afferma che la pianta nota come 'lingua di cane' (Cynoglossum officinale), raccolta nei giorni di Luna piena e bevuta in infuso, assicura la fedeltà della moglie, e che legando il cuore e la testa di un'aquila al capo di una donna in lite col marito si otterrà la riconciliazione dei coniugi. Nel ms. Sloane 3564 (Londra, BL) a una serie di ricette mediche e di incantesimi fa seguito una raccolta di experimenta per smacchiare gli abiti, per catturare gli uccelli con i semi, per addolcire l'acqua salata, per far muovere un uovo posato sul tavolo, per conservare il vino nelle botti e così via. Una serie di experimenta di natura esclusivamente medica sono invece attribuiti a un certo William di Sumery e a Sampson de Clouburnel.
In ogni caso, l'ampia diffusione e la longevità di questi experimenta è dimostrata dalla loro presenza in una raccolta tedesca del XV sec. conservata a Darmstadt, nella quale ancora tornano i medesimi temi: per catturare i pesci, per conquistare l'amore di una donna, per trasformare l'acqua in vetro, per veder bene di notte e così via. Nel ms. Douce 54 (Oxford, Bodl.), accanto a ricette agricole e domestiche troviamo una serie di experimenta per rendere l'agrifoglio lucente come l'argento, per far crescere una mela in un bicchiere, per tingere di verde una rosa rossa.
In conclusione di un esame dei diversi tentativi compiuti nel Medioevo per divulgare il sapere scientifico, è utile tornare alla tradizione enciclopedica. In quest'ambito, una delle opere più famose, Li livres dou Tresor (Il Tesoro) di Brunetto Latini (1220-1295), fu terminata nella sua prima redazione nel 1267, a vent'anni di distanza da L'image du monde di Gossuin de Metz; in precedenza si era avuto il Livre du monde di Pietro di Beauvais, rielaborato da Perot de Garbelei in anglo-normanno con il titolo di Divisiones mundi. Verso la fine del secolo comparve poi il Sidrach de toutes sciences, ancora inedito, scritto nella forma di domande e risposte, destinato al ceto medio e tradotto successivamente in provenzale, in italiano, in fiammingo e in inglese; nel 1223 ca. in Spagna era stata pubblicata un'opera castigliana, la Semejança del mundo, che si rifaceva alle Etimologie di Isidoro di Siviglia. Tutte queste opere ‒ come si è già detto ‒ si basavano su un patrimonio di conoscenze accumulato nei secoli; gran parte di tale sapere aveva le sue origini nella cultura scritta, ma parte era stato tramandato oralmente e divulgato nella cultura popolare.
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