Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dalla Gran Bretagna, impero coloniale già artefice di una rivoluzione industriale, e a seguire nei paesi in via di una più o meno importante industrializzazione, nell’Ottocento la scienza s’impone nella dimensione che oggi chiamiamo sfera pubblica come fattore determinante per il “progresso delle nazioni”. Dalla metà del secolo e nel settore editoriale quella consapevolezza – che presto diventa mito – è suscitata e sostenuta presso il pubblico dall’impegno degli esperti come divulgatori.
Nuovi protagonisti: scienziati, pubblico, tecnologie
Nel corso dell’Ottocento la civiltà del vapore è lentamente sopravanzata da quella dell’elettricità in cui ancora viviamo in tempi di internet: un’innovazione tecnologica che appare cruciale per comprendere la nascita della società cosiddetta della conoscenza. Osservando quei macro eventi con un cannocchiale storico sovranazionale e di lungo periodo, ci accorgiamo che in quei decenni prende il via un’accelerazione nella produzione di beni e di strumenti – materiali e concettuali – che s’impone come caratteristica tipica del Novecento. Si tratta di novità imposte da una quantità di ricerca scientifica, tecnologica e medica che nella seconda metà dell’Ottocento cresce a ritmi vertiginosi. Quella ricerca è prodotta da un numero di esperti che aumenta in modo esponenziale in zone geograficamente molto limitate del globo: alcune aree d’Europa e del Nord d’America. Quel cannocchiale speciale ci consente così di mettere a fuoco una figura sociale nuova al centro di quei cambiamenti e che solo intorno alla metà del secolo inizia a essere denominata scienziato; uno scienziato che è donna ancora raramente.
In quel contesto di grande fermento della ricerca e delle sue istituzioni, lo scienziato di professione comprende l’importanza di presentare se stesso e il proprio lavoro a un pubblico di lettrici e di lettori che è in crescita ovunque nelle zone toccate dai cambiamenti economici e sociali appena evocati.
Il processo di professionalizzazione dello scienziato avviene insieme con innovazioni spesso radicali dei mezzi di comunicazione: nel corso dell’Ottocento si assiste in Europa all’estensione del sistema postale, delle reti ferroviarie e del telegrafo, all’avvento del telefono, mentre le tecnologie per la stampa, che dai tempi di Gutenberg non sono cambiate molto, sono innovate in modo significativo. Nel 1814 a Londra, punto di partenza simbolico dell’avventura è la collaborazione tra un editore, John Walter, proprietario del “Times”, e il tedesco Friedrich Gottlob Koenig (1774-1833), inventore dell’omonima macchina da stampa, la prima a vapore. Nei primi decenni del secolo nel Regno Unito le nuove macchine per la stampa consentono di aumentare in modo impressionante la produzione di libri e le tirature dei giornali popolari. I prezzi dei prodotti editoriali calano in proporzione inversa e raggiungono un pubblico di alfabetizzati in aumento.
Scienziati e tecnologi di diversi paesi inventano, innovano e utilizzano i nuovi strumenti comunicativi con entusiasmo e si dimostrano abili utilizzatori di tutti i generi offerti dal comparto editoriale. L’obiettivo, nel solco di una tradizione antica, è quello di diffondere il sapere, ma è spesso anche quello di presentare al pubblico le ricadute del mestiere di scienziato in termini di salute e di benessere pubblici. La letteratura non specialistica si dimostra uno strumento efficace anche per coinvolgere il pubblico in battaglie a favore o contro un autore, un gruppo di esperti, una teoria. Il genere dimostra così il suo potere nel costruire e consolidare reti di professionisti che influenzano in modo importante la ricerca e le sue istituzioni e dunque anche l’economia e la politica contemporanee.
Quella letteratura nella quale l’esperto si cimenta con intenti educativi e politici, una produzione di qualità variabile e che non sempre resiste al tempo, è denominata in diverse lingue scienza popolare, volgarizzata o, nella seconda metà del secolo, scienza per tutti. Si tratta di un genere che nel Novecento evolve nella divulgazione e in seguito nella comunicazione della scienza e che ci racconta di un pubblico europeo che nell’Ottocento si appassiona di natura e di tecnologie, disquisendo di modernità e industrializzazione, di eroi e di martiri della scienza. A sollecitare quelle curiosità contribuiscono naturalmente altri fenomeni come, per esempio, il diffondersi dei musei naturalistici; l’organizzazione d’incontri pubblici su temi scientifici, politici e religiosi insieme; la passione per le esposizioni, di volta in volta locali, nazionali o internazionali, eventi dove tecnologia e scienza sono messe in mostra in grande stile insieme con le conquiste dell’industria e con le ansie espansionistiche delle nazioni o degli imperi.
Letta sullo sfondo di quel contesto, la scienza popolare e per tutti è uno strumento utile a ricostruire la storia dei rapporti tra scienza e società, ma anche per comprendere alcuni aspetti della storia degli scienziati stessi. Quando agli inizi dell’Ottocento il vapore entra nelle officine tipografiche, lo scienziato è denominato filosofo naturale e la cultura che produce, talvolta ancora in laboratori casalinghi, è un universo magmatico chiamato filosofia naturale. Nei decenni che seguono, l’evoluzione che porta allo scienziato come lo conosciamo oggi è raccontata dagli esperti stessi mentre è in corso d’opera, in forme più o meno dirette, sulle pagine di giornali e libri di scienza popolare. L’operazione è favorita dal rapporto sempre più stretto dello scienziato con l’editore, un’altra figura sociale in ascesa nell’Ottocento.
Con la diffusione dell’industrializzazione, il lento miglioramento delle condizioni di vita e la diffusione, sebbene geograficamente non omogenea, dell’educazione di massa, sulla scena europea aumentano i lettori, in particolare quelli appartenenti alle classi medie in formazione.
Esperti e tecnologi autori di scienza popolare offrono letture ottimistiche di quei fenomeni e gli europei pensano alla propria epoca come a un’età di “progresso”.
La storia di lungo periodo di quelle vicende aiuta a capire qualche cosa del dialogo difficile che, dalla seconda metà del Novecento, caratterizza i rapporti tra esperti e non esperti, tra cadute nei miti dello scientismo e quelle in uno scetticismo antiscientifico. Nel dialogo tra scienziati e pubblico la letteratura divulgativa gioca il suo ruolo mediano, sempre di parte e mai neutrale, negli anni di internet così come in quella del vapore.
Science for all, Science pur tous, Wissenschaft für alle …
La scienza popolare, d’altra parte, non nasce nell’Ottocento, secolo del progresso, né nel Settecento dei Lumi, ma affonda le sue radici in una tradizione antica almeno quanto l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Fin dai tempi delle corti il filosofo naturale ha la necessità di comunicare i risultati del suo lavoro in forme comprensibili a non esperti, come principi, regine e alti prelati che gli forniscono i mezzi per lavorare e vivere. Tuttavia, è solo verso la fine del Seicento e soprattutto nel Settecento che gli esperti scrivono di filosofia naturale per il pubblico con obiettivi via via più complessi: tra gli autori più interessanti basterà ricordare il francese Bernard Le Bovier de Fontenelle e dell’italiano Francesco Algarotti.
Insieme agli scopi educativi, religiosi o antireligiosi presenti fin dal Cinquecento, l’uso di questa letteratura diventa strumento d’intervento politico: di politica della scienza – a sostegno o contro gli autori e le loro teorie –, e di politica tout court. La scienza raccontata in volgare, attraverso generi letterari come il dialogo o gli almanacchi, attraverso lezioni tenute nei salotti, nelle coffeehouses o nelle piazze, raggiunge i curiosi, gli autodidatti e, soprattutto, le élite istruite alle quali appartengono politici e imprenditori.
Tra interlocutori così diversi per esigenze e obiettivi, il dialogo sulla scienza s’intensifica e si complica attraverso la scienza popolare con il diffondersi dell’industrializzazione fino a che intorno alla metà dell’Ottocento si assiste al successo di una letteratura che nelle diverse lingue è celebrata come science for all, science pur tous, Wissenschaft für alle, scienza per tutti …
Strumento di diffusione di sapere e informazioni utili, questo genere assume un ruolo importante anche nel negoziare i rapporti tra esperti e potere, tra cultura accademica e popolare in senso proprio, tra scienza e fede. In seguito alla rapida specializzazione disciplinare questa letteratura, prodotta in forme comunicative di livelli diversi, diventa anche uno strumento importante di dialogo tra esperti di settori diversi della ricerca. La scienza popolare si dimostra anche efficace per diffondere il mito dello scienziato come professionista “speciale” e al di sopra degli altri; del laboratorio come luogo di costruzione di conoscenza e insieme di progresso civile, morale e politico, e può sostenere anche i miti della superiorità dell’uomo sulla donna e di alcune etnie su altre. In particolare nel Regno Unito il successo di questa letteratura si avvantaggia della presenza d’istituzioni pensate appositamente per far dialogare esperti e pubblico.
Le attività di Humphry Davy e di Michael Faraday presso la Royal Institution, istituzione indipendente fondata a Londra nel 1799, incarnano la filosofia di un luogo nato sia per realizzare ricerca di alto livello sia per presentarla al pubblico. Presso la Royal Institution, mentre si definiscono strategie sempre più efficaci per favorire la diffusione di conoscenze naturalistiche e scientifiche, si lavora per suscitare nel pubblico sentimenti di ammirazione passiva nei confronti dell’esperto: un aspetto ambiguo di questo tipo di attività che è rimasto inalterato nel tempo.
Alcuni esperti divulgatori di età vittoriana diventano star celebrate sui giornali e nei salotti londinesi, ma anche in quelli delle città di provincia, per esempio quelle dove si riunisce la British Association for the Advancement of Science (BA). Presso la BA, istituzione itinerante fondata nel 1831, studiosi e pubblico si confrontano – e scontrano – su questioni scientifiche che hanno spesso implicazioni sociali e religiose.
Tra i protagonisti più noti di quelle imprese ci sono: il già citato Faraday, che scrive testi fondamentali per lo studio della chimica e dell’elettricità e libri popolari tra più i venduti come Chemical History of a Candle (1861); John Tyndall, un fisico importante che è scrittore e conferenziere di enorme successo; l’esperto di anatomia comparata Thomas H. Huxley, uno dei più efficaci divulgatori di tutti i tempi; John Lubbock, entomologo e antropologo, autore di Pre-Historic Times (1865) e The Origin of Civilisation (1871), due libri per non esperti che hanno un successo duraturo; Norman Lockyer (1836-1920), uno dei fondatori di “Nature” (1869-), tra gli iniziatori dell’astrofisica, ma anche autore di libri per ragazzi. Accanto a questi e altri esperti divulgatori, lavorano molte decine di autori e di autrici che, pur non appartenendo ai network scientifici che contano, ne sono riconosciuti come portavoce. È il caso di Mary Somerville (1780-1872), tra i divulgatori di professione più di successo del periodo. A Somerville si nega il diritto di presentare il proprio lavoro di ricerca alla Royal Society perché donna, ma si rende merito pubblicamente alla sua capacità di divulgare temi complessi come la meccanica celeste di Laplace. In altri casi, invece, s’ingaggiano conflitti aperti con autori che propongono una cultura naturalistica i cui presupposti e conclusioni sono popolari in senso proprio. Il caso più clamoroso è nel 1844 la pubblicazione anonima di Vestiges of the Natural History of Creation. Il volume è letto a Londra e in provincia con la passione suscitata da un romanzo avvincente e scoprire l’identità dell’autore appassiona pubblico ed esperti. L’autore, l’editore Robert Chambers (1802-1871), propone una teoria generale della creazione che è bizzarra quanto affascinante. Il volume innesca un dibattito pubblico in merito alle origini della vita che precede la pubblicazione di On The Origin of Species di Charles Darwin (1859). Huxley, figura cruciale per le politiche della scienza di età vittoriana, prende sul serio la vicenda: Huxley ha capito l’importanza che la cosiddetta popular science ha nel disciplinare i rapporti tra gruppi di esperti e tra questi e il pubblico, ed è preoccupato dell’impatto che un simile guazzabuglio ha presso lettrici e lettori anche colti.
Pochi anni dopo è la stessa straordinaria avventura dell’evoluzionismo darwiniano a giocarsi in larga misura davanti al pubblico. Il via è segnato dall’incontro tra Huxley stesso e il vescovo Samuel Wilberforce (1805-1873). Nel giugno del 1860 a Oxford il duello verbale tra i due, uno a sostegno l’altro contro la teoria di Darwin, è ospitato dalla riunione annuale della British Association for the Avancement of Science, nota come BA, alla quale, si dice, partecipa un migliaio di persone. Lo scambio tra i due è senza esclusione di colpi e a una battuta di Huxley in merito alla parentela tra umani e scimmie una signora sviene. In pochi giorni, grazie all’eco sui giornali, al passaparola del pubblico e, soprattutto, alla campagna degli amici di Darwin che attribuiscono una vittoria schiacciante a Huxley, quell’evento “popolare” entra nel mito e nella storia della scienza.
Anche in Francia intorno alla metà del secolo la science populaire o pour tous ha un grande successo e i nomi dei vulgarisateurs sono celebrati dal pubblico parigino. È il caso di Louis Figuier (1819-1894), entusiasta sostenitore del “progresso” e delle “meraviglie” della scienza; di Camille Flammarion (1842-1925), che contribuisce all’amore per l’astronomia di molte generazioni di europei; di Gaston Tissandier (1843-1899), chimico, aeronauta, instancabile divulgatore il cui nome evoca le mongolfiere e le récréations scientifique. Ma il fenomeno è internazionale e in Germania hanno successo sia esperti di riconosciuta fama internazionale come Alexander von Humboldt, Justus von Liebig e Hermann von Helmholtz, sia autori come Wilhelm Bölsche (1861-1939), appassionato di scienza e scrittore di professione.
In misura e con modalità diverse, anche nel resto d’Europa gli scienziati s’impegnano come divulgatori spesso prendendo a modello gli autori citati, come nel caso dell’Italia.
Scienza per tutti a Sud delle Alpi
I dati quantitativi mostrano che in Italia il successo della scienza per tutti o popolare – cioè per il popolo – inizia un decennio dopo l’Unità circa. Musei e università aprono timidamente le porte al pubblico organizzando delle letture scientifiche popolari, mentre lentamente si diffonde l’abitudine delle esposizioni e gli scienziati scrivono per il pubblico, spesso con l’obiettivo di offrire un’identità nazionale agli italiani. Tuttavia, è noto che il paese lamenta tassi di analfabetismo tra i più alti d’Europa: nel 1861 il primo censimento svela che il 75 percento degli italiani è analfabeta e, secondo i calcoli degli storici, in realtà non più del 10-12 percento della popolazione è davvero alfabetizzata. Agli inizi del Novecento, quando nel Regno Unito e in Francia l’analfabetismo è debellato, in Lombardia e Piemonte è analfabeta ancora il 25 percento circa della popolazione e in nove regioni del Sud e del Centro lo è il 60 percento.
Impegnati nella lotta contro quell’arretratezza, alcuni scienziati particolarmente attenti a quanto accade paesi prima menzionati, pensano che offrire a operai, contadini e artigiani informazioni ispirate alla “scienza positiva”, veicolata attraverso tutti i generi editoriali a disposizione, sia la strada per diffondere un maggior grado di civiltà nel paese. In linea con lo spirito del positivismo che attraversa l’Europa, quegli scienziati divulgatori, spesso impegnati in politica e in polemica con le autorità religiose, collaborano con i migliori editori – di solito del nord del paese – con l’obiettivo di supplire alle inadempienze dell’educazione pubblica. La scienza “sminuzzata” e “volgarizzata”, “resa popolare” e “per tutti” diventa un fenomeno editoriale importante anche in Italia e raggiunge il suo apice negli anni ottanta dell’Ottocento.
Pur rivolgendosi a un pubblico relativamente ristretto, editori e autori propongono una letteratura scientifica che compete spesso per qualità e varietà con quella delle zone più avanzate d’Europa. Anche alcuni scienziati divulgatori italiani riescono a varcare le frontiere linguistiche nazionali e non solo quando si occupano di temi antropologici ambigui, come nei casi controversi di Paolo Mantegazza (1831-1910) e Cesare Lombroso. Ottengono fama internazionale anche le opere di alta divulgazione dell’astronomo Angelo Secchi, dello psicologo e antropologo Tito Vignoli, del fisiologo Angelo Mosso, del medico e psichiatra Enrico Morselli.
Raggiungere il pubblico con un messaggio che esalta la “modernità” è l’obiettivo di molti autori e nell’Italia postunitaria la scienza per tutti diventa facilmente terreno di battaglia politica. La produzione di anticlericali come il naturalista e sostenitore dell’evoluzionismo Michele Lessona (1823-1894) offre un esempio tra i più interessanti. Ma sono attivi come divulgatori anche astronomi quali il barnabita Francesco Denza (1834-1894) e il gesuita Secchi, il sacerdote Raffaello Caverni (1837-1900), che scrive di filosofia e scienze naturali, ma pubblica anche delle Ricreazioni scientifiche (1882) e un libro di fisica per ragazze, e naturalmente il più battagliero di tutti, l’abate e geologo Antonio Stoppani (1824-1891), autore del bestseller Il bel paese (1876). Non mancano esperti divulgatori come il naturalista Paolo Lioy (1834-1911), cattolico e tra i primi sostenitori di Darwin in Italia, un autore che rifiuta i cliché imposti dall’uno e dell’altro schieramento, forse anche grazie alla sua indipendenza dal mondo accademico. Poche le autrici di successo, ma non prive d’interesse, come nel caso della naturalista ed evoluzionista Carolina Magistrelli Sprega (1857-1939).
Una conferma dell’impegno individuale degli scienziati italiani come divulgatori è la percentuale di titoli tecnico-scientifici che, nel primo decennio postunitario, sfiora il 20 percento circa della produzione annua complessiva di titoli; una percentuale che raddoppia negli anni Ottanta. I dati concernenti la produzione dei periodici scientifici, invece, imprese che richiedono una buona collaborazione tra colleghi e il rispetto di scadenze fisse, confermano la fragilità della comunità italiana degli scienziati.
Anche a sud delle Alpi scienziati e pubblico pensano alla propria era come a un’età di progresso e la celebrano anche a teatro, come nel caso del ballo Excelsior, che nel 1881 a Milano ha un successo che diventa presto internazionale.
Conclusioni
Tuttavia, verso già negli Novanta la scienza popolare cede il passo al romanzo negli interessi dei lettori. Il fenomeno coincide con l’uscita di scena della generazione di scienziati divulgatori che ha collaborato al Risorgimento e all’unità nazionale. Gli scienziati delle generazioni successive continuano con impegno nell’attività di divulgatori tuttavia, grazie al consolidamento definitivo di una comunità nazionale degli esperti durante la Grande Guerra, non sentono più come urgente il bisogno di dimostrare l’importanza del proprio ruolo a un pubblico anche molto popolare e si concentrano su una produzione di livello più alto rispetto a quella praticata dai colleghi postunitari.
Nonostante i numerosi e talvolta importanti precedenti di prima età moderna, è durante l’Ottocento e grazie agli scienziati divulgatori che la letteratura per non specialisti, a sud così come a nord delle Alpi, conosce una moltiplicazione di livelli comunicativi che la rende ciò che è ancora oggi: un settore importante del mercato editoriale, un genere conosciuto dai lettori e dalle lettrici di ogni età. Si tratta di una letteratura che, negli anni Duemila così come nell’Ottocento, insieme con le posizioni sulla scienza degli esperti e dei loro portavoce, ci racconta anche dei loro convincimenti politici o religiosi.