La scienza in Cina: dai Qin-Han ai Tang. Produzione, circolazione e gestione dei testi
Produzione, circolazione e gestione dei testi
Le più antiche testimonianze della scrittura cinese risalgono al II millennio a.C., quando apparvero le prime iscrizioni oracolari su gusci di tartaruga o su ossa di bovini e, successivamente, quelle su vasi rituali di bronzo; i primi documenti scritti non compaiono invece prima del V sec. a.C., ossia durante il cosiddetto periodo degli Stati combattenti (480-221 a.C.). Questi primi testi usano come supporto due tipi di materiale: da una parte il bambù o il legno, dall'altra la seta, entrambi sostituiti in seguito dalla carta.
La nostra conoscenza delle prime forme cinesi di libro si è basata per molto tempo sui termini usati nei documenti antichi. All'inizio del XX sec., però, grazie agli scavi effettuati in una delle grotte buddhiste di Dunhuang nella regione del Xinjiang, sono stati riportati alla luce circa cinquantamila manoscritti risalenti al periodo tra il V e il X sec., segnando una svolta negli studi sulla storiografia sociale, economica e religiosa della Cina medievale. Queste scoperte hanno inoltre rivelato una certa varietà nelle forme e nei formati dei libri su seta, su bambù e su legno, permettendo di delineare meglio le caratteristiche del libro cinese, la cui storia era stata sino ad allora confusa con quella dei documenti e del materiale d'archivio, soprattutto a causa della terminologia usata per i listelli di bambù e le tavolette di legno. Il carattere ce, che rappresenta l'immagine di due listelli legati da una cordicella, o il carattere dian, che rappresenta uno ce posato su un tavolo, indicano in primo luogo i documenti ufficiali e se ne trova traccia anche nelle iscrizioni su bronzo e su ossa.
A giudicare dalle decine di migliaia di listelli e tavolette ritrovati nella maggior parte dei casi all'interno di tombe, il bambù sembra essere stato preferito per i testi lunghi, mentre il legno era riservato agli scritti più brevi, agli inventari, alle lettere, agli annali e così via. Si trovano dunque su legno testi di astrologia di varie dimensioni e anche manuali scolastici come il Manuale per un 'rapido apprendimento' (Jijiu pian). Questo testo è scritto su listelli separati a forma di prisma, adatti agli esercizi pedagogici di apprendimento della lettura e della scrittura, grazie alla ripartizione del testo in sequenze. La funzione di questo tipo di scritti è particolare, in quanto le tavolette o i listelli sono slegati gli uni dagli altri anche se il testo può continuare su più tavolette o listelli. Essi dunque sono diversi dai libri di bambù che potevano raccogliere diverse dozzine di listelli stretti e lunghi, legati da lacci di soia o di canapa o, a volte, di cuoio, arrotolati e conservati. Inoltre, mentre il legno era semplicemente seccato e levigato, il bambù richiedeva un trattamento particolare prima di essere inciso. Anzitutto, lo si privava della pellicola esterna, poi lo si tagliava nella lunghezza voluta e lo si spezzava in modo da ottenere listelli larghi circa un centimetro; questi ultimi erano essiccati a fuoco con un procedimento detto shaqing ('uccidere il verde') per impedire eventuali attacchi d'insetti. Anche in questo caso le dimensioni non sono uniformi; secondo le fonti storiche esse obbedirebbero a regole stabilite, ma i libri che ci sono pervenuti fanno pensare che la realtà fosse più complessa.
Durante gli Han posteriori (25-220), i listelli su cui si copiavano i Classici dovevano avere un formato superiore a quelli usati per altre opere, ossia i commentari o i lavori storici. Sappiamo inoltre da Zheng Xuan (127-200) che la lunghezza dei listelli di bambù era pari a 2 chi e 4 cun (55,5 cm ca.) per i Classici confuciani, 1 chi e 2 cun (28 cm ca.) per il Classico della pietà filiale (Xiaojing), e 8 cun (19 cm ca.) per i Dialoghi (Lunyu) di Confucio, all'epoca non ancora inseriti nel Canone confuciano. Le dimensioni dei libri ritrovati nel XX sec. si adeguano soltanto in parte a queste regole; per esempio, i listelli delle tre copie di uno dei Classici, il Cerimoniale (Yili), scoperte a Wuwei (nella regione del Gansu) nel 1959, sono di due misure delle quali una sola potrebbe corrispondere alla lunghezza di 2 chi e 4 cun. Per di più le altre opere, nella maggior parte dei casi, sono scritte su listelli di varie dimensioni, da 23 cm, come le cronache trovate a Shuihudi (nella regione dello Hubei), sino a più di 70 cm, come quelli dei testi letterari e divinatori trovati a Baoshan (nella regione dello Yunnan). In realtà, solamente le copie ufficiali dei Classici, come più tardi quelle dei sūtra buddhisti, dovevano seguire regole relativamente rigide.
Oltre al bambù e al legno si usava anche la seta, che rispetto agli altri supporti aveva il vantaggio di essere più leggera e di più facile uso. Nel periodo Han si sottolinea spesso la difficoltà di maneggiare rotoli composti da dozzine di listelli per giustificare il ricorso a supporti più comodi. Anche se nell'Antichità non è sollevato, il problema della leggibilità di listelli lunghi più di 50 cm ha probabilmente esercitato il suo peso nelle trasformazioni delle forme del libro. Pur essendo maneggevole, il libro di seta, a causa della sua complessa fabbricazione, e di conseguenza del suo prezzo, era di uso meno corrente rispetto a quello di bambù. La seta si prestava alla rappresentazione di schemi e di diagrammi, che erano spesso necessari nelle opere di divinazione, astrologia, arte militare e medicina, ed era anche il supporto privilegiato per tracciare carte geografiche. I formati dei libri di seta sono meno vari rispetto a quelli dei libri di bambù e di legno. Anche se la lunghezza del libro dipendeva da quella del testo, e un pezzo di seta poteva dunque essere tagliato secondo la misura necessaria, la sua larghezza corrispondeva all'altezza del tessuto definita dai maestri tessitori dell'epoca, ossia circa 50 cm, o a alla sua metà. Il libro di seta era, quindi, conservato piegato nel caso di opere brevi, scritte sul pezzo di seta di massima altezza, o arrotolato per le opere molto lunghe, scritte sulla seta di altezza minima. Naturalmente, va sempre tenuto conto che i libri di cui noi oggi disponiamo non provengono da biblioteche, ma sono stati rinvenuti in tombe.
L'invenzione della carta risolse i due principali svantaggi della seta e del bambù: il costo, per la prima, e la scarsa manegevolezza, per il secondo. Il nuovo materiale divenne però un supporto per i libri soltanto dopo un lungo periodo di prova, similmente a quanto accadde più tardi per la stampa xilografica. La tradizione che attribuisce la maggior parte delle invenzioni a un personaggio preciso individua in Cai Lun (un alto funzionario a capo dei laboratori imperiali, morto nel 121 d.C.) il responsabile della messa a punto della tecnica di fabbricazione della carta con corteccia d'albero, canapa, stoffa usata e reti da pesca. Anche in questo caso l'archeologia rimette in discussione questa tradizione. La carta, inventata a seguito di vari tentativi compiuti alla ricerca di un sostituto meno costoso della seta, sembra essere apparsa almeno due secoli prima di Cai Lun. All'inizio era probabilmente fabbricata utilizzando cascami di seta, solo successivamente si passò alla canapa. I fogli erano confezionati seguendo vari procedimenti, tutti tesi a distendere in piano il materiale; per esempio, un procedimento seguito con una certa frequenza consisteva nel porre su un setaccio una pallina di pasta e nel bagnarla ripetutamente con acqua per distenderla. È quasi certo che i primi tentativi di fabbricazione della carta non mirassero a ottenere un nuovo supporto per la scrittura, ma a trovare un materiale adatto ad avvolgere gli oggetti. D'altra parte la carta grossolana fabbricata nei primi tempi, non molto diversa da quella prodotta ancora oggi in diversi luoghi della Cina meridionale per l'imballaggio o per la cartamoneta da bruciare nelle offerte, non sarebbe stata adatta alla scrittura. I fogli dovevano essere trattati successivamente in modo da non assorbire l'inchiostro, e a questo scopo ci si serviva soprattutto di amido.
L'analisi delle fibre, per quanto possa essere affidabile, ha rivelato che i frammenti scoperti nelle regioni del Xinjiang e del Gansu, i più antichi dei quali risalgono al II sec. a.C., sono fatti di canapa. La tecnica di fabbricazione doveva evolversi sia a seguito della preparazione di una pasta liquida in cui era immersa la forma, sia grazie alla sostituzione dello schermo fisso del setaccio con una forma mobile, costituita da una cornice di legno e da uno schermo sottile che si poteva staccare dalla cornice, fatto di sottili fusti di bambù legati da crini di cavallo o da fili di canapa o di seta. Si può supporre che Cai Lun sia stato l'ispiratore di questi progressi, o almeno che egli abbia saputo trarne vantaggio per incoraggiare l'uso della carta nell'amministrazione imperiale. A sostegno di questa ipotesi vi è, tra l'altro, il fatto che i tipi di carta prodotti in epoca successiva presentano in genere tracce dei tipici fili verticali che rivelano l'uso di una forma mobile, mentre le carte più antiche mostrano tracce della quadrettatura di tessuto del setaccio che era servito come schermo. L'uso della carta per i libri si diffuse a partire dal II sec. d.C., quando era correntemente usata per la copiatura, ma sostituì definitivamente il bambù e il legno soltanto nel III secolo. La seta, da parte sua, restò in uso per le opere di lusso almeno sino al V sec., e, nel caso di manoscritti particolarmente preziosi, anche più a lungo.
Nella forma, il rotolo di carta fu erede diretto di quello di seta, di cui mantenne le dimensioni dell'altezza e la disposizione del testo, ma dal quale si differenziava in quanto era costituito da fogli rettangolari incollati estremità a estremità; in realtà, anche nelle dimensioni dell'altezza furono apportati dei cambiamenti, in quanto si prediligevano fogli di altezza tra 22 e 30 cm. La parte iniziale del rotolo si prolungava in un tessuto o altro materiale che serviva a proteggerlo quando era avvolto e sul cui orlo era fissata una fettuccia per tenerlo chiuso. Sul verso di questo tessuto erano spesso riportati il titolo dell'opera e la numerazione dei capitoli, in modo da essere leggibili quando il manoscritto veniva arrotolato; su questa parte era a volte indicata anche la segnatura del manoscritto, secondo il sistema di classificazione adottato nelle varie biblioteche. Il testo era scritto dall'alto in basso e da destra a sinistra e le colonne erano separate da rigature che ricordano le separazioni imposte dalla giustapposizione dei listelli di bambù. Il rotolo terminava con un foglio per l'avvolgimento, spesso tagliato di sbieco e incollato a un bastone intorno al quale si arrotolava il manoscritto. Probabilmente questo sistema non praticato sin dai primi tempi dell'uso della carta, ma conosciuto a partire dal III sec., rimase invariato sino all'VIII sec., quando si verificarono notevoli trasformazioni contemporaneamente ai primi esperimenti di stampa xilografica.
È ancora difficile ricostruire i processi di produzione, moltiplicazione, trasmissione tramite copiatura e conservazione del libro manoscritto sino al I sec. a.C. Nel periodo degli Stati combattenti, il libro non sembra avere ancora assunto uno status distinto da quello di altri oggetti il cui possesso stava a indicare una specifica posizione sociale. Mentre non sappiamo nulla sugli scritti privati dei diversi maestri e delle molteplici scuole di pensiero da essi create, è noto che i libri delle collezioni reali erano considerati prove della legittimità del sovrano. Da una parte, essi erano confusi con il materiale d'archivio, i registri amministrativi, gli statuti, e la registrazione dei fatti e delle azioni di re e imperatori, degli atti di governo e delle procedure che avevano portato a tali decisioni (a volte dopo la consultazione di oracoli); dall'altra parte, erano conservati alla stregua di oggetti rari, preziosi o magici, come i cosiddetti 'diagrammi rivelati', segni del mandato celeste, o come le carte geografiche, simbolo dell'estensione del potere reale o imperiale.
Questa volontà di concentrare i documenti scritti nelle mani del sovrano rimase una costante nella storia delle biblioteche cinesi e nell'Antichità, ma sotto la pressione della corrente filosofica legista condusse alla grande proscrizione ordinata dal Primo Imperatore Qin (Shi Huangdi) e dal suo ministro Li Si nel 213 a.C.: tutti i libri, a eccezione di quelli di medicina, divinazione e agricoltura, e di quelli che riguardavano la storia del regno dei Qin, dovettero essere bruciati. La catastrofe fu particolarmente grave per le diverse correnti intellettuali che si erano sviluppate dopo il V sec., e in misura ancora maggiore per quella confuciana.
La breve durata della dinastia Qin limitò fortunatamente gli effetti di tale provvedimento, ma lo sviluppo della produzione scritta riprese in realtà soltanto con il regno dell'imperatore Wu (140-87 a.C.) durante la dinastia Han; a Wudi, peraltro, si deve l'iniziativa di far depositare nella Biblioteca imperiale un esemplare di ogni opera, iniziativa che indubbiamente si traduce in una forma di controllo sulla diffusione delle idee. L'imperatore faceva reclutare scribi per copiare le opere che potevano così essere conservate in luoghi annessi all'amministrazione imperiale; la biblioteca non si distingueva ancora dagli altri elementi del tesoro imperiale, da cui si distaccherà solamente nel III sec. d.C. grazie a Cao Cao (155-220) e a suo figlio Cao Pi (220-226), primo sovrano della dinastia Wei. Nel periodo Han, essa raccoglieva i documenti relativi alle istituzioni e ai fatti storici, le opere filosofiche e letterarie, materiale che sarebbe servito, in seguito, alla compilazione delle storie dinastiche. Inaugurate dalle Memorie di uno storico (Shiji) di Sima Qian (145-86 a.C. ca.), che narrano la storia della Cina a partire dalla più remota Antichità, queste storie comprenderanno annali, monografie e biografie delle personalità più rilevanti. Gli annali si limitavano ai fatti giudicati essenziali, selezionati da storici ufficiali nelle storie di ciascun regno a partire dagli 'archivi autentici' (shilu), e dai registri dei fatti e degli atti quotidiani di ogni imperatore.
Lo sviluppo delle biblioteche imperiali proseguì malgrado le guerre e i cambiamenti di dinastia. Sulla base del modello storico affermatosi, secondo cui i sovrani non erano soltanto guerrieri ma anche letterati, atto iniziale di ogni nuovo imperatore era quello di costituire nuove collezioni librarie. I libri erano cercati in tutto l'Impero, presi in prestito dai loro proprietari, esaminati dai membri della Biblioteca imperiale, soggetti a collazione e revisione, copiati e infine restituiti ai possessori. Tuttavia accadeva spesso che si facessero pressioni affinché copie a opera di calligrafi famosi fossero conservate dall'amministrazione imperiale. L'organizzazione della biblioteca realizzata da Cao Pi con la denominazione di Dipartimento degli scritti segreti (Bishu sheng) non cambierà sino all'VIII secolo. Il numero delle opere conservate aumentò, passando da circa 13.000 rotoli alla fine del I sec. a.C. a 57.000 alla fine del VI sec., e a 80.000 intorno al 730. Un buon numero di questi rotoli era conservato in diversi esemplari, poiché si era affermato l'uso di fare almeno tre copie di ciascun testo, suddivise tra i diversi palazzi.
La dinastia Tang, al suo apogeo durante il regno di Xuanzong (712-755), vide la nascita della Biblioteca in cui si raccolgono i saggi (Jixian dian shuyuan), risultato finale di una vasta opera di copiatura sistematica di tutti i libri conservati nell'Impero. In questa occasione venne compilato un catalogo dettagliato di tutte le opere, che da solo consisteva in ben 200 rotoli. Tutte le opere furono classificate in quattro categorie, ognuna delle quali era identificabile immediatamente dal colore dei bastoni, dei nastri, delle etichette dei titoli e degli involucri che racchiudevano i diversi rotoli di una stessa opera. Quest'operazione anticipa il sistematico censimento dei libri promosso molto più tardi durante il regno di Qianlong, nel XVIII secolo.
Le biblioteche private, alle quali attingevano piuttosto spesso i curatori delle biblioteche imperiali, conobbero un grande sviluppo dall'inizio della dinastia degli Han posteriori, in particolare grazie al progressivo incremento dell'uso della carta. A volte dotate di diverse migliaia, se non di decine di migliaia di rotoli, esse ci informano sulla circolazione del libro manoscritto, sulle pratiche che circondano l'acquisizione e la conservazione dei libri, e sugli usi della lettura, della copiatura e della collazione. Data l'importanza della scrittura nella cultura cinese, dovuta tanto alle sue origini divinatorie quanto ai suoi legami con il disegno, la bibliofilia divenne uno degli elementi che caratterizzavano il gentiluomo confuciano. La copiatura personale era dunque preferita rispetto all'acquisizione dei libri sul mercato o presso gli scribi professionisti; essa era in effetti considerata non soltanto un mezzo di riproduzione, ma anche un modo di assimilazione superiore alla lettura. Copiare era un esercizio intellettuale paragonabile, e a volte preferibile, all'esercizio fisico e da parte dei giovani era collegato allo studio e all'apprendimento dei testi fondamentali; la formazione passava in effetti per la lettura e l'instancabile copiatura delle stesse opere, come i Dialoghi di Confucio, il Classico della pietà filiale, il Classico delle odi (Shijing), e il Classico dei documenti (Shujing). La lettura si praticava ad alta voce senza tenere conto, per i più giovani, della comprensione che, alla fine, sarà il risultato dell'assimilazione dovuta alla ripetizione e all'apprendimento a memoria. Secondo una celebre massima di Dong Yu (fine del II sec.), si poteva comprendere il senso soltanto dopo aver letto cento volte.
Da adulto, il letterato bibliofilo si dedicava al confronto tra le copie per evitare la riproduzione e la proliferazione degli errori. L'assillo dell'errore è una caratteristica costante della cultura manoscritta, ma in Cina divenne una vera ossessione, in particolare per quanto riguarda i Classici confuciani, al punto che gli imperatori decisero più volte di far incidere su pietra una versione integrale di questi testi che servisse come modello. Questo accadde nel II sec., quando il confucianesimo divenne dottrina di Stato, e si ripeté nel III e nell'VIII sec., e poi in quelli successivi. Lo sviluppo dell'incisione su pietra di interi testi o di opere calligrafiche diede origine a un mezzo meccanico di riproduzione tipico della Cina, il calco. La tecnica, che forse risale al V sec. anche se le prime testimonianze conservate datano al VII sec., consiste nell'applicare un foglio di carta su una stele, nell'inumidirlo per distendere la carta, farla aderire alla pietra e farla penetrare nelle cavità dell'incisione; poi, dopo l'asciugatura, nell'inchiostrare la carta con un tampone piatto imbevuto d'inchiostro poco diluito, in modo che questo non penetri nelle cavità; annerendo la carta, i caratteri della scrittura si evidenziano in bianco su nero, ed è allora sufficiente staccare la carta. La riproduzione richiede assai poco tempo. L'introduzione del buddhismo in Cina e il contemporaneo sviluppo del taoismo religioso furono all'origine di una notevole produzione di opere che in pratica non saranno mai conservate insieme alle altre raccolte. Nelle bibliografie ufficiali, le traduzioni delle parole del Buddha, delle opere di disciplina e di dottrina, le compilazioni cinesi, i testi rivelati ai maestri taoisti, le opere di dietetica o di sessualità e le raccolte di talismani erano semplicemente aggiunte di seguito ai fondi librari ripartiti secondo le classi tradizionali (dapprima sei, poi quattro). Nella maggior parte dei casi questo genere di opere era conservato separato nei principali monasteri delle capitali.
Il funzionamento delle biblioteche dei monasteri buddhisti, più o meno vicini al potere imperiale, è più conosciuto di quello delle biblioteche taoiste.
I soli dati concreti, e fin troppo spesso sparsi, sono offerti dai manoscritti scoperti a Dunhuang che contengono informazioni sulla localizzazione delle biblioteche, la classificazione delle opere, la loro acquisizione, la loro conservazione e il loro restauro, la raccolta dei libri e il loro prestito. Le informazioni essenziali provengono soprattutto dall'organizzazione dell'enorme lavoro di traduzione delle migliaia di opere portate in Cina dai buddhisti dell'India e dell'Asia centrale o, viceversa, riportati in patria dai pellegrini cinesi, e dalla minuzia con cui furono costituiti cataloghi bibliografici, quali la Raccolta di note scelte dai Tre canestri (Chu sanzang jiji), completata nel 518, o il Catalogo buddhista dell'era Kaiyuan (Kaiyuan shijiao lu), terminato nel 730. Oltre alla classificazione di testi di natura diversa, uno degli obiettivi di questi cataloghi era quello d'individuare gli scritti di origine dubbia o totalmente falsi, che erano proliferati abbastanza rapidamente. Diverse erano inoltre le modalità di diffusione e di copiatura degli scritti buddhisti. Mentre per i confuciani scopo dell'opera di copiatura sembrava essere la ricerca del testo corretto, per i buddhisti appare significativa la moltiplicazione delle copie. L'incoraggiamento a leggere e a copiare, nel caso se ne fosse capaci, oppure a far copiare i sūtra buddhisti sfocia in una proliferazione degli scritti. Dalla lettura dei colophon dei manoscritti si deduce che le ragioni della copiatura erano spesso legate alla condizione (a volte materiale) dei donatori; nella maggior parte dei casi erano però connesse all'acquisizione di meriti che permettessero di sfuggire alle vie malvagie della rinascita e agli inferi per sé stessi o per i propri congiunti. I manoscritti, a volte lussuosamente incastonati o illustrati, erano offerti in dono ai monasteri, dei quali arricchivano i fondi. A fianco di semplici privati, monaci o laici, gli imperatori o i prìncipi ordinavano di procedere alla copiatura sistematica in molti esemplari dei sūtra considerati più importanti, e a volte dell'intero Canone buddhista. Si trattava in questi casi di centinaia di persone ‒ monaci o laici, a volte alti funzionari dell'amministrazione ‒ pregati di copiare le migliaia di testi del Canone buddhista in diversi esemplari o il testo di qualche sūtra in molte migliaia di copie.
Così, all'inizio del VII sec., l'imperatore Yang (605-616) della dinastia Sui fece copiare più di 900.000 rotoli. Da un punto di vista più generale, la moltiplicazione dei testi buddhisti costituiva certamente un mezzo di diffusione della fede, ma anche una misura precauzionale da un'eventuale scomparsa delle scritture, timore che si diffuse a partire dal V sec. quando sembrò iniziare l'epoca del 'declino della Legge' (mofa), vale a dire del declino della dottrina buddhista; da qui l'iniziativa di far incidere su pietra l'intero Canone buddhista al fine di evitarne la sparizione, progetto che fu realizzato dapprima soltanto in modo parziale e poi quasi integralmente nell'XI secolo. Conseguenza di questo enorme lavoro fu l'invenzione di un procedimento di riproduzione meccanica, la xilografia.
I primi accenni di classificazione del sapere risalgono al periodo Han, durante il quale si tentò di catalogare il fiorire delle Cento scuole, ossia di correnti intellettuali e scuole di pensiero che in realtà non erano più di una dozzina. Tentativi di ordinamento delle correnti intellettuali s'incontrano nel Libro del Maestro Zhuang (Zhuangzi, Tianxia), nel Libro del Maestro Xun (Xunzi, Fei shi'er zi), e in maniera più netta nel Libro del Maestro dello Huainan (Huainanzi, Yaolüe), opere all'interno delle quali le principali scuole filosofiche sono elencate in base alle problematiche che intendono affrontare. Nel periodo Han, il grande astrologo e storico Sima Tan, padre del celebre Sima Qian (145-86 a.C. ca.), divide le principali correnti in sei scuole: la scuola Yin-yang, legata agli otto trigrammi, la scuola dei letterati, quella di Mozi, quella del legismo, quella dei nomi e quella del Tao. Questa classificazione di base delle scuole di pensiero fu all'origine delle prime classificazioni bibliografiche, anche se i legami fra questi due tipi di ordinamento furono piuttosto complessi. Infatti, mentre le classificazioni del sapere esprimono una gerarchia, una ramificazione delle scienze e delle arti, secondo la concezione del mondo di chi elabora questo tipo di schematizzazioni, le classificazioni bibliografiche obbediscono invece a vincoli materiali, ossia alla necessità di suddividere i libri in funzione del loro contenuto, poiché a una posizione del libro in un sistema concettuale corrisponde una collocazione sugli scaffali oppure negli armadi.
Una delle particolarità delle classificazioni bibliografiche cinesi deriva dal loro profondo radicamento tanto negli insiemi numerici quanto nei sistemi di corrispondenza. Almeno nelle epoche più antiche, la divisione del sapere in un certo numero di classi era stabilita in nesso diretto con le combinazioni numeriche; a queste fecero riferimento anche i fondatori della scienza bibliografica cinese, Liu Xiang (77-6 a.C. ca.) e suo figlio Liu Xin (m. 23 d.C.). Incaricato di redigere il primo grande catalogo dettagliato della Biblioteca imperiale, Liu Xiang scrisse note di presentazione per ogni opera; queste note, riassunte da Liu Xin per costituire i Sette sommari (Qilüe), finirono per servire poco dopo a Ban Gu (32-92) per comporre il Trattato di bibliografia (Yiwen zhi) della Storia della dinastia Han [anteriore] (Hanshu); questa classificazione fu posta sotto l'egida del numero 7, che sarà emblema di molte altre classificazioni bibliografiche. L'opera di Liu Xin, che fu poi risuddivisa da Ban Gu, si riallacciava, in realtà, a una classificazione basata sul numero 6. Quest'ambiguità numerica riflette molto probabilmente il dibattito su quale delle Cinque fasi (wuxing) dovesse essere associata, secondo Liu Xin, alla dinastia degli Han e, di conseguenza, simboleggiare in un primo tempo l'acqua o la terra, poi il fuoco, corrispondenti rispettivamente alle cifre 6, 5 e 7. I Sette sommari si compongono di un sommario generale, che espone i principî di assegnazione delle opere a varie categorie, e di sei sommari corrispondenti alle sei classi in cui i libri sono suddivisi. Ban Gu riprenderà soltanto questi sei capitoli, eliminando la parte teorica e riportandone i concetti principali in ciascuna classe. Le sei classi seguono un ordine gerarchico che riproduce, in certa misura, il sistema di classificazione in base al numero 6: esse sono le sei arti, i filosofi, i versi e i recitativi, gli scritti militari, le tecniche numeriche, le ricette e i procedimenti.
La prima classe, benché sia suddivisa in nove categorie, riguarda anzitutto le sei arti, ossia i Sei classici (più tardi divenuti tredici grazie alle operazioni di canonizzazione): il Classico dei mutamenti (Yijing), il Classico dei documenti (Shujing), il Classico delle odi (Shijing), le Memorie sui riti (Liji), il Canone della musica (Yuejing) e gli Annali delle Primavere e autunni (Chunqiu). Le altre tre categorie, riguardanti i Dialoghi di Confucio, il Classico della pietà filiale e l'Istruzione elementare (Xiaoxue) formano soltanto delle appendici: malgrado la loro importanza, in particolare per la pedagogia, a quel tempo né i Dialoghi né il Classico della pietà filiale erano canonizzati. L'Istruzione elementare è una categoria che in questo periodo comprende opere destinate all'apprendimento e allo studio della scrittura. La sequenza dei Sei classici, pur formando un corpus unico oggetto di analisi, interpretazioni e selezioni, segue una scala gerarchica, all'interno della quale il primo, il Classico dei mutamenti, è considerato il più importante, posto all'origine degli altri; sono citate edizioni che suddividono i testi in sezioni e frasi (zhangju). Nel II sec. d.C., l'edizione dei Classici incisa su pietra, della quale ci sono pervenuti diversi frammenti, fu punteggiata. Gli autori di opere sui Classici non erano a quel tempo menzionati e i curatori si trinceravano sotto la generica denominazione delle scuole; l'esplicita paternità delle opere si affermerà solamente durante le Sei Dinastie (222-589).
La seconda classe di questo ordinamento bibliografico divide le opere dei filosofi in dieci categorie: le prime sei sono le correnti principali enumerate da Sima Tan (che conservano una posizione particolare); vi sono poi la scuola dei diplomatici, quella degli eclettici o scuole varie (zajia), quella degli agronomi, infine, quella dei narratori di aneddoti. Ognuna di queste correnti intellettuali è fatta risalire all'insegnamento di una scuola o di una famiglia (jia). Ban Gu, e senza dubbio prima di lui Liu Xin, si sforzano di contestualizzare questi insegnamenti all'interno dell'organizzazione sociale e burocratica ideale dalla quale sarebbero scaturiti.
Nella classe dei filosofi, la scuola dei letterati (rujia) occupa l'eminente primo posto, in quanto interprete dell'insegnamento dei Classici confuciani. È opportuno notare la ricchezza della scuola del Tao ‒ la cui origine secondo Liu Xin sarebbe da collocare negli archivi e nell'ambiente degli scribi ‒ in un'epoca in cui il taoismo religioso non si è ancora sviluppato; il numero di opere prodotte da questa scuola è paragonabile a quello della scuola dei letterati. Le altre correnti, invece, chiaramente eredi della situazione intellettuale degli Stati combattenti ‒ che si tratti della scuola Yin-yang (che peraltro è data al primo posto), oppure dei legisti, della scuola di Mozi, di quella dei nomi o di quella dei diplomatici ‒ non possono vantare un simile numero di testi, ma la loro specificità garantisce alle stesse una posizione visibile nel sistema e le distingue dalle scuole varie, in cui sono inserite le opere di correnti di pensiero ritenute secondarie. È probabile che nel periodo finale degli Han anteriori (206 a.C.-9 d.C.) il pensiero dei legisti fosse accolto con riserva, a causa del sostegno fornito alla severa azione di governo del Primo Imperatore Qin nel III sec. a.C., le cui tracce dolorose erano rimaste negli animi della classe intellettuale. La rottura creata dal regno del Primo Imperatore appare difficile da valutare sul piano bibliografico, in quanto i testi dei libri mandati al rogo dal Primo Imperatore Qin non furono più recuperati (come avvenne invece, secondo la leggenda, nel caso dei Classici nascosti nelle mura della casa di Confucio). Infine, la scuola degli agronomi occupa una posizione particolare, visto che tutte le opere citate sono andate perdute e dunque s'ignora sino a che punto si trattasse di opere teoriche che esponevano i principî fondamentali di una società agraria. La presenza di questa sezione in una classificazione del sapere rivela in ogni caso la posizione di primo piano occupata dall'agricoltura presso i pensatori cinesi, per i quali i problemi inerenti a sussistenza ed economia facevano parte di un sistema teorico.
Le due prime classi costituiscono le basi essenziali del sapere ordinate gerarchicamente poiché i Classici sono i fondamenti della conoscenza di cui le altre scuole di pensiero rappresentano i prolungamenti, come i commentari lo sono rispetto a un testo originale. L'insieme di questi testi forma il nucleo teorico a partire dal quale ‒ sotto forma di strategie, calcoli o ricette ‒ si sviluppa la pratica, che costituisce l'altro polo del sistema. Tra queste due entità complementari si colloca la letteratura, che consiste essenzialmente di opere poetiche in prosa o in versi la cui posizione nel sistema classificatorio globale resta poco chiara. L'opposizione, o meglio la complementarità, tra opere teoriche e pratiche si traduce in un diverso trattamento bibliografico, in base al quale le opere teoriche rimandano a bibliografie a carattere generale e teorico, mentre quelle pratiche rientrano nel campo delle bibliografie specialistiche.
Nessuna delle classi tecniche riflette un sistema particolare di classificazione; in particolare, gli scritti militari sono ripartiti in quattro categorie: la strategia, la tattica legata allo sfruttamento delle circostanze nell'arte della manovra, il ricorso alla magia e all'astrologia nell'arte militare, e infine le armi, il maneggio di esse e gli armamenti. In questa ripartizione sussiste una gerarchia, espressa da un ordine decrescente. Anche le tecniche numeriche sono divise in sei sottoclassi, ordinate gerarchicamente: astrologia, calendario, calcoli fondati sulle Cinque fasi, divinazione con steli di achillea e gusci di tartaruga, divinazioni varie, e fisiognomica (metodi delle forme ). Il primo posto assegnato all'astrologia è dovuto alla posizione di preminenza del Cielo sulla Terra e sull'Uomo, come il calendario che ritma l'azione umana indicando i momenti fasti e nefasti. La divinazione con l'achillea o quella con i gusci di tartaruga sono, a dire il vero, più che altro sopravvivenze dell'epoca Zhou. Al contrario, le altre divinazioni raggruppano tecniche di predizione diverse e ancora attive, ma lo scarso numero di opere indicato per ciascuna di esse non permette di ripartirle in categorie distinte. La sesta classe (ricette e procedimenti) raccoglie opere che riguardano la medicina e le cure del corpo, divise in quattro sottoclassi: testi fondamentali, ricette di farmacopea, pratiche sessuali, tecniche di lunga vita.
I cambiamenti che si verificano nelle classificazioni bibliografiche a partire dai primi secoli dell'era cristiana sono di due tipi. Da una parte si osserva una tendenza a sostituire un sistema classificatorio fondato sulla cifra 7 con un altro sistema basato sulla cifra 4, dall'altra, sono più rari i tentativi di far coincidere le classificazioni bibliografiche con quelle del sapere. I tentativi di elaborazione di una classificazione della conoscenza lasciano il posto alla semplice registrazione dei titoli e degli autori. Mentre i titoli delle opere sono qualificati nel periodo Han dal termine jia ('famiglia', 'scuola'), che sottolinea la loro appartenenza a una corrente o a un insegnamento, in seguito essi sono qualificati da un semplice elemento di quantificazione, il termine bu, che designa una divisione, una parte di un tutto. Il quadro gerarchico non è ovviamente del tutto assente, ma l'ordine cronologico tende a sostituire l'affiliazione a correnti di pensiero. Per quel che riguarda l'aspetto numerico, alla fine del III sec. appare un nuovo sistema, opera del direttore della Biblioteca imperiale, Xun Xu (m. 289). Questi suddivide i libri in quattro classi, indicate nel Trattato di bibliografia (Yiwen zhi) della Storia della dinastia Sui (Suishu): (1) Classici e Istruzione elementare; (2) scuole filosofiche cui sono aggiunti gli scritti militari e le opere di numerologia; (3) opere storiche; (4) opere letterarie. A queste quattro classi si aggiungono le opere illustrate e i libri di bambù che a quel tempo furono scoperti in una tomba. Mentre la prima classe conserva la sua individualità e la sua priorità, la seconda raccoglie tre delle classi presenti nelle trattazioni di epoca Han, ponendo sullo stesso piano tanto le opere teoriche quanto quelle pratiche. Per ragioni difficili da determinare, le opere riguardanti l'arte medica sembrano invece scomparire da questa classificazione, tanto più che la bibliografia stessa ci è nota soltanto dall'enunciato della sua classificazione. È possibile ipotizzare che siano state eliminate e collocate fuori della Biblioteca imperiale insieme alle opere taoiste per la loro relazione con le arti della longevità o della sessualità, tanto che si ritroveranno nei cataloghi delle biblioteche taoiste.
La maggiore novità di questo sistema risiede però nell'emergere della storia, a cui viene dedicata una categoria propria. Mentre nel periodo Han i libri di storia, a dire il vero ancora poco numerosi, si rifanno agli Annali delle Primavere e autunni, ora essi possiedono una propria autonomia. È probabile che questo nuovo elemento non sia legato solo al crescente numero di opere storiche prodotte a partire dagli Han posteriori, come sostiene Ruan Xiaoxu nel VI sec., ma che rifletta la volontà d'insistere su un aspetto del sapere che non era una mera registrazione cronologica degli avvenimenti, ma una vera scrittura storica, il cui prototipo sono le Memorie di uno storico di Sima Qian. A fianco delle storie ufficiali, che più o meno si modellano sull'opera di Sima Qian, compaiono storie dinastiche redatte senza il sostegno del potere imperiale, oppure riguardanti regni o dinastie la cui legittimità non è riconosciuta dai posteri. Vi compaiono anche raccolte di documenti, storie parziali che non coprivano un intero ciclo dinastico, come pure opere biografiche.
L'importanza della numerologia nella tradizione cinese si osserva nello sforzo compiuto da molti bibliografi di mantenere il sistema classificatorio basato sul numero 7. Il primo è Wang Jian (452-489), assistente della Biblioteca imperiale, le cui Sette memorie (Qizhi) presentano soltanto cambiamenti minimi rispetto ai Sette sommari (Qilüe) degli Han. Tutt'al più egli risente dell'influenza di Xun Xu, in quanto separa i libri di storia dagli Annali delle Primavere e autunni, mantenendoli comunque insieme ai Classici in una particolare sottoclasse. Va notato, d'altronde, che Wang Jian fu allo stesso tempo autore di un catalogo ufficiale in quattro classi. La conciliazione tra più sistemi classificatori operata poco dopo da Ruan Xiaoxu è comunque di maggiore interesse. Secondo il primo principio esposto nella Prefazione ai 'Sette registri' (Qilu xu), che è tutto quanto ci è pervenuto della sua opera, la bibliografia di Ruan obbediva alla cifra 7 per fedeltà alla tradizione. Egli divise gli ambiti del sapere in: (1) Classici e canoni, (2) annali e biografie, (3) filosofia ed esercito, (4) collezioni di letteratura, (5) ricette e procedimenti, (6) legge del Buddha, (7) immortali e Tao.
Va notato anzitutto che Ruan Xiaoxu, contrariamente ai suoi predecessori, riunisce insieme buddhismo e taoismo, ma distingue in realtà due gruppi, quello 'interno' e quello 'esterno' in cui compaiono le opere a carattere religioso, cosa che rende relativa la classificazione basata sul numero 7. Nel gruppo 'interno' si ritrovano le quattro classi di Xun Xu, cui Ruan aggiunge quella delle 'ricette e procedimenti'. Questa concessione sembra dipendere non tanto da questioni di principio, quanto dall'evoluzione del numero dei libri iscritti in ogni categoria. Mentre le opere di arte militare sono diminuite al punto da non essere sufficienti a formare una classe e sono subordinate ai filosofi, i libri che riguardano il calcolo e la divinazione hanno continuato a moltiplicarsi e richiedono ora un gruppo a sé. Le opere di medicina sono aggiunte alle ricette, a eccezione di quelle sulle pratiche sessuali e di lunga vita, inserite nella classe del taoismo. Vi è qui una ricerca di equilibrio tra le teorie classificatorie ereditate dal passato e le necessità imposte dal contenuto di libri, da ordinare in un sistema, in cui si possano reperire.
L'apporto di Ruan Xiaoxu è degno di nota anche per quanto riguarda la storia e le discipline a essa collegate. Egli inaugura la ripartizione della classe degli annali e biografie, divisa in dodici sottoclassi che testimoniano il pieno sviluppo di questo settore. Accanto alle opere storiche, divise in quattro categorie, compaiono le opere biografiche e quelle dedicate ai regolamenti e alle leggi. Vi si trovano anche, secondo un'idea che sarà ripresa sino alle bibliografie moderne, sottoclassi dedicate alla geografia, alle genealogie, alle liste lessicali e ai cataloghi. In compenso la categoria che riguarda i demoni e le divinità, probabilmente contenente le raccolte di storie fantastiche in pieno sviluppo durante questo periodo, resterà poi senza seguito, visto che le opere di questo tipo saranno integrate al genere biografico. Infine, Ruan Xiaoxu riorganizza interamente la letteratura abbandonando la divisione in versi e recitativi (shifu) a favore di una tripla ripartizione che concilia tradizione e pragmatismo. In base alla tradizione, egli conserva una suddivisione relativa alle Elegie di Chu (Chuci), usando però anche altre due semplici categorie: le opere di un unico autore (bieji) e le collezioni di opere collettanee (zongji), di cui fanno parte antologie e opere di critica letteraria.
A partire dalla dinastia Sui (581-617), diviene a poco a poco definitiva l'adozione di un sistema classificatorio in quattro categorie che resterà in uso sino al XX secolo. La classificazione, esposta in dettaglio nel Trattato di bibliografia della Storia della dinastia Sui che descrive le collezioni imperiali nel 584, riprende la divisione di Xun Xu, ma inverte l'ordine delle classi dei filosofi e della storia, l'organizzazione interna riprende, invece, i criteri di Ruan Xiaoxu. Quest'ultima varierà soltanto in misura minima nelle bibliografie ufficiali posteriori, sino al grande catalogo redatto nel XVIII sec. con il titolo di Catalogo generale con annotazioni della Biblioteca completa dei Quattro depositi (Siku quanshu zongmu tiyao). La denominazione delle quattro classi, che corrispondeva ai quattro depositi in cui erano divise le opere, è anch'essa definitiva: Classici (jing), storia (shi), filosofi (zi) e belle lettere (ji). All'interno di ogni classe, il numero e la titolazione delle suddivisioni presenteranno varianti dovute al necessario adattamento a nuove discipline. All'interno di ogni suddivisione, i titoli sono elencati seguendo l'ordine cronologico della loro redazione, e sembrano inoltre essere classificati sulla base di un insieme di sottoclassi, che non sono indicate nel Trattato di bibliografia della Storia della dinastia Sui. Si troveranno chiaramente esposte, anche se in maniera parziale, soltanto nel Trattato di bibliografia (Yiwen zhi) dell'Antica storia della dinastia Tang (Jiu Tangshu), che riprende il catalogo della Biblioteca imperiale redatto da Wu Jiong intorno al 720 con il titolo di Catalogo dei libri antichi e moderni (Gujin shulu).
Il confronto tra le bibliografie risalenti al periodo Sui o Tang e quella del periodo Han non è facile, poiché la maggior parte delle opere esistenti durante gli Han è ormai scomparsa durante i Tang. Per quanto riguarda i Classici, il loro numero non può essere evidentemente ampliato. La loro ripartizione rimane fissa, al punto che sussiste la suddivisione della musica il cui Classico non esiste ormai più. Al contrario, si assiste a un'esplosione di commentari di varia natura, di spiegazioni, glosse, esegesi, liste e così via. La dinastia Han aveva visto fiorire gli scritti apocrifi (chenwei) che traevano le loro predizioni dai Classici. Queste opere, più volte proibite, furono classificate da Ruan Xiaoxu insieme ai libri di divinazione; durante il periodo Sui sembrano aver perso il loro carattere sovversivo in quanto sono collegate ai Classici e considerate come loro semplici interpretazioni. La proliferazione dei commentari comporta anche un notevole aumento degli studi legati alla scrittura, che vedono lo sviluppo della lessicologia, della fonetica, dello studio delle rime, della calligrafia e dell'epigrafia.
La storia è senza alcun dubbio l'ambito del sapere che ha conosciuto lo sviluppo più straordinario tra gli Han e i Sui. Le opere storiche superano ormai di gran lunga i rotoli delle altre classi, raggiungendo il cospicuo numero di 13.000 esemplari. Nella classe dei filosofi numerose suddivisioni rimangono soltanto per fedeltà alla tradizione, poiché il carattere egemonico assunto dal confucianesimo impediva in pratica di riconoscere l'emergere di nuove correnti intellettuali. Le opere che non rientrano nello schema prefissato sono semplicemente registrate nella categoria delle scuole varie, dove si affiancano l'una all'altra le opere dei pensatori non classificabili dell'Antichità, come il Libro del Maestro dello Huainan, quelle composite come le Memorie su molteplici cose (Bowu zhi), e quelle a carattere didattico ed enciclopedico. Più curiosamente, vi si trovano raccolte di biografie buddhiste ed enciclopedie taoiste, che sono in tal modo separate dalle altre opere delle medesime correnti e classificate a parte a causa del loro carattere generico.
Le enciclopedie nacquero con lo Specchio dell'imperatore (Huanglan), opera compilata all'inizio del III sec., che inaugurò un genere nuovo, definito leishu o 'testi classificati per categorie'; essa raccoglie estratti e citazioni dai Classici e nella maggior parte dei casi da libri conservati nella Biblioteca imperiale. L'opera ha conosciuto diverse edizioni, di cui alcune ampiamente accresciute e altre, più tarde, sensibilmente ridotte. Composto di 680 capitoli durante il periodo Liang, nel V sec., lo Specchio dell'imperatore arriva a contenerne soltanto 120 nel periodo Sui, alla fine del VI secolo.
A questa seguirono altre vaste compilazioni a carattere enciclopedico, alcune delle quali piuttosto voluminose, come il Compendio dell'insieme della foresta lussureggiante (Hualin pianlüe), opera di Xu Sengquan (V sec.) in 620 rotoli, un frammento del quale è stato ritrovato tra i manoscritti di Dunhuang. Nel corso del periodo Tang, probabilmente a seguito dello sviluppo del sistema dei concorsi per il reclutamento dei funzionari, le enciclopedie si moltiplicarono e nelle bibliografie esse furono da allora inserite in una categoria specifica. Anche la categoria delle opere di numerologia è segnata da una novità, vale a dire l'apparizione di testi di matematica identificati come tali dal punto di vista bibliografico; divenuti rapidamente piuttosto numerosi, questi testi sono ricollegati tanto alle tecniche di calcolo del calendario quanto alle clessidre.
In generale, le bibliografie permettono di osservare che, dalla fine del VI all'inizio del X sec., l'evoluzione della produzione scritta fu caratterizzata più da un accrescimento quantitativo che da una revisione dei sistemi di pensiero. La comparsa, a partire dall'VIII sec., della xilografia, che assicura al libro una più ampia diffusione, non apportò cambiamenti significativamente rapidi.
Drège 1987: Drège, Jean-Pierre, Les débuts du papier en Chine, "Comptes rendus des séances. Académie des Inscriptions et Belles-Lettres", 1987, pp. 642-650.
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Tsien Tsuen-hsuin 1962: Tsien Tsuen-hsuin, Written on bamboo and silk. The beginnings of Chinese books and inscriptions, Chicago, University of Chicago Press, 1962.
Woo Kang 1938: Woo Kang, Histoire de la bibliographie chinoise, Paris, E. Leroux, 1938.
Yao Mingda 1938: Yao Mingda, Zhongguo muluxue shi [Storia della bibliografia in Cina], Changsha, Shangwu yinshuguan, 1938.