La scienza in Cina: i Ming. Aspetti tecnologici
Aspetti tecnologici
di Huang Yi-Long
Nel tardo periodo Ming (1368-1644), la pressione dei Mancesi dal Nord e la diffusione del banditismo richiamarono l'attenzione di molti funzionari sulle questioni militari; inoltre, l'influenza dei funzionari convertiti al cattolicesimo rese le tecniche di fabbricazione e di uso dei cannoni occidentali una questione di cruciale importanza. Fu in parte grazie agli sforzi di questi ultimi, tra i quali Xu Guangqi (1562-1633) e Li Zhizao (1565-1630), che la corte Ming non soltanto acquistò più volte cannoni occidentali da Macao, ma reclutò anche soldati portoghesi affinché insegnassero la tecnica di costruzione e di uso di queste armi. Nel XVII sec., sia i cannoni cinesi sia quelli europei erano del tipo con bocca da fuoco liscia frontale; non vi erano grandi differenze nella tecnica di fusione, ma i cannoni europei presentavano alcune caratteristiche diverse: la bocca da fuoco (specialmente sul retro) era più spessa, il rapporto fra la sua lunghezza e il calibro era maggiore, eccetera.
Erano proprio queste caratteristiche, a rendere i cannoni occidentali più potenti di quelli cinesi nella gittata, nella capacità distruttiva e nella sicurezza per gli artiglieri. Inoltre, i cannoni europei erano molto più pratici da usare, perché dotati di mirini anteriore e posteriore per puntare il bersaglio e di perni coassiali per regolare l'elevazione. Il punto di forza era, però, nel differente impiego della matematica, che in Europa costituiva ormai una parte fondamentale delle conoscenze tecniche relative all'uso dei cannoni. I molti testi di matematica pubblicati in quegli anni in Cina a opera di missionari e cinesi convertiti al cristianesimo spiegano l'interesse per la pratica militare. Nonostante armi da fuoco in senso moderno fossero state adottate in Cina già a partire dal XII sec., lo studio della tecnica di puntamento fu trascurato per diversi secoli. In Occidente, invece, si tentò costantemente di spiegare la balistica in termini matematici; Niccolò Tartaglia (1499-1557 ca.) nella Nova scientia, del 1537, gettò le basi della moderna balistica, introducendo strumenti quali il quadrato geometrico e la squadra, e offrendo una discussione approfondita di questa scienza (ricordando, per es., che la gittata più lunga si accompagna a un angolo di elevazione di 45°). Anche se la trattazione di Tartaglia rimase ferma a uno stadio che si può definire preliminare, la sua influenza perdurò per più di un secolo in Europa. I cannoni europei ebbero dunque una funzione decisiva nelle guerre del tardo periodo Ming e della fase iniziale dei Qing (1644-1911).
Il quadrato geometrico e la squadra
Nel XVII sec., oltre ai cannoni, furono importati in Cina strumenti ausiliari dell'artiglieria, come il quadrato geometrico e la squadra, l'uso dei quali, come abbiamo accennato, era descritto nella Nova scientia di Tartaglia, uno dei testi portati a Pechino dai gesuiti all'inizio del secolo. Un tiratore, prima di fare fuoco, deve stimare la distanza del nemico; anche se le dimensioni dell'obiettivo, viste attraverso un telescopio, permettono di determinare approssimativamente la distanza, l'uso del quadrato geometrico consente una maggiore precisione. Questo strumento fu sperimentato da Georg von Purbach (1423-1461) per misurazioni astronomiche, e con queste finalità fu usato prevalentemente in Europa nel corso dei secc. XVI e XVII. In Cina, le prime descrizioni della forma e dell'uso del quadrato geometrico e della squadra si trovano nella Spiegazione dei metodi di misurazione (Celiang fayi), pubblicata da Matteo Ricci (1552-1610) e da Xu Guangqi nel 1607. In un memoriale presentato al trono nel 1630, Xu sottolineava che entrambi questi strumenti costituivano importanti segreti militari; del loro uso potevano dunque essere istruiti soltanto i funzionari più vicini alla corte e i loro congiunti. Il quadrato geometrico consentiva di determinare con una certa precisione la distanza di un oggetto in base alla misura di angoli e sfruttando le proprietà dei triangoli simili. Nella Nova scientia, Tartaglia presentò, mediante illustrazioni, la teoria e la funzione della squadra, che permetteva ai tiratori non in possesso di nozioni matematiche di usare in modo efficace i cannoni. La prima descrizione della funzione della squadra nei documenti cinesi si trova nella Ingegnosità dei metodi occidentali (Xifa shenji, opera pubblicata nel 1622-1623) di Sun Yuanhua (1581-1632). Anche nell'Essenza delle armi da fuoco (Huogong qieyao, 1643) di Adam Schall von Bell (1591-1666) e Jiao Xu vi sono chiari riferimenti alla forma e alla funzione della squadra:
La squadra, fatta di rame, è larga 4 fen (1,3 cm ca.) e spessa 1 fen (0,32 cm); il lato più lungo è pari a 1 chi (32 cm) e il lato più corto è pari a 1 cun e mezzo (5 cm ca.); all'angolo destro, preso come centro, corrispondente a un arco di 90° diviso in dodici parti, è attaccato un filo a piombo come indicatore. Quando si spara con il cannone, ponendo il lato più lungo nella bocca del cannone e guardando il punto indicato dal filo a piombo, si è in grado di conoscere l'angolo di elevazione che si riferisce alla distanza verso cui si indirizza il proietto. (Huogong qieyao, 1, p. 19)
In realtà, nel disegno presentato nell'Essenza delle armi da fuoco, si può chiaramente vedere che l'arco è appena maggiore di 90°, dato che in alcuni casi i tiratori posizionati sui castelli dovevano curvare i cannoni per potere sparare ai nemici che giungevano da sotto. Nell'Ingegnosità dei metodi occidentali, grazie all'applicazione della squadra sono riportate diverse gittate, a seconda dei diversi angoli di elevazione; si faceva inoltre notare che per ogni singolo cannone si poteva compilare una tavola adeguata delle diverse gittate soltanto dopo aver compiuto ripetute prove. Un altro elemento cruciale nell'uso dei cannoni era la stima della quantità ottimale di polvere da sparo da usare per le differenti dimensioni delle palle a seconda dei diversi materiali; una quantità eccessiva di polvere da sparo avrebbe comportato non soltanto uno spreco, ma anche il rischio di esplosione, e, al contrario, un quantitativo insufficiente avrebbe indebolito la potenza del proietto. Durante le dinastie Ming e Qing, le palle da cannone erano di forme diverse e tra esse erano notevolmente diffuse quelle rotonde piene, con uno scarto pari a circa 1/21 del diametro della bocca da fuoco, come accadde in Europa fino alla metà del XIX secolo. Sulla squadra europea del XVI sec. erano riportate delle scale che permettevano di evitare calcoli complicati, consentendo ai tiratori di determinare rapidamente la quantità di polvere da sparo necessaria, a seconda dei materiali con cui erano stati costruiti i proietti e in base al calibro del cannone. Nell'Essenza delle armi da fuoco è pubblicato un disegno ‒ peraltro impreciso ‒ delle scale presenti su una squadra. L'invenzione della scala sulla squadra rappresentò certamente, per quanto detto in precedenza, un punto di svolta per la balistica. Probabilmente per i gesuiti e i Cinesi convertiti si trattava di un segreto da custodire, tanto che nei testi cinesi dedicati alle armi occidentali non si trovano spiegazioni chiare su questo argomento e le illustrazioni sono molto confuse. Per esempio, all'inizio del testo dell'Essenza delle armi da fuoco, vi era soltanto un semplice disegno che riportava le scale riguardanti palle di pietra, ferro e piombo, le cui graduazioni incise erano molto approssimative e non prive di errori. Un altro disegno si trova nel Metodo delle armi da fuoco occidentali (Xiyang huoqi fa), pubblicato dal gesuita Johannes Nikolaus Smogulecki (1610-1656) fra il 1645 e il 1656. Tuttavia, in questo libro è assente qualunque spiegazione circa l'uso delle scale e l'oggetto di riferimento dei numeri segnati su di esse. Anche se il disegno del Metodo delle armi da fuoco occidentali era più chiaro di quello dell'Essenza delle armi da fuoco, Smogulecki aveva tralasciato alcuni particolari; per esempio, le tacche per le misurazioni inferiori erano erroneamente segnate in sei parti invece di cinque e un arco di 90° era diviso in tredici parti invece di dodici; inoltre, c'erano errori anche nelle tavole delle gittate in base ai diversi angoli di elevazione. È lecito sospettare che questi errori fossero voluti, in modo da impedire la diffusione di segreti militari. Probabilmente la scala sulla squadra riportata nella fig. 3 doveva essere usata nel modo seguente. La scala a sinistra mostrava un regolo ordinario la cui unità era il cun (3,2 cm); opportune scale non lineari erano usate invece per determinare la quantità di polvere da sparo che doveva essere caricata per differenti pesi delle palle (piombo, ferro, pietra, ecc.); la base della scala, indicata dal punto zero, era posta sul lato interno della bocca da fuoco e si poteva così conoscere il quantitativo di polvere necessario, che variava, come appena accennato, a seconda del materiale di cui erano fatti i proietti (l'unità di misura era il jin, pari a 600 g ca.). Caricare la quantità di polvere indicata dalla scala avrebbe aiutato i tiratori a raggiungere la gittata in accordo con quanto era riportato sul manuale. In questo caso non era necessario alcun adattamento nell'uso dei cannoni.
L'organizzazione di queste scale derivava dall'idea che per usare la tabella predeterminata delle gittate (cioè per mantenere costante la velocità iniziale) la quantità di polvere dovesse essere direttamente proporzionale al peso della palla. Quest'ultimo, a sua volta, proporzionale al cubo del suo diametro (cioè all'incirca al cubo del calibro del cannone, dato che lo scarto è trascurabile in questo caso) e alla densità del materiale della palla. Pertanto, i punti segnati su una scala (che si riferivano alla quantità di polvere necessaria) erano direttamente proporzionali al cubo della lunghezza misurata dal limite inferiore della scala fino ai punti; questi ultimi, che si riferivano alla stessa quantità di polvere su scale diverse, erano inversamente proporzionali alla radice cubica della lunghezza misurata dal limite inferiore della scala corrispondente ai punti. Dato che il rapporto fra il peso della palla e la quantità di polvere da sparo necessaria cambiava in relazione ai differenti tipi di armi da fuoco (cannone intero, obice, colubrina, mortaio, ecc.), dovevano cambiare anche le scale sulle squadre, che sarebbero state allungate o accorciate a seconda delle caratteristiche di ogni tipo di arma da fuoco.
Le conoscenze matematiche e tecniche occidentali del XVI e XVII sec. erano in grado di risolvere i complessi problemi di balistica, di tecnica di fusione (in riferimento alle bocche da fuoco e alle palle) e di chimica (in riferimento alla polvere da sparo), ma non erano d'ausilio ai fisici per calcolare in modo accurato la traiettoria dei tiri dei cannoni. Tuttavia sperimentando con ripetute prove il funzionamento dei singoli cannoni, i tiratori erano in grado di determinare la tavola delle gittate con notevole accuratezza e, grazie all'uso della squadra, delle scale e del quadrato geometrico, poterono controllarne meglio la traiettoria.
L'introduzione dei cannoni europei
È noto ‒ come detto in precedenza ‒ che i cannoni europei, introdotti in Cina nel XVII sec., ebbero un ruolo cruciale nelle guerre del tardo periodo Ming e del primo periodo Qing. Per capire le ragioni di questo successo è necessario considerare le conoscenze matematiche applicate alle tecniche di puntamento e gli strumenti a queste connessi. Un'indagine sull'introduzione di questi strumenti dimostra, infatti, la loro utilità in un periodo in cui la fusione dei cannoni e la fabbricazione delle palle erano ancora in una fase iniziale. Per esempio, Goncalves Teixeira (seconda metà del XVI sec.), un portoghese di Macao, consulente militare sotto Sun Yuanhua, aveva ottenuto diverse vittorie nelle quali i cannoni avevano giocato un ruolo importante.
Dopo che i cannoni europei furono ufficialmente introdotti in Cina nel 1620, i Cinesi furono in grado, in breve tempo, di copiarli e di fondere esemplari lunghi 310 cm e con un calibro di 13,5 cm. Dal 1630 la corte Ming produsse grandi quantità di cannoni. Wang Zunde, il viceré delle regioni del Guangdong e del Guangxi, copiò ben 200 cannoni da quelli che ebbe in prestito dai Portoghesi a Macao e presentò all'imperatore dieci cannoni da 2700 jin (1611 kg ca.) e quaranta da 2000 jin (1194 kg ca.); anche la regione del Fujian presentò all'imperatore 120 cannoni pesanti poco meno di 1000 jin (597 kg ca.) e con un diametro di 8 cm. Da parte loro i Mancesi, fondatori della dinastia Qing, malgrado un ritardo iniziale raggiunsero risultati non inferiori a quelli dei loro maestri; alcuni documenti, infatti, testimoniano che, nel 1631, riuscirono a produrre cannoni lunghi 240-326 cm e con un calibro di 11-14 cm.
Possedendo già una tecnica di fusione relativamente sviluppata, i Cinesi riuscirono ad apprendere rapidamente la progettazione dei cannoni occidentali, mentre la tecnica di puntamento fu costantemente ignorata. Da alcuni documenti sappiamo che il governo, ancora negli anni Trenta del XVIII sec., constatava che i soldati alle frontiere non avevano alcuna nozione relativa a questa tecnica. Per un Impero che dal 1683 era ormai unificato e per un paese che si riteneva il centro stesso della civiltà, è poco comprensibile come non si tenessero nella dovuta considerazione le tecniche militari. Anche se i metodi per calcolare le distanze erano spesso spiegati nei testi matematici cinesi, non vi erano strumenti per calcolare velocemente i dati per il puntamento, come le più avanzate scale della squadra. Il sistema di trasformazione delle conoscenze matematiche in strumenti di calcolo, che in Occidente rappresenta una parte essenziale della rivoluzione tecnologica moderna, è uno dei punti deboli del sistema usato in quel periodo dai Cinesi, i quali potevano contare nell'uso dei cannoni solamente sull'esperienza pratica.
La tecnica di tiro dei cannoni era considerata un segreto militare da insegnare soltanto a un numero ristretto di soldati; per questo rimase sempre limitata a pochi adepti, e non fu mai molto diffusa in Cina. Nel passaggio dalla dinastia Ming a quella Qing (1644), vi fu un'abbondanza di pubblicazioni di argomento militare; tuttavia, a causa del linguaggio necessariamente tecnico e delle conoscenze scientifiche richieste, esse rimasero appannaggio dei gesuiti o dei loro allievi. Cercando di ottenere il favore dell'imperatore per accelerare il processo di diffusione del sapere e della religione occidentali, i Cinesi convertiti al cattolicesimo sollecitarono l'introduzione in Cina dei cannoni occidentali e della loro tecnica di fusione e di uso. A questo fine (come si è visto anche nel caso delle scale sulla squadra), i gesuiti e i cinesi da loro convertiti consideravano gli strumenti riguardanti la tecnica di puntamento come segreti e volutamente rimasero vaghi su alcuni aspetti cruciali del loro funzionamento.
Nel 1630, quando il cattolico cinese Sun Yuanhua divenne governatore di Denglai (nell'attuale regione dello Shandong), acquistando così un effettivo potere militare, adottò massicciamente i cannoni occidentali, reclutando anche consulenti portoghesi per l'esercito. L'uso della squadra, della scala sulla squadra e del quadrato geometrico rappresentarono probabilmente una parte essenziale di questa preparazione militare. Nel 1631 un'unità dell'esercito di Sun, guidata da Kong Youde (1602 ca.-1652), si ammutinò e, in un primo momento, l'esercito Ming non riuscì a sedare la rivolta proprio perché i soldati di Kong Youde erano ben istruiti nell'uso dei cannoni. Nel 1633 egli si arrese ai Mancesi che, seppur in grado di fondere cannoni dal 1631, lo accolsero benevolmente, convinti di potersi impadronire così di cannoni di miglior qualità e allo stesso tempo di apprendere la tecnica di puntamento trasmessa direttamente dai consulenti portoghesi. Questa rivolta causò la perdita della supremazia Ming nell'ambito della tecnologia militare.
Gli strumenti tecnici per il puntamento furono importati in Cina intorno al 1600, con quasi sessant'anni di ritardo rispetto alla loro presentazione nella Nova scientia di Tartaglia. Nel periodo di transizione fra il XVI e il XVII sec. lo sviluppo della balistica in Europa avanzò in modo considerevole. Galileo Galilei (1564-1642), per esempio, nel 1597 inventò il compasso per uso matematico e militare e nel 1638 avanzò una teoria con cui spiegava la traiettoria a parabola del proietto sparato dal cannone. In Cina, la spiegazione del compasso si ebbe per la prima volta nel 1630 e la teoria del proietto fece la sua prima comparsa negli Studi sull'approfondimento dei principî (Qiongli xue) del gesuita Ferdinand Verbiest (1623-1688) pubblicato nel 1683. Anche se le conoscenze balistiche introdotte dai gesuiti in Cina erano in ritardo di circa trenta o quarant'anni rispetto all'Europa, la differenza fra quest'ultima e la Cina in tale ambito non era particolarmente significativa, dato che la teoria di Galileo presentava errori sulla resistenza dell'aria e la fabbricazione dei cannoni e della polvere da sparo non erano ancora standardizzate. In conclusione, non si registrano grandi differenze fra la Cina e l'Europa in ambito balistico fino alla fine del XVII secolo. Dopo che l'imperatore Kangxi (1662-1722) sedò le forze ribelli del paese, l'interesse per i cannoni diminuì. Nel 1715 un governatore locale propose la fusione di 22 cannoni di nuovo tipo, affermando che avrebbe finanziato questa impresa; la proposta fu però rifiutata in ragione del fatto che l'uso dei cannoni era di esclusiva pertinenza dei Mancesi ed era severamente proibito ai governi locali dotarsi di questo potente armamento. L'imperatore Yongzheng (1723-1735) ordinò addirittura la confisca di tutti i cannoni di tipo nuovo in possesso dei governi locali, a eccezione di quelli del Liaodong, la cui popolazione era prevalentemente mancese. A seguito della controversia tra Impero cinese e papato sui riti cinesi, alla fine del regno di Kangxi la diffusione della fede cristiana fu proibita. I gesuiti, che avevano avuto un ruolo importante nell'introduzione dei cannoni e della balistica in Cina, furono scoraggiati dall'impegnarsi ulteriormente in questo campo. La mancanza d'incentivi, a partire dal XVIII sec., ridusse in tutto il paese la circolazione di opere sulle armi da fuoco. Per esempio, l'Essenza delle armi da fuoco non fu ripubblicata fino alla sconfitta cinese nella Guerra dell'oppio (1842). È piuttosto sorprendente che 150 anni dopo la pubblicazione degli Studi sull'approfondimento dei principî di Verbiest non siano apparse in Cina nuove opere sui cannoni. Diversamente, nel XVIII sec. in Europa si riuscì a migliorare in modo significativo la tecnica di costruzione dei cannoni. Scienziati come Benjamin Robins (1707-1751) e Leonhard Euler (1707-1783) riuscirono a inserire la resistenza dell'aria nella balistica, migliorando la precisione dei propri cannoni. A metà del XIX sec. la fabbricazione di cannoni in Europa fu perfezionata al punto che lo scarto tra il calibro dei proietti e il diametro della bocca da fuoco era pari a 1/42 di quest'ultimo, mentre in Cina variava ancora fra 1/5 e 1/10 (un netto peggioramento rispetto al XVII sec.). Con la sconfitta nella Guerra dell'oppio si ebbe una nuova acme nella pubblicistica cinese sulle armi da fuoco, ma le conoscenze in questo ambito erano ormai persino inferiori a quelle del XVII sec.; la tecnica di fusione era peggiorata; la carenza di conoscenze adeguate e di tecniche avanzate potrebbero aver rappresentato un elemento essenziale dell'incapacità dell'Impero cinese di resistere all'invasione delle potenze occidentali.
di Christian Daniels
La canna da zucchero è una pianta coltivata nei paesi tropicali e subtropicali, probabilmente originaria della Cina meridionale e del Sud-est asiatico, dell'India o della Nuova Guinea. Le prime notizie che si hanno sulla produzione dello zucchero di canna risalgono all'India del VII-VIII sec. a.C. Anticamente i Cinesi usavano come edulcorante lo zucchero di malto o il miele, mentre lo zucchero di canna iniziò a essere usato regolarmente nella Cina settentrionale soltanto nel periodo Tang (618-907) e sotto forma di medicinale o di sostanza impiegata nei rituali buddhisti. In epoca Song (960-1279) al di fuori della Cina meridionale, lo zucchero, sebbene fosse usato comunemente per conferire sapore ai cibi, era considerato ancora un lusso.
Il periodo Ming è particolarmente interessante dal punto di vista della storia della fabbricazione dello zucchero perché si diffusero notevoli innovazioni e progressi, che riguardarono ‒ come del resto in altri campi dell'agricoltura e dell'industria rurale ‒ per lo più il perfezionamento dei metodi di produzione tradizionali, e non l'invenzione di nuovi dispositivi meccanici, fatta eccezione per il mulino a cilindri verticali. Tra le più importanti innovazioni dell'epoca Ming vi sono l'uso dell'aratro con versoio utilizzato per la coltivazione della canna da zucchero e numerose tecniche impiegate nelle diverse fasi della produzione: il mulino a doppio cilindro verticale per l'estrazione del succo, l'uso della calce come reagente nella chiarificazione, il sistema di bollitura con tre caldaie, l'impiego dell'argilla per la filtrazione e la seconda bollitura per ottenere zuccheri di alta qualità. Song Yingxing (n. 1587) fornì il primo resoconto particolareggiato di tali tecniche, all'epoca le più avanzate del mondo, nel suo famoso trattato di agricoltura e artigianato Lo sfruttamento delle opere della Natura (Tiangong kaiwu, 1637). La sua descrizione, presumibilmente frutto di osservazioni personali, documenta l'integrazione dell'agricoltura e delle tecniche di fabbricazione in un sistema organico di produzione dello zucchero a scopo commerciale, nel quale tutte le componenti tecniche concorrevano a creare un'industria più orientata verso le esigenze del mercato di quanto non succedesse in epoca Song e Yuan (1279-1368). Ognuna di queste componenti aveva origini diverse ed è addirittura possibile che alcune tecniche essenziali, come la cristallizzazione e la filtrazione, non siano state ideate in Cina, ma siano state importate dall'India e dai paesi islamici. Sebbene nella gran parte dei casi le singole tecniche usate nelle varie fasi della produzione fossero innovative, la loro importanza storica non consiste tanto nella novità, quanto nel modo in cui i Cinesi riuscirono a integrarle coerentemente in un sistema produttivo organico. Questo prese forma in Cina durante il XVI sec. ‒ molto prima del più antico resoconto scritto, databile al 1637 ‒ e in pratica rappresentava un complesso di tecnologie che poteva essere facilmente trasferito sia all'interno della Cina sia all'estero.
Le fonti contemporanee descrivono le principali tecniche del nuovo sistema di fabbricazione dello zucchero in modo molto chiaro, riassumibile nei punti seguenti:
1) ne Lo sfruttamento delle opere della Natura troviamo la prima testimonianza scritta dell'uso della nuova macchina per la macinazione della canna da zucchero, il mulino a doppio cilindro verticale, di cui è fornita anche un'illustrazione. La ricchezza di particolari del resoconto di Song Yingxing, davvero insolita per un trattato cinese, è tale che sarebbe possibile costruire oggi la macchina basandosi esclusivamente sul testo e sull'illustrazione;
2) la tecnica della filtrazione con l'argilla, usata dal XIV sec. in poi, era uno dei metodi principali per la produzione dello zucchero, ed è documentata in modo esauriente per la prima volta nella Gazzetta della Prefettura di Xinghua (Xinghua fuzhi) del 1503. Il resoconto più conciso, integrato da un'illustrazione, si trova tuttavia ne Lo sfruttamento delle opere della Natura;
3) la tecnica della seconda bollitura degli zuccheri filtrati con l'argilla permetteva di produrre una vasta gamma di zuccheri bianchi. Ogni successiva operazione di bollitura e filtraggio incrementava il grado di purezza dello zucchero (vale a dire, più saccarosio e meno impurità), aumentandone il valore commerciale.
I progressi nella coltivazione della canna da zucchero
Sin dal VII sec. i Cinesi distinguevano tra Saccharum officinarum L., da masticare, e Saccharum sinense Roxb., per la produzione di zucchero. Nella Cina meridionale, la scoperta e l'uso di S. sinense influirono in modo determinante sull'agricoltura, in quanto divennero disponibili cloni più produttivi, i quali resistevano meglio al clima freddo consentendo l'espansione della produzione di zucchero nella Cina centrale sino ad almeno 30° di latitudine nord; inoltre, la resistenza della pianta alle condizioni sfavorevoli ostacolò il diffondersi di malattie e parassiti. Quindi, durante la dinastia Ming per la produzione di zucchero si coltivava ormai quasi esclusivamente S. sinense.
Per quanto riguarda le tecniche agricole, durante le dinastie Song e Yuan gli agricoltori cinesi preparavano il terreno con l'aratro e probabilmente usavano attrezzi manuali per tracciare i solchi e le porche. Le talee della canna erano piantate nei solchi, in file distanti tra loro circa un chi, ossia circa 31,4 cm e 35 cm (a seconda della dinastia), e non in fossette praticate in aiuole rialzate come nel mondo islamico, né distribuite a caso come in India. In seguito gli agricoltori curavano le giovani piante annaffiandole a mano o irrigando i filari (un progresso notevole nell'uso delle acque di irrigazione) ed estirpavano le erbe infestanti con la zappa; viceversa, in India si usava l'irrigazione per sommersione e nel mondo islamico l'irrigazione sotterranea. Già all'inizio dell'epoca Ming i Cinesi avevano sviluppato un nuovo metodo che ebbe una notevole influenza sullo sviluppo della coltivazione della canna da zucchero in tutto il mondo; la distanza tra i filari fu aumentata a circa 4 chi (1,28 m ca.) e le erbe infestanti furono tenute sotto controllo lavorando i tratti interfilari utilizzando l'aratro con versoio e, se necessario, anche la zappa. Questo nuovo metodo svolse un ruolo importante nella coltivazione della canna da zucchero sia in Cina sia all'estero, innanzitutto perché la maggiore distanza tra i filari facilitò la coltivazione simultanea di altre specie alimentari, aumentando le prospettive di sopravvivenza dei coltivatori di canna da zucchero (a partire dal XVI sec. si ebbe così un aumento della produzione di zucchero insieme alla crescita dell'economia monetaria); inoltre, l'uso dell'aratro con versoio permise di realizzare un'efficiente economia di scala, consentendo agli emigrati cinesi di coltivare aree molto più estese di quanto non si usasse in Cina. Questo metodo, descritto per la prima volta ne Lo sfruttamento delle opere della Natura rappresentò l'antesignano della propagazione per polloni: dopo il raccolto, infatti, quando le condizioni climatiche erano favorevoli, dalle gemme e dai primordi radicali del rizoma germogliava la nuova canna. Questa tecnica contribuì a ridurre i costi di coltivazione, in quanto eliminò il bisogno sia di sementi sia della manodopera necessaria per la piantagione. Infine, questo nuovo metodo divenne il sistema di aratura su cui si basò la coltivazione della canna in Louisiana, in Sudafrica, in Australia, nelle Fiji e in altri paesi sino alla comparsa dell'aratro a dischi e dei diserbanti.
Tecniche per la produzione dello zucchero
Il trasporto di grandi quantità di zucchero a scopo commerciale verso mercati lontani rese necessaria l'adozione di metodi di chiarificazione, bollitura e cristallizzazione che consentissero di ottenere uno zucchero sufficientemente puro da essere conservato per lunghi periodi. Questa particolare tecnica fu importata dall'India tra il VII e il X secolo in Cina, dove fino ad allora si produceva soltanto zucchero amorfo (zucchero compatto), la cui struttura cristallina era instabile; la facilità con cui questo si liquefaceva e si decomponeva rendeva impossibile trasportarlo per lunghe distanze, se non in piccolissime quantità. Così, lo zucchero cinese iniziò a essere venduto regolarmente nei mercati urbani più distanti soltanto in epoca Song, quando il diffondersi della nuova tecnica consentì di produrre zucchero cristallizzato che poteva essere conservato e trasportato senza problemi.
Le fasi di produzione erano:
1) Estrazione (eliminazione delle fibre). Per ottenere il succo della canna da zucchero, gli agricoltori cinesi si sono serviti di quasi tutte le tecniche generiche a loro disposizione nel corso dei secoli: mortaio e pestello, magli a leva idraulica e a pedale, macine correnti e infine, dopo il XVI sec., mulini a cilindri. Già in epoca Song, tuttavia, i produttori cinesi avevano sviluppato, probabilmente adattando le tecniche di estrazione dell'olio, un metodo di pressatura della canna da zucchero in cui si usava prima la mola corrente e poi un procedimento a vapore. Questo sistema di pressatura in due fasi è descritto per la prima volta nel più antico trattato cinese sullo zucchero, la Monografia sullo zucchero candito (Tangshuang pu) del 1154. La tecnica che abbinava la macina corrente alla pressatura statica si diffuse dalla Cina verso il Medio Oriente, la Spagna e il nuovo mondo. La Gazzetta della Prefettura di Xinghua, del 1503, c'informa che in epoca Ming i produttori usavano i magli a leva per la pressatura. Questa tecnica si combinava con un sistema di diffusione, che consisteva nel versare acqua bollente nei secchi contenenti la fibra di canna da zucchero macinata (bagassa), così che il succo contenuto nel tessuto parenchimatico di riserva si diffondeva per osmosi nell'acqua. Questo metodo, che consentiva di ricavare maggiori quantità di zucchero rispetto alla macinatura con i mulini a cilindri ‒ e che nel XIX sec. fu adottato in Europa per la lavorazione della barbabietola ‒, non prese mai piede nell'industria zuccheriera occidentale a causa degli alti costi e della notevole quantità di manodopera necessaria nella preparazione della canna da zucchero e nella successiva eliminazione dell'acqua dalle fibre sature. La comparsa del mulino a due cilindri verticali per canna da zucchero, descritto per la prima volta ne Lo sfruttamento delle opere della Natura, e probabilmente inventato in Cina, è considerato il progresso più significativo della tecnica di estrazione in epoca Ming, poiché consentiva di macinare quantità maggiori di canna da zucchero in minor tempo e con un minor impiego di manodopera.
2) Chiarificazione (eliminazione delle impurità). I colloidi, le sostanze gommose e le particelle in sospensione erano eliminati riscaldando e schiumando il succo. Sin dall'epoca Ming, se non prima, s'iniziò a usare come reagente la calce, che permetteva l'eliminazione di una maggior quantità di sostanze precipitate. L'uso di questo procedimento, documentato per la prima volta ne Lo sfruttamento delle opere della Natura, si diffuse nei Caraibi soltanto nella seconda metà del XVIII secolo. L'invenzione cinese della chiarificazione con la calce mutò il corso della produzione mondiale di zucchero, permettendo di ottenere un prodotto con meno impurità. In precedenza, durante il XVII sec., si usava lo stesso contenitore sia per la chiarificazione sia per la bollitura; gli artigiani cinesi perfezionarono il procedimento, separando la chiarificazione con la calce dalla bollitura. Furono ideati speciali secchi per la chiarificazione, che consentivano di asportare con un sifone il succo distillato lasciando sul fondo i precipitati pesanti contenenti le impurità. Questa invenzione costituì la base non soltanto dei moderni processi di chiarificazione creati nel XX sec., ma anche di tutti i successivi miglioramenti.
3) Evaporazione (eliminazione dell'acqua). Per consentire la cristallizzazione dello zucchero, si deve anzitutto eliminare l'acqua dal succo della canna. Durante il periodo Tang, i Cinesi impiegavano un metodo indiano, che consisteva nel mettere a bollire numerosi recipienti sullo stesso fornello. In epoca Ming, iniziò a diffondersi un sistema diverso secondo il quale erano posti tre recipienti per la bollitura ai vertici di un triangolo isoscele (questo metodo è documentato per la prima volta ne Lo sfruttamento delle opere della Natura). Gli artigiani cinesi costruivano intorno a questi recipienti una struttura in muratura, che s'innalzava sino a circa 5 m sopra il loro bordo e svolgeva tre importanti funzioni: conservava il calore, aumentava la capienza effettiva dei recipienti (che potevano essere riempiti sino all'orlo) e impediva che il liquido spumeggiante fuoriuscisse durante la bollitura. Oggi si ritiene che gli Olandesi abbiano esportato questo metodo tra il 1630 e il 1654 in Brasile, dove si diffuse con il nome di 'forno olandese'. È inoltre possibile che il cosiddetto 'treno giamaicano', che fece la sua comparsa nelle Barbados nel 1657 e a Saint Christopher nel 1658, derivi a sua volta proprio dal forno olandese.
4) Cristallizzazione (eliminazione dei sali inorganici per mezzo della cristallizzazione). Raggiunto un determinato grado di ipersaturazione, lo zucchero si cristallizza lasciando le impurità dissolte nello sciroppo (melassa); calcolare precisamente questo punto critico è d'importanza fondamentale per la bollitura dello zucchero. Gli zuccheri amorfi (compatti, shimi), prodotti prima dei Tang, contenevano soltanto piccoli cristalli invisibili a occhio nudo; le tecniche di cristallizzazione impiegate in seguito, come accennato, furono importate in Cina dall'India tra il VII e il X secolo. Già nel I sec. a.C. gli Indiani avevano perfezionato l'arte di cristallizzare lo sciroppo in massacotta e di filtrarlo per ottenere lo zucchero mascavato. Dagli Indiani i Cinesi appresero l'arte di sbattere rapidamente lo zucchero sino alla granulazione per produrre uno zucchero scuro e soffice (shatang); il calore della cristallizzazione elimina l'acqua residua, lasciando uno zucchero finemente granulato e sufficientemente asciutto. I Cinesi impiegarono questo metodo nella produzione commerciale sino alla fine del XIX sec.; in epoca Song, rallentavano il raffreddamento in modo da ottenere un unico grande cristallo di zucchero detto 'zucchero candito' (tangshuang).
5) Drenaggio (eliminazione della melassa e delle impurità). La commercializzazione dello zucchero richiedeva anche la separazione dei cristalli zuccherini dallo sciroppo (melassa) e dalle impurità, con il procedimento chiamato 'drenaggio'. Tra il IX e il X sec. i Cinesi adottarono dagli Indiani la tecnica di drenaggio mediante secchi dal fondo forato e, in seguito, dal mondo islamico l'uso dei coni capovolti; tale procedimento comportava anche l'aggiunta di argilla umida in superficie, in modo che l'acqua, percolando in piccole quantità attraverso lo zucchero, eliminasse la melassa residua accumulata intorno ai cristalli. Questa tecnica, detta 'filtrazione con l'argilla', fu introdotta in Cina dall'Egitto grazie a mercanti musulmani, probabilmente durante la dinastia Yuan, e fu sicuramente usata molto prima di essere descritta in modo particolareggiato nella Gazzetta della Prefettura di Xinghua del 1503. La filtrazione con l'argilla fu impiegata come principale metodo di produzione dello zucchero bianco in Occidente e nel nuovo mondo dal XVI sec. sino agli inizi del XIX sec., ma il primato in questo campo spetta senza dubbio a Egiziani e Cinesi. Il termine baitang ('zucchero bianco'), con il quale i Cinesi indicavano gli zuccheri filtrati con l'argilla, risale al XIV sec., mentre la prima fonte occidentale in cui è menzionata la filtrazione con l'argilla è la descrizione che Francisco Hernández fa del suo impiego nelle Canarie nel 1570 (Hernández 1651, p. 110).
6) Seconda bollitura. Gli artigiani producevano zuccheri di qualità superiore facendo ribollire con o senza l'argilla gli zuccheri filtrati, dai quali era già stata eliminata la maggior parte delle impurità per mezzo della prima cristallizzazione e del drenaggio. Sebbene la seconda bollitura fosse usata occasionalmente in Cina, è soltanto nel periodo Ming che le tecniche della seconda bollitura, della seconda chiarificazione, della cristallizzazione e del drenaggio divennero di uso comune, portando alla produzione di una vasta gamma di zuccheri di qualità superiore. Il Libro di Min (Minshu), del 1631, famosa gazzetta del Fujian, descrive un procedimento a due fasi per la fabbricazione di zucchero bianco, zucchero candito e caramelle, consistente nel drenaggio con i coni, la seconda bollitura e la filtrazione con l'argilla.
Il sistema delle tecniche non specialistiche
Per comprendere perché un tale sistema di produzione dello zucchero abbia preso piede in Cina, occorre tenere presente che le tecniche usate erano di tipo non specialistico. Con la denominazione 'tecniche generiche' ci si riferisce agli elementi comuni alle diverse agroindustrie, i quali hanno acquisito questo carattere in seguito alla loro applicazione a produzioni diverse. La fabbricazione dello zucchero, come quelle degli olii vegetali, della carta, dell'indaco, della lacca e del tè, implicava l'uso di tecniche sia agricole sia industriali e rientra quindi tra le cosiddette agroindustrie. Pur avendo origini e funzioni diverse, le agroindustrie hanno in comune la caratteristica di trasformare un prodotto vegetale in un bene utile, per mezzo di procedimenti estrattivi e fisiochimici. Sin dall'Antichità i Cinesi possedevano un patrimonio comune di conoscenze tecniche, che potevano usare per la coltivazione e la lavorazione dei prodotti agroindustriali; tale patrimonio si può suddividere fra le tecniche agricole e quelle manifatturiere, che a loro volta comprendono tecniche non specialistiche impiegate per scopi diversi, sin dai tempi antichi.
Le macchine e le tecniche usate in una lavorazione agroindustriale potevano essere applicate facilmente a un altro prodotto: per esempio, l'aratro con versoio, impiegato all'inizio per la coltivazione a sommersione del riso, fu adattato facilmente alla coltivazione interfilare della canna da zucchero, mentre la macina corrente, un importante meccanismo estrattivo, già in uso anticamente in Cina, poteva essere impiegata, oltre che per schiacciare i semi oleosi, anche per macinare la canna da zucchero o avvolgere le foglie del tè. Poiché in molte agroindustrie si usavano tecniche non specialistiche, procedimenti standardizzati e competenze simili, non era necessario che gli artigiani inventassero macchine e tecniche nuove per ogni singolo prodotto, bastando a tal fine che variassero rapidamente la produzione a seconda della domanda del mercato. Anche se esistevano macchinari specifici per la lavorazione dei singoli prodotti dei campi (per es., il mulino a doppio cilindro verticale per la pressatura della canna da zucchero), non va sottovalutato il ruolo essenziale svolto dalle tecniche generiche. È stata proprio la capacità degli artigiani cinesi di riconoscere il carattere universale di un gruppo di tecniche e di applicarle a situazioni differenti ‒ non soltanto sul piano geografico ed ecologico, ma anche su quello socio-economico, tanto in Cina quanto all'estero ‒ che ha consentito loro di raggiungere livelli notevoli nella produzione agroindustriale nel corso degli ultimi 2000 anni.
I Cinesi non inventarono dal nulla le tecniche per la fabbricazione dello zucchero, ma rielaborarono e riorganizzarono quelle preesistenti al fine di adattare la produzione alle esigenze dei nuovi mercati nazionali e asiatici. Molte delle singole componenti di questo sistema avevano alle spalle una lunga tradizione; gli agricoltori cinesi usavano l'aratro con versoio sin dai tempi della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), mentre nella produzione dell'indaco la tecnica della 'defecazione' mediante l'uso della calce come reagente risale molto probabilmente al VI secolo. Le basi tecnologiche dello sviluppo dei nuovi metodi di fabbricazione dello zucchero che emersero nel XVI sec. non devono quindi essere ricercate in un'esplosione simultanea di invenzioni, quanto in una progressiva accumulazione di cambiamenti e di piccole innovazioni che durò per molti secoli.
L'origine del mulino a cilindro verticale per la canna da zucchero
Il mulino a doppio cilindro verticale rappresenta l'unica vera novità di tipo tecnologico del sistema di fabbricazione dello zucchero. È attestata l'esistenza di mulini a cilindri verticali di due forme diverse. La prima, a due cilindri, fece la sua comparsa in Cina e nei paesi del Sud-est di influenza cinese e restò predominante dal XVI al XIX sec.; la seconda, a tre cilindri, emerse più o meno contemporaneamente nel nuovo mondo. Anche se attualmente la maggior parte degli studiosi di storia della tecnologia ritiene che la variante a due cilindri sia antecedente a quella a tre cilindri, le prime fonti letterarie dei due macchinari risalgono allo stesso anno, il 1613, ed è quindi difficile stabilire con precisione quale sia apparsa per prima. Sull'origine del mulino a cilindri verticali sono state avanzate sinora ipotesi contrastanti: secondo alcuni studiosi, la forma a due cilindri fu inventata in Cina nel XVI sec.; altri invece sostengono che la forma a tre cilindri fu inventata nelle Americhe e in seguito fu importata in Cina tra la fine del XVI e l'inizio del XVII sec.; per altri ancora, infine, i mulini a due e a tre cilindri furono inventati indipendentemente.
La sostituzione della macina corrente e del mulino a due cilindri orizzontali con i mulini a cilindri verticali rappresentò indubbiamente un notevole progresso tecnologico per l'industria zuccheriera. In primo luogo, gli ingranaggi dei cilindri verticali erano molto più semplici di quelli dei cilindri orizzontali e dunque richiedevano minor forza per essere azionati; in secondo luogo, la posizione verticale dei cilindri permetteva al succo della canna di scolare durante la spremitura separandosi dalla bagassa, consentendo il recupero di una notevole quantità di zucchero. Infine, il mulino verticale permetteva di spremere quantità maggiori di canna da zucchero più rapidamente di quanto non fosse possibile fare con la macina corrente o con la tecnica di diffusione. Il mulino a due o a tre cilindri verticali rappresentò indubbiamente una delle invenzioni più significative della sua epoca, e permise, tra i secc. XVII e XIX, la lavorazione di milioni di tonnellate di canna da zucchero nel nuovo mondo e in Asia. A prescindere dalle sue origini, l'adozione del mulino a due cilindri verticali nel XVI sec. dimostra l'impegno dei Cinesi nell'opera di miglioramento dei processi produttivi.
Diffusione della nuova tecnologia in Cina e all'estero
È indubbio che tra il XVI sec. e l'inizio del XVII l'introduzione in Cina di nuove tecnologie nella fabbricazione dello zucchero sia stata stimolata anche da motivi economici. A partire dal XVI sec., parallelamente alla crescita dell'economia monetaria dovuta all'afflusso di argento sia dal Giappone sia dal continente americano attraverso la colonia spagnola delle Filippine, entrò in crisi il sistema di riscossione strutturato sulla base di gruppi di 110 famiglie (lijia), imposto dallo Stato Ming allo scopo di mantenere il controllo sulle zone rurali e di raccogliere le imposte, e quindi diventò più facile per i contadini dedicarsi privatamente alla fabbricazione di zucchero destinato ai mercati interni ed esteri. In Cina il notevole incremento della produzione di zucchero a scopi commerciali non fu accompagnato, tuttavia, dalla comparsa di un sistema di grandi piantagioni o di un'economia schiavista come nel nuovo mondo. All'epoca dei Ming e dei Qing la coltivazione della canna da zucchero e la produzione di zucchero furono sempre appannaggio dei fittavoli e dei piccoli proprietari; la canna da zucchero doveva competere con il riso e con le altre colture di base o commerciali e non divenne mai una monocoltura. Nonostante i limiti imposti dal sistema della piccola proprietà, l'espansione dei consumi determinò un aumento della produzione di zucchero.
Nel XV e XVI sec. il maggior centro di fabbricazione dello zucchero in Cina fu la regione del Fujian; da qui le nuove tecniche si diffusero non soltanto nelle province limitrofe, ma anche nei paesi dell'Est e del Sud-est asiatico. Nella seconda metà del XVII sec., la migrazione di contadini esperti da questa regione agevolò l'introduzione delle tecniche avanzate di coltivazione della canna da zucchero e di produzione dello zucchero anche nelle regioni del Guangdong e del Jiangxi, favorendo la diffusione di una produzione commerciale in una vasta area della Cina meridionale. Il nuovo complesso di tecnologie si diffuse facilmente, anzitutto perché corrispondeva alle esigenze del mercato e in secondo luogo perché gli emigranti possedevano le capacità necessarie per avviare immediatamente la produzione.
Nella seconda metà del XVI sec., la dinastia Ming eliminò in parte le barriere commerciali con il Sud-est asiatico e il Giappone, per cui alcuni mercanti cinesi trasferirono gli stabilimenti di fabbricazione all'estero sfruttando i bassi costi di produzione e la vicinanza dei nuovi mercati. Alla fine del XVI sec. la fabbricazione di zucchero si diffuse nelle Filippine a opera degli emigranti del Fujian, e nel XVII sec. lo zucchero di canna era prodotto dai Cinesi in Vietnam, nell'arcipelago indonesiano e nel Siam. Fino al XIX sec. in questi paesi lo zucchero continuò a essere prodotto in prevalenza con tecniche cinesi. A questo tipo di trasferimento di tecnologie nell'Asia sudorientale, operato per ragioni commerciali, si contrappose un modello diverso di trasferimento promosso dai governi di molti paesi dell'Asia orientale. Nel 1623 gli inviati del Regno di Ryūkyū giunsero nel Fujian per apprendere gli ultimi ritrovati della tecnologia per lo zucchero, e intorno al 1726 il governo militare (Bakufu) del periodo Tokugawa incaricò alcuni esperti di studiare la tecnologia cinese allo scopo di avviare la produzione dello zucchero in Giappone, per frenare le importazioni dalla Cina e diminuire l'emorragia di oro, argento e rame.
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