La scienza in Cina: l'epoca Song-Yuan. Lo studio della lingua: la fonologia
Lo studio della lingua: la fonologia
La Cina generò il proprio sistema di scrittura nel secondo millennio a.C., in una forma che, nei suoi aspetti essenziali, sopravvive ancora oggi. La lingua cinese è spesso definita ideografica, poiché si presume che con i segni rappresenti direttamente le idee, ma si tratta di un grossolano errore, giacché il cinese scritto, malgrado la sopravvivenza di elementi pittografici, è logografico, in quanto un segno rappresenta una parola della lingua parlata. Come in Mesopotamia e in Egitto, la formazione della lingua cinese fu un processo governato dal cosiddetto 'principio del rebus', in base al quale un pittogramma o un altro segno iconico era 'preso in prestito' (jiajie) per denotare un'altra parola di suono uguale o simile. L'aggiunta d'indicatori semantici per distinguere gli omofoni o i quasi omofoni diede origine alla classe più numerosa di caratteri, detti xingsheng ('forma e suono') oppure xiesheng ('di suono concorde'). Probabilmente, proprio questo 'metodo del rebus' per rappresentare le parole della lingua parlata richiamò l'attenzione sulla loro struttura fonetica. Il cinese antico era essenzialmente monosillabico; era caratterizzato da un sistema vocalico molto semplice e le consonanti costituivano gli aspetti di maggior entità per distinguere le parole. I ventidue suoni consonantici iniziali erano probabilmente già conosciuti nell'Antichità, ed è altrettanto probabile che i caratteri noti come dieci Tronchi celesti (tiangan) e dodici Rami terrestri (dizhi) siano stati creati per definirli. Queste due serie di segni, alcuni dei quali sono omofoni di parole comuni, ma in quanto serie sono privi di spiegazione tradizionale, furono disposte in parallelo sin dai tempi più antichi, generando un ciclo di sessanta segni utilizzati nel calendario per contare i giorni indipendentemente dai mesi lunari e dagli anni solari, e in seguito adoperati per contare gli anni e altre serie numeriche, come avvenne d'altronde anche per l'alfabeto nei paesi occidentali.
Se questa ipotesi è corretta, l'iniziale intuizione fonologica fu resa poi irriconoscibile dal mutamento fonetico e fu quindi presto dimenticata. Ogni carattere cinese mantiene il proprio vincolo con la corrispondente parola della lingua parlata, anche quando la pronuncia di quest'ultima cambia; questa proprietà ha giocato un importante ruolo nella conservazione dell'unità politica e culturale al di là dei dialetti, per l'intera durata della storia cinese. Nel periodo postclassico, con la crescita degli studi finalizzati all'esplicazione dei testi canonici, si presentò però il problema di come indicare la pronuncia dei caratteri. Inizialmente, l'unica possibilità era quella di segnalare che un certo carattere andava pronunciato come un altro, formulando, se necessario, le differenze in modo approssimativo. In seguito si trovò una soluzione più efficace con il cosiddetto metodo del fanqie, secondo il quale la pronuncia di un monosillabo era indicata per mezzo di altri due monosillabi, uno dei quali aveva la sua stessa iniziale e l'altro la sua stessa finale. Per esempio, in termini moderni, dong ('est') può essere compitato in de ('ottenere') + gong ('pubblico'). Le origini di questo metodo sono oscure, ma è probabile che fosse già in uso nel II sec. d.C.; esso consentì di compilare dizionari che classificavano le parole in base alle rime, indicate dal secondo carattere della compitazione. Poiché il metodo del fanqie entrò in uso nel periodo in cui il buddhismo si diffuse in Cina, alcuni studiosi ritengono che esso sia stato ispirato dalla scrittura alfabetica dell'India. Questa possibilità è però remota, dal momento che il fanqie non ha alcuna corrispondenza con aspetti della teoria fonetica indiana. La stessa espressione che lo definisce è composta dai due termini che descrivono il processo su cui si basa: fan, 'ruotare' (dal suono iniziale del primo carattere al suono finale del secondo), e qie, 'tagliare' (il suono in due parti complementari). La divisione dei fenomeni in coppie complementari, inoltre, è tipica dei tradizionali metodi d'analisi cinesi.
La scrittura alfabetica indiana fu conosciuta per la prima volta in Cina con la kharoṣṭhī, un alfabeto diffuso nell'India nordoccidentale. Questo alfabeto è disposto nel cosiddetto ordine arapacana, che omette i segni vocalici a eccezione della a ed elenca le consonanti in ordine apparentemente casuale. Soltanto più tardi, nel V sec., l'alfabeto brāhmī, disposto foneticamente e precursore della devānagarī moderna, destò grande interesse; la traduzione cinese del testo che presentava la brāhmī fu compiuta da un monaco che si avvalse della collaborazione di Xie Lingyun (385-433), buddhista laico e grande poeta del suo tempo presso la corte meridionale a Jiankang (Nanchino). Insieme a un altro monaco cinese, Xie Lingyun compilò anche un glossario di termini sanscriti in trascrizione cinese ordinato secondo i quattordici suoni (vocalici) del sanscrito.
Mentre gli alfabeti occidentali della tradizione greco-romana non distinguono formalmente i segni vocalici da quelli consonantici, legandoli semplicemente uno all'altro in stringhe, gli alfabeti indiani separano le due classi di suoni, combinandole sillaba per sillaba. Esistono segni vocalici indipendenti per scrivere le sillabe che non iniziano per consonante; negli altri casi, la consonante (o il gruppo consonantico) a inizio di sillaba si ritiene accompagnato da una -a inerente. Le altre vocali sono scritte come appendici ai segni consonantici. Una consonante in fine di sillaba all'interno di una frase si lega all'iniziale della sillaba successiva (anche se questa appartiene a un'altra parola), formando un gruppo consonantico; al termine di una frase essa è indicata con un breve tratto obliquo, detto virāma, in quanto la vocale interna non va pronunciata. Ritenendo questi principî simili a quelli della compitazione secondo il metodo del fanqie, in cui la sillaba ‒ come si è detto ‒ è divisa in due metà, Xie Lingyun si servì del fanqie per il suo glossario di termini sanscriti che modellò sui dizionari cinesi per rime. Il glossario non si è conservato, ma un brano in cui Xie Lingyun descrive l'alfabeto sanscrito è citato nel compendio giapponese Shittanzō.
Non molto più tardi, altri studiosi cinesi della corte meridionale, tra cui Shen Yue (441-513), storico e poeta, realizzarono la prima importante scoperta riguardante la fonologia della propria lingua, ossia il riconoscimento e la definizione dei quattro 'toni' del cinese medievale: 'piano', 'ascendente', 'uscente' ed 'entrante'. Pur essendo chiamati 'toni', il loro valore fonetico non era strettamente tonale ed erano definiti semplicemente sisheng o 'quattro suoni'. Mentre i termini 'piano' e 'ascendente' si riferivano chiaramente a differenze di tonalità, 'entrante' definiva le parole che terminavano con una consonante occlusiva (-p, -t, -k), come ancora oggi è nei dialetti meridionali, quali il cantonese o il dialetto di Xiamen. Vi è inoltre motivo di ritenere che il termine 'uscente' denotasse a quel tempo le parole terminanti con una fricativa, *-s o *-h. Il tono 'ascendente' ebbe storicamente origine da una finale occlusiva glottale, ed è probabile che a quel tempo le parole appartenenti a questa categoria fossero ancora caratterizzate dalla glottalizzazione oltre che dall'aumento di tonalità.
Se il sanscrito influenzò la scoperta dei toni, lo fece soltanto in modo indiretto; l'accento melodico di questa lingua, che mette in rilievo particolari sillabe, è infatti di natura interamente diversa dai toni lessicali dei monosillabi cinesi. È inoltre possibile che lo sviluppo del sistema di prosodia tonale nella poesia, avvenuto poco tempo dopo il riconoscimento dei toni, sia stato influenzato dai metri poetici sanscriti utilizzati nella recitazione buddhista. Anche in questo caso, però, il modello indiano può soltanto aver fornito un elemento d'ispirazione e non d'imitazione diretta; infatti, mentre i metri sanscriti sono quantitativi e indipendenti dall'accento melodico, la prosodia tonale cinese si basa sul contrasto tra il tono piano e gli altri tre toni. La metrica sanscrita e quella cinese hanno in comune soltanto un contrasto di tipo binario nei tipi di sillabe.
Una volta definiti, i quattro toni servirono da principale criterio di classificazione nei dizionari ordinati per rime. Il testo Tagli di [sillabe e] rime (Qieyun) del 601 d.C., basato su dizionari precedenti oggi andati perduti, divenne la principale opera di riferimento per le rime dei versi da comporre negli esami dell'amministrazione statale. Esso si conserva in frammenti, ma le numerose revisioni e gli ampliamenti cui fu sottoposto durante il successivo periodo Tang, non ne alterarono la struttura essenziale. La più importante di queste elaborazioni fu l'Ampliamento dei 'Tagli di [sillabe e] rime' (Guangyun), composto nel 1085 durante il periodo dei Song settentrionali. Secondo Bernhard Karlgren, lo studioso occidentale che per primo portò a termine una ricostruzione completa in notazione fonetica della lingua di questa opera, il Qieyun rappresentava il dialetto parlato a Chang'an, la capitale delle dinastie Sui (581-617) e Tang (618-907). Oggi è chiaro, invece, che questo testo si basava su un precedente modello linguistico in uso presso l'élite colta durante il periodo della divisione nelle Dinastie settentrionali e meridionali (386-589). A sua volta, questo modello linguistico si rifaceva in ultima analisi alla lingua parlata nel III sec. a Luoyang (la capitale settentrionale), che dopo la caduta dei Jin occidentali (265-316) gli esuli trasmisero al Sud, allo stesso modo in cui il mandarino odierno è stato portato dalla terraferma a Taiwan dopo il 1949. Nel VI sec. le lingue parlate dall'élite del Sud e del Nord si diversificarono, rimanendo però ancora reciprocamente comprensibili e sufficientemente uniformi per costituire una lingua comune definita 'cinese medievale antico', distinta dai vernacolari locali.
Il Qieyun e le sue versioni successive classificano le parole anzitutto nei quattro toni, poi in rime disposte nel medesimo ordine all'interno di ciascuna categoria tonale. Nell'ambito di ciascuna rima, le singole parole sono elencate in gruppi di omofoni, e la pronuncia di ogni gruppo è indicata sotto la prima parola secondo il metodo del fanqie. Gli omofoni sono disposti in ordine casuale all'interno di ciascuna rima, a eccezione del fatto che le prime parole di uguale rima all'interno di ogni categoria tonale hanno solitamente la stessa iniziale. Alcune rime considerate ancora distinte nei precedenti dizionari compilati nella Cina del Nord o del Sud, ma ormai fuse per la maggioranza dei parlanti all'epoca in cui il Qieyun fu composto, e dunque considerate interscambiabili (tongyong, 'usate insieme') ai fini degli esami, contenevano anch'esse parole con la stessa iniziale dei caratteri che davano loro il nome.
La lingua comune dell'élite durante il periodo delle Dinastie settentrionali e meridionali, sebbene codificata nel Qieyun, nel VII sec. cadde rapidamente in disuso come lingua parlata e fu sostituita da un nuovo modello basato sulla lingua della capitale Tang, Chang'an, denominato 'cinese medievale tardo'. Si crearono inoltre un sistema notevolmente modificato di trascrizione del sanscrito e un nuovo modello per il sino-giapponese detto Kan'on (suoni cinesi) per distinguerlo dal precedente Go'on (suoni di Wu), che faceva riferimento alla lingua delle Dinastie meridionali.
Durante il periodo Tang, a seguito dell'introduzione in Cina della scuola tantrica, che dava particolare importanza alla recitazione di formule magiche (dhāraṇī), crebbe l'interesse dei buddhisti per l'alfabeto sanscrito; spinti dalla necessità di pronunciare correttamente queste formule, i monaci cinesi rivolsero l'attenzione anche all'analisi dei suoni della propria lingua. Questo processo portò alla creazione di 'tavole di rime' (dengyun tu), consistenti in un'elaborazione del metodo del fanqie in cui si mostrano le sillabe della lingua in una griglia bidimensionale. Le parole d'identica iniziale, che dunque possono utilizzare lo stesso carattere per la loro compitazione, sono disposte in colonne da destra a sinistra, mentre quelle con la stessa finale sono elencate in righe sotto di esse. Anche se le categorie fonetiche così stabilite potevano essere chiare ai parlanti nativi del tempo, il successivo mutamento fonetico le ha in gran parte oscurate, e oggi è possibile intenderle correttamente soltanto ricostruendo la lingua parlata alla quale esse facevano riferimento. Si tratta di un processo di notevole complessità, basato sulla collazione d'indicazioni di natura molto diversa tra loro: forme dei dialetti moderni, forme del sino-giapponese, del sino-coreano e del sino-vietnamita, mutuate per la prima volta durante il periodo Tang; rime di poeti del IX sec. che si servivano del vernacolare corrente anziché seguire le norme prescritte; trascrizioni Tang del sanscrito e di altre lingue straniere; trascrizioni fonetiche del cinese in tibetano, in khotanese, in brāhmī, in uigurico, e così via.
La più antica tavola di rime integralmente conservata è lo Specchio delle rime (Yunjing), oggi conosciuta soltanto in un'edizione del periodo dei Song meridionali (prefazioni datate 1161 e 1203). Altre tavole appartenenti alla stessa tradizione, anche se disposte in modo diverso, risalgono ai periodi Song (960-1279) e Yuan (1279-1368). Tutte queste tavole si basano, tuttavia, su un prototipo del tardo periodo Tang; un'indicazione diretta a questo proposito è fornita da due manoscritti di Dunhuang (risalenti al IX sec.) intitolati rispettivamente Esempi dell'assegnazione delle trenta iniziali (Gui sanshi zimu li) ed Esposizione [dell'analisi fonologica] del monaco cinese Shouwen di Nanliang (Nanliang biqiu Shouwen shu), i quali non contengono vere e proprie tavole, ma illustrano i principali criteri di classificazione e rappresentano uno stadio preliminare nell'evoluzione del sistema delle tavole di rime. La certezza che queste tavole risalgano al periodo Tang è indicata dal fatto che, così come lo Specchio delle rime, esse fanno riferimento alle rime del Qieyun, combinandole però in gruppi (più tardi definiti she) corrispondenti alle rime effettivamente utilizzate nella poesia vernacolare del IX sec.; nel corso dell'XI sec., durante il periodo dei Song settentrionali, avvennero ulteriori fusioni di rime. Il primo importante risultato conseguito dai fonologi che elaborarono le tavole di rime, fu l'isolamento e la classificazione delle consonanti iniziali, chiamate zimu o 'madri delle parole', ognuna delle quali prende nome da una parola che la esemplificava, per esempio jian 'vedere', cinese medievale tardo kjian`=k-.
La lista delle iniziali mostra in modo evidente l'ispirazione fornita dall'alfabeto sanscrito, che classifica le consonanti occlusive e le corrispondenti nasali in base al punto di articolazione disponendole su cinque righe, dette varga, ciascuna delle quali contiene cinque lettere, secondo l'ordine: sorde semplici, sorde aspirate, sonore semplici, sonore aspirate e nasali, ossia k(a), kh(a), g(a), gh(a) e ñ(a). È, tuttavia, altrettanto chiaro che il sistema cinese fu elaborato senza tentare d'imitare nei dettagli il modello sanscrito. Mentre la disposizione sanscrita procede con regolarità dal retro al fronte della bocca, nello Specchio delle rime l'ordine dei primi tre varga è invertito; seguono poi le sibilanti, le gutturali (fricative velari e laringali) e infine le due liquide. La posizione delle sibilanti e delle laringali sembra rifarsi al modello dell'alfabeto sanscrito (che non contiene affricate), dove le lettere ô, õ, s e h sono poste alla fine, dopo i cinque varga delle occlusive e delle relative nasali e dopo le semivocali. I manoscritti di Dunhuang, citati precedentemente, mostrano però che la disposizione cinese, compresa l'assegnazione di alcuni suoni come l- e r-, era in origine mutevole. A influenzare la costituzione delle cinque categorie principali fu, in qualche misura, anche l'assunto che esse dovessero corrispondere alle cinque note dell'antica scala musicale cinese, un'analogia che poteva interessare i monaci cinesi, ma che non ha nessun significato dal punto di vista fonologico.
Fatta eccezione per l'ovvio termine 'suoni delle labbra' che denota le labiali, i nomi cinesi per i diversi tipi di consonanti mostrano poca corrispondenza con i termini foneticamente descrittivi della tradizione sanscrita. Il fine dei fonologi cinesi non era, infatti, la precisione fonetica, ma la definizione pratica dei contrasti più significativi. Per esempio, l'espressione 'suoni dei denti posteriori' per le velari, può derivare dall'osservazione che i lati della lingua toccano i denti posteriori quando si pronunciano queste consonanti. Sia i 'suoni della lingua' sia i 'suoni dei denti anteriori' si dividevano in due sottocategorie che, in base al punto di articolazione, erano rispettivamente dentali o alveolari e retroflesse e avrebbero dunque dovuto costituire varga diversi dal punto di vista indiano; nel sistema cinese questi due suoni erano invece assimilati, trovandosi in distribuzione complementare rispetto alle finali con cui potevano entrare in combinazione.
All'interno dei varga, le consonanti cinesi erano classificate in base a tre tipi contrastivi di fonazione: limpido (qing) per le sorde, sporco (zhuo) per le aspirate sonore, e 'limpido-sporco' (qingzhuo) o 'non limpido e non sporco' (buqing buzhuo) per le sonanti (nasali, liquide e semivocali). Le aspirate sorde erano dette 'seconde limpide' (ciqing), termine probabilmente derivato dal sanscrito dvitīya ('secondo') che così definiva tali consonanti in quanto occupavano la seconda posizione di ciascuna riga. La triplice distinzione tra occlusive sorde, occlusive aspirate sonore e sonanti con sonorità intrinseca era un'importante caratteristica del cinese medievale tardo e influenzò l'evoluzione dei toni. I creatori del sistema delle tavole di rime identificarono questa proprietà della lingua senza riferirsi alla terminologia fonetica indiana per la sonorità o l'aspirazione, dimostrando così una notevole comprensione degli aspetti fonologicamente significativi della loro lingua. I termini 'limpido' e 'sporco' derivavano dalla teoria musicale antica, nella quale indicavano una tonalità relativamente alta o bassa, ed erano dunque adatti a descrivere la divisione tonale in registri superiori e inferiori. I due manoscritti di Dunhuang, citati sopra, elencano soltanto trenta iniziali invece delle successive trentasei, e variano anche nella classificazione di alcune iniziali. Le sei iniziali mancanti sono le quattro labiodentali, l'aspirata retroflessa sonora, e la nasale retroflessa, omissioni che possono essere spiegate con la difficoltà di conciliare le differenze fonetiche della lingua parlata dai fonologi delle tavole di rime, rispetto al fanqie del Qieyun, opera cui essi si proponevano di fornire una chiave.
Il trattamento delle finali nello Specchio deve poco al modello indiano. Le vocali e le consonanti finali non erano classificate separatamente; al contrario, le finali erano semplicemente classificate in tipi contrastivi, suddividendole anzitutto in sedici she o gruppi di rime. Questo termine compare in un'altra tavola di rime del periodo Song, ma era già implicito nel modo in cui le 43 tavole dello Specchio riordinano le rime del Qieyun. All'interno dei gruppi di rime, tavole a sé stanti erano definite 'bocca aperta' (kaikou) e 'bocca chiusa' (hekou) a seconda dell'assenza o della presenza di un'approssimante centrale o di una vocale, [w] oppure [u], immediatamente dopo la consonante iniziale. Ogni tavola contiene sedici righe, divise dapprima nei quattro toni e all'interno di ciascun tono in quattro gradi (deng). I gradi rappresentano l'aspetto più enigmatico di questo sistema di classificazione. A giudicare dalla successiva evoluzione della lingua, essi devono corrispondere alla palatalizzazione, [j] o [i] dopo l'iniziale, allo stesso modo in cui il contrasto tra 'bocca aperta' e 'bocca chiusa' si riferisce alla labializzazione più tardi scomparsa a seguito del mutamento fonetico. Numerose indicazioni basate sulla lingua del periodo Song e sul comportamento delle retroflesse nei dialetti moderni lasciano intendere: (1) che il cinese medievale tardo fosse caratterizzato da un contrasto tra nuclei monomoraici e bimoraici (-V- e -VV-), dove questi ultimi comprendono non soltanto la vocale lunga -a:- ma anche le sequenze vocaliche -ia-, -ua- e -ya-; (2) che dopo le iniziali velari e l'occlusiva glottale fosse possibile la presenza di un'approssimante centrale palatale -j- dinanzi sia alla -a:- lunga, assegnata al II grado, sia alle sequenze -ia- e -ya-, assegnate al III grado in assenza di un'approssimante centrale palatale precedente e al IV grado quando erano precedute da un'approssimante centrale. Fu ciò a offrire la possibilità di definire quattro 'gradi' di palatalizzazione dopo queste iniziali, come nel primo esempio, riguardante le parole inizianti per [k], contenuto nella sezione intitolata Esempi, leggeri e pesanti, dei Quattro Gradi del manoscritto di Shouwen. Le parole con iniziale [k] erano scelte anche per la prima illustrazione dei toni 'ascendente' e 'uscente', confermando che le velari fornivano il paradigma di base. Le parole con altre iniziali erano assegnate ai gradi secondo l'analogia con le rime del Qieyun in cui esse comparivano.
Nell'XI sec., durante la dinastia dei Song settentrionali, la conoscenza della fonologia delle tavole di rime non era più limitata soltanto ai circoli buddhisti. Il letterato Shen Gua (1031-1095), per esempio, fornì una descrizione piuttosto confusa di una tavola di rime simile allo Specchio nei Discorsi in punta di pennello dal Ruscello dei sogni (Mengxi bitan, 1086); in realtà Shen Gua genera confusione perché confondeva i quattro 'gradi' con le quattro classi di consonanti all'interno di un varga. Di maggiore interesse è l'opera del filosofo Shao Yong (1011-1077), il cui testo di numerologia intitolato Libro del Supremo principio [che governa tutte le cose] del mondo (Huangji jingshi shu) contiene una tavola di rime semplificata. Shao Yong non intendeva fornire una chiave pratica alla pronuncia; in relazione al suo interesse per la numerologia, egli riteneva che la struttura dei suoni della lingua umana, a suo avviso più o meno interamente rappresentati dai suoni del cinese parlato a quel tempo, corrispondesse alle opposizioni complementari ‒ yin-yang, cielo e Terra, ecc. ‒ che costituiscono l'Universo. Per quanto affascinante dal punto di vista della storia del pensiero, questa teoria è priva di senso dal punto di vista della scienza linguistica e avrebbe potuto condurre a forzature d'interpretazione. Esaminando in dettaglio le tavole delle iniziali e delle finali, si osserva però che Shao Yong riuscì non soltanto a evitare distorsioni di questo tipo, ma anche a utilizzare categorie mutuate dalle tavole di rime del tardo periodo Tang, presentando così una valida descrizione della fonologia del cinese settentrionale nell'XI sec., non più costretta dalla necessità di fare riferimento all'ormai obsoleto Qieyun.
Shao Yong fu certamente aiutato dal fatto che il suo schema numerologico comportava due serie di quadruplici opposizioni, che potevano essere messe in relazione ai quattro toni e ai quattro gradi: il cielo, diviso in yin-yang, a loro volta suddivisi in 'maggiore' e 'minore', si trovava in opposizione complementare alla Terra, divisa in 'dura' e 'morbida', aspetti anch'essi a loro volta suddivisi in 'maggiore' e 'minore'. Le quattro divisioni del cielo erano definite Sole, Luna, stelle e pianeti, mentre le quattro divisioni della Terra erano definite acqua, fuoco, legno e pietra. Il cielo e la Terra erano inoltre collegati alle due serie calendariali, ossia i dieci Tronchi celesti e i dodici Rami terrestri. Nel sistema di Shao Yong, le finali delle sillabe cinesi corrispondevano al cielo e le iniziali alla Terra. Le iniziali erano disposte in dodici tavole, ognuna delle quali conteneva due iniziali divise in 'limpide' e 'sporche' per un totale di quattro colonne. I termini 'limpido' e 'sporco' definivano dunque sottocategorie valide per tutte le iniziali, comprese le aspirate non sonore e le sonoranti, e non più esclusivamente le singole iniziali. Da ciò si deduce che la desonorizzazione delle occlusive sonore del cinese medievale era ormai completa, mentre il registro tonale basso era ancora accompagnato da un'emissione di fiato per l'intera durata della sillaba.
Shao Yong trasferì inoltre alcune consonanti dentali dal I al II grado. Anche per questa scelta è possibile individuare un chiaro motivo fonetico, ossia l'allungamento della vocale -a- in -a:- dopo tali iniziali nelle sillabe finali, un cambiamento che è presente non soltanto nel cantonese moderno, ma anche nell'evoluzione delle parole di tono entrante nel mandarino. Inoltre, essendosi perduta la vocale -i nelle sillabe aperte dopo le sibilanti dentali in parole come si ('pensare'), queste parole furono trasferite dal IV al I grado. Un'ulteriore notevole differenza rispetto allo Specchio è che le labiodentali, invece di essere ristrette al III grado hekou in base alle loro origini nel cinese medievale antico, sono distribuite, nella quarta tavola, tra il I, il II e il IV grado in modo coerente alla loro successiva evoluzione nel mandarino.
Le dieci tavole delle finali contengono due finali ciascuna, divise in pi o 'aperte' e xi o 'chiuse', corrispondenti alla 'bocca aperta' e alla 'bocca chiusa' dello Specchio. Le ultime tre tavole sono vuote, e sono indicate come prive di suoni corrispondenti. Le quattro righe di ogni tavola, contrassegnate come Sole, Luna, stelle e pianeti, rappresentano i quattro toni. Le parole di tono entrante non sono più collegate alle corrispondenti nasali, come nel Qieyun e nello Specchio, bensì alle finali nelle vocali aperte o nei dittonghi, a eccezione di quelle in -p che si trovano ancora disposte sotto le finali in -m. Questo dettaglio si accorda alle rime utilizzate nella poesia di quel tempo: queste ultime mostrano che la -k e la -t finali non erano più elementi distintivi ed erano state probabilmente sostituite da un'occlusiva glottale, come in alcuni dialetti del mandarino moderno. Due coppie di gruppi di rime distinte nello Specchio si erano fuse secondo Shao Yong; anche questo è riscontrabile in altre indicazioni fornite da fonti del periodo Song. La natura incompleta delle tavole di Shao Yong, che forniscono soltanto esempi delle varie categorie, anziché indicare tutte le possibili combinazioni d'iniziali e finali, lascia dubbi su alcuni punti, ma nonostante l'apparente arbitrarietà della struttura, elaborata sulla base della propria teoria metafisica, Shao Yong riuscì in modo egregio a presentare i principali contrasti fonematici della lingua del suo tempo.
La disposizione delle sillabe della lingua in tavole di rime rappresenta il maggiore risultato conseguito dalla fonologia cinese tradizionale. L'assenza di una notazione, come l'alfabeto, per rendere esplicita la natura fonetica dei contrasti è un ovvio svantaggio, ma il modo in cui una tavola di rime fa risaltare e classifica i contrasti fonemici significativi della lingua in un dato momento e un certo stadio della sua evoluzione ha i propri vantaggi, specie se si considerano le frequenti difficoltà incontrate dagli storici della lingua nell'interpretare le compitazioni tradizionali nell'ambito degli scritti alfabetici. La teoria delle tavole di rime cinesi facilitò la creazione della prima ortografia alfabetica del cinese da parte del monaco tibetano 'Phags-pa (1235-1280), un influente consigliere di Qubilay Khān. L'alfabeto di 'Phags-pa, basato sul tibetano, fu creato nel 1269 con l'intenzione di servire da alfabeto universale per le lingue dell'Impero mongolo. Fu utilizzato principalmente per il mongolo, ma fu adottato anche per il cinese, e costituì il primo tentativo di fornire una trascrizione fonetica universale della lingua. La fonologia delle tavole di rime influenzò anche la creazione dell'alfabeto coreano han'gŭl da parte del re Sejong (1418-1450). In seguito, nuove tavole di rime basate sul mandarino furono elaborate nel XVII sec., e hanno fornito la base del Zhuyin zimu, un sistema di simboli fonetici sviluppato nel X sec. dai Cinesi stessi.
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