La scienza in Cina: l'epoca Song-Yuan. Produzione, circolazione e gestione dei testi
Produzione, circolazione e gestione dei testi
Il processo di produzione e circolazione dei testi durante la dinastia Song (960-1279) fu accompagnato da due cambiamenti di considerevole importanza: il passaggio dal rotolo al codice e l'invenzione della stampa. Queste due trasformazioni videro la luce, quasi contemporaneamente e in modo indipendente, nell'VIII secolo. Tuttavia, per un insieme piuttosto insolito di circostanze, gli effetti da esse prodotti ‒ che furono di capitale importanza ‒ iniziarono a manifestarsi soltanto due secoli più tardi. Il lungo lasso di tempo necessario per l'abbandono del rotolo manoscritto a vantaggio del libro stampato è indubbiamente un dato che merita di essere preso in considerazione nel dibattito sulla tesi secondo cui il periodo Song avrebbe segnato una rottura paragonabile al Rinascimento europeo.
Esaminando le opere non buddhiste stampate durante la dinastia Song, ci si rende subito conto che la loro struttura non ha più niente a che vedere con quella dei rotoli manoscritti copiati durante la dinastia Tang (618-907). Non è facile individuare le cause e le diverse fasi di questa trasformazione e sino a non molto tempo fa gli studiosi della storia del libro hanno avuto a disposizione soltanto un piccolo numero di testimonianze. Un contributo decisivo, spesso trascurato da chi indaga in questo campo, è stato apportato dai numerosi manoscritti, compilati tra VII e X sec. e ritrovati a Dunhuang, i quali rivelano diversi tentativi di modificazione del sistema di montaggio dei rotoli. Non possiamo sapere se la situazione predominante a Dunhuang, centro situato in una regione periferica della Cina, in contatto con i regni dell'Asia centrale, il Tibet e l'India, fosse simile a quella della Cina centrale e se l'eco delle trasformazioni materiali subite dalla struttura del libro in questo centro avesse raggiunto anche la capitale cinese innescando processi analoghi. Forse le regioni centrali e orientali della Cina hanno saltato certe tappe o hanno prodotto esemplari che non hanno lasciato tracce. In ogni caso, è importante osservare che le trasformazioni materiali della struttura del libro rivelate dai manoscritti di Dunhuang sono strettamente legate alla posizione eccentrica del sito e alle sue relazioni privilegiate con certe tradizioni straniere.
Il processo di trasformazione che condusse al libro costituito da fogli piegati in due del periodo Song sembra infatti essere stato innescato da influenze indiane, attraverso la mediazione del buddhismo, anche se l'esistenza simultanea di libri di diverse forme rende difficile ricostruire l'ordine di successione delle tecniche di montaggio dei manoscritti. Tuttavia, seguendo un percorso che va dal semplice al complesso, si può supporre che la prima trasformazione abbia avuto luogo con la nascita del libro a 'paravento' o a 'fisarmonica'. Definita in seguito 'rilegatura al modo delle tavole indiane' (fanjia zhuang) o 'rilegatura in forma di sūtra' (jingzhe zhuang), la formula del libro a paravento discende dalle pothī indiane, libri manoscritti formati da fogli oblunghi di latania ‒ una palma delle isole dell'Africa orientale ‒, scritti sia sul recto sia sul verso, impilati e dotati di uno o più fori in cui s'introduceva un filo che teneva insieme i fogli. Prendendo a modello questi libri, che erano regolarmente importati dall'India o dall'Asia centrale per essere tradotti, s'iniziò a piegare a intervalli regolari i fogli consecutivi dei rotoli di carta, ottenendo una serie di foglietti oblunghi che, ripiegati gli uni sugli altri, assumevano l'aspetto dei libri indiani. Il testo, tuttavia, era scritto soltanto su una faccia del rotolo, che nel libro a paravento corrisponde al verso. L'uso di questo tipo di libro sembra essersi diffuso a Dunhuang sotto l'influenza dei Tibetani, che occuparono la regione tra il 781 e l'848. Anche questi ultimi, infatti, avevano adottato il sistema delle pothī indiane, sostituendo la carta ai fogli di latania, sia per i testi in tibetano sia per le traduzioni in cinese dei testi buddhisti. La trascrizione del testo su foglietti isolati e destinati in seguito a formare una serie continua impose poi l'esigenza di numerare i fogli; questa novità si sarebbe trasmessa alle formule successive.
Nello stesso periodo, ossia tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX sec., si diffuse il montaggio 'a vortice', un'altra forma di legatura che sembra essere stata impiegata soltanto per un breve periodo. Nel montaggio a vortice, molto complesso e relativamente raro, i fogli non erano assemblati uno dietro l'altro, ma uniti da bordo a bordo, dopo essere stati impilati senza piegatura (un foglio supplementare incollava la prima carta all'ultima). Questo tipo di rilegatura era riservato soprattutto alle raccolte di rime e alle opere di consultazione e fu sperimentato in diverse formule, che in alcuni casi prevedevano l'incollatura e in altri la cucitura dei foglietti. All'influenza congiunta del montaggio a paravento e a vortice è certamente riconducibile la nascita di una forma di rilegatura molto simile a quella dei nostri codici, il montaggio 'a farfalla', che diede origine a una lunga serie di varianti in cui sono rappresentati tutti i tipi di formato. I fogli di carta, che conservavano le stesse dimensioni di quelli dei rotoli, in un primo momento furono tagliati in due parti, a loro volta piegate in due e incollate o cucite le une alle altre in corrispondenza della piegatura. In questo caso quindi il libro era costituito da quaderni, ciascuno dei quali era a sua volta formato da pagine corrispondenti a un quarto di foglio. Benché molto simile ai codici europei della fine dell'Antichità romana, il montaggio a farfalla non sembra averne subito l'influenza.
Queste nuove forme del libro non furono la premessa necessaria all'invenzione della stampa, ma in molti casi accompagnarono i suoi esordi e ne orientarono lo sviluppo. I primi stampatori ricorsero sia ai rotoli, grandi e piccoli, sia al montaggio a paravento, formula pressoché esclusiva delle opere canoniche buddhiste. Il montaggio a farfalla e quello a vortice erano invece considerati problematici, perché, una volta assemblati, i fogli erano scritti sia sul recto sia sul verso per non spezzare la continuità della lettura, ma la necessità di girare le pagine comportava nello stesso tempo una relativa discontinuità. La rilegatura a vortice fu ben presto abbandonata, mentre del montaggio a farfalla ci sono pervenuti soltanto esemplari con foglietti assemblati uno dietro l'altro. L'operazione d'incartonatura mal si adattava alla tecnica xilografica, perché a un foglio, ossia a due pagine, corrispondeva una tavola e i fogli erano stampati su una sola faccia.
La xilografia vide probabilmente la luce all'inizio dell'VIII sec. o poco prima. I presupposti della sua nascita vanno ricercati nelle tecniche d'incisione e di riproduzione dei sigilli. Inizialmente fabbricati incidendo a incavo la superficie di blocchi di giada o di pietra e successivamente impressi nell'argilla, i sigilli che autenticavano i documenti ufficiali furono in seguito incisi in rilievo e applicati su carta o stoffa, impiegando pasta di cinabro e inchiostro nero. I taoisti e poi i buddhisti recuperarono l'uso delle iscrizioni incise su legno per imprimere nell'aria formule incantatorie di protezione. Dagli incantesimi si passò progressivamente a piccole immagini di Buddha o di bodhisattva impresse come sigilli su carta o stoffa, anche se in questo caso era la ripetizione dell'impressione a garantire l'efficacia del rito. A poco a poco si passò a incidere superfici più vaste, dai timbri, alle piccole tavole fino ad arrivare ad applicare la carta sulla faccia incisa della tavola inchiostrata; in questo modo il foglio, che con l'aiuto di una spazzola si faceva aderire alla tavola, assorbiva l'inchiostro, imprimendosi. Era un procedimento semplice che si affermò in maniera molto graduale e per questa ragione è difficile individuare con precisione il momento e il luogo della nascita della xilografia.
I primi passi della xilografia in Cina, così come quelli di molte altre invenzioni, rimangono misteriosi e sono ancora controversi. I pochi testi che si riferiscono esplicitamente a questa tecnica, come pure le stampe più antiche, sembrano indicare che in Cina la xilografia e i suoi prodotti fossero già largamente diffusi nel IX secolo. Tuttavia, sin dalla seconda metà dell'VIII sec., in Giappone e probabilmente in Corea apparvero testi buddhisti stampati sul modello di esemplari cinesi, sulla scia della diffusione in Cina e in Giappone dei testi buddhisti tradotti in cinese e, in particolare, dei testi tantrici, molto ricercati nell'VIII secolo. A partire dalla prima metà del IX sec. in Cina si diedero alle stampe alcuni calendari che entrarono in concorrenza con i calendari ufficiali e non molto tempo dopo apparvero nei mercati piccoli libri di divinazione e alcuni lessici, la cui stampa non era molto precisa. Altre testimonianze provano inoltre che in questo periodo la xilografia aveva già conquistato un certo numero di bibliofili, che probabilmente pensavano di assicurare con questa tecnica una vasta diffusione alle loro opere. È soprattutto il rinvenimento a Dunhuang di un esemplare del Sūtra del diamante (Jingang jing), stampato nell'868 per iniziativa di un donatore, a dimostrare che in quel periodo l'uso della xilografia si era già diffuso negli ambienti buddhisti. Mentre le autorità imperiali e gli ambienti ufficiali guardavano con diffidenza alla possibilità di diffondere qualsiasi tipo di testo, il proselitismo buddhista non poteva che considerare con favore una tecnica che consentiva di riprodurre su larga scala le parole del Buddha. I meriti riconosciuti ai donatori che commissionavano immagini o facevano copiare i sūtra in ogni occasione si moltiplicavano a vantaggio della comunità buddhista. Ritrovato in modo fortuito, il Sūtra del diamante è sino a oggi l'unico prodotto della xilografia del IX sec. che sia giunto sino a noi. Tuttavia, questo rotolo decorato con un frontespizio a sua volta stampato, rivela una grande abilità tecnica, non riscontrabile negli altri testi stampati risalenti al X sec. scoperti a Dunhuang o altrove.
Come si è detto, la tecnica della xilografia era relativamente semplice e non necessitava di un'attrezzatura costosa né di grandi investimenti. Per fabbricare le tavole si ricorreva al legno di alberi da frutto, soprattutto peri o giuggioli e, in alcuni casi, catalpa. Dopo essere state ridotte alle dimensioni volute, le tavole erano immerse nell'acqua, fatte asciugare lentamente e infine piallate. Il testo da riprodurre era scritto su un foglio di carta utilizzando un sistema di quadrettatura che consentiva una corretta disposizione; il foglio era quindi applicato alla tavola capovolto, in modo che, dopo averlo staccato, le parti inchiostrate rimanessero impresse. Si praticava poi l'incisione dei caratteri in rilievo e infine dopo la rifinitura, la tavola poteva essere inchiostrata e impressa.
Il vero sviluppo della xilografia risale alla metà del X sec.; sino ad allora, infatti, la diffusione di questa tecnica, benché non irrilevante, era stata piuttosto limitata, non perché si stampassero pochi testi o immagini, ma perché gran parte di essi non era riprodotta per essere diffusa bensì, al contrario, per essere conservata nei tesori dei monasteri o introdotta all'interno di statue e stūpa; come dire che i testi non erano stampati per essere letti, ma per essere offerti e preservati. L'uso della xilografia si affermò definitivamente soltanto a partire dal 950, vale a dire alla vigilia dell'instaurazione della dinastia Song, in coincidenza con la fine dell'opera di stampa dei Classici confuciani intrapresa per iniziativa dei ministri Feng Dao e Li Yu. Questa impresa, iniziata nel periodo dei Tang posteriori (923-936), terminò nel 953, sotto i Zhou posteriori (951-960). I Classici stampati erano i seguenti: il Classico dei mutamenti (Yijing), il Classico dei documenti (Shujing), il Classico delle odi (Shijing), le Memorie sui riti (Liji), i Riti dei Zhou (Zhouli), il Cerimoniale (Yili), gli Annali delle Primavere e autunni (Chunqiu) accompagnate dai tre commentari di Zuo (Zuozhuan), di Gongyang (Chunqiu Gongyang zhuan) e di Guliang (Chunqiu Guliang zhuan), il Classico della pietà filiale (Xiaojing), i Dialoghi (Lunyu) e l'Avvicinamento a ciò che è corretto (Erya, noto anche come Lessico letterario). Il Classico della pietà filiale e i Dialoghi di Confucio furono integrati ai Classici, così come l'Avvicinamento a ciò che è corretto. Si stamparono inoltre due opere che trattavano dei caratteri contenuti nei Classici, i Caratteri dei Cinque classici (Wujing wenzi) e i Modelli dei caratteri dei Nove classici (Jiujing ziyang).
Gli ambienti ufficiali decisero di ricorrere alla xilografia ispirandosi, almeno in origine, all'opera d'incisione su pietra dei Classici intrapresa durante le dinastie degli Han e dei Tang. La ripresa di questo modello fu dettata dall'esigenza di produrre un'opera prestigiosa e utile ai letterati, ma non troppo costosa. Quest'iniziativa editoriale non si proponeva soltanto l'obiettivo di stabilire i testi dei Classici, ma anche quello di assicurarne la diffusione evitando gli errori di trascrizione, molto frequenti nella produzione di copie successive. La principale novità era costituita dalla forma di diffusione, non precisata nei testi ufficiali ma quasi certamente identificabile con la vendita, come afferma più volte Sima Guang (1019-1086) nello Specchio generale per il governo (Zizhi tongjian). In ogni caso, malgrado la lenta esecuzione del progetto, indubbiamente attribuibile più al disinteresse degli imperatori che alle difficoltà tecniche, esso segnò una svolta decisiva: a partire da questo momento, infatti, l'apparato statale, sotto diversi nomi e organizzazioni, iniziò a dedicarsi in modo tutt'altro che trascurabile all'editoria. Si formarono così tre grandi circuiti, pubblico, privato e commerciale, di finanziamento e distribuzione del libro stampato che spesso si sovrapposero, dando luogo a combinazioni in cui le edizioni private dei bibliofili ‒ che in via di principio non si proponevano alcun profitto ‒ potevano trovarsi associate all'editoria commerciale, o in cui l'editoria privata o commerciale godeva di un finanziamento pubblico.
A partire dalla metà del X sec. l'accelerazione nell'uso della xilografia ebbe conseguenze che concorsero in modo tutt'altro che trascurabile al processo di trasformazione avvenuto durante la dinastia Song. Gli effetti dell'uso della stampa si manifestarono sotto molti aspetti, soprattutto per quanto riguardava la presentazione e la fabbricazione, ma anche per la diffusione e le diverse forme di utilizzazione del libro stesso. Contrariamente a quanto si è a volte sostenuto, la standardizzazione del libro stampato in rapporto ai manoscritti rimase piuttosto limitata; quest'ultima, infatti, si espresse soprattutto al livello dei materiali e, in particolare, della carta, la cui fabbricazione, a partire da questo periodo, sembra essere stata più regolare. Per quanto riguarda la scrittura, invece, il fenomeno della standardizzazione fu indubbiamente meno evidente e immediato. Nel campo della trascrizione dei Classici o dei canoni, infatti, si era già da molto tempo imposto uno stile regolare e molto impersonale. Basata sulla tecnica dell'incisione, la xilografia presupponeva una certa rigidità della scrittura, ma non impediva variazioni di stile o di disposizione del testo; al contrario della tipografia occidentale, che, giustapponendo tipi uguali, determinava la fissità della pagina stampata, la xilografia cinese consentiva di eseguire impaginazioni a volte molto audaci, in cui figuravano caratteri scritti di dimensioni diverse che potevano essere disposti in modo irregolare ‒ circolarmente, per esempio ‒ e persino associati a immagini, incise insieme ai caratteri. La xilografia cinese non conobbe quindi i problemi tecnici derivanti dal contrasto tra i tipi metallici e le incisioni su legno, incontrati dagli stampatori occidentali nell'illustrazione dei libri.
La pagina stampata si diversificava in funzione delle forme e dei formati. Nei rotoli e nei montaggi a fisarmonica, che svolsero una funzione di mediazione, la disposizione del testo non subì modifiche nel passaggio dai manoscritti ai libri a stampa; l'unica innovazione era costituita dalle indicazioni che identificavano ogni foglio. Nei rotoli manoscritti il testo poteva essere trascritto sia foglio dopo foglio, prima del montaggio, sia sul rotolo già montato. Nel caso della xilografia, invece, la ripetizione dell'impressione del testo su un certo numero di fogli di carta identici che bisognava conservare prima di procedere all'assemblaggio da cui aveva origine il libro, impose l'esigenza di numerare i fogli e di fornire alcune indicazioni sul testo, relative al titolo dell'opera e ai numeri dei capitoli. Queste indicazioni erano riportate all'inizio di ogni foglio ed erano spesso mascherate durante il montaggio, per non spezzare la continuità del testo, come nei rotoli manoscritti. In seguito, con l'adozione della legatura a farfalla, in cui i fogli erano piegati in due, gli stampatori furono indotti a spostare tutte le indicazioni identificative sul bordo destro del foglio, cioè verso il centro, in corrispondenza della piegatura, nel punto definito 'cuore della tavola' (banxin). Verso il XIV sec. il libro a farfalla cederà il passo al montaggio dal 'dorso rivestito' (baobei zhuang), in cui i fogli erano piegati in modo da presentare la superficie stampata non più verso l'interno, ma verso l'esterno. Prima di allora per evitare che a due pagine stampate seguissero due pagine bianche si usava incollare il verso di ogni foglio e rilegare le piegature. Questo capovolgimento comportò invece la rilegatura dei bordi che in un primo momento furono legati tra loro con sottili strisce di carta e poi cuciti; di conseguenza nel libro rilegato, l'area destinata alle informazioni divenne visibile.
Gli effetti dell'uso della tecnica xilografica si manifestarono in molti campi e, in particolare, in quelli della lettura e della correzione dei testi. L'interesse dei letterati cinesi per la correttezza dei testi non si limitava alla precisione di cui dovevano dar prova i copisti, ma si risolveva in un continuo esercizio cui era riconosciuta una grande importanza. Come si è detto, fu il timore della diffusione di versioni scorrette dei Classici confuciani a dare origine alla decisione d'inciderli prima su pietra e poi su legno. La trascrizione dei sūtra buddhisti, soprattutto quando era intrapresa in un ambito ben strutturato o ufficiale, obbediva a regole molto rigorose. Mentre durante le Sei Dinastie (222-589) i testi non erano rivisti più di due volte, nel periodo Tang s'iniziarono a effettuare sino a tre revisioni: la prima era eseguita da colui che aveva trascritto il testo e le successive da altri copisti cui era abitualmente affidato il compito di controllare i lavori dei colleghi. La xilografia modificò queste procedure. Il testo era in pratica controllato prima di essere trascritto sulla tavola e dopo esservi stato riportato, ma la verifica definitiva era fatta soltanto dopo l'incisione, su una prova di stampa.
Sul piano della lettura e dell'utilizzazione dei libri, la diffusione dei prodotti della scrittura attraverso la xilografia influenzò il comportamento dei lettori e, in primo luogo, degli studenti. Questo cambiamento dell'atteggiamento nei confronti dello studio è posto in evidenza con grande amarezza e nostalgia, nell'XI e soprattutto nel XII sec., dai pensatori del periodo Song, in particolare dai neoconfuciani interessati alla pedagogia. La lettura, sino ad allora indissolubilmente associata alla trascrizione, era considerata un esercizio attivo; si riteneva quindi che facilitando il reperimento dei libri si corresse il rischio di trasformarla in un esercizio passivo. La memorizzazione e la comprensione erano legate alla ripetizione e all'assimilazione dei testi attraverso la lettura ad alta voce. Secondo i pedagoghi della dinastia Song, gli studenti avevano iniziato a leggere di più senza però affinare le proprie capacità redazionali; si dedicavano sempre più spesso alla lettura in silenzio, tanto che la recitazione ad alta voce d'intere opere, abitualmente praticata nelle epoche precedenti, non era più apprezzata. Del resto, i testi manoscritti si presentavano quasi sempre in blocchi compatti, soltanto raramente spezzati da capoversi, privi d'interruzioni e di punteggiatura, da cui emergevano soltanto le annotazioni scritte in colonne separate. I segni di punteggiatura visibili nei manoscritti dell'epoca Tang che ci sono pervenuti furono infatti inseriti soltanto in un secondo momento, in occasione di una lettura ad alta voce oppure, nel caso delle brutte copie o dei promemoria di testi destinati a essere letti in pubblico, durante una revisione.
La pubblicazione delle opere fu favorita dalle caratteristiche della xilografia, non soltanto per quanto riguardava i testi, ma soprattutto per le illustrazioni, dal momento che facilitava la riproduzione di qualsiasi tipo di diagramma e d'immagine. Le illustrazioni si trasmisero facilmente da un'edizione all'altra, spesso senza subire alcuna modifica, e furono inserite, grazie ad abili impaginazioni, accanto ai brani cui si riferivano. Nei manoscritti, invece, le illustrazioni erano completamente separate dal testo ‒ come, per esempio, nel caso delle monografie locali redatte nel periodo Tang ‒ o erano disposte in strisce collocate al di sotto del testo, secondo un sistema frequentemente usato nei testi di narrativa. La tecnica xilografica consentì quindi d'inserire le immagini in qualsiasi punto del testo, di variare le loro dimensioni in funzione dell'importanza che gli si desiderava accordare e di scomporle in diversi elementi.
Verso la fine del X sec. la diffusione della xilografia subì dunque una rapida accelerazione, e l'introduzione negli ambienti ufficiali di questa tecnica di riproduzione ci permette di essere maggiormente informati su questo fenomeno. Sappiamo, per esempio, che la tipografia dell'Università imperiale (Guozi jian), 'casa editrice' dei Classici sotto i Zhou posteriori e di molte altre opere nel periodo Song, che verso il 960 disponeva di meno di quattromila tavole incise, nel 1005 ne possedeva più di centomila. Il nuovo impulso impresso dall'apparato statale alla diffusione di questa tecnica non ostacolò le attività degli stampatori privati, dei librai dilettanti o degli artigiani specializzati, ma, a causa dell'incremento delle attività di stampa e della dispersione dei protagonisti, ci sono pervenute soltanto rare e frammentarie testimonianze. Fu la stessa tecnica xilografica a determinare questa situazione; era difficile, infatti, sottoporre a un rigido controllo l'esercizio di questa attività, che necessitava di pochi materiali e di mezzi finanziari relativamente modesti. Da un lato, gli stampatori si spostavano con una certa facilità e a volte lavoravano a domicilio, dall'altro, la legislazione, piuttosto limitata, teneva conto soltanto delle opere sovversive o pericolose per la sicurezza dell'Impero come i testi di astrologia, spesso legati alle profezie, i calendari, le opere dedicate alle istituzioni e alle questioni militari, che era rigorosamente vietato diffondere all'estero e le opere temporaneamente proibite, come, per esempio, quelle d'importanti personaggi caduti in disgrazia. Proprio queste interdizioni, unitamente ad altri dati positivi, danno la misura della diffusione dei libri a stampa; tuttavia, data la mancanza di archivi, è possibile formulare soltanto considerazioni parziali.
Nel periodo Song i centri in cui ci si dedicava alla stampa si moltiplicarono. I primi testi stampati sembrano provenire dal Sichuan, ma anche le capitali dei Tang, Chang'an e Luoyang, conservano molte tracce della pratica della xilografia risalenti a quest'epoca. Il trasferimento della capitale dei Song a Bianliang (l'odierna Kaifeng) e poi, a partire dal 1127, a Lin'an (l'odierna Hangzhou) trasformò queste due città, e in particolare la seconda, in grandi centri di produzione dei libri. Anche l'area dell'odierna regione del Fujian fu conquistata da questa attività, ma la sua produzione iniziò a essere considerata di scarsa qualità già a partire dall'inizio della dinastia Song. A dire il vero, nella mappa dei centri di produzione dei libri a stampa dovrebbero figurare anche altre località, dal momento che ci sono pervenuti testi stampati a Shaoxing e nelle odierne Ningbo, Jinhua, Huzhou e Nanchino, città in gran parte situate nella valle dello Yangzi. Diffondendosi verso la Corea e il Giappone sin dall'epoca Tang, la xilografia conquistò anche le popolazioni sinizzate rivali dei Song, tra cui quelle dei Liao (916-1125) e dei Jin (1115-1234) nel Nord, e dei Tanguti Xi Xia (Xia occidentali, 1038-1227), ai confini nordoccidentali della Cina. Le popolazioni di questi imperi, che parlavano il cinese non meno bene delle proprie lingue ‒ per le quali inventarono nuove forme di scrittura derivate dal cinese ‒ ma che hanno lasciato testimonianze scritte relativamente modeste, praticarono la xilografia soprattutto per stampare canoni buddhisti composti da migliaia di capitoli.
Grazie alle scoperte effettuate da Piotr Kozlov e da Aurel Stein all'inizio del XX sec. nel sito di Kharakhoto, nell'odierna Mongolia centrale, sappiamo che la tecnica xilografica dei Tanguti raggiunse un alto livello qualitativo e quantitativo. Queste scoperte hanno inoltre permesso di risolvere, anche se in modo parziale, una questione che è stata a lungo dibattuta, ossia quella delle tirature raggiungibili con questa tecnica, spesso ritenute limitate a poche decine di esemplari. Si è a lungo creduto, infatti, che il legno, meno resistente del metallo, avrebbe sopportato un numero molto ridotto d'impressioni, dimenticando che, grazie all'assenza della pressa e all'uso della spazzola, le tavole si usuravano molto lentamente. È stato dimostrato che certe opere buddhiste furono stampate in cinquantamila copie, ma non bisogna tuttavia pensare che queste tirature rientrassero nella norma; in generale si realizzavano meno di un migliaio di copie, vale a dire un numero analogo a quello raggiunto dalle tirature occidentali prima del XIX secolo. La xilografia era caratterizzata dal fatto che le tirature non erano eseguite in una sola volta, ma si effettuavano a richiesta e spesso erano limitate a un piccolissimo numero di copie; le tavole poi erano conservate nella previsione di nuove stampe e potevano essere affittate o vendute. L'usura e i danni (incendi, rotture, insetti, ecc.) intervenivano soprattutto durante il periodo di conservazione.
A partire dall'XI sec. in Cina furono sperimentate diverse tecniche tipografiche, che però non riscossero un grande successo. Le difficoltà non erano dovute a problemi di mentalità, a rigide concezioni ideologiche o a limiti delle innovazioni tecniche, ma al grande numero dei caratteri della scrittura e alla questione cruciale della loro sistemazione e classificazione; si trattava, infatti, di ordinare molte migliaia, o anche decine di migliaia di caratteri, tenuto conto dei diversi 'corpi' di essi. Tutti i tentativi di sperimentare queste tecniche, a iniziare da quello di Bi Sheng (m. 1051 ca.), si scontrarono con le stesse difficoltà. Bi Sheng, le cui esperienze sono riportate da Shen Gua (1031-1095) nell'opera Discorsi in punta di pennello dal Ruscello dei sogni (Mengxi bitan), ritagliava i caratteri mobili nell'argilla e li faceva indurire sul fuoco; successivamente disponeva i tipi all'interno di una cornice di ferro, su una lastra metallica cosparsa di una miscela composta di resina di pino, cera e ceneri; dopo aver scaldato la composizione per far sciogliere la resina, applicava sulla forma una tavola piatta per livellare l'altezza dei caratteri e dava quindi inizio al processo di stampa, in tutto simile a quello della xilografia. Quando non erano usati, i caratteri erano riposti in casse disposte secondo un criterio che si basava sulle rime; in alcuni casi, era previsto l'uso di venti esemplari dello stesso tipo. Nel suo resoconto Shen Gua osserva che i tipi di argilla erano migliori di quelli di legno, le cui fibre erano a seconda dei casi troppo spesse o troppo sottili; inoltre, a causa dell'azione dell'acqua, si creavano differenze di livello ed era difficile staccarli dalla miscela di resina e cera. Sembra quindi che Bi Sheng non sia stato il primo sperimentatore della tipografia, o almeno che avesse fabbricato in un primo momento i suoi tipi ritagliandoli dalle tavole da impressione, prima di abbandonare il legno per la terracotta. Purtroppo, nessun'opera stampata in questo periodo con la tecnica tipografica è sopravvissuta. Secondo Shen Gua, la tipografia era più vantaggiosa della xilografia perché consentiva di stampare rapidamente centinaia o migliaia di copie della stessa opera, dal momento che la composizione risultava più rapida rispetto all'incisione di centinaia di tavole. Al contrario della tecnica xilografica, quella tipografica prevedeva una sola tiratura, poiché la composizione era disfatta dopo la stampa di tutte le copie e i tipi potevano essere riutilizzati.
Il metodo di Bi Sheng fu ripreso, verso la metà del XIII sec., da Yang Gu, discepolo di un consigliere di Qubilay Khān, per stampare alcune opere neoconfuciane, e più tardi da molti altri, sino al XIX secolo. In seguito furono utilizzati altri materiali, tra cui lo stagno e successivamente il bronzo. Tuttavia, nonostante i risultati piuttosto deludenti delle prime esperienze, il legno tornò di nuovo in uso, grazie ai perfezionamenti ideati da Wang Zhen tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo. Pubblico funzionario e autore di un Trattato di agricoltura (Nongshu), Wang Zhen fece ritagliare una serie di caratteri incisi su una tavola di legno in modo che presentassero le stesse dimensioni. I tipi erano depositati sulla forma con l'aiuto di lamelle di bambù e fissati con dei perni. Wang Zhen fece incidere una serie di trentamila caratteri, e la questione più difficile che si trovò a dover risolvere fu quella della loro disposizione. Il tempo richiesto dalla ricerca di un carattere tra migliaia di altri costituiva il principale problema della tipografia cinese. Wang Zhen, che, come i suoi predecessori, classificava i caratteri in base alle rime, ne contrassegnò ognuno con un numero, disponendo i tipi in casse girevoli che il tipografo maneggiava, aiutato da un assistente che indicava i diversi numeri.
Nonostante queste innovazioni, la tipografia cinese non riuscì a imporsi definitivamente sulla xilografia. Le esperienze si succedevano le une alle altre, rimanendo, tuttavia, iniziative private e isolate (almeno sino al XVI sec.). Eppure, la tecnica tipografica si diffuse al di fuori dei confini della Cina, prima in Corea e in Giappone, dove per un certo periodo riscosse un relativo successo, e poi nell'Asia centrale, dove fu usata dai Turchi Uiguri e dai Tanguti Xi Xia. Si trattava quasi sempre di metodi di stampa basati su caratteri mobili di legno. I Coreani idearono alcune innovazioni nel campo dei tipi metallici nel XIV e soprattutto nel XV sec., quando la stamperia reale eseguì diverse fusioni di caratteri mobili metallici, adottando un sistema basato su punzoni e matrici analogo a quello delle tecniche occidentali. Sembra, tuttavia, che questo procedimento non fosse conosciuto dai Cinesi, che continuarono a usare i caratteri incisi. Dunque, nonostante il numero non irrilevante di opere stampate con la tecnica della tipografia in Cina, Corea e Giappone, il ruolo svolto dalla stampa a caratteri mobili non è paragonabile a quello della xilografia. L'interesse degli studiosi e degli storici, cinesi e occidentali, si è però rivolto più alle esperienze tipografiche che alla tecnica xilografica. Secondo i primi, queste esperienze attestano la ricerca di procedimenti meno costosi e meno lunghi, che richiedevano un numero ridotto di lavoratori; per i secondi, invece, esse illustrano una fase di stasi e l'impossibilità di un cambiamento radicale, analogo a quello che ebbe luogo in Occidente.
La diffusione dei libri stampati con la tecnica xilografica nel periodo Song e il terreno che questi ultimi sottrassero ai manoscritti rimangono tuttavia piuttosto difficili da delimitare. Il sistema delle tirature e l'organizzazione dei circuiti del libro, così come la perdita della maggior parte delle collezioni, rendono estremamente arduo il compito di operare delle valutazioni quantitative. Inoltre, la rigida distinzione tra libri accademici e libri popolari, dedicati alle conoscenze ordinarie o alle credenze religiose, ha fatto sì che soltanto i primi fossero registrati nelle bibliografie ufficiali e nei cataloghi delle biblioteche private. L'esame degli inventari rivela che nel periodo Song si diedero alle stampe più di 1100 titoli o edizioni; gli editori o i librai editori conosciuti erano invece circa 400.
Il libro a stampa invase a poco a poco le biblioteche, ufficiali o private, anche se non alla stessa velocità, incoraggiando la creazione o l'arricchimento delle 'biblioteche delle accademie' (shuyuan). La penetrazione dei libri a stampa nelle collezioni dei bibliofili fu invece meno rapida; la xilografia cinese, infatti, non determinò la scomparsa della cultura manoscritta. La ragione di questo attaccamento al manoscritto va certamente ricercata nella pratica calligrafica, che aveva dietro di sé una lunga tradizione. La valorizzazione dei manoscritti si basava infatti sull'apprezzamento della spontaneità della mano dei grandi calligrafi, costantemente imitati. Con eccezione delle edizioni dei Classici, pubblicate dalla stamperia dell'Università imperiale, ai libri a stampa in un primo momento fu riconosciuto un valore esclusivamente utilitario. La Biblioteca imperiale diede prova di un interesse nei confronti dei manoscritti ancora più profondo di quello delle biblioteche private. Nel periodo dei Song meridionali (1127-1279) nella Biblioteca imperiale erano conservati 13.968 volumi manoscritti e 1721 volumi a stampa, i quali ultimi rappresentavano quindi soltanto l'11% del totale; tra essi figuravano certamente le pubblicazioni ufficiali della Stamperia imperiale della capitale, delle agenzie ufficiali che la rappresentavano nelle province o dei commissariati provinciali e degli uffici del tè e del sale. La bassa percentuale dei libri a stampa custoditi dalla Biblioteca imperiale dipendeva dalle procedure di acquisizione di questa istituzione; infatti, come durante le precedenti dinastie, i libri introvabili nei fondi imperiali erano ricercati presso i privati e, quando non potevano essere acquistati, erano presi a prestito e copiati. I libri a stampa xilografica erano quindi aggiunti alle collezioni esistenti, senza entrare a farne parte; erano conservati in luoghi separati, in armadi a loro destinati.
Per ciò che riguarda la produzione dei libri a stampa, gli organi ufficiali occupavano un posto a parte. Nell'ambito dell'Università imperiale fu creato un Ufficio delle pubblicazioni cui fu affidato il compito di pubblicare i Classici e i testi ufficiali di storia, così come altre opere che avevano ricevuto l'imprimatur dell'imperatore, vale a dire il codice penale, le enciclopedie, i trattati di medicina, le antologie letterarie, e così via. Secondo alcune stime, questo ufficio pubblicò più di 250 libri; in realtà, però, esso non aveva alcuna autorità nella scelta dei testi da pubblicare, ma era semplicemente incaricato dell'esecuzione e del finanziamento dei progetti editoriali. I libri pubblicati erano destinati alla corte, offerti in dono o messi in vendita a vantaggio dello Stato. La questione della vendita delle edizioni ufficiali e dei profitti che se ne potevano trarre sembra essere stata dibattuta in diverse occasioni nei circoli imperiali. Da certe osservazioni si deduce che il prezzo di vendita doveva limitarsi a coprire le spese di fabbricazione, della manodopera, della carta e dell'inchiostro. Il costo dell'incisione delle tavole non è quasi mai menzionato nei rari documenti sopravvissuti sui prezzi dei libri, relativi sia all'editoria pubblica sia a quella privata, che si riferiscono soltanto al loro eventuale noleggio. Le tavole delle edizioni ufficiali potevano anche essere prese a nolo da stampatori privati; a livello provinciale o locale non esisteva, in via di principio, un ufficio specificamente incaricato della pubblicazione dei libri, in quanto questo compito era affidato all'iniziativa degli amministratori, che in alcuni casi raccoglievano i fondi necessari e in altri casi pagavano con propri stipendi o con fondi pubblici destinati all'editoria. Un numero non irrilevante di pubblicazioni era inoltre stampato dalle scuole delle prefetture e delle sottoprefetture, a riprova di un considerevole sviluppo dell'insegnamento.
L'editoria privata, che comprendeva grosso modo le pubblicazioni commerciali dei librai e quelle dei letterati bibliofili, copriva un campo più variegato di quello dell'editoria ufficiale, che si occupava quasi soltanto della pubblicazione dei Classici e dei testi di storia; dal momento che l'editoria privata si estendeva anche alla letteratura e ai titoli raccolti nella classe dei filosofi (zi), in realtà comprendeva tutti i testi non rientranti nelle altre tre categorie. L'editoria familiare era spesso legata ai principî della pietà filiale; si riteneva, infatti, che la pubblicazione delle opere degli avi fosse un dovere per i discendenti; questa attività quindi non era basata sulla ricerca del profitto, ma sul desiderio di perpetuare il ricordo dei propri parenti. Le pubblicazioni dei librai avevano, al contrario, intenti di natura artigianale e commerciale. Sembra che l'attività di stampatore si accompagnasse spesso a quella di commerciante di carta o d'immagini popolari a stampa. Tra i cinquanta nomi di editori commerciali dell'epoca Song, censiti a Hangzhou, nelle regioni vicine e nel Fujian, a partire da opere sopravvissute o loro facsimili, alcuni sono noti per aver esercitato a lungo questa attività, come, per esempio, la famiglia Yu di Jianyang, che si dedicò alla stampa dall'XI sec. sino all'inizio del periodo Qing (1644-1911). In generale, gli stampatori svolgevano la loro attività in un contesto familiare, nel senso ampio del termine, con l'aiuto di uomini e donne. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, ci sono pervenuti soltanto i nomi degli incisori, che sono segnalati sulle pagine stampate al centro della tavola. All'incisione di un'opera in cento capitoli potevano lavorare anche cinquanta xilografi che si dividevano tra loro le tavole. Un certo numero di colophon degli stampatori che appaiono in alcuni libri a stampa dimostrano che spesso le edizioni commerciali ‒ quelle cioè che si proponevano esclusivamente scopi di lucro ‒ operavano sotto la copertura delle 'scuole familiari' (jiashu), ma non sempre è possibile sapere se le opere in questione fossero pubblicate per scopi realmente pedagogici. Durante la dinastia Song, le norme che regolavano i diritti di pubblicazione subirono alcune modifiche e la volontà di controllo del potere in un primo momento si esercitò sul contenuto dei libri; furono infatti emanati molti editti che imponevano agli editori di sottoporre i testi a una commissione incaricata di autorizzarne la pubblicazione e di consegnare, dopo aver ottenuto l'approvazione, una copia dell'opera alla Biblioteca imperiale. Sembra, tuttavia, che queste misure fossero applicate con una certa discontinuità; inoltre, gli editori privati si avvalsero dei riconoscimenti ottenuti dallo Stato, esibendo in bella vista l'autorizzazione e usandola a fini pubblicitari, come una garanzia di qualità. A volte le tavole erano depositate presso i servizi amministrativi, dove potevano essere prese in prestito, dietro pagamento di una certa somma, per eseguire nuove tirature. L'incessante sviluppo del libro a stampa spinse poi gli editori privati a ricorrere a pratiche illecite, tra cui ricordiamo la stampa di edizioni private camuffate da edizioni ufficiali e la pura e semplice pirateria editoriale. Per quanto riguarda questo aspetto dell'editoria, le informazioni a nostra disposizione sui circuiti librari e sul loro mercato purtroppo non forniscono molti elementi per valutare la diffusione dei testi stampati tra la popolazione; i dati sull'alfabetizzazione sono pressoché inesistenti e consentono tutt'al più di raffrontare il netto aumento dei libri stampati con quello dei candidati ai concorsi ufficiali.
I cambiamenti causati dalla diffusione dei libri xilografici non riguardarono soltanto il pubblico dei lettori e degli utilizzatori dei libri, ma diedero origine anche a un'evoluzione nel campo del sapere; gli strumenti a nostra disposizione per definire il ruolo svolto dalla stampa sono però molto limitati. Raffrontando cataloghi bibliografici di epoche diverse, per esempio quelli compilati durante le dinastie Tang e Song, si osserva un'evoluzione sia quantitativa sia qualitativa. Lo studio delle bibliografie ufficiali rivela un considerevole aumento del numero dei titoli e dei volumi nel passaggio tra le due dinastie, che pure ebbero una durata pressoché equivalente; per esempio, il numero dei titoli censiti nel periodo Song è tre volte maggiore di quello registrato durante l'epoca Tang. Questo aumento fu probabilmente determinato da due circostanze: da un lato, la xilografia permise una diffusione dei testi molto più ampia di quella consentita dalla trascrizione, limitando i rischi di perdita e facilitando la trasmissione delle opere, dall'altro lato, incoraggiando gli autori a pubblicare i loro lavori, l'utilizzazione di questa tecnica determinò un netto aumento dei titoli.
Al di là di queste considerazioni elementari, lo studio della nuova produzione rivela dati interessanti. Così, i cataloghi bibliografici non subirono quasi alcuna modifica per quanto riguarda la struttura e le classificazioni; certi campi, tuttavia, registrarono una lenta evoluzione e altri si ampliarono in modo considerevole. Le quattro categorie in cui era riunito l'insieme del sapere (Classici, storia, belle lettere, filosofi) subirono una crescita differenziata; i titoli infatti aumentarono a seconda dei casi da due a quattro volte rispetto all'epoca precedente. I Classici e i testi di storia, che erano la punta di diamante della produzione xilografica ufficiale, registrarono l'aumento meno rilevante. In effetti, si trattava in gran parte di riproduzioni a stampa di una serie numerosa ma già disponibile di opere, e il numero delle raccolte di glosse e dei commentari rimaneva, nonostante tutto, piuttosto limitato. Le opere letterarie subirono un aumento più significativo, determinato senza dubbio dalla semplificazione delle procedure di pubblicazione derivanti dall'uso della stampa. L'incremento più rilevante riguardò le opere inserite nella categoria dei filosofi, che in realtà riuniva ‒ come si è detto ‒ tutti i titoli che non potevano essere collocati altrove e che raccoglieva le diverse conoscenze dei 'maestri', indipendentemente dal loro contenuto: l'eredità dei pensatori dell'Antichità, raggruppati in diverse tendenze; la scienza e la tecnica, che comprendevano l'astronomia e la matematica, l'arte della guerra, la divinazione e la medicina, così come le enciclopedie. Nessuno dei generi nati nell'Antichità registrò un forte incremento, a eccezione delle raccolte di aneddoti, i cui titoli divennero nove volte più numerosi rispetto all'epoca dei Tang. Inizialmente limitata ad alcune opere spesso considerate 'leggere', questa categoria si aprì in seguito alle raccolte di racconti fantastici, e poi alle raccolte di 'note in punta di pennello' (biji), che nel periodo Song divennero straordinariamente numerose e di cui la xilografia favorì una rapida diffusione. Si ampliò inoltre un'altra categoria, quella delle enciclopedie (leishu o leishi) quasi sempre costituite da raccolte di citazioni classiche divise per soggetto. Anche questa categoria era composita e aperta, al contrario di quelle che rimanevano ancorate al sistema di pensiero degli Han, quasi del tutto trascurate e in alcuni casi in via di estinzione.
In continuo sviluppo, a partire dalla fine del periodo Tang, le compilazioni enciclopediche divennero sempre più numerose e coerenti. Molte, come l'Enciclopedia [compilata] per l'imperatore durante l'era Taiping xingguo (Taiping yulan), realizzata tra il 977 e il 983, e lo Specchio magico del tesoro dei libri (Cefu yuangui), redatto all'inizio dell'XI sec., giunsero a comprendere anche mille capitoli; come molte altre vaste compilazioni enciclopediche, si proponevano di offrire agli imperatori e agli alti funzionari un quadro globale delle conoscenze, a partire dai testi disponibili. Per redigere l'Enciclopedia [compilata] per l'imperatore, per esempio, il comitato di letterati incaricato della sua stesura consultò 1690 opere. Nel periodo Song, la mole enciclopedica non fu più un ostacolo alla diffusione di opere di questo genere; l'Enciclopedia [compilata] per l'imperatore ebbe tre edizioni e lo Specchio magico del tesoro dei libri ne ebbe almeno due. Accanto a queste compilazioni enciclopediche di carattere generale, videro inoltre la luce, sin dall'inizio della dinastia Song, alcune enciclopedie letterarie, come l'Ampia raccolta dell'era Taiping xingguo (Taiping guangji), composta da 500 capitoli e completata nel 978, e il Florilegio della letteratura (Wenyuan yinghua), diviso in 1000 capitoli e portato a termine nel 987, che conteneva ventimila brani scelti; entrambe però, ebbero una sola edizione durante l'epoca dei Song.
Un altro aspetto interessante dell'analisi della produzione di testi è che basandosi sulle classificazioni bibliografiche possono essere rilevate le tendenze e le discipline che rimanevano nascoste nelle categorie convenzionali dei bibliografi. Sin dall'inizio della dinastia Song, la geografia, per esempio, acquistò una nuova importanza con la Descrizione generale del mondo nell'era Taiping xingguo (Taiping huanyu ji), opera composta da 200 capitoli e portata a termine verso il 980, e soprattutto con lo sviluppo delle 'monografie locali' (fangzhi; queste ultime, a dire il vero, rientrano nel campo della geografia storica, dal momento che descrivono in modo sistematico i luoghi, i prodotti, l'economia e l'amministrazione, i costumi, i monumenti, le personalità e le opere di particolari località o regioni).
Nello stesso periodo si definì un campo del sapere sino ad allora poco esplorato, quello dell'epigrafia. L'interesse per le antichità, bronzi, pietre, giade, spade, specchi, ecc., era stato tenuto a freno sino alla fine dell'epoca Tang da una legislazione che vietava a chi trovava un oggetto antico d'impadronirsene; ogni oggetto ritrovato doveva infatti essere immediatamente consegnato alle autorità. Nel periodo Song, invece, la passione per gli studi antiquari contagiò molti letterati, tra cui ricordiamo lo storico e statista Ouyang Xiu (1007-1072) che fu uno dei primi a rilevare l'importanza delle stele per lo studio della storia, e in particolare per quello della storia della dinastia Tang; Ouyang Xiu, infatti, fu uno dei principali compilatori di una 'nuova storia' ufficiale di questa dinastia. Il Catalogo sulla raccolta di antichità (Jigu lu), in cui sono descritti circa mille reperti, in gran parte stampe e oggetti, divenne in breve un'opera fondamentale, rivista, corretta e ampliata da molti letterati, tra i quali ricordiamo Zhao Mingcheng (1081-1129) e sua moglie, la poetessa Li Qingzhao (1084-1151 ca.), che redassero il Catalogo sulle iscrizioni su bronzo e su pietra (Jinshi lu). La nuova attrazione per gli studi epigrafici s'inseriva nel quadro dell'interesse sempre più accentuato per gli elementi materiali della cultura letteraria, per gli oggetti stessi attraverso cui questa cultura si era espressa e, in particolare, per la carta, il pennello, l'inchiostro e la pietra per inchiostro, ai quali Su Yijian (958-996) aveva dedicato un'opera intitolata Quattro memoriali sugli studi dei letterati (Wenfang sipu). L'estetismo che caratterizzò questo periodo era accompagnato dalla passione per le collezioni che esploderà poi nel periodo Ming e che darà origine anche a diverse opere dedicate alle arti e ai giochi.
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