La scienza presso le civilta precolombiane. Il corpo umano nella cultura andina
Il corpo umano nella cultura andina
Nell'era precolombiana, sulle Ande vivevano gruppi etnici diversi che spesso avevano credenze e usanze comuni. Questa comunanza culturale era in parte causata dalla diffusione dell'influenza degli Inca, il più potente gruppo etnico della regione fino alla conquista spagnola. Gli Inca, infatti, durante il processo di creazione di un Impero che si estendeva per migliaia di chilometri e comprendeva circa dieci milioni di persone, portarono la loro cultura in tutte le Ande, diffondendo ma anche assorbendo, a loro volta, molte tradizioni locali. Una parte importante delle tradizioni culturali propagate tra i popoli andini riguardava la natura e le funzioni del corpo umano, e le fonti di informazioni più ricche in proposito risalgono ai 150 anni che seguirono la conquista spagnola dell'Impero inca, avvenuta a metà del XVI sec.; infatti, a causa dell'assenza di una cultura andina scritta, la maggior parte dei dati che risalgono al periodo precedente è reperibile unicamente attraverso le testimonianze archeologiche, mentre quelli appartenenti al periodo successivo manifestano la forte influenza da parte della colonizzazione culturale europea.
Operare una distinzione tra scienza e religione, quando si esamina la concezione del corpo umano nelle Ande precolombiane, costituisce certamente un atto arbitrario. Bisogna inoltre ricordare che neppure nell'Europa di quei tempi si applicava una tale distinzione; durante il Medioevo la teologia era considerata la 'regina delle scienze' e tali scienze, quali la medicina, la storia naturale e la chimica (alchimia), erano permeate da allegorie e miti. Pertanto occorre considerare che l'approccio degli Andini al corpo umano costituiva parte integrante di un ampio sistema di conoscenze che comprendeva il mondo naturale, il mondo sociale e quello soprannaturale.
L'esame del corpo umano presso gli Andini non riguardava semplicemente, né principalmente, l'anatomia e le funzioni organiche, poiché l'aspetto più importante dell'anatomia erano i suoi presunti parallelismi con le strutture del Cosmo. Il corpo era considerato un modello del Cosmo e per il Cosmo, e tutte le sue strutture e funzioni avevano implicazioni religiose; allo stesso tempo esso era un luogo di elaborazione delle ideologie sociali e politiche. Descrivere minuziosamente la classificazione delle diverse parti del corpo senza fare riferimento al suo significato sociale e cosmico vorrebbe dire, quindi, trascurare gli aspetti più importanti della cultura andina. Inoltre, le cronache sulla vita andina scritte nel periodo successivo alla Conquista, se da un lato abbondano di descrizioni sul ruolo del corpo nei miti e nei rituali, dall'altro lato contengono informazioni relativamente scarse su come gli Andini consideravano il corpo quando operavano dal punto di vista 'pratico', per esempio in qualità di anatomisti o di biologi. È essenziale quindi esaminare le credenze e i rituali, quali i miti della Creazione o i riti sul ciclo della vita, per rispondere a domande sull'interpretazione delle differenze sessuali o sul senso che gli Andini attribuivano alla malattia e alla morte. A causa del significato simbolico del corpo, comunque, lo studio delle tradizioni che lo riguardano è utile non soltanto per conoscere come gli Andini lo concepissero, ma anche per sapere in che modo essi intendessero lo spazio e il tempo, l'ordine e il cambiamento sociale.
Gli Andini credevano che in origine il corpo umano fosse stato creato dalla terra; infatti, la voce del dio creatore diede ai primi esseri umani, modellati con la terra o la pietra, l'impeto divino che permise loro di vivere, e perciò 'terra vivente' (allpa camasca) era un termine usato comunemente per indicare l'essere umano. Si riteneva che se gli uomini avessero trasgredito l'ordine divino si sarebbero trasformati nuovamente in terra o in pietra, anche se ciò non significava essere completamente privi di vita in quanto la terra stessa possedeva una forza animista. Come vedremo, per gli Andini la vita e la morte non erano condizioni assolute ma relative.
I corpi umani erano classificati in base a categorie che comprendevano sia le caratteristiche fisiche sia quelle sociali; le categorie principali erano quelle del sesso, dell'appartenenza etnica e dell'età, e tutte e tre riguardavano gli aspetti più decisivi dell'esistenza corporea. Le divisioni sessuali non soltanto erano parte integrante della classificazione dei corpi umani, ma erano anche alla base dell'ordine del Cosmo e dell'organizzazione della società. Gli Inca, per esempio, credevano che il Cosmo fosse diviso in forze e domini maschili e femminili. Il Sole era il dio delle occupazioni maschili, quali l'agricoltura e la guerra, e la Luna era la dea di quelle femminili, quali la tessitura e la nascita. Il sovrano dello Stato, l'Inca, discendeva direttamente dal Sole; la sua consorte e sorella, la coya, rappresentava la Luna. La femminilità aveva una connotazione più negativa della mascolinità; essa infatti era considerata il dominio dell'oscurità e della fluidità, dello stato selvaggio e del disordine, mentre la mascolinità era il dominio della luce e della struttura, della civiltà e della stabilità. Queste diverse associazioni facevano sì che, in generale, le donne fossero meno considerate degli uomini; se si riteneva che un uomo non riuscisse a mantenere la posizione dominante propria del suo ruolo maschile, era sminuito "come una donna" e a volte costretto a indossare vesti femminili; questo accadeva, per esempio, con i prigionieri di guerra. Lo sforzo di mantenere le donne in una posizione di sottomissione può essere visto come conseguenza del desiderio di regolare la loro capacità riproduttiva, perché per gli Inca era molto importante mantenere una popolazione stabile. Il tentativo di controllare la fertilità femminile emerge anche da alcuni rituali per favorire l'agricoltura, il cui scopo era 'conquistare' la Terra femminile per renderla fertile. La generale attribuzione alle donne di una posizione cosmica e sociale inferiore, comunque, non significava che esse fossero culturalmente sottomesse agli uomini; infatti, gli ideali andini di complementarità dei generi facevano sì che entrambi i principî, maschile e femminile, fossero indispensabili per un Cosmo completo ed equilibrato, e che gli uomini e le donne fossero componenti indispensabili per la vita sociale. Persino il sovrano Inca non poteva regnare legittimamente senza avere al suo fianco la controparte femminile.
Come per le differenze sessuali, le idee andine sulle differenze etniche avevano radici cosmologiche e ramificazioni sociali e politiche. Gli Inca credevano che al tempo della Creazione i diversi gruppi etnici fossero sorti dalla terra indossando i loro costumi tradizionali; perciò le differenze etniche non erano soltanto un fatto culturale ma un decreto divino. L'attaccamento alla terra avita era accresciuto dalla convinzione che gli antenati fossero realmente nati da quel particolare pezzo di terra; un cronista spagnolo, P.J. de Arriaga, annotava con stupore la tendenza degli Andini a continuare a vivere in "luoghi nocivi e difficili" semplicemente perché erano il "luogo di origine" (The extirpation of idolatry in Peru, p. 24). Questo forte legame al proprio luogo di origine da parte della popolazione andina giocava un ruolo importante ‒ come vedremo ‒ anche nel ciclo della vita e della morte.
All'interno dell'Impero il gruppo etnico inca era preminente; gli uomini mettevano in risalto la loro differenza etnica portando i capelli corti e, tra l'altro, grandi ornamenti d'oro alle orecchie. L'origine etnica di ogni diverso gruppo delle popolazioni andine era, in effetti, identificabile da alcune differenze nel vestire; poiché si credeva che le varie etnie al momento della Creazione indossassero realmente il loro costume tradizionale, gli abiti etnici erano parte integrante dell'identità fisica di ognuno. Nell'Impero inca era addirittura illegale non indossare i propri vestiti etnici, perché essi rappresentavano il segno distintivo del proprio luogo di origine e della fedeltà al potere sovrano, cosicché la relativa mancanza di indumenti negli abitanti delle foreste della pianura era considerata dagli Andini un segno di inciviltà. Per sottomettere i gruppi etnici ribelli, gli Inca obbligavano masse di persone a spostarsi da un punto all'altro dell'Impero e questo, anche se offendeva le sensibilità locali, permetteva loro di disperdere i potenziali agitatori e di mettere a disposizione dei sudditi fedeli nuovi territori.
Oltre che per genere e per origine etnica, i sudditi inca erano classificati per età; la popolazione era divisa in dodici categorie, o gruppi, con classi separate per gli uomini e per le donne. Ogni classe comportava lo svolgimento delle attività giudicate idonee in base all'età e al sesso; le bambine di circa nove anni, per esempio, dovevano raccogliere fiori ed erbe, mentre i maschi della stessa età erano tenuti ad andare a caccia di uccelli. La categoria più importante comprendeva l'età adulta e andava dai venticinque ai cinquant'anni circa; questo era il momento di adempiere ai doveri nei confronti dello Stato: gli uomini in qualità di soldati, di minatori o agricoltori, e le donne dedicandosi alle famiglie e alla tessitura. Persino i membri delle categorie che comprendevano le età più avanzate, comunque, dovevano impegnarsi nelle occupazioni che erano in grado di affrontare; perciò a ogni membro dell'Impero inca erano assegnati un luogo e un ruolo in base al genere, al gruppo etnico e all'età.
Nella cultura andina gli eventi più importanti del ciclo vitale erano la nascita, la pubertà, il matrimonio e la morte; tutti e quattro erano contrassegnati da rituali che avevano il ruolo di sottolineare l'importanza dell'evento, di sollecitare un aiuto sociale e divino, e di assistere l'individuo nel passaggio da uno stadio a quello successivo.
La nascita di un bambino era considerata un avvenimento potenzialmente pericoloso, che richiedeva un digiuno da parte del futuro padre, mentre la futura madre doveva fare invocazioni alla Luna, la divinità della nascita. Il quarto giorno dopo il parto aveva luogo una cerimonia, chiamata ayascay, che forniva ai parenti l'opportunità di riunirsi e accogliere il nuovo bambino. Un'altra cerimonia, rutuchico, si svolgeva quando il bambino era svezzato: ognuno dei parenti più stretti gli tagliava una ciocca di capelli offrendo in cambio un regalo. Questo rituale significava sia la separazione del bambino dalla madre sia la sua integrazione nella comunità.
I rituali della pubertà avevano luogo per le ragazze in occasione della prima mestruazione e per i maschi all'età di circa quattordici anni. Si ordinava alle ragazze di stare dentro casa e digiunare per tre giorni dopodiché si tagliavano i capelli, si vestivano con abiti nuovi da adulte e prendevano parte a una festa pubblica. I maschi oltre a digiunare dovevano svolgere alcune pratiche di austerità, come dormire all'aperto ed eseguire alcuni faticosi esercizi fisici; alla fine di questo periodo ricevevano pantaloni stretti sotto il ginocchio ed erano loro forate le orecchie per indossare ornamenti d'oro. Nel corso di questi importanti rituali sia ai maschi sia alle femmine erano impartite lezioni sulle proprie responsabilità da adulti ed erano assegnati loro nuovi nomi il cui conferimento, insieme al taglio dei capelli e ai nuovi indumenti, dava alla cerimonia il carattere di una rinascita che permetteva ai giovani Andini di iniziare una nuova vita.
La cerimonia del matrimonio era il coronamento della vita adulta. Eccettuati i casi di uomini e donne santificati, nell'età adulta il celibato e il nubilato erano aborriti dagli Andini, ed effettivamente, data la divisione sessuale del lavoro, la maggior parte degli uomini e delle donne avrebbe trovato difficoltà a vivere senza un compagno dell'altro sesso. I rituali di nozze esprimevano sia la reciprocità che il matrimonio comportava, sia i relativi ruoli dell'uomo e della donna all'interno della loro unione. Gli uomini, per esempio, donavano sandali alle loro spose in quanto fabbricare calzature era considerato un lavoro maschile e, allo stesso tempo, questo dono indicava lo status relativamente basso delle donne. Queste, invece, offrivano ai mariti bende da portare intorno al capo e bluse, che attestavano sia la posizione di capofamiglia occupata dal marito sia l'abilità che esse avevano nella tessitura. Nella società andina la monogamia era la regola, benché gli uomini ricchi e di una certa classe sociale, in particolare gli Inca, potessero avere anche altre mogli. Il matrimonio, come i precedenti rituali del ciclo della vita, era un'occasione per fare invocazioni e sacrifici al fine di propiziarsi le divinità.
Nelle Ande la morte era accompagnata da elaborati riti di lutto; i dolenti, scriveva Cobo, un prete spagnolo, "uscivano ogni giorno e danzavano al suono di tamburi e flauti cantando con toni tristi. Essi andavano in tutti quei luoghi che il defunto era solito frequentare quando era in vita, raccontando con le loro canzoni tutto ciò che gli era accaduto in questa vita" (Historia del Nuevo Mundo, p. 22). Questo sistema serviva sia a commemorare il defunto tra i viventi sia ad aiutarlo nel trapasso al mondo dei morti; indumenti nuovi, utensili e cibo erano sepolti insieme ai defunti, affinché fossero usati nella loro nuova esistenza; e una volta all'anno, durante le festività di Aya Marcay Quillay, si ricordavano i morti offrendo loro cibo e bevande. I corpi degli Andini più importanti, come i governanti inca, erano mummificati e, in questa occasione, venivano esposti al pubblico; mantenere un buon rapporto con il defunto attraverso i rituali adatti, aiutava a tutelare il benessere della comunità e del Cosmo.
Questi diversi rituali del ciclo della vita illustrano come i cambiamenti della vita fisica fossero coniugati con il ruolo dell'individuo nella società per dare un senso sociale anche al corpo e alle sue funzioni naturali, integrandolo nell'ordine culturale.
È difficile stabilire con esattezza come gli Andini dell'epoca precolombiana concepissero il funzionamento del corpo, quali cognizioni avessero in merito alle funzioni dei diversi organi o in che modo collegassero il corpo alla mente, poiché sfortunatamente tali informazioni raramente appaiono nelle cronache. Gli Andini apparentemente situavano l'immaginazione e le emozioni nel cuore e nello stomaco, e la memoria nella testa; il respiro era considerato una forza animista, che dava allo stesso tempo vigore fisico e ispirazione. Al momento della morte si riteneva che una parte della forza vitale rimanesse nel corpo, rendendo il defunto sensibile a un trattamento buono o cattivo.
Si tendeva a identificare l'integrità fisica con quella morale, perciò di solito si sospettava che un difetto o una malattia del corpo fossero provocati da qualche manchevolezza morale, hucha, che poteva essere innata e dare origine a difetti congeniti, o causata da una violazione delle convenzioni sociali dalla quale derivavano malattie e disgrazie; persino rompersi un osso poteva essere il risultato di una trasgressione religiosa. Mentre non si considerava possibile annullare i difetti innati, i casi meno seri di hucha e le loro conseguenze fisiche potevano essere curati e rimossi. Si può quindi osservare come i concetti andini di malattia e di medicina fossero strettamente connessi con le idee sulla trasgressione e sull'assoluzione religiosa. Tra gli Inca la confessione, la penitenza e i rituali purificatori erano i mezzi consueti per ottenere l'assoluzione dalla hucha; la confessione veniva fatta a uno ychuri (colui che raccoglie la paglia, o le colpe) e dopo aver compiuto un'offerta alle divinità o agli antenati offesi era imposta una penitenza che, di solito, consisteva nell'essere frustati o nell'evitare di mangiare sale e pepe per un certo periodo di tempo per imprimere sul corpo la gravità della manchevolezza morale; anche un bagno rituale nel vapore poteva essere utile perché lavava via la hucha, e si sperava che rimuovesse anche le sue conseguenze negative.
Per combattere le malattie, oltre a questi metodi prevalentemente religiosi erano adottate anche misure di altro genere; sembra che i salassi e i purganti fossero ritenuti efficaci contro un certo numero di indisposizioni. Erboristi con un'ampia conoscenza riguardo all'efficacia medicamentosa delle piante curavano i loro pazienti con diverse preparazioni a base di erbe; per esempio, si reputava che fiutare il tabacco purificasse la testa. Una credenza popolare riteneva possibile trasferire le malattie da una persona a un'altra; di conseguenza, per liberare un paziente da una malattia venivano talvolta lasciati i suoi abiti ai margini di una strada, nella convinzione che se fossero stati raccolti da un'altra persona il malato sarebbe guarito. Questi trattamenti, che erano eseguiti dagli hampiyok ('guaritori'), completavano i riti di confessione, di penitenza e quelli propiziatori.
Alcuni fenomeni naturali, quali le sorgenti, la pioggia unita al Sole, l'arcobaleno e le grotte, erano considerati particolarmente pericolosi per la salute. Essi erano infatti associati a situazioni anomale e quindi pericolose, quali l'acqua che sgorga dalla terra, una simultaneità di pioggia e Sole, una mescolanza di colori e così via; si riteneva inoltre che avessero un carattere soprannaturale in quanto collegati a vari spiriti e divinità. Secondo le convinzioni mediche andine, il corpo umano che si fosse esposto a tali fenomeni avrebbe rischiato il disfacimento della propria struttura, come poteva accadere con alcune malattie.
La malattia non riguardava solamente il singolo individuo ma, essendo il risultato di una trasgressione dell'ordine morale e cosmico, poteva avere ripercussioni negative nei riguardi dell'intera comunità; per questo motivo gli Inca praticavano annualmente un rito purificatorio, chiamato citua, durante il quale l'intera comunità si purificava dalle colpe e dagli elementi cui era imputabile la malattia. In questa occasione la popolazione purificava sé stessa e le abitazioni con granturco macinato per poi bagnarsi in massa nei fiumi e nei torrenti. I guerrieri inca si radunavano nella piazza centrale e gridavano "vattene, male!", dopodiché correvano nelle quattro direzioni per disperdere il male. I partecipanti al citua dovevano reprimere la collera e comporre le liti per mantenere uno stato di purezza morale; prima dell'inizio del rito tutti gli stranieri e le persone con difetti fisici dovevano temporaneamente lasciare la città, come dire che tutti gli elementi estranei e i difetti dovevano abbandonare il corpo sociale. Questo rito annuale doveva scongiurare il rischio che nell'anno seguente un accumulo di sventure e trasgressioni potesse minacciare la società.
Nella cultura andina, in particolare tra gli Inca, c'erano alcune persone il cui corpo era ritenuto 'straordinario' e che quindi avevano un ruolo speciale nel sollecitare l'aiuto divino e nel mantenere l'ordine sociale. Anzitutto era considerato sacro il corpo del governante inca e, qualora si fosse ammalato, la colpa sarebbe stata fatta ricadere sulle trasgressioni dei sudditi. Egli era il 'figlio del Sole' e in quanto tale era una divinità per diritto di nascita. L'Inca si presentava come il principale mediatore tra il mondo umano e quello divino, il custode della civiltà e l'incarnazione dell'Impero.
I corpi dei sacerdoti, o di uomini dediti alla religione, che ascoltavano le confessioni, officiavano nei luoghi sacri ed eseguivano i riti, erano tra quelli più comunemente ritenuti sacri, e di solito dovevano esercitare pratiche di austerità che in alcuni casi potevano essere quanto mai drastiche. De Murúa, un cronista dell'epoca, descrive nel modo seguente i 'filosofi-indovini' inca:
Essi andavano nudi nelle regioni più isolate e più lugubri [...] dall'alba al tramonto fissavano costantemente il Sole. [...] Passavano tutto il giorno in piedi sulla sabbia bollente senza sentire dolore, e pazientemente sopportavano il freddo e la neve. Conducevano una vita molto semplice e pura, senza concedersi lussi, non desiderando nulla eccetto quello che la ragione e la Natura richiedevano, [sopravvivendo] solamente con ciò che la Terra produceva senza essere maltrattati nemmeno dagli stolti. (Historia del origen y genealogía real de los reyes Incas del Perú, p. 156)
Si credeva che questi asceti avessero grandi poteri divinatori e fossero in grado di volare nell'aria e di vedere ciò che accadeva anche in altri luoghi.
Anche il corpo delle aclla, o donne scelte, era considerato sacro. Una volta all'anno i funzionari inca radunavano da ogni parte dell'Impero le ragazze fisicamente più attraenti e le mandavano in particolari centri di preparazione dove erano istruite nelle arti femminili, quali la tessitura e la cucina. Dopo circa quattro anni le ragazze più promettenti erano mandate ad assolvere i loro doveri nei templi, servendo le divinità e preparando bei vestiti e pietanze raffinate per gli Inca. Le aclla erano considerate così eteree, che alcune leggende narravano che vivessero unicamente di odori. Esse erano obbligate a fare voto di castità e si riteneva che, qualora fosse stato infranto, i loro corpi si sarebbero decomposti; se e qualora fossero state scoperte, sarebbero state punite con la morte. L'integrità fisica e morale delle aclla era infatti considerata una condizione necessaria per renderle idonee a servire le divinità e l'élite inca.
L'assenza di difetti fisici era essenziale anche per le vittime sacrificali degli Inca; nonostante queste fossero in genere animali come cavie o lama, a volte anche esseri umani erano sacrificati per il benessere dell'Impero. Persino durante l'atto di esecuzione era essenziale che i corpi delle vittime non fossero violati e quindi di solito esse erano strangolate, sepolte vive, annegate o congelate. Come narra Molina, al pari delle aclla che servivano nei templi, queste vittime erano selezionate, in ogni parte dell'Impero, tra giovani "di bellezza perfetta, privi di difetti o di rughe" (Fábulas y ritos de los Incas, pp. 69-70; 75-77). Dopo la morte i loro corpi erano spesso venerati come fonti di potere sacro.
Nelle Ande i corpi sacri più straordinari erano quelli dei morti; ogni comunità aveva i propri mallqui, o corpi degli avi, che assicuravano una continuità con la terra degli antenati e fornivano un'assistenza soprannaturale nei momenti di necessità. Le pratiche più elaborate erano quelle riservate ai cadaveri dei governatori inca, che erano mummificati e utilizzati in alcuni rituali, sia per rappresentare l'importanza della dinastia inca sia per mediare tra i morti e i vivi e tra i diversi livelli del Cosmo. La mummificazione dava ai corpi dei morti un senso di permanenza che altrimenti sarebbe mancato, rendendoli simboli d'integrità piuttosto che di disfacimento. Le mummie, in effetti, non erano concepite come morte in senso occidentale, ma come se partecipassero a una vita parallela, mangiando, bevendo, ricevendo visite ed eseguendo rituali tramite i ministri del culto. Le mummie degli Inca continuavano perciò a disporre dei palazzi, dei possedimenti e dei servitori che avevano quando erano ancora in vita, costringendo quindi ogni nuovo Inca a ricostituire sia la terra che la proprietà. All'epoca della Conquista, uno dei fattori che probabilmente contribuì alla caduta dell'Impero fu l'esaurimento delle risorse dello Stato, dovuto appunto a questo dispendioso culto dei morti.
La concezione andina del corpo trascende l'effettiva dimensione fisica, per considerarlo come simbolo della società e del Cosmo; l'Impero inca, conosciuto come Tahuantinsuyu, o dei Quattro Cantoni, era perciò concepito con la stessa struttura del corpo umano e la capitale, Cuzco, costituiva 'l'ombelico', cioè il suo centro. Cuzco stessa rappresentava, in miniatura, l'Impero, il cui controllo si supponeva fosse agevolato se svolto dall'interno della capitale (il corpo minore). L'impiego di metafore sul corpo in riferimento alle organizzazioni sociali favoriva la comprensione di queste come unità organiche essenziali piuttosto che come insiemi artificiali di persone diverse. Anche il Cosmo era concepito come un corpo, la cui testa era rappresentata dal cielo e le membra dalla Terra. Il cielo, proprio come la testa, era il regno della struttura, della stabilità, dell'autorità e della memoria; la Terra, come il resto del corpo, rappresentava il cambiamento, la crescita, la sottomissione e l'immaginazione. Data la sovrapposizione del tempo e dello spazio nel pensiero andino, il cielo-testa sembrava rappresentare anche il passato, chiaro e strutturato, e la Terra-corpo il futuro, oscuro e fluido. Gli esseri umani, che vivevano sulla superficie terrestre, esistevano nel mondo presente, tra passato e futuro. In un'altra metafora il passato era posto di fronte al corpo e il futuro dietro, dove esso non era né visibile né conoscibile.
La vita ordinaria consisteva nella ripetizione di modelli conosciuti e di pratiche appartenenti al passato; tuttavia, in periodi straordinari di radicali cambiamenti sociali e cosmici si diceva che il corpo cosmico si rovesciasse in un pachacuti, un'inversione dello spazio-tempo, portando improvvisamente il futuro di fronte; nella cosmologia andina ciò significava la fine di un mondo e l'inizio di un altro. Si ritenne che un pachacuti fosse avvenuto all'epoca della Conquista; in quel momento il passato conosciuto si ribaltò in un futuro sconosciuto e potenziale e, quindi, si cominciò a profetizzare il momento in cui i conquistatori sarebbero stati rovesciati e si sarebbe ristabilito l'ordine tradizionale della vita andina.
Da questi esempi si può capire come il corpo umano fosse uno dei simboli fondamentali di organizzazione del pensiero andino, in quanto le strutture e le funzioni corporee erano alla base della comprensione e concettualizzazione del mondo; allo stesso tempo, questo simbolismo corporeo consentiva a ogni individuo di mettersi in relazione con la società e col Cosmo dall'ambito della propria esperienza corporea.
Molti degli eventi che riguardavano il corpo umano erano comunicati attraverso pratiche rituali, quali il ciclo della vita e i riti di guarigione che abbiamo esaminato precedentemente. I rituali, frequenti nella cultura andina, erano un'opportunità per conoscere ed esprimere le correlazioni tra il corpo fisico e quello sociale e cosmico; studiando i rituali andini possiamo quindi intuire in quale modo queste popolazioni percepissero l'organizzazione e il funzionamento del corpo.
Uno dei rituali più semplici e comuni era quello di offrire una tazza di chicha ('birra di granturco') a un ospite e bere insieme a lui. Questo rito era sia un segno di ospitalità sia un'espressione dell'importanza dello scambio nella cultura andina, e in particolare dello scambio di fluidi; gli Andini, infatti, concepivano il Cosmo come integrato e animato da uno scambio di fluidi, quali i fiumi, i laghi, le sorgenti sulla Terra e la pioggia dal cielo. Si riteneva che questa fluidità unisse le forze creative del cielo e della Terra rendendo possibile la vita. Nella sfera umana s'immaginava che una simile unione creativa e uno scambio di fluidi avvenissero quando un uomo e una donna si accoppiavano per generare un figlio. Secondo il pensiero andino lo stesso corpo umano si manteneva in vita attraverso uno scambio di aria e di fluidi con l'ambiente circostante. Il rituale di bere chicha con qualcun altro evocava l'importanza di condividere la fluidità e unire le parti in un atto di fruttuosa integrazione; per questo motivo gli Inca bevevano chicha con il capo di un popolo straniero per suggellare un'alleanza, e durante i riti era offerta chicha alle divinità importanti quali il Sole e la Terra, per assicurarsi la loro cooperazione al fine di mantenere la compattezza del Cosmo. Il corpo umano, come quello cosmico, si guastava quando il suo delicato equilibrio di fluidi era turbato, risolvendosi in febbre, vomito e disidratazione nel caso degli esseri umani e in incendi, alluvioni e siccità nel caso del Cosmo.
I pasti rituali erano un altro mezzo fondamentale per esprimere alcune idee sul corpo; il giuramento di fedeltà all'Inca, per esempio, era abitualmente accompagnato da una cerimonia nella quale si consumava una palla di granturco mista al sangue di un lama sacrificato; se il giuramento era infranto si riteneva che questa palla di granturco, assimilata nel corpo, avrebbe tradito e punito la persona sleale. Per gli Andini il consumo di cibo non significava soltanto alimentare il corpo ma adattarlo alle norme prescritte; poiché tutti i cibi erano dotati in modo più o meno accentuato di un'importanza cosmologica e sociale, il mangiare, in particolare in un contesto rituale, nutriva e penetrava il corpo con le ideologie oltre che con il nutrimento.
I rituali ci informano sul modo in cui gli Andini capivano e ordinavano le percezioni sensoriali; tutti i sensi erano impegnati nelle attività rituali quali mangiare, danzare, suonare, anche se un'importanza particolare spettava ai sensi della vista e dell'udito, entrambi considerati i mezzi principali per ricevere e comunicare la conoscenza del mondo. La vista era infatti associata alla struttura, al cielo e al passato, l'udito era associato invece alla fluidità, alla Terra e al futuro. La vista era associata anche al davanti del corpo, e l'udito al retro, la zona delle profezie 'oscure' e delle dicerie; questi due sensi operavano di concerto per percepire e formare un Cosmo che fosse allo stesso tempo strutturato e fluido e che avesse un passato e un futuro.
All'interno del rituale la vista aveva il ruolo particolare di ordinare l'esperienza; l'impiego di simbolismi visivi ‒ quali i costumi diversi a seconda dell'etnia e della classe sociale, e gli animali sacrificali di colore differente a seconda delle diverse divinità ‒ aiutava a rinforzare i confini e le gerarchie accentuando le differenze e le divisioni. In questo modo le strutture implicite della società e del Cosmo potevano essere viste chiaramente da chi partecipava ai riti; le persone con la vista più potente dell'Impero erano i governanti inca, in grado perciò di dominare e controllare visivamente i loro sottoposti.
L'udito e il suono tendevano ad avere lo scopo rituale d'integrare l'esperienza, come la mescolanza di voci in una canzone o di strumenti diversi in una musica; la preghiera, invece, era finalizzata a unire l'umano con il divino. Proprio come accadeva per la vista, si supponeva che l'Inca avesse anche l'udito più potente, e questo udito straordinario, accentuato dagli ornamenti d'oro che gli uomini portavano alle orecchie, gli permetteva di essere il principale mediatore dei discorsi divini, che erano comunicati attraverso gli oracoli o direttamente dalle divinità interessate. Senza gli Inca la comunicazione tra gli dèi e gli uomini sarebbe cessata e ne sarebbe derivata una disgregazione cosmica.
Gli Andini sentirono la conquista spagnola come un'aggressione sia ai loro corpi fisici sia ai corpi simbolici della loro società e del Cosmo; sebbene non fossero affatto poco avvezzi alla guerra e alla conquista, essa significò la sottomissione a genti non andine e la radicale disfatta delle istituzioni sociali e religiose tradizionali. L'esecuzione dell'ultimo Inca, Atahualpa (1500 ca.-1533), rappresentò la decapitazione del corpo dell'Impero, e le umiliazioni fisiche imposte dai conquistatori agli Inca rimasti confermarono ai loro occhi la condizione di caducità di quel corpo. Le aclla sacre furono violentate dai soldati spagnoli; le mummie inca furono distrutte o sepolte insieme a tutti i mallqui degli avi e alle icone religiose che gli Spagnoli riuscirono a trovare. La popolazione andina, infine, fu decimata dalle epidemie portate dagli stranieri.
Da questi eventi scaturì un grave sconvolgimento dell'ordine cosmico; la religione andina fu messa fuorilegge, i templi e i luoghi sacri furono sostituiti da chiese e croci, e i preti spagnoli subentrarono alle donne e agli uomini santi. Per gli Andini questo significò che il dio e i santi spagnoli avevano preso il posto dei loro dèi come signori del mondo superiore e teste del corpo cosmico. Il comportamento spesso incurante e irreligioso degli Spagnoli sembrava implicare una mancanza di rispetto persino per il corpo sociale e cosmico del loro ordinamento, perciò essi erano frequentemente rappresentati dagli Andini non come coloro che attuavano una semplice sostituzione del modello di un corpo con un altro, ma come coloro che distruggevano completamente il modello di corpo con le sue implicazioni d'integrazione e di scambio dinamici, a favore di un modello di sfruttamento e di assassinio.
Un aspetto impressionante del comportamento degli Spagnoli che sembrava confermare tutto ciò, era il loro uso della scrittura, precedentemente sconosciuta agli Andini e da questi concepita come uno strumento che metteva a tacere e 'uccideva' il discorso, che era invece uno dei mezzi più importanti per animare e unificare la società e il Cosmo; con la scrittura, la comunicazione e la conoscenza si disincarnavano e si alienavano dai processi cosmici. Secondo la tradizione andina, Atahualpa fu ucciso per aver gettato a terra un libro, una Bibbia o un breviario che gli Spagnoli gli avevano dato, perché esso non gli 'diceva' nulla; perciò per molti Andini la natura disincarnata della scrittura significava morte.
Gli Andini reagirono alla Conquista in modi diversi: alcuni cercarono di assimilarsi all'interno del nuovo ordine, benché sembrasse loro caotico e oppressivo, convertendosi al cristianesimo e, in rari casi, istruendosi; molti, invece, non riuscirono a conciliarsi con il nuovo stato di cose. Tra il 1560 e il 1570 sorse tra gli Andini un movimento millenarista, che traeva la sua forza dalla convinzione che le divinità andine avrebbero sgominato gli Spagnoli e il loro dio se gli Andini avessero rinunciato a tutto ciò che vi era di spagnolo; coloro che non si fossero comportati in questo modo sarebbero morti e sarebbero stati costretti a vagare capovolti, a testa in giù. Questo movimento era caratterizzato dal taqui oncoy ('malattia della danza'), poiché i suoi membri danzavano convulsamente sperando, attraverso i movimenti corporei, di avviare una nuova rivoluzione del corpo cosmico. Il taqui oncoy fu soppresso dagli Spagnoli e i suoi capi furono condannati a morte. Alcune sporadiche ribellioni continuarono, comunque, per diversi secoli; nel 1780 il discendente di uno degli ultimi capi inca, Tupac Amaru II (1740 ca.-1781), capeggiò una ribellione contro gli Spagnoli e molti dei suoi seguaci credettero di poter giungere alla restaurazione del dominio inca; nel 1781, però, dopo poche battaglie, Tupac Amaru II fu catturato dagli Spagnoli e quindi, a Cuzco, fu condannato a essere trascinato da un cavallo e poi squartato. Questa esecuzione apparì come il disfacimento finale del corpo andino e della sua unità sociale e cosmica; da quel momento gli Andini dovettero venire a patti con la dominazione spagnola nella loro terra e rivedere i concetti di corpo, di società e di Cosmo in base alla loro situazione di intermediari tra lo stile di vita tradizionale andino e quello spagnolo.
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