Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con il venir meno dell’unanimità delle pratiche religiose l’Europa cattolica conosce il fenomeno della “scristianizzazione”. La Chiesa romana subisce gli attacchi della cultura illuminista, del giansenismo e delle correnti conciliariste. Parte dei fedeli, in seguito al processo di laicizzazione, abbandona le pratiche e la morale tradizionale; all’interno del mondo cattolico si affermano filoni di pensiero che pongono la figura di Dio in una luce più ottimistica.
Giansenismo, episcopalismo e febronianesimo
Parte della storiografia religiosa definisce il Settecento come l’epoca nella quale ha inizio il fenomeno della “scristianizzazione”, come la fine quindi del periodo contrassegnato dalla pratica religiosa di masse cattoliche unanimi. Sulla spinta del pensiero illuminista, la religione cattolica subisce forti attacchi che la pongono in difficoltà in primo luogo sul piano istituzionale.
Già a partire dalla metà del XVII secolo, con la conclusione delle guerre di religione, la Chiesa di Roma evidenzia una situazione di debolezza accompagnata a un più generale esaurimento del ruolo politico del papato sul piano internazionale. All’interno della Chiesa si evidenziano, inoltre, fratture di carattere dottrinario.
A inizio secolo, a partire dalla Francia, scoppia la repressione del giansenismo: nel 1710 Luigi XIV ordina la distruzione della chiesa e del monastero di Port-Royal e spinge il pontefice a esprimere una esplicita condanna del movimento. Il sovrano francese, in realtà, è portato alla repressione da motivi di opportunità politica piuttosto che religiosa; la politica assolutistica richiede infatti l’uniformità confessionale del regno e i giansenisti, per le loro posizioni dissidenti, non garantiscono la piena lealtà, in quanto fautori di una sorta di “repubblicanesimo”. La condanna del pontefice avviene con la stesura nel 1713 della bolla Unigenitus . Lungi dall’essere sconfitto, il giansenismo continua a sopravvivere e a essere vitale per tutto il secolo, diffondendosi in aree diverse da quella di origine; si lega inoltre alle correnti dell’episcopalismo e del febronianesimo, che nel corso del Settecento pongono in discussione il ruolo dei pontefici, rivitalizzando le tesi sostenute dal conciliarismo. L’episcopalismo, elaborato a inizio secolo dal canonista di Lovanio van Espen, proprio in opposizione alle direttive della bolla Unigenitus, riafferma i principi del conciliarismo e del ruolo del tutto onorifico che compete alla carica del pontefice. L’episcopalismo conduce nel 1723 allo scisma della Chiesa di Utrecht, capeggiata da personalità marcatamente influenzate dal giansenismo.
Nella seconda metà del Settecento le idee conciliariste riprendono vigore, anche per l’appoggio delle politiche giurisdizionali dei sovrani europei che aspirano a un pieno controllo della vita religiosa nei propri domini. Nel 1763 Nikolaus von Hontheim (Febronio) scrive De statu ecclesiae, dando vita alla corrente del febronianesimo. Nel trattato viene rivendicata la libertà dei vescovi nei confronti delle direttive centralistiche romane e contro il primato del pontefice. Secondo le tesi febroniane, ciascun vescovo è il pontefice nell’ambito della sua diocesi e il Concilio ha un’autorità maggiore dello stesso papa. Il febronianesimo esercita ampia influenza sulla politica religiosa dell’imperatore d’Austria Giuseppe II e di Leopoldo II di Toscana.
Altro sintomo della debolezza del papato è la vicenda che conduce alla soppressione della Compagnia di Gesù. Il potere politico dei vari Stati europei vede nell’ordine religioso un pericoloso alleato del papato: la Compagnia viene sempre più considerata l’ostacolo principale delle politiche riformiste e giurisdizionaliste dei sovrani, nonché del rinnovamento delle forme religiose. L’ordine viene dapprima espulso dai domini portoghesi nel 1759. Ben presto segue l’esempio portoghese la Francia, dove un movimento antigesuitico è ben radicato negli ambienti parlamentari. A seguito delle polemiche gianseniste, il movimento si rafforza fino a determinare l’espulsione dei Gesuiti nel 1764.
La Compagnia viene poi allontanata dalla Spagna e dal Regno di Napoli nel 1767; nel 1773 Clemente XIV decreta infine la soppressione dell’ordine. L’indifferenza dimostrata da gran parte dell’opinione pubblica verso la soppressione della Compagnia di Gesù è indice di un generale processo di allontanamento dalle forme di vita religiose trionfanti al tempo della Controriforma.
Oltre all’attacco della Compagnia di Gesù, dettato soprattutto da motivazioni politiche, nel corso del secolo si fanno più acute le critiche verso tutte le istituzioni regolari e claustrali, ritenute parassitarie e consumatrici di rendite che potrebbero venire impiegate invece in più proficue opere di assistenza.
I mutamenti delle pratiche e della sensibilità
Nel corso del secolo, con l’affermarsi di un processo di laicizzazione della vita, mutano sensibilmente anche la mentalità dei fedeli cattolici e le forme della pratica religiosa.
I mutamenti sociali pongono in crisi gli ideali diffusi dalla Chiesa cattolica nel corso dell’età moderna. La crescita della borghesia e la trasformazione dei rapporti di produzione con lo sviluppo del capitalismo favoriscono infatti la nascita di mentalità che collocano il profitto economico tra i bisogni primari per molte fasce della società.
Parte della borghesia abbandona le posizioni più intransigenti della morale cattolica, sebbene continui a osservare gran parte delle norme impartite dalla Chiesa. Il pensiero razionalista e illuminista favorisce inoltre l’affermazione della fiducia nell’opera dell’uomo, per cui si sviluppa una mentalità ben più autonoma di quella dell’epoca precedente.
Tale mutamento è rilevabile attraverso l’analisi di diversi indici: la caduta delle vocazioni sacerdotali, la riduzione della partecipazione alle attività delle confraternite e il crollo della produzione di libri devozionali. Tra i dati rilevanti che indicano un calo della pratica religiosa è da annoverare anche la drastica riduzione delle feste di precetto; ciò avviene ora per iniziativa dei vescovi ora degli organi di governo, preoccupati del numero di giornate sottratte al lavoro.
Per quanto riguarda le confraternite, nel corso del secolo si assiste a una progressiva attenuazione delle loro attività, mentre la partecipazione dei confratelli alle cerimonie religiose si fa più tiepida. A partire dai primi decenni del secolo in molte regioni europee entrano particolarmente in crisi le congregazioni mariane dei Gesuiti. Le iscrizioni di nuovi confratelli subiscono un brusco crollo e le congregazioni, a causa della scarsa partecipazione, hanno difficoltà a organizzare le fastose cerimonie che avevano caratterizzato il Seicento. L’assenteismo dei confratelli e il crollo delle iscrizioni determinano così un ridimensionamento di tutte le attività religiose.
La crisi, tuttavia, non è da ricondurre esclusivamente a un processo di scristianizzazione; in Francia, ad esempio, il crollo delle congregazioni gesuitiche è causato anche dall’ostilità dei giansenisti verso le pratiche della Compagnia di Gesù. La diffusione di forme di vita religiose più interiori porta al rifiuto delle vistose pratiche religiose tipiche delle confraternite gesuitiche o che fanno capo ad altri ordini. In altri casi, il rafforzamento dell’istituto parrocchiale e il miglioramento della preparazione del clero diocesano fa propendere per la partecipazione alla vita della parrocchia piuttosto che a quella delle tradizionali confraternite.
L’atteggiamento nei confronti della morte e della sessualità
Uno degli indici solitamente utilizzati dalla storiografia per identificare il mutamento della sensibilità è l’atteggiamento nei confronti della morte. Gli studi di storici come Michel Vovelle e Pierre Chaunu dimostrano come nel corso del Settecento cambi l’approccio nei confronti della morte da parte dei fedeli cattolici. L’elemento più evidente è la riduzione delle pompe funebri barocche che hanno caratterizzato il Seicento: la morte era un avvenimento spettacolare, ai cortei funebri larga era la partecipazione di fedeli con le processioni dei poveri, delle confraternite e con l’ostentazione di drappi funebri e di luminarie.
Con il XVIII secolo tutto ciò subisce una massiccia riduzione: le cerimonie funebri si caratterizzano per una maggiore semplicità e si abbandona progressivamente l’uso della sepoltura nelle chiese a favore di quelle nei cimiteri collocati al di fuori dei contesti urbani. Non si registra più la preoccupazione dei testatori per il luogo della propria sepoltura e proprio in questo è possibile leggere il progressivo distacco dagli ordini religiosi tradizionali.
Le formule pie, che sono massicciamente presenti nei testamenti agli inizi del secolo e fanno riferimento alle numerose devozioni dei testatori, subiscono un brusco calo. A fine secolo si registra nei testamenti la riduzione delle invocazioni ai santi, mentre si trova un generico riferimento alla potenza e clemenza di Dio. Anche le richieste di messe a suffragio, sintomo dell’inquietudine dell’uomo per la sua salvezza, subiscono un calo evidente e la stessa cosa si verifica per i lasciti a favore di opere pie. Il testamento nel corso del secolo rappresenta quindi una sorta di specchio della “laicizzazione” della vita.
Tutti questi fenomeni non hanno luogo in maniera uniforme, ma investono le diverse articolazioni sociali in modo diversificato. La nobiltà è il ceto sociale che più precocemente manifesta il rifiuto delle cerimonie funebri barocche, optando per una maggiore semplicità, e abbandona più precocemente l’associazionismo delle confraternite. La borghesia mercantile, spinta dall’esigenza di autoaffermazione sociale, continua invece ad adottare a lungo forme tradizionali che, nel secolo precedente, hanno caratterizzato proprio l’aristocrazia. Nei contesti urbani rispetto alle aree rurali è comunque molto più marcato l’abbandono delle forme tradizionali.
Un altro indice di questo allontanamento dai precetti della Chiesa è rappresentato dal diverso atteggiamento nei confronti della sessualità. Nel corso del Settecento in tutti i centri urbani europei si registra un aumento sensibile dell’abbandono dei neonati, e questo induce a ritenere che a crescere sia soprattutto il numero delle nascite illegittime. A determinare l’abbandono dei bambini possono essere fattori di ordine sociale, demografico ed economico, tuttavia in questo fenomeno incide anche l’allontanamento dalle rigide prescrizioni in materia sessuale della Chiesa cattolica; l’aumento delle pratiche sessuali extraconiugali e la minore capacità di controllo della Chiesa sul concubinato determina una crescita esponenziale delle nascite illegittime. A questo fenomeno se ne affianca un secondo: l’affermazione delle pratiche contraccettive che avviene prima tra gli strati sociali più elevati e poi tra quelli meno abbienti. Si modifica infatti il concetto di famiglia e si presta maggior attenzione alla crescita dei fanciulli; negli ambienti socialmente elevati cominciano ad affermarsi i principi in difesa delle donne contro le continue gravidanze. Alcuni studi ritengono che, nonostante le interdizioni religiose, nelle famiglie si diffonda la pratica del coitus interruptus: contrariamente a ciò che prescrive la morale cattolica, le pratiche sessuali non sono più rivolte esclusivamente alla procreazione.
Evoluzioni qualitative all’interno del cattolicesimo
Nel Settecento si rileva non solo una progressiva laicizzazione della vita e un allontanamento di numerosi fedeli da alcuni principi tradizionali della morale cattolica, ma anche una diversa percezione di Dio. Dopo secoli caratterizzati da una visione terrificante e punitiva, in questo secolo si afferma un’immagine più dolce e paterna di Dio. Di particolare rilievo è l’opera di sant’Alfonso dei Liguori che nel 1732 fonda la congregazione del Santissimo Redentore, proponendo forme di vita religiosa semplice, lontane dal rigore giansenista, ma ispirate dalla costante preghiera. Le missioni redentoriste diffondono la pratica della meditazione, dell’orazione mentale e per quanto riguarda i metodi della confessione sant’Alfonso, senza concedere nulla al lassismo gesuitico, avverte che i metodi eccessivamente rigoristi, basati sul terrore del peccato e della pena eterna, vanno sostituiti con metodi più temperati che rassicurino e tranquillizzino il fedele, per rendere più vivibile e accettabile l’obbligo del sacramento.
Alla formazione di una nuova spiritualità concorre, inoltre, l’ambiente legato al modenese Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) che insiste per una riforma della vita cristiana sul piano etico e devozionale. Il Muratori auspica una riduzione delle forme pluralistiche nella vita religiosa cristiana, a vantaggio di un’unica forma “regolare” della vita devota, da praticare nelle confraternite eucaristiche parrocchiali. Il sacerdote modenese è a favore di una pratica religiosa priva degli eccessi della religiosità secentesca: da qui la sua disapprovazione delle devozioni del Sacro Cuore e verso il voto sanguinario (votum sanguinis) dell’Immacolata. Gli ambienti influenzati dal Muratori desiderano inoltre un maggior impegno da parte della Chiesa cattolica verso nuove forme di assistenza ai poveri e agli emarginati della società attraverso la rinuncia alle ricchezze accumulate dalla Chiesa. In Italia, ad esempio, l’esperienza delle grandi carestie del 1764-1765 dimostra come il freno imposto dalle grandi proprietà ecclesiastiche impedisca il buon funzionamento dell’assistenza.
La lezione viene recepita e rielaborata dalle politiche riformistiche degli Stati italiani, che nella seconda metà del secolo procedono all’incorporazione di parte dei patrimoni ecclesiastici per destinarli al finanziamento delle opere di carità e di assistenza.
All’elaborazione dell’immagine di un Dio meno collerico collaborano attivamente anche quegli illuministi che non abbandonano la fede cattolica. Questa nuova dimensione ha conseguenze sulla letteratura devozionale: si assiste, infatti, a una diminuzione della pubblicazione dei libri che preparano alla morte e del numero di messe a suffragio da parte dei testatori. Mentre il sistema economico muta, grazie al miglioramento delle tecniche agricole, l’Europa viene investita da una prosperità mai raggiunta prima; le epidemie, in seguito ai miglioramenti introdotti dalla scienza, provocano un numero inferiore di vittime: tutto ciò rende possibile il superamento della concezione che vede la terra unicamente quale luogo di sofferenza e “valle di lacrime”.
Santità e devozioni
Nel Settecento si giunge alla definizione dei caratteri della santità con la poderosa opera De servorum Dei beatificatione di papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini). Egli elenca, anche sulla scorta della riflessione secentesca, le qualità proprie del santo che deve essere l’eroe cristiano e aver esercitato nel corso della vita tutte le virtù teologali e cardinali al massimo grado, con facilità, prontezza e piacevolezza.
Tale definizione non è priva di conseguenze per i santi canonizzati, i quali devono essere dotati di caratteristiche esclusivamente e superlativamente virtuose che rispondano pienamente alla trattatistica delle virtù. L’adeguamento a una trattatistica comporta una “spersonalizzazione” del santo e l’attenzione a escludere dai modelli di santità tutto ciò che può essere visto come un atto individuale, personale: il santo deve corrispondere a una figurina prestampata, al “santino” operante sempre al di fuori dell’ordine della natura, grazie ai doni soprannaturali ricevuti. L’eliminazione dei caratteri più spiccatamente umani fa del santo un “neutro”, modello del sacerdote tipico dell’epoca, completamente distaccato dal mondo. Tuttavia per aver successo il modello deve essere universale, riconoscibile in qualunque parte del mondo cattolico, quindi privo di qualsiasi elemento locale. Il sistema delle virtù eroiche comporta una generale svalutazione dei fatti soprannaturali quali prove della santità, e tra coloro che giudicano i santi nel corso del Settecento si afferma uno spirito scettico verso i fenomeni soprannaturali, ritenuti secondari rispetto alle virtù eroiche. In realtà il concetto di santità riflette tutto un modo di pensare di parte della cultura cattolica a metà Settecento che, influenzata dal razionalismo e dal rigorismo, cerca di eliminare tutta la dimensione visionaria e profetica dell’esperienza religiosa, rimuovendo tutti gli “eccessi” a favore di una dimensione “regolata”. Viene quindi recepita la lezione muratoriana, a scapito dei modelli mistici del secolo precedente. Inoltre non è estraneo a tale ridefinizione il trauma provocato dal quietismo, condannato a fine Seicento, che predispone le gerarchie cattoliche al sospetto verso tutte le esperienze religiose “individuali” che possono portare al rifiuto dell’istituzione della Chiesa.
Tuttavia a fine secolo la situazione si ribalta: si assiste, infatti, a un nuovo recupero della visione mistica e profetica, proprio perché tale dimensione risulta più idonea a sostenere la Chiesa cattolica contro le istanze rivoluzionarie, anche attraverso personaggi che con le loro profezie avvertono che a seguito della soppressione della Compagnia di Gesù e della Rivoluzione francese si sono avviati tempi difficili e sanguinari.
Nel corso del Settecento, parallelamente al processo delineato, nel campo devozionale si vanno affermando nuovi culti che fanno riferimento a forme religiose intime e passionali, lontane dai nuovi modelli “regolati”. La devozione che ha maggior sviluppo è quella del Sacro Cuore. Nata prima in Francia e poi diffusasi anche in Italia, ben presto si connota per aspetti antigiansenisti: viene infatti propagandata soprattutto dai Gesuiti e da ambienti a loro legati, successivamente alla soppressione della Compagnia. La devozione, che suscita iniziali perplessità negli ambienti ecclesiastici romani più riformistici, si caratterizza per una nuova spiritualità, connotata da dolcezza, tenerezza ed emotività – elementi in esplicita opposizione all’intelletto e che inevitabilmente incontrano le ostilità della spiritualità cristocentrica giansenista e di quella più vicina a posizioni illuministiche.
Un nuovo sviluppo subiscono anche le devozioni per il Santissimo Sacramento e per la Passione di Cristo con la pratica della via crucis. Tali devozioni, già diffuse in chiave antiprotestante all’indomani del concilio di Trento, tra fine Settecento e inizio Ottocento vengono fortemente valorizzate, nella prospettiva della restaurazione delle forme religiose tradizionali e in opposizione all’ondata di rinnovamento provocata dalla Rivoluzione francese. Tali devozioni hanno particolare successo nelle aree rurali dell’Europa e a fine secolo proprio le campagne, che nei secoli precedenti hanno costituito motivo di preoccupazione per la Chiesa, risultano gli ambienti più saldamente ancorati alla tradizione cattolica, a differenza del mondo urbano. La resistenza alle idee dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese viene esercitata proprio dalle masse contadine che per tutto il secolo successivo continueranno a essere strettamente legate alla Chiesa.