Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella definizione di “Scuola di Chicago” sono raccolte le esperienze architettoniche di un circoscritto nucleo di studi professionali, attivi a Chicago negli ultimi tre decenni del XIX secolo. Dopo l’incendio del 1871, il grande impulso edilizio consente infatti di sperimentare un linguaggio originale che trova nell’innovazione tecnologica e nel tipo edilizio del grattacielo l’occasione per il superamento dello storicismo eclettico di matrice europea.
Chicago, un laboratorio dell’architettura moderna
Il terribile incendio del 1871 rappresenta per Chicago il momento d’avvio di un radicale processo di trasformazione che porterà il giovane avamposto del Middle West ad assumere rapidamente il volto di una moderna città industriale. L’intenso sviluppo edilizio, che coinvolge sopratutto il loop commerciale sulle rive del lago Michigan, impone la sperimentazione di nuovi sistemi costruttivi – e in particolare le strutture a scheletro d’acciaio – che oltre a garantire una maggiore resistenza al fuoco consentono di aumentare l’altezza degli edifici, riducendo al minimo l’ingombro delle componenti strutturali. Man mano che la funzione di sostegno viene trasferita all’ossatura metallica interna, i muri perimetrali perdono la loro funzione portante, aprendo inedite possibilità formali per la facciata dell’edificio che tende a configurarsi come un involucro virtualmente trasparente. L’aumento delle superfici vetrate costituisce infatti un carattere ricorrente nell’edilizia cittadina e prelude alla definizione di un tipo particolare di finestra per ufficio, detta Chicago window, costituita da una luce fissa fiancheggiata da due aperture a ghigliottina.
La dimensione sperimentale che contrassegna l’esperienza del movimento lo rende sensibile ad accogliere i risultati più aggiornati della ricerca tecnica e impiantistica. A partire dal 1894 un nuovo sistema di fondazioni in cemento armato – il Chicago caisson – consente una migliore distribuzione dei carichi in superficie, mentre l’invenzione dell’ascensore (prima idraulico poi elettrico) permette di realizzare concretamente l’espansione in altezza resa possibile dal sistema costruttivo a telaio metallico.
Un nuovo tema progettuale: il grattacielo
Il principio liberistico del massimo sfruttamento del suolo edificabile, ma anche le esigenze simboliche e rappresentative di un’imprenditorialità finanziaria in piena espansione sono all’origine della diffusione dell’edificio a sviluppo verticale che, a cominciare dai primi anni Ottanta, diviene il nuovo protagonista dello skyline cittadino.
Per la storia dell’architettura il grattacielo nasce a Chicago non tanto perché qui faccia la sua prima apparizione (il New England può vantare a questo proposito un’indiscussa primogenitura), ma perché in questo contesto viene affrontata consapevolmente la sfida che il nuovo tema progettuale pone alla tradizione disciplinare dell’architettura: risolvere l’antinomia tra l’identità formale dell’edificio, che si pone come un sistema chiuso, e l’uniformità indifferenziata imposta dalla standardizzazione funzionale e costruttiva. Se si escludono il basamento e la fascia terminale, che troveranno nelle soluzioni della Scuola di Chicago un trattamento individualizzato, la reiterazione – teoricamente infinita – di una unità modulare standardizzata (la cellula-ufficio) presuppone infatti un nuovo procedimento compositivo fondato sul principio della moltiplicazione, difficilmente controllabile con gli strumenti proporzionali e prospettici offerti dalla tradizione accademica.
William Le Baron Jenney
Il ruolo di caposcuola è universalmente riconosciuto a William Le Baron Jenney, un ingegnere uscito dall’Ecole Polytechnique di Parigi, attivo nel Genio militare ai tempi della guerra di Secessione. Il first Leiter Building – un grande magazzino di sette piani, costruito nel 1879 – costituisce un prototipo per l’ardita separazione, pur in presenza di tecnologie edilizie tradizionali, tra l’ossatura portante in ghisa e l’involucro esterno in muratura. A Le Baron Jenney si deve anche la realizzazione del primo edificio con scheletro in acciaio, l’Home Insurance Building (1885), che però risulta sostanzialmente dissimulato da una composizione di facciata densa di riferimenti stilistici di ambito storicista. Le Baron Jenney non arriva infatti ad accettare fino in fondo le conseguenze formali connesse all’esplicitazione della problematica strutturale. Anche nelle opere più mature, come il secondo Leiter Building (1889), il Fair Store e il Manhattan Building (1890), egli tende a configurare i montanti verticali in termini di pilastri e colonnine, pur imponendo alla facciata una dimensione ripetitiva che costituirà il punto di partenza per le ricerche degli architetti della seconda generazione.
La seconda generazione
Il sodalizio professionale di William Holabird e Martin Roche – soci dal 1881 per oltre quarant’anni – assume con straordinaria coerenza, anche a rischio della monotonia, la ricerca di un modello morfologico ripetibile che renda ragione della modularità imposta dalla gabbia metallica adottata sul piano strutturale. A partire dal Tacoma Building del 1889, che presenta una soluzione personalizzata incentrata sull’uso del bow-window (un espediente per aumentare la superficie vetrata già sperimentato da Le Baron Jenney), con il Marquette Building del 1894 lo studio approda a un principio di uniformità fondato sull’esibizione della struttura che si articola a livello di immagine nella reiterazione della Chicago window. Nelle opere più tarde, molte delle quali successive all’Esposizione americana del 1892 (tra cui ricordiamo il Bayley Building, il Republic Building e il Brooks Building, completati tutti entro il primo decennio del Novecento), il tipo edilizio del grattacielo tende sempre più a configurarsi come un organismo funzionale improntato a criteri di economicità, del tutto scevro dai valori connotativi affidati alla decorazione.
Burnham & Root
Negli stessi anni operano Burnham & Root. È a questa sigla professionale, risultato dell’unione di due temperamenti molto diversi – un imprenditore spregiudicato come Daniel Hudson Burnham e un artista creativo come John Wellborn Root – che si devono alcuni dei risultati più convincenti della Scuola di Chicago. Se le prime opere (il Montauk Block del 1882, ma soprattutto il Rookery Building del 1886) risentono dell’impostazione neoromanica della maniera di Henry Richardson – che realizza proprio a Chicago, con il Marshall Field Store, uno dei suoi capolavori –, il Monadnock Building del 1891 raggiunge una straordinaria semplificazione formale evidenziando le valenze espressive, ma al contempo i limiti di sviluppo verticale (16 piani) della struttura perimetrale in muratura.
Successivamente, il Woman’s Temple e il Capitol (poi Masonic Temple) del 1891-1892 presentano un cauto recupero dell’ornamentazione di facciata e una tendenza a risolvere entro snelle archeggiature verticali la successione dei piani-tipo, mentre attico e basamento si configurano secondo una diversa connotazione formale vagamente medievaleggiante.
Un posto a parte nella frenetica attività dello studio – che si intensifica nonostante la morte di Root nel 1891 – merita il Reliance Building, da più parti considerato il più bel grattacielo di Chicago. Progettato nel 1890 con un’altezza di cinque piani (ma sopraelevato cinque anni dopo mediante l’iterazione del motivo originario), questo grattacielo elude il problema della gradazione in altezza, qualificandosi per una superficie in vetro e maiolica che non presenta discontinuità.
Il ruolo di Adler & Sullivan e la dispersione
Nell’ambito del movimento si colloca a pieno titolo anche l’attività di Dankmar Adler e Louis Henry Sullivan – associati negli anni 1880-1895 – che con opere come la Walker Warehouse (1889) e il Chicago Stock Exchange (1894) contribuiscono alla ricerca sulle virtualità estetiche delle strutture a scheletro metallico.
Un ruolo del tutto peculiare, anche a livello teorico, viene tradizionalmente riconosciuto a Sullivan; le sue realizzazioni architettoniche si contraddistinguono per la ricerca di una qualificazione formale attraverso l’ornamentazione plastica delle superfici, ma la sua battaglia per un nuovo stile, svincolato dai modelli storici, comporta anche a livello teorico una riflessione sull’architettura come processo organico.
Con voce sostanzialmente unanime la storiografia colloca la fine dell’esperienza della Scuola di Chicago in concomitanza con l’Esposizione colombiana del 1893 che segna una decisa affermazione del linguaggio di ispirazione classicista, importato dagli architetti della costa orientale. Se le vere ragioni del declino sono da ricercare nella crisi economica che colpisce la società statunitense e in un diverso assetto della committenza (legato alla nascita dei trust), resta comunque vero che l’incapacità di sistematizzare collettivamente i risultati impedisce al movimento di porsi come un modello valido in un contesto internazionale e di incidere radicalmente sugli immediati sviluppi dell’architettura americana.