La scuola italiana di geometria algebrica
La geometria algebrica è oggi uno dei campi più avanzati della matematica. I suoi molteplici legami con altre discipline – dall’algebra commutativa all’analisi complessa, dalla topologia algebrica alla teoria dei numeri – ne fanno una delle teorie cardine di tutta la matematica. La geometria algebrica si è sviluppata a partire dalla geometria analitica e dalla geometria proiettiva secondo tre indirizzi principali.
L’indirizzo trascendente ha avuto inizio con la teoria delle funzioni algebriche elaborata a metà dell’Ottocento da B. Riemann con la definizione di superficie di Riemann associata a una funzione algebrica. L’indirizzo trascendente studia le varietà algebriche definite sul corpo complesso C come particolari varietà analitiche. I suoi principali esponenti sono stati H. Poincaré ed E. Picard, e successivamente W.V. Hodge e K. Kodaira.
L’indirizzo algebrico-aritmetico intende la geometria algebrica come studio dei corpi di funzioni algebriche in più variabili. Fu iniziato da R. Dedekind e da L. Kronecker e sviluppato nel Novecento da C. Chevalley e P. Samuel.
L’indirizzo algebrico-geometrico prende le mosse dai matematici tedeschi M. Noether e Alexander von Brill (1842-1935) e dalla loro ricostruzione con mezzi puramente geometrici della teoria di Riemann. L’opera di questi matematici fu proseguita dalla scuola di geometria algebrica italiana, iniziata da C. Segre sulla base dei lavori fondamentali di L. Cremona. L’indirizzo algebrico-geometrico fu posto su basi rigorose da O. Zariski e A. Weil, che lo estesero al caso delle varietà algebriche definite su un campo algebricamente chiuso di caratteristica qualsiasi.
I tre indirizzi furono in una certa misura unificati negli anni Cinquanta da J.P. Serre, che introdusse i fasci algebrici coerenti, e da A. Grothendieck, che definì la nozione di schema.
All’evoluzione di tale settore della matematica diede un contributo decisivo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento proprio la poco sopra menzionata scuola di geometria algebrica italiana. Essa ebbe come principali esponenti G. Veronese, C. Segre, G. Castelnuovo, F. Enriques e F. Severi; a questi occorre aggiungere il matematico polacco O. Zariski, allievo di Castelnuovo a Roma. Non si trattava di un gruppo di ricerca coeso, quanto piuttosto di matematici impegnati su temi di ricerca convergenti. Al centro degli interessi del gruppo vi era lo studio, la caratterizzazione e la classificazione delle curve su una superficie e, impresa ben più ardua, delle superfici algebriche, con metodi che facevano fortemente appello all’intuizione geometrica. Così per esempio scriveva Veronese: «Il metodo da me seguito è principalmente sintetico e intuitivo [...]. Per me il punto, la retta, il piano e lo spazio a n dimensioni sono elementi di natura nota, cioè hanno sempre lo stesso significato, quello che posseggono nello spazio ordinario; e quindi i corpi a più di tre dimensioni generati con questi stessi elementi sono essi stessi intuitivi, perché vengono rappresentati nella nostra mente non già mediante equazioni, ma mediante figure geometriche».
La scuola italiana di geometria algebrica fu di fatto caratterizzata dal tentativo di conciliare una visione intuitiva della geometria, un attaccamento ai fatti visibili della geometria (definita, dallo stesso Enriques, come «primo capitolo della fisica»), con le esigenze di rigore e le necessità di astrazione e generalizzazione che nel frattempo si imponevano come inevitabili. Il lavoro di questi matematici si colloca infatti in un periodo di grandi mutamenti teorici. La progressiva costruzione del piano proiettivo complesso (con l’introduzione nel 1822, da parte di V. Poncelet, dei punti ciclici, punti immaginari comuni a tutte le circonferenze del piano), la scoperta delle cosiddette geometrie non euclidee, la considerazione di spazi a n dimensioni (con l’introduzione, nel 1844, degli spazi vettoriali n-dimensionali da parte di H. Grassmann e delle quattro coordinate omogenee da parte di J. Plücker, nel 1846), ma anche l’introduzione dei numeri transfiniti e la crisi dei fondamenti, sollevavano forti interrogativi sul senso del lavoro del matematico e soprattutto del geometra, così abituato a ragionare di questioni comunque ancorate a fatti e relazioni in qualche modo “visibili”.
Molti degli esponenti della scuola italiana di geometria algebrica (in particolare, Castelnuovo e Enriques) mostrarono grande attenzione all’evoluzione storica dei concetti della matematica e ai problemi relativi alla sua divulgazione e al suo insegnamento; tale sensibilità storica era pienamente in linea con il loro metodo di ricerca. Scrive infatti Enriques in Teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche (1915): «A quel modo che la geometria differenziale, i problemi delle tangenti e delle aree hanno dato origine a un calcolo infinitesimale, che si svolge poi in stretta connessione colle idee geometriche direttrici, allo stesso modo la geometria algebrica – ove confluiscono il metodo delle coordinate e quello delle proiezioni, tutti i diversi ordini di concetti suggeriti dallo studio delle curve – riesce ormai una dottrina qualitativa delle equazioni e delle funzioni algebriche, che costituiscono il naturale prolungamento dell’Algebra [...]. Vi è luogo a chiedere se questo concepimento dinamico del sapere, che ognor più prende il posto del vecchio concepimento statico, non debba comporre in qualche modo anche l’antitesi tradizionale fra ricerca ed esposizione sistematica, e così tra scienza e storia della scienza».
Gli straordinari successi relativi alla classificazione delle superfici algebriche, ottenuti combinando considerazioni di geometria sintetica, di tipo dinamico e intuitivo, ma comunque rigorosamente dimostrate, portarono probabilmente a sottovalutare, nell’ambiente italiano, gli apporti che già dalla fine degli anni Venti del xix secolo venivano alla geometria dallo sviluppo dell’algebra. L’introduzione di metodi di algebra astratta (con la considerazione di campi arbitrari) e la moderna topologia furono visti come qualcosa di estraneo rispetto a una genuina visione geometrica. Ma proprio Zariski, l’antico allievo di Castelnuovo, osserverà nel 1950 che «l’oggetto della moderna geometria algebrica [...] non è tanto quello di bandire la geometria o l’intuizione geometrica, quanto quello di fornire al geometra gli strumenti più raffinati possibili per gli effettivi controlli [...] sui liberi voli dell’immaginazione geometrica».