La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Energia nucleare
Energia nucleare
L'emergere della ricerca e delle applicazioni nel campo dell'energia nucleare è legato prevalentemente alla sua definizione come branca e prodotto dei programmi nazionali militari. Negli anni Cinquanta e Sessanta del XX sec. gli investimenti privati e statali nei progetti nucleari civili sono stati stimolati dalla prospettiva della crescita della domanda di energia a basso costo in funzione della distribuzione capillare degli usi finali; l'energia nucleare era divenuta, per i suoi sostenitori, un simbolo progressista di sviluppo tecnologico-scientifico pacifico. Dagli anni Settanta e Ottanta, tuttavia, numerose difficoltà tecniche, economiche e politiche hanno condotto a un rallentamento di tale sviluppo in alcuni dei paesi che lo avevano promosso.
In alcune nazioni industrialmente avanzate, lo scetticismo emergente nell'opinione pubblica sull'effettivo progresso scientifico-tecnologico legato all'energia nucleare ha alimentato in modo diffuso convinzioni antinucleari; in altre nazioni, molte delle quali con economie in via di industrializzazione, gli impegni politici nazionali per l'energia nucleare sono stati invece mantenuti o ampliati. Lo studio sui reattori nucleari di nuova generazione e sulle diverse fasi del ciclo del combustibile è proseguito nelle università e nei centri di ricerca di diverse nazioni, nonostante gli accesi dibattiti su temi come incidenti, sicurezza, proliferazione delle armi e scorie nucleari.
Il fondamento scientifico dell'energia nucleare è la fissione nucleare, ossia il processo, scoperto nel 1938, per il quale i nuclei atomici possono scindersi in due. Nei reattori nucleari la fissione di certi nuclei pesanti (soprattutto il raro isotopo dell'uranio 235U) è provocata esponendoli al bombardamento di neutroni. Quando i nuclei si scindono, liberano ulteriori neutroni, che rendono possibili una o più fissioni supplementari e che emettono sia radiazione nucleare e frammenti di fissione, spesso fortemente radioattivi o comunque pericolosi, sia calore, che può essere eventualmente usato per portare l'acqua a ebollizione, in modo da produrre vapore saturo da inviare alla turbina.
Un reattore necessita pertanto, fondamentalmente, di un insieme di nuclei fissili (il combustibile nucleare) sistemati nel suo nocciolo in modo che possa sostenere una reazione a catena. Il nocciolo contiene spesso anche un secondo tipo di materiale, una sostanza chiamata moderatore, che rallenta considerevolmente i neutroni emessi nella fissione in modo che possano interagire più efficacemente con il materiale fissile. Un altro requisito del reattore è la presenza di un liquido o gas refrigerante, che circola attraverso gli elementi combustibili per asportare il calore prodotto durante il funzionamento. Sono inoltre incluse strutture di contenimento e di schermatura, che evitano la fuoriuscita di materiale radioattivo, e sistemi di controllo della reazione, in particolare per mantenerla a un livello di autosostentamento. Se il reattore è utilizzato per produrre energia, esso comprende anche l'usuale apparato della centrale elettrica per convertire il calore del refrigerante in elettricità. Infine, è necessario un meccanismo per il caricamento e lo scaricamento del combustibile e per il trattamento delle scorie radioattive, altamente pericolose.
I primi reattori nucleari furono costruiti durante la Seconda guerra mondiale. Essi non erano utilizzati per fornire energia elettrica ma, sul modello della prima pila a reazione a catena realizzata da Enrico Fermi (1901-1954) a Chicago, per ottenere informazioni tecniche sui parametri che regolano le reazioni nucleari e per analizzarne i principî di funzionamento, sperimentare diversi modelli di reattore e produrre materiale per bombe. Le bombe nucleari possono essere costruite in due maniere: da un lato, attraverso l'arricchimento della concentrazione di 235U per produrre la fissione non controllata in una quantità pura di uranio, lungo il cammino che porterà al lancio della bomba atomica su Hiroshima; dall'altro, attraverso l'uso di reattori.
Ogni reattore funzionante con combustibile contenente il più comune isotopo dell'uranio, l'238U, crea plutonio come sottoprodotto. Una volta che il combustibile utilizzato è prelevato da un reattore, il plutonio può essere estratto mediante un processo chimico detto di rilavorazione; il plutonio non esiste in Natura ma è un fissile come l'235U. Negli enormi reattori costruiti durante la Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti a Hanford (Washington) per il Manhattan project, l'energia prodotta con la fissione era trattata semplicemente come un rifiuto. L'energia liberata da tali reattori scaldava le acque dell'adiacente fiume Columbia, che servivano da refrigerante, mentre il plutonio recuperato fu utilizzato nella prima esplosione nucleare (il test Trinity) e per la costruzione della bomba sganciata su Nagasaki.
Dopo il 1945 le ricerche sullo sviluppo dei reattori proseguirono nell'ambito del processo di produzione di plutonio. Poiché divenne chiaro che, per molti aspetti, esso costituiva la via migliore per la realizzazione di bombe, le nazioni con ambizioni nucleari in campo militare ‒ come l'Unione Sovietica, la Gran Bretagna e la Francia ‒ avviarono sui reattori programmi di ricerca in competizione con gli Stati Uniti, per i quali furono elargiti cospicui fondi governativi. Una volta costruita la bomba a idrogeno basata sulla fusione nucleare, i reattori continuarono a essere utilizzati come sorgenti di neutroni per la produzione di trizio, necessario per il funzionamento della bomba H. Tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta i primi ingegneri nucleari, addestrati sul posto, iniziarono a ideare progetti più avanzati rispetto a quelli concepiti sotto la pressione della guerra; modificarono le disposizioni strutturali dei reattori, sperimentarono differenti moderatori di neutroni e studiarono la possibilità di utilizzare come combustibili nucleari alternativi il plutonio o l'uranio arricchito.
I nuovi specialisti nucleari si impegnarono anche per sfruttare l'energia termica che sarebbe altrimenti andata perduta. L'idea di utilizzare i reattori per alimentare aeroplani, navi e sottomarini suscitò un forte interesse militare; tali veicoli potevano percorrere grandi distanze con una fonte compatta di energia e con modeste necessità di rifornimento. Le prospettive militari viaggiavano inoltre di pari passo con le aspettative di innovazioni per uso civile che potessero essere realizzate attraverso la scienza nucleare: la fornitura di elettricità in aree distanti da risorse naturali, l'attuazione di processi energetici intensivi come la dissalazione dell'acqua marina per irrigare i deserti, l'aumento del tenore di vita nel mondo e l'ingresso in un'epoca di benessere materiale.
Il settore dell'energia nucleare civile, che alimenta la rete elettrica, ebbe origine proprio da questi progetti elaborati dopo la guerra. Programmi di ricerca e di sviluppo furono avviati a partire dagli anni Cinquanta nella maggior parte delle nazioni industrializzate e, successivamente, in alcuni paesi in via di industrializzazione. L'iniziativa statunitense 'Atoms for peace', presentata nel 1953, mostra nella scelta della denominazione la passione con la quale erano annunciate le nuove possibilità offerte dalla scienza nucleare. Negli Stati Uniti però non vi furono avanzamenti nello sfruttamento dell'energia nucleare per scopi civili, a causa della forte enfasi posta sul suo impiego in campo militare, poiché in questo paese, ma anche altrove, la pianificazione fu incentivata soprattutto da motivazioni geopolitiche e commerciali. All'attenzione per la produzione di energia si affiancavano infatti anche la volontà di raggiungere un'indipendenza industriale nazionale, nonché l'interesse per la commercializzazione e l'installazione di centrali elettriche, che includeva un vasto mercato rivolto all'esportazione.
Sebbene diverse centrali siano in competizione tra loro per l'attribuzione del primato, generalmente si considera come il primo generatore nucleare di energia elettrica il piccolo reattore di Obninsk, che nel 1954 iniziò a generare elettricità in una città nucleare segreta dell'Unione Sovietica. La centrale di Calder Hall, in Gran Bretagna, collegata alla rete elettrica nel 1956, consentì di dimostrare che ‒ insieme al plutonio per le armi nucleari inglesi ‒ era anche possibile produrre elettricità su scala industriale. In molti paesi che costruirono reattori propri, i progetti attuati per un loro uso civile conservano ancora l'eco concreta dei precedenti interessi militari. Ciò si verifica in particolare nel caso in cui essi ebbero origine sotto governi che avevano un interesse nazionale sia a produrre plutonio sia a ricavare energia elettrica (come, per es., la Francia), oppure che svilupparono tecnologie specifiche per la propulsione militare (è il caso degli Stati Uniti, attratti dall'idea di realizzare progetti nucleari sottomarini); rappresentano invece un'eccezione paesi come il Canada e la Repubblica federale di Germania i quali, sin dall'inizio, rivolsero i loro interessi alla produzione di energia.
In tutti i paesi la varietà dei modelli di reattore si ridusse rapidamente a pochi tipi principali, caratterizzati tecnicamente da punti forti e punti deboli. Negli anni Cinquanta furono costruiti e perfezionati, sia per l'uso interno sia per l'esportazione, il reattore inglese Magnox raffreddato ad anidride carbonica, con uranio naturale (non arricchito) e moderatore a grafite, un reattore francese piuttosto simile a gas-grafite, i reattori sovietici RBMK (reaktor bol′šoj moščnosti kanal′nyi), a canali di pressione moderati a grafite, e VVER (vodo-vodjanoj energetičeskij reaktor), ad acqua in pressione, e il reattore CANDU (Canadian deuterium uranium), a uranio non arricchito e moderatore ad acqua pesante. Altri tipi di reattori furono sperimentati dalla Svezia, dalla Svizzera e dalla Germania Occidentale. Il reattore statunitense ad acqua in pressione (PWR, pressurized water reactor) e quello ad acqua bollente (BWR, boiling water reactor) utilizzavano uranio arricchito, all'epoca molto più facilmente disponibile negli Stati Uniti che altrove, per compensare gli svantaggi derivanti dall'uso di reattori moderati e raffreddati ad acqua ordinaria. Il PWR e il BWR furono realizzati su licenza da due grandi industrie, la Westinghouse e la General Electric. Distribuiti nell'ambito di società internazionali e successivamente gestiti con una sempre maggiore autonomia locale, questi due tipi di reattore finirono per essere i più utilizzati nella maggior parte dei paesi al di fuori del blocco sovietico. La diffusione dei reattori statunitensi era una caratteristica di molti Stati che possedevano propri programmi nazionali di ricerca e sviluppo; nell'Unione Sovietica e nell'Europa orientale erano invece diffusi i modelli sovietici.
Lo sviluppo di questa nuova industria, piuttosto che la semplice prospettiva di costruire centri di progettazione di reattori, determinò notevoli investimenti e implicò programmi nazionali di addestramento per ingegneri, scienziati e tecnici. In molti paesi tali iniziative furono sostenute da un più ampio mutamento di tendenza nella politica culturale postbellica verso un maggiore rilievo dato alla scienza e alla tecnologia. I nuovi esperti avrebbero potuto occuparsi delle diverse fasi del ciclo completo del combustibile, a partire dall'estrazione e lavorazione dell'uranio alla costruzione di appositi impianti, fino allo smaltimento delle scorie nucleari. Diversi paesi parteciparono però soltanto ad alcune di queste attività, per la scarsezza di risorse naturali o per decisioni di tipo politico. Nel mondo, del resto, gran parte del personale tecnico si occupò delle fasi meno visibili del ciclo del combustibile, come l'arricchimento dell'uranio attraverso apposite tecnologie, la fabbricazione del combustibile stesso e il riprocessamento di quello consumato.
Negli anni Sessanta e Settanta, con la creazione delle infrastrutture, si ebbe un incremento nella costruzione di impianti commerciali, in particolare da parte degli Stati che per primi erano stati attivi nell'ambito dell'energia nucleare: l'Occidente industrializzato, l'Unione Sovietica e il Giappone. In alcuni paesi, in particolare negli Stati Uniti e nella Repubblica federale di Germania, l'avvio dell'industria in questo settore fu problematico nella prima metà degli anni Settanta, ma in molte nazioni lo shock petrolifero del 1973 si rivelò fondamentale nel rafforzare l'iniziativa del governo nei confronti dell'energia nucleare. Negli anni Ottanta e Novanta, sotto la spinta di nuovi interessi, alcuni Stati ripensarono la propria programmazione. La domanda di nuovi impianti diminuì e alcuni di quelli preesistenti furono chiusi; contemporaneamente altre nazioni, soprattutto economie emergenti dell'Asia, si indirizzarono decisamente verso l'energia nucleare. All'inizio del 2003, 441 reattori di potenza fornivano circa un sesto dell'elettricità mondiale ed erano avviati o pianificati importanti programmi di costruzione in Stati quali la Repubblica popolare della Cina, l'India, la Russia, Taiwan, il Giappone e la Corea del Sud.
Il campo dell'energia nucleare, basato in modo essenziale su nuove conoscenze tecniche, si è sviluppato parallelamente ad altre scienze. Poiché i reattori potevano liberare una quantità enorme di neutroni, essi fornirono possibilità di ricerca scientifica. Contemporaneamente, i programmi di addestramento successivi alla guerra avevano formato fisici nucleari e sanitari, radiochimici, radiobiologi e scienziati dei materiali, insieme con nuove generazioni di ingegneri nucleari che sperimentavano progetti avanzati di reattori; tali impegni non potevano infatti essere portati a termine senza la conoscenza della teoria scientifica di base relativa ai parametri nucleari e al comportamento dei materiali. La relazione tra energia nucleare e scienza non fu comunque sempre chiara. Gli ingegneri che costruirono i primi reattori a Hanford non erano molto soddisfatti dei fisici che si supponeva dovessero guidare il progetto; d'altra parte, in alcune fasi del ciclo del combustibile ci si affidava molto più alla pratica che alla conoscenza teorica, con conseguenze negative che divenivano evidenti soltanto in fase di esercizio.
Dopo la scoperta del neutrone nel 1932, il bombardamento con neutroni divenne una tecnica standard della fisica nucleare. I neutroni possono provocare molte trasformazioni nucleari; fu proprio una sorgente radioattiva concentrata di neutroni che rese possibile la scoperta della fissione nucleare. Dopo la Seconda guerra mondiale, le precedenti sorgenti di neutroni furono perlopiù superate, inclusi i vecchi emettitori naturali laboriosamente purificati, così come i ciclotroni degli anni Trenta. I nuovi reattori permettevano invece che i materiali fossero attivati radioattivamente in modo artificiale mediante un intenso flusso di neutroni che proveniva dal nocciolo, comportando conseguenze come, per esempio, il notevole aumento della disponibilità di radioisotopi per uso medico e di ricerca. I nuclei radioattivi potevano essere incorporati in quantità molto maggiore in molecole biologicamente significative ed essere impiegati per seguire processi metabolici. Il vantaggio di utilizzarli come traccianti contribuì in modo sorprendente a ridefinire il panorama scientifico postbellico; insieme con lo sviluppo della biologia molecolare e della biochimica, per esempio, la rinascita dell'ecologia derivò in larga misura dalle nuove possibilità di investigare l'ecosistema.
Il reattore come strumento di ricerca nella fisica presentava analogamente molte sfaccettature. I neutroni potevano essere adoperati per studiare i materiali in modo piuttosto simile ai raggi X: la diffusione dei neutroni poteva far luce sulla distribuzione dei nuclei, sui momenti magnetici elettronici e sulle vibrazioni molecolari, rivelandosi estremamente utile per analizzarne struttura e dinamica. Questa tecnica ricevette un riconoscimento ufficiale nel 1994, quando fu assegnato il premio Nobel per la fisica a Bertram Brockhouse e Clifford G. Shull, per le ricerche effettuate nei laboratori sui reattori nucleari negli anni Quaranta e Cinquanta. L'uso, per scopi di ricerca, della diffusione dei neutroni divenne, assieme alla produzione di radioisotopi, un'ulteriore giustificazione per la costruzione di reattori. Tuttavia, dallo studio dell'energia nucleare derivarono anche altri risultati, con minori applicazioni dal punto di vista industriale. La conferma dell'esistenza del neutrino, una particella subatomica che interagisce in modo trascurabile con la materia, fu ottenuta grazie agli esperimenti svolti in un reattore statunitense per la produzione di plutonio. I neutrini sono rilasciati nelle reazioni nucleari insieme ai neutroni; la piccolissima frazione che colpì il rivelatore fu scoperta grazie all'enorme flusso prodotto nel reattore di Savannah River (South Carolina). La ricerca scientifica alla base di tale risultato, condotta nel 1956 da due scienziati di Los Alamos, Martin L. Perl e Frederick Reines, valse loro il premio Nobel per la fisica nel 1995.
L'impiego scientifico dei reattori nucleari rese evidente l'utilità, per la ricerca, di questi strumenti. Già alla fine degli anni Cinquanta piccoli reattori furono commercializzati presso le università e i centri di ricerca; negli anni Sessanta e Settanta ne fu installato un numero enorme nel mondo, e qualcuno se ne consegna ancora oggi. La maggior parte dei paesi acquistò piccoli reattori per questo tipo di uso, piuttosto che centrali elettriche nucleari complete. Tali strumenti furono inseriti inoltre nei programmi di studio sull'energia nucleare, permettendo a studenti e tecnici di acquisire esperienza nella costruzione e nella verifica dei materiali oltre che nell'utilizzo dei reattori nucleari.
L'ingegneria nucleare seguì propri programmi di ricerca nello studio di progetti riguardanti reattori di tipo avanzato. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, la possibilità di realizzare il reattore autofertilizzante veloce (FBR, fast breeder reactor) catturò l'immaginazione di molti progettisti. Questo tipo di reattore utilizzava neutroni veloci (non moderati) per ottenere la reazione a catena; fatto molto importante, in esso era volutamente aumentata la produzione di nuovo materiale fissile, come il plutonio, che contribuiva a provocare la fissione all'interno del reattore e poteva essere riciclato per alimentare un altro reattore. Essenzialmente, l'FBR creava ulteriore materiale fissile che successivamente esso stesso consumava: il sogno dei progettisti dei reattori. Gli ostacoli di tipo ingegneristico dell'FBR erano enormi, poiché il nocciolo del reattore doveva essere straordinariamente compatto e doveva sopportare temperature molto elevate; inoltre, la reazione a catena con neutroni veloci doveva essere tenuta sotto stretto controllo. Qualora tali problemi fossero stati risolti e si fosse riusciti a costruire e mettere in funzione tali reattori con un impegno economico accettabile, gli ingegneri nucleari degli anni Cinquanta e Sessanta avevano previsto un futuro dominato dagli FBR. Le difficoltà tecniche ed economiche incontrate resero tuttavia vana tale speranza: furono costruiti soltanto pochi reattori di questo tipo, molti dei quali ebbero problemi rilevanti.
Da allora la ricerca sui reattori è stata caratterizzata da minimi miglioramenti e sono stati presi in considerazione anche progetti non convenzionali: si è proposto il torio come combustibile alternativo all'uranio o al plutonio e sono stati sperimentati diversi modi di assemblaggio del combustibile. Nonostante la maggior parte degli interessi ingegneristici fosse diretta verso un miglioramento delle prestazioni economiche dei reattori, sono entrati in gioco altri criteri: l'idea più importante e innovativa consisteva nell'attenzione posta sulla sicurezza passiva, emersa come alternativa ai controlli convenzionali sui reattori. I sistemi di sicurezza attiva, i più vecchi, erano affidati a operatori che azionavano meccanismi per far funzionare a dovere il reattore; i sistemi di sicurezza passiva, d'altra parte, si fondavano su meccanismi basati su fenomeni fisici, come la gravità, per ridurre le possibilità di errore umano. Questo cambiamento equivalse a riconoscere che gli operatori erano parte del sistema da progettare. Alla luce di incidenti in cui gli operatori avevano provocato problemi o li avevano peggiorati, la scelta fu di dare più peso alla regolarità delle leggi fisiche piuttosto che all'imprevedibilità dell'azione umana.
Argomenti di ricerca sono stati anche diversi passaggi del ciclo del combustibile nucleare. Nella parte iniziale, il processo di arricchimento dell'uranio, sviluppato durante la guerra e nei primi approcci successivi al conflitto, otteneva la separazione isotopica utilizzando dispositivi a centrifuga che consumavano molta energia elettrica. Tale fase ha attratto recentemente l'attenzione degli specialisti del laser, che mirano a sintonizzare alcuni laser sull'esatta frequenza della luce in modo da procurare variazioni chimiche negli atomi, o nei composti contenenti 235U ma non 238U. Nella parte finale del ciclo, i metodi di rilavorazione si sono mantenuti relativamente stabili, soggetti soprattutto ad aggiustamenti evolutivi; tuttavia, l'uso di nuovi tipi di carburante ha modificato la tecnologia adottata, a partire dal tentativo di alcuni paesi di fabbricare il carburante MOX (mixed oxide), contenente sia uranio sia plutonio. D'altro canto la parte finale, e la meno interessante, del ciclo del combustibile, ossia lo smaltimento delle scorie, è stata oggetto di ricerche minori per alcuni decenni dopo la Seconda guerra mondiale. Inizialmente, il riprocessamento delle scorie derivate dalla fabbricazione di armi fu abbandonato per sperimentare reazioni chimiche sconosciute in contenitori a pareti sottili; inoltre, furono interpellati tecnici e scienziati del settore petrolifero per avere risposte sulla possibilità di collocare le scorie entro formazioni geologiche. Da allora, i cambiamenti sono stati straordinari; il settore affronta oggi questioni di modellizzazione e di sperimentazione estremamente complesse, che coinvolgono scale temporali estese fino a decine di millenni e oltre. In parte, è proprio la complessità e l'incertezza della conoscenza scientifica ad aprire al dibattito politico le proposte sullo smaltimento delle scorie nucleari.
Fino agli anni Sessanta, le preoccupazioni pubbliche in relazione all'energia nucleare erano limitate. Da allora tuttavia, in alcuni paesi, specie dell'Occidente industrializzato, si è riscontrato un aumento dello scetticismo nell'opinione pubblica. In qualche caso, l'energia nucleare è divenuta un forte elemento di divisione politica e i dibattiti sul suo futuro hanno conseguentemente condotto a netti mutamenti degli scenari nazionali. Iniziati negli anni Sessanta, i movimenti d'opinione sull'energia nucleare raggiunsero l'apice negli anni Settanta e Ottanta e i loro effetti in qualche caso giungono fino a oggi. Mentre l'Italia, per esempio, ha posto fine alla produzione dell'energia nucleare e la Repubblica federale di Germania ha iniziato il processo di dismissione delle centrali, gli Stati Uniti sono caratterizzati da una situazione interlocutoria; viceversa in Francia, in Giappone e in molti altri paesi procede l'utilizzo di impianti nucleari.
Le obiezioni sollevate dagli oppositori del nucleare erano diverse, tuttavia divennero questioni di grande interesse, per quanto riguarda in particolare la salute e la sicurezza, poste in relazione con le emissioni radioattive degli impianti nucleari o con i piani di collocazione delle scorie. La tendenza alla scarsa chiarezza su tali questioni da parte delle burocrazie e delle industrie nucleari nazionali e i casi in cui queste si dimostrarono disattente, ingannevoli o disoneste favorirono la nascita di un clima di diffidenza. In tale situazione, le rassicurazioni da parte del mondo scientifico in favore del nucleare avevano un impatto trascurabile, specie quando, nel dibattere argomenti controversi, gli scienziati che si opponevano alla politica nucleare si dimostravano più persuasivi dei loro antagonisti.
Una serie di incidenti verificatisi negli impianti nucleari intensificò il dibattito pubblico. Una linea di confine fu l'incidente di Three Mile Island negli Stati Uniti, avvenuto nel 1979, con perdita di refrigerante. Un accumulo di piccoli guasti portò a una fusione parziale del nocciolo e ad altri accadimenti imprevisti nell'impianto, a cui si aggiunsero piccole fuoriuscite di materiale radioattivo assieme al panico generale. Sebbene i danni procurati agli esseri umani fossero modesti, quelli causati all'industria nucleare statunitense, già in situazione di crisi economica, furono rilevanti. Assai più devastante fu l'esplosione, nel 1986, di uno dei reattori RBMK avvenuta a Černobyl, nell'Unione Sovietica (ora Ucraina). La tipologia del reattore, combinata con la negligenza di funzionamento e di amministrazione dell'impianto, portò a una situazione in cui la reazione a catena avvenne completamente fuori da ogni controllo. La temperatura del nocciolo aumentò a tal punto che il combustibile si scisse e l'acqua refrigerante si trasformò in vapore fuoriuscendo dal reattore. Una seconda esplosione e un forte incendio sviluppatosi nel moderatore a grafite liberarono parte del combustibile fuso e i prodotti della fissione in una vasta nube radioattiva. Furono trentuno le vittime immediate dell'incidente; molti di più furono coloro che rimasero esposti al materiale radioattivo, un numero elevato dei quali successivamente si ammalò di cancro. In Europa, e specialmente in Scandinavia, i monitor di controllo della radiazione captarono la pioggia radioattiva, provocando scalpore a livello internazionale. L'incidente polarizzò l'opinione pubblica mondiale e in vari paesi, tra cui l'Italia, indirizzò le politiche nucleari nazionali verso un nuovo corso.
Gli oppositori del nucleare evidenziarono altre questioni centrate sulla relazione tra l'energia e le armi nucleari. La maggior parte di coloro che sostenevano l'industria nucleare civile riteneva che si trattasse di un falso problema, mentre quasi tutti gli attivisti antinucleari consideravano tale rapporto inscindibile. Le forti convinzioni contrarie alle armi nucleari e i propositi per un attivismo pacifista caratterizzarono spesso le proteste contro l'energia nucleare. Nello stesso tempo, queste preoccupazioni sulla proliferazione delle armi fecero dubitare che la diffusione dell'energia nucleare nel mondo potesse avvenire senza che si diffondessero anche le armi nucleari. Molte delle tecnologie nucleari ‒ l'arricchimento di uranio, la produzione di plutonio e il riprocessamento ‒ furono, in effetti, ripartite lungo lo spartiacque civile-militare; una nazione poteva cercare di sviluppare un arsenale nucleare sotto la copertura di un programma energetico commerciale. Gli sforzi iniziali per continuare a utilizzare l'energia nucleare per scopi pacifici (tra gli Stati non già in possesso di armi nucleari) condussero nel 1957 alla creazione della IAEA (International Atomic Energy Agency), sotto l'egida delle Nazioni Unite, e nel 1968 alla stipula del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (Nuclear Non-Proliferation Treaty). Naturalmente non tutti gli Stati ratificarono questo trattato e le linee guida di salvaguardia della IAEA furono efficaci soltanto a condizione che i paesi fornitori di impianti ne rispettassero i criteri e che i governi nazionali ne autorizzassero ispezioni e verifiche. Già nel 1974 l'India fece esplodere un 'dispositivo nucleare pacifico' a plutonio ricavato da un reattore di ricerca CANDU. Le preoccupazioni sulla proliferazione riguardanti il plutonio portarono nel 1977 gli Stati Uniti a proibire il riprocessamento del carburante nei propri reattori di potenza civili, anche se i tentativi di persuadere altri paesi a fare lo stesso risultarono vani e il divieto fu ufficialmente abolito quattro anni più tardi. Nei paesi dove si levarono opposizioni politiche, l'industria dell'energia nucleare dovette fronteggiare manifestazioni di protesta, occupazioni di luoghi e contestazioni all'autorizzazione di nuovi impianti. In generale, le coalizioni antinucleari fecero propri molti temi di tipo ambientalista e chiesero voce in capitolo sulle politiche energetiche nazionali; spesso esternavano preoccupazioni sullo sviluppo tecnologico non controllato e diffidenza sulla competenza tecnica. Con il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, un altro bersaglio ambientalista divenne la presenza di reattori di potenza dell'era sovietica nell'Europa orientale. Quando la produzione di reattori per il mercato interno divenne difficoltosa, i fornitori di impianti e di servizi di tale settore fortemente globalizzato si indirizzarono a nuovi mercati. Dagli anni Novanta il concetto di sviluppo sostenibile e nuove preoccupazioni riguardanti i combustibili fossili e il riscaldamento globale del Pianeta hanno fornito alle argomentazioni favorevoli all'energia nucleare una lieve connotazione ambientalista.