La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Prodotti chimici di sintesi dal catrame di carbon fossile e dal carbone
Prodotti chimici di sintesi dal catrame di carbon fossile e dal carbone
L'ultimo quarto del XIX sec. è stato testimone della nascita della moderna industria basata sulla ricerca scientifica, dinamica rappresentata in assoluto dall'applicazione della chimica organica alla produzione di beni materiali. Questa è stata la principale caratteristica di quella che è nota come 'seconda rivoluzione industriale' e che, iniziata intorno al 1870, avrebbe determinato il modo in cui gli studi scientifici si sarebbero sviluppati per quasi un secolo in ambito sia accademico sia industriale. La principale materia prima di questa 'avventura chimica', che aveva avuto origine in Inghilterra e in Francia negli anni Sessanta del XIX sec., fu il carbone, nonché il sottoprodotto proveniente dalla sua conversione in gas e coke per illuminazione e riscaldamento, il catrame (o tar) di carbon fossile.
I composti intermedi prodotti nella distillazione secca del carbone, principalmente gli idrocarburi aromatici benzene, toluene e naftalene, furono utilizzati come nuovi coloranti sintetici. Essi avrebbero trasformato il mondo della moda e della sanità e fornito nuovi materiali per gli studi biologici e per le applicazioni militari. All'inizio del XX sec., la nascente industria chimica fondata sulla lavorazione del catrame di carbon fossile fu in grado di realizzare il primo polimero sintetico, la plastica conosciuta come 'bachelite', e, attraverso una linea di ricerca che sviluppò analogie basate sulle proprietà biologiche dei coloranti, di produrre il primo farmaco capace di aggredire le infezioni direttamente nelle regioni del corpo da esse colpite. Gli sviluppi principali di tale progresso ebbero luogo in Europa, particolarmente in Germania, che, dopo il 1900, monopolizzò la produzione di questi nuovi prodotti. Tuttavia, lo scoppio della Prima guerra mondiale determinò una ripresa delle relative attività in Inghilterra e in Francia e condusse all'affermazione dell'industria chimica moderna negli Stati Uniti.
La ricerca industriale condiziona le prospettive della scienza e delle sue applicazioni in un modo che potrebbe apparire meno sistematico rispetto a quanto avviene nella scienza accademica. I suoi obiettivi sono invariabilmente orientati dagli interessi delle aziende e delle grandi imprese, e i relativi risultati diventano completamente accessibili a seconda se vengano pubblicati in giornali accademici o registrati sotto forma di brevetti. In alcuni casi gli esiti della ricerca rimasero riservati per periodi molto lunghi a causa di obblighi contrattuali che imponevano restrizioni alla loro pubblicazione. Tuttavia, durante il XIX sec. il finanziamento della ricerca chimica accademica promosso dalle aziende diventò un fattore importante per la crescita della conoscenza scientifica. Questo sforzo emerse innanzi tutto dall'utilitarismo estremamente competitivo basato sulla chimica organica sintetica.
Esso determinò l'offuscamento della distinzione tra scoperta scientifica, riportata nei giornali accademici, e invenzione basata sulla scienza e documentata negli archivi degli uffici brevetti. Entrambe erano sottoposte a un esame dettagliato, nel primo caso da autorevoli scienziati e nel secondo da funzionari. Prima che una scoperta potesse essere considerata un'invenzione attuabile, si richiedevano esaurienti procedure di verifica, che in alcuni casi prevedevano migliaia di esperimenti di controllo. Gli inventori chimici, applicando tali protocolli ai coloranti sintetici, furono indotti a studiare i catalizzatori, i preparati farmaceutici, la formulazione di sostanze per la protezione delle colture e i polimeri sintetici. Oltre l'invenzione si entra nel campo dell'innovazione, con la progressione dell'invenzione in un processo completo di scala industriale.
Agli inizi l'industria fondata sulla scienza non si basò sugli aspetti più avanzati di questa, anche se essa fornì indubbiamente metodi e regole di lavoro, seppure incompleti. Gli scienziati, infatti, furono principalmente stimolati dalla stessa industria ad approfondire lo studio dei coloranti, e a ottenere informazioni sui prodotti del catrame di carbone e sulle loro reazioni chimiche. In particolare, fu così per i fornitori di coloranti dell'imponente industria tessile europea. I chimici si confrontavano con la necessità di comprendere la struttura dei nuovi coloranti sintetici, con l'obiettivo non soltanto di scoprirne altri ottenibili dal catrame di carbon fossile, ma anche di difendere gli interessi delle loro industrie nelle vertenze sui brevetti.
Fu l'abbondanza e il basso costo della materia prima a rendere allettante la ricerca sui coloranti; inoltre, l'accessibilità e la pronta applicazione della teoria dell'anello benzenico di Friedrich August Kekulé (1829-1896), risalente al 1865, collocò su solide basi scientifiche la prospettiva di replicare le molecole dei coloranti naturali. L'anello benzenico di Kekulé era rappresentato come un esagono, con un atomo di carbonio in ogni vertice e legami singoli e doppi alternati tra i sei atomi di carbonio costituenti, a ognuno dei quali era legato un atomo d'idrogeno.
Le tinte naturali diedero il via alle più grandi sfide scientifiche che comprendevano la conoscenza della loro struttura, i processi per migliorarne la produzione, nonché i percorsi per la loro sintesi. L'unica caratteristica che le accomunava ai coloranti organici, sia naturali sia sintetici, era la loro origine da idrocarburi aromatici, il benzene e i composti consimili, che potevano essere ottenuti dalla distillazione del catrame di carbon fossile. Il colorante rosso noto come alizarina, ricavato dalla radice della robbia e, dopo l'indaco, il più importante pigmento naturale, fu il primo a svelare i suoi segreti. Esso era coltivato in Europa e in Oriente, e utilizzato principalmente dai tintori tessili e dagli stampatori britannici di cotone (calicò).
Durante gli anni Sessanta del XIX sec., si ritenne che l'alizarina fosse un derivato del naftalene (naftalina), anche questo un idrocarburo ricavabile dal catrame di carbon fossile, e già allora rappresentato mediante due anelli di benzene condensati. Il benzene e il naftalene furono classificati nelle serie aromatiche degli idrocarburi organici. Nel 1868 Carl Graebe (1841-1927) e Carl Theodor Liebermann (1842-1914), assistenti del premio Nobel Adolf von Baeyer alla Gewerbeakademie di Berlino, scuola d'arti e mestieri d'eccellenza in Prussia, applicarono reagenti e sostituzioni note per dimostrare che l'alizarina era fondata sull'antracene, un raro idrocarburo ricavato anch'esso dal catrame di carbon fossile, e non sul naftalene, e inoltre stabilirono un metodo per la sintesi del composto in laboratorio.
Consapevoli delle relative implicazioni commerciali, i due ricercatori prussiani si premurarono di non rivelare i dettagli sperimentali della loro scoperta, che avevano assicurato mediante un brevetto nel momento in cui la annunciarono al convegno della Deutsche Chemische Gesellschaft: il colorante era ottenuto ossidando l'antracene ad antrachinone, che in due passaggi successivi era poi convertito in un prodotto identico a quello naturale. Nel maggio del 1869 Graebe e Liebermann vendettero i diritti del loro brevetto all'industria tedesca Badische Anilin- & Soda-Fabrik (BASF) di Ludwigshafen.
Il direttore tecnico della BASF era Heinrich Caro (1834-1910), che aveva avuto esperienza come colorista tessile lavorando per diversi anni in un'industria di prodotti chimici per tessuti di Manchester.
Le sintesi realizzate in un laboratorio sperimentale prevedono spesso metodi che non sono trasferibili all'industria commerciale, e il metodo di Graebe e Liebermann che necessitava del bromo, elemento molto costoso, non faceva in questo senso eccezione.
Caro, quasi per caso, lavorando nelle condizioni di laboratorio, scoprì un percorso di sintesi che era commercialmente praticabile; insieme a Graebe e Liebermann, il 25 giugno 1869 egli compilò a Londra un brevetto per il processo, appena un giorno prima che William H. Perkin (1838-1907), il fondatore dell'industria dei coloranti sintetici (1856) con la sua scoperta del color malva, ne presentasse uno quasi identico. Piuttosto che affrontarsi in una controversia legale lunga e costosa sulla priorità dei brevetti, la BASF e l'azienda di Perkin raggiunsero un accordo sulla divisione del mercato e sullo scambio di informazioni tecniche e scientifiche. Così mentre Perkin fu il primo a produrre l'alizarina, la BASF ebbe il sopravvento grazie all'avvio della collaborazione scientifica tra Caro e Baeyer. Se Graebe e Liebermann avevano ottenuto la composizione e la struttura parziale dell'alizarina, e rappresentarono l'antracene con tre anelli benzenici condensati, Baeyer e Caro, da parte loro, ne stabilirono l'attuale formula di struttura completa pubblicandola nel 1874. Ciò ebbe straordinarie implicazioni per lo sviluppo dei processi industriali e condusse al rapido declino della coltivazione della robbia non soltanto in Europa.
Questa ulteriore conferma della validità della teoria dell'anello benzenico di Kekulé consentì la scoperta di altri nuovi coloranti e di vari intermedi dai quali essi potevano essere realizzati. Inoltre, determinò la perdita da parte degli inventori e dei chimici britannici e francesi del primato della conoscenza chimica richiesta per la scoperta dei coloranti sintetici.
La collaborazione accademico-industriale inaugurata da Caro e Baeyer, quando quest'ultimo si trovava a Strasburgo (1870-1875), sarebbe durata per circa vent'anni. Essa rappresentò quattro decenni di importanti scoperte che erano fondate su questo tipo di rapporto, nella gestione del quale la Germania conseguì i successi maggiori; inoltre condusse a una simbiosi quasi permanente tra istituzioni accademiche e imprese di produzione. Essa divenne pertanto il modello di collaborazione per altre industrie tedesche di coloranti ottenuti a partire dal catrame di carbon fossile, quali la Bayer, la Hoechst e l'AGFA.
Nel 1875 Otto N. Witt (1853-1915), un chimico colorista tedesco che lavorava in una fabbrica del settore nei pressi di Londra, sviluppava una teoria delle materie coloranti e della loro costituzione, grazie alla quale predisse l'esistenza di un nuovo colorante color arancio composto da due derivati amminici degli idrocarburi ricavati da catrame di carbon fossile. Egli scoprì presto il colorante ignoto, con le proprietà che aveva previsto: la sua costituzione era intermedia tra quella di due coloranti simili ottenuti da Caro in Inghilterra, anche se quest'ultimo aveva soltanto una conoscenza empirica della reazione coinvolta.
Agli inizi del 1876, Witt condivise i dettagli della sua scoperta con Caro, circostanza che consentì alla BASF di produrre la crisoidina, il primo di quelli che furono conosciuti con il nome di azocoloranti, costituiti dall'unione di due metà aromatiche, un sale di diazonio intermedio e un componente di copulazione.
Tale reazione di copulazione diventò un percorso standard per la produzione di numerosi azocoloranti attraverso il 'ponte' atomico −N=N−. La grande sfida nell'ideare azocoloranti fu la produzione di nuovi intermedi dai composti del catrame di carbon fossile come il benzene, gli alchilbenzeni (toluene e omologhi superiori), il naftalene e i fenoli. Le reazioni multistadio, che includono la nitrazione, la riduzione del gruppo nitro al gruppo amminico e la solfonazione, furono condotte in condizioni che favorivano la realizzazione degli isomeri desiderati.
Sempre nel 1875 Baeyer fu nominato direttore del Dipartimento di chimica dell'Università di Monaco. Tre anni dopo, due dei suoi assistenti, Hermann Emil Fischer (1852-1919) e Philipp Otto Fischer (1852-1932) stabilirono, ancora per degradazione e sintesi, che la prima generazione di coloranti sintetici, spesso conosciuti come coloranti di anilina, erano tutti derivati del trifenilmetano (o più correttamente, di un triarilmetano).
Questa scoperta consentì l'invenzione di un'intera classe di nuovi coloranti. La teoria di Witt delle materie coloranti e della loro costituzione divenne un utile modello predittivo per definire i gruppi funzionali che nelle molecole erano responsabili del colore, delle sue modificazioni nonché della sua presa sul tessuto.
Le eccezionali ricadute scientifiche, il tempo e i capitali considerevoli investiti in queste ricerche, richiamarono l'attenzione sull'importanza di proteggere i diritti delle nuove invenzioni chimiche attraverso brevetti. I sistemi per i brevetti vigenti in Francia e Gran Bretagna, anche se largamente diffusi, non erano sufficientemente attrezzati di fronte ai nuovi ritrovati chimici, e ciò consentì alle industrie tedesche, negli anni Sessanta, di imitare impunemente i procedimenti chimici di quei due paesi, anche perché fino agli anni Settanta in Germania mancava del tutto una legislazione sui brevetti chimici.
Nel 1877, in seguito alle pressioni politiche esercitate dall'industria dei coloranti e dai chimici tedeschi, fu introdotta una legge a tale riguardo e tanti ritrovati cominciarono a essere validamente tutelati. Ciò incoraggiò tanto la crescita della ricerca industriale quanto le collaborazioni con i chimici accademici, che inoltre indirizzavano i loro studenti verso progetti di ricerca nei settori più avanzati della chimica, quelli appunto focalizzati sui composti aromatici d'interesse per l'industria dei coloranti.
Per essere utilizzati con successo nella tintura dei tessuti, i coloranti, sia sintetici sia naturali, necessitavano di agenti fissanti, chiamati 'mordenti', che erano generalmente composti metallici. Nel 1884 Paul Böttiger mentre lavorava alla Bayer scoprì un colorante della classe azo che aderiva ai tessuti senza aver bisogno del mordente. Fu questo il primo colorante della serie della benzidina, di grande successo, di cui molti membri furono sintetizzati dalle industrie AGFA, Bayer e Hoechst. La Bayer tentò anche di ricavare un azocolorante blu che avrebbe dovuto competere con il blu ottenuto dall'indaco, tuttavia il progetto ebbe un successo parziale come anche, prima del 1890, gli studi sulla sintesi e sulla struttura del blu naturale.
Negli anni Sessanta del XIX sec., Baeyer e altri chimici tedeschi iniziarono a compiere indagini sulla struttura dell'indaco, ma la quantità limitata di informazioni di cui potevano disporre ostacolava il proposito di individuare un percorso per la sua sintesi. A metà degli anni Settanta, Caro incoraggiò Baeyer a tornare su tale progetto e quest'ultimo, nel 1880, sviluppò un metodo che Caro stesso trasformò in una sintesi quasi totale dell'indaco. La BASF vendette il prodotto agli stampatori di calicò, ma esso non fu un successo commerciale. Molto significativa, dal punto di vista accademico e industriale, fu la definizione dell'attuale formula di struttura dell'indaco, ottenuta da Baeyer e comunicata per la prima volta in una lettera a Caro, datata 3 agosto 1883.
La protezione del monopolio di un'industria era un punto cruciale per il successo commerciale, talvolta più dello sviluppo di nuovi processi e di nuovi prodotti. Durante l'ultima parte degli anni Ottanta, Caro fu sempre più impegnato in vertenze legali per conto della BASF, e generalmente anche i dibattiti scaturiti da queste controversie contribuirono allo sviluppo di nuove conoscenze scientifiche. Egli si ritirò dagli stabilimenti di Ludwigshafen nei primi anni Novanta, dopo aver preso in mano il Laboratorio centrale di ricerca della BASF, il primo di questo tipo e modello tanto per le altre strutture di ricerca industriali quanto per i laboratori accademici. Nel Laboratorio della BASF si sviluppavano sia nuovi programmi di ricerca sia lavori sperimentali a sostegno delle controversie legali sui brevetti, inoltre la loro attività era supplementare a quella svolta negli altri laboratori di Ludwigshafen, ognuno dei quali era associato a un reparto di produzione, dove veniva svolto sia il lavoro analitico sia quello di ricerca. I laboratori di ricerca industriale si avvalevano di abili chimici che, generalmente, avevano conseguito il dottorato presso istituzioni accademiche; ciò riduceva la necessità di attribuire a consulenti esterni il ruolo di principali ideatori di nuovi processi e di nuovi prodotti.
Nel 1890 Carl Heumann (1850-1893) individuò al Politecnico di Zurigo due vie per la sintesi dell'indaco, una basata sull'anilina ottenuta dal benzene, l'altra sul naftalene. I diritti dei processi furono acquistati sia dalla BASF sia dalla Hoechst, che investirono somme considerevoli per la loro commercializzazione. La BASF sviluppò il processo catalitico a contatto per la produzione di acido solforico e acquisì i diritti per la produzione elettrochimica di alcali e cloro. Nel luglio del 1897, il primo indaco sintetico lasciò Ludwigshafen destinato al mercato dei coloranti, in anticipo rispetto al prodotto della Hoechst, e con l'inizio del nuovo secolo il mercato dell'indaco naturale indiano crollò.
Nel breve volgere di pochi anni si realizzò un'altra scoperta di capitale importanza, quella dei coloranti antrachinonici al tino. Nel 1901 René Bohn (1862-1922), direttore del laboratorio per l'alizarina della BASF, applicò le condizioni della reazione di sintesi dell'indaco al 2-amminoantrachinone e ottenne il colorante blu che denominò 'indantrone', da indaco e antrachinone (successivamente conosciuto come 'indantrene blu RS'). L'indantrone è costituito da due unità antrachinoniche collegate attraverso un anello 1,4-diazinico. Robert E. Schmidt insieme ad altri chimici ne stabilì la struttura alla Bayer, e i laboratori di ricerca industriale cominciarono a ricavare diversi coloranti al tino intermedi. Nel 1904 un assistente di Bohn sintetizzò il benzantrone a partire dall'antrachinone e la relativa reazione divenne presto rilevante a livello industriale.
Agli inizi del 1870 Joseph Lister (1827-1912) illustrò in una conferenza in che modo era riuscito a sfruttare la proprietà germicida del fenolo (o acido fenico) per introdurre l'antisepsi nella sua pratica clinica. A questo risultato seguirono presto altre applicazioni mediche delle sostanze chimiche aromatiche. Secondo le intuizioni del medico ricercatore Paul Ehrlich (1854-1915), premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 1908, i coloranti da catrame di carbon fossile e la teoria di Witt dei coloranti consentirono di comprendere meglio il funzionamento dei processi biologici di ossidoriduzione mediante l'utilizzazione del guadagno e della perdita del colore, e favorirono anche l'individuazione delle caratteristiche strutturali delle cellule. Ancora nei primi anni Settanta egli sviluppò una nuova metodologia di ricerca all'Università di Strasburgo utilizzando un tessuto trattato con coloranti sintetici. Ehrlich giunse a utilizzare tali coloranti, partendo dal concetto della tintura selettiva e dalla teoria di Witt, per ricavare prodotti che potessero attaccare le zone del corpo colpite da infezione. Nel 1891 conseguì il suo primo successo con il blu di metilene somministrato contro la malaria, anche se gli effetti collaterali, colorazione della pelle inclusa, ne ostacolarono l'applicazione corrente. Negli anni Ottanta le industrie Hoechst, Bayer, Schering e Kalle studiarono le proprietà farmacologiche dei derivati degli intermedi dell'industria del colore. Nel 1883 e nel 1884, rispettivamente, la Hoechst introdusse gli analgesici kairina e antipirina, come risultato di una ricerca intrapresa da consulenti esterni dell'Università di Erlangen. La BASF produsse l'antipiretico tallina, ma a ciò non fece seguito un programma di ricerca in campo farmaceutico. La revisione, risalente al 1891, della legge tedesca sui brevetti estese la tutela dei diritti alle medicine, previa dimostrazione che fossero sostanze sintetizzate chimicamente. Questo si tradusse in un maggiore incentivo per una nuova linea di ricerca chimica, condotta da organizzazioni dotate di risorse adeguate alla gestione e al finanziamento dei relativi progetti, ossia le industrie dei coloranti sintetici. La categoria dei coloranti medicinali incluse l'acriflavina, il verde brillante e il violetto di metile.
Aspirina, Salvarsan e chemioterapia
Nel 1896 la Bayer costituì un laboratorio di ricerca farmaceutica a Elberfeld dove, coordinati da Arthur Eichengrün (1867-1949), operavano otto chimici e farmacologi che utilizzavano la reazione di Kolbe-Schmitt per combinare il biossido di carbonio al sale sodico del fenolo per produrre il salicilato di sodio, ossia il sale sodico dell'acido 2-idrossibenzoico. Tale composto curava la febbre e riduceva i sintomi dolorosi, ma aveva un cattivo sapore e irritava la bocca, la gola e lo stomaco. Nel 1897 i ricercatori del laboratorio di Elberfeld sintetizzarono l'acido 2-etanoilidrossibenzoico, o acido acetilsalicilico, che superò il problema degli effetti collaterali indesiderati e nel 1899 fu registrato dalla Bayer all'ufficio brevetti imperiale di Berlino con il nome commerciale di Aspirina. Il farmaco entrò in commercio inizialmente in forma di polvere e dal 1900 fu accessibile come pastiglia solubile.
Di contro, la Hoechst intraprese programmi di ricerca sia nei propri laboratori sia con l'ausilio di consulenti esterni. Nel 1893 i suoi chimici scoprirono il piramidone, un antipiretico che fu commercializzato nel 1897, mentre la collaborazione con Robert Koch (1843-1910) portò nel 1892 alla produzione della tubercolina, proposta quale utile strumento diagnostico piuttosto che come farmaco per la cura della tubercolosi, e quella con Emil von Behring (1854-1917) sfociò nella produzione di un siero per inoculazione contro la difterite e il tetano. L'anestetico locale novocaina, scoperto da Alfred Einhorn (1857-1917) all'Università di Monaco nel corso di ricerche sui sostituti della cocaina, fu messo in produzione dalla Hoechst nel 1905. Tuttavia, il successo più rilevante fu raggiunto attraverso la collaborazione con Ehrlich, direttore dal 1899 dell'Institut für Experimentelle Therapie di Francoforte e dal 1906 dell'adiacente Georg-Speyer-Haus, entrambi opportunamente vicini agli stabilimenti Hoechst e Cassella. Il lavoro di Ehrlich riguardò in successione composti capaci di colpire gli agenti patogeni della malaria, dell'encefalite letargica e della sifilide. Un azocolorante rosso, denominato 'tripan rosso', risultò essere efficace contro i tripanosomi, sebbene non determinò una cura della patologia da essi originata. Pertanto Ehrlich si orientò allo studio degli analoghi arsenici degli azocomposti. Nel 1909 il suo assistente Sahachiro Hata (1873-1938) scoprì attraverso accurati esami di laboratorio che il preparato numero 606 distruggeva le spirochete della sifilide; esso diventerà in quello stesso anno il prodotto Salvarsan della Hoechst, seguito, subito dopo, dal composto 914, il Neosalvarsan. Ehrlich aveva così trovato il primo di quelli che definì 'proiettili magici', i quali avrebbero distrutto gli agenti patogeni nel corpo senza colpire le cellule. Egli continuò a sviluppare il modello dell'interazione cellule-agenti chemioterapici secondo le analogie con le molecole dei coloranti aromatici: trasformò i sostituenti chimici, ovvero le catene laterali, in recettori, come in effetti aveva fatto nel 1897 con una teoria degli anticorpi e delle loro relazioni di specificità con gli antigeni omologhi. Tuttavia, malgrado ricerche intensive, fondate su una prospettiva razionale, nessun altro proiettile magico comparve fino alla metà degli anni Trenta del XX secolo.
Bachelite
Nei primi anni del Novecento la ricerca sui materiali isolanti per i dispositivi elettrici fu condotta da chimici, ingegneri elettrotecnici e inventori, che tentavano di trovare nuovi prodotti per sostituire o integrare la gomma naturale e la guttaperca. Alcuni sperimentarono che quando si faceva reagire il fenolo con la formaldeide il prodotto risultante era un polimero sintetico. Il belga Leo H. Baekeland (1863-1944), stabilitosi negli Stati Uniti, perfezionò il processo nel 1907 e registrò due brevetti chiave. Il suo principale prodotto, la bachelite, fu la prima delle termoplastiche, sostanze che, solidificate, sono caratterizzate da durezza e rigidità. Baekeland ebbe successo perché riuscì a controllare attentamente le condizioni del processo e riconobbe l'azione catalitica di acidi e basi per fornire un prodotto omogeneo. Nel 1910 egli fondò la General Bakelite Company a Perth Amboy nel New Jersey, industria che durante la Prima guerra mondiale, data la scarsità di fenolo, cominciò a utilizzare il benzene come materia prima della sua produzione.
Ammoniaca
Mentre le industrie Bayer e Hoechst applicavano le loro risorse scientifiche per indirizzare la produzione verso i prodotti medicinali, la BASF orientava i propri sforzi al fissaggio dell'azoto atmosferico. Nel 1898 William Crookes (1832-1919), nella sua allocuzione presidenziale alla British Association for the Advancement of Science, lanciò l'allarme riguardo l'incombente crisi dei fertilizzanti: questo è generalmente considerato il punto di partenza della ricerca moderna applicata al difficile problema di fissare l'azoto atmosferico in una forma utile come fertilizzante. In particolare, il fissaggio dell'azoto atmosferico stimolò grande interesse per i metodi elettrochimici e fece propri molti aspetti altamente sofisticati della chimica fisica. Un processo basato su elettricità a basso costo fu inventato in Germania da Adolph Frank (1834-1916) e dal suo assistente Nikodemus Caro (1871-1935) durante il periodo 1895-1900. Questo fu un ulteriore esempio dell'affidabilità della chimica del carbone, nello specifico la produzione elettrotermica del carburo di calcio dal carbone: si faceva reagire l'azoto con il carburo di calcio per dar luogo alla calciocianammide, che, quando veniva aggiunta al suolo, reagiva con l'acqua fornendo ammoniaca. Nel 1907 il metodo fu adottato da Frank Washburn, il quale avviò l'American Cyanamid Company per sfruttare la potenza elettrica a basso costo generata dalle Cascate del Niagara. Il fissaggio elettrochimico dell'azoto era stato realizzato anche in Norvegia, dove il processo ad arco elettrico di Kristian O.B. Birkeland (1867-1917) e Samuel Edye (1866-1940) fu inaugurato nel 1903. L'azoto era catturato come monossido che a contatto con l'aria formava il biossido, il quale in acqua produceva acido nitrico utilizzato per realizzare il nitrato di calcio che è un fertilizzante. Anche la praticabilità di questo processo dipendeva dalla disponibilità di energia elettrica a basso costo.
La BASF si era interessata al fissaggio dell'azoto a partire dal 1897, principalmente per i metodi elettrochimici del processo. Tuttavia, non avendo trovato un processo conveniente nei propri laboratori, l'industria tedesca iniziò a finanziare i progetti di ricerca accademica condotti in questo settore, in particolare dal 1908, da Fritz Haber (1868-1934) presso le Karlsruhe Technische Hochschule. Haber, premio Nobel per la chimica nel 1918, nel 1903 aveva studiato la formazione catalitica dell'ammoniaca a partire dai suoi elementi, l'azoto e l'idrogeno, ricorrendo alla chimica fisica delle reazioni gassose e, in particolare, agli studi sugli equilibri chimici di Henri-Louis Le Chatelier. Egli fu stimolato a tornare su questo progetto a seguito di una disputa sul suo lavoro teorico e sperimentale con il più autorevole fisico chimico tedesco dell'epoca, Walther Hermann Nernst. Nel 1908 Haber si avvalse della termodinamica e della cinetica chimica per realizzare una reazione ad alta pressione che impiegasse catalizzatori ed elevate temperature, coadiuvato nell'intento dal suo assistente inglese, Robert Le Rossignol. Il 2 luglio 1909 due rappresentanti della BASF, Carl Bosch e l'esperto di catalizzatori Alwin Mittasch, visitarono il laboratorio di Haber a Karlsruhe per esaminare l'apparato per la sintesi dell'ammoniaca dai suoi elementi. Pur nelle condizioni ideali, il rendimento del processo era basso, circa il 5%; tuttavia, adoperando un sistema chiuso, Haber rese possibile il riciclo di tutti i volumi d'idrogeno e d'azoto non coinvolti. La reazione era reversibile ed esotermica nella direzione del processo. Dal momento che nell'abbassare la temperatura favorendo la formazione del prodotto si rendeva il tempo di reazione troppo lungo, la reazione fu condotta alla temperatura di 600 °C per incrementarne la velocità; come catalizzatore fu scelto l'osmio o l'uranio e i gas non ancora coinvolti furono riciclati.
I brevetti per il processo in continuo furono presentati in Germania e altrove, e Haber raggiunse un accordo con la BASF sulle relative royalties. Mittasch stabilì un programma d'analisi che diventò il modello per gli studi successivi sui catalizzatori. Nel 1910 nei laboratori di Ludwigshafen fu selezionato un promettente catalizzatore di ferro-alluminio con attività prossima a quella dell'osmio e dell'uranio. Inoltre, nel 1911, si rivelò efficace un catalizzatore stabile di ferro attivato da alluminio e potassio, al quale poco dopo Mittasch aggiunse calcio come terzo promotore. Contemporaneamente Bosch era impegnato a progettare un convertitore capace di sostenere il gran calore e le alte pressioni che entravano in gioco nel sottoporre l'idrogeno a tale processo. Egli dovette risolvere il problema dell'esplosione dei convertitori d'acciaio di prova, che si verificava per infragilimento della struttura quando il carbonio della lega si combinava con l'idrogeno sulla superficie interna. Nel 1911 Bosch realizzò un convertitore a parete doppia la cui parete interna, attraverso la quale si consentiva la diffusione dell'idrogeno, era costituita da acciaio dolce a basso contenuto di carbonio. La parte interiore della parete interna era rivestita con il catalizzatore, mentre la parete esterna era d'acciaio ordinario. L'idrogeno diffondendosi attraverso la parete interna subiva una diminuzione di pressione e veniva, in seguito, a contatto con la parete esterna, che, se scaldata da una fonte di calore anch'essa esterna, non diventava fragile. Attraverso tali accorgimenti le sollecitazioni sulla parete esterna erano considerevolmente ridotte, in particolare quando si consentiva il rilascio in atmosfera di una modica quantità d'idrogeno attraverso piccoli fori ('fori di Bosch'). Quando nel 1913 a Ludwigshafen il processo diventò di serie, con la reazione condotta alla pressione di 250 atm, fu considerato un'impresa di ingegneria chimica senza uguali. Dal 1915 furono operativi convertitori d'ammoniaca alti 12 m e pesanti 75 t.
Il carbone era la materia prima del processo. Nel 1910 l'idrogeno poté essere ottenuto dalla reazione tra vapore e coke caldo che produceva per l'appunto idrogeno e monossido di carbonio, conosciuto come gas d'acqua o gas di sintesi. Anche l'azoto si poteva ottenere dal coke caldo: la miscela prodotta era costituita da monossido di carbonio e azoto ed era chiamata gas di gasogeno. In seguito, una miscela formata da azoto e idrogeno nelle proporzioni richieste dall'equazione chimica (cioè 1:3) fu realizzata a partire dal gas di gasogeno e dal gas d'acqua.
Nei primi anni del XX sec., le industrie tedesche dei coloranti e un piccolo gruppo di industrie svizzere ‒ antesignane della CIBA, della Geigy e della Sandoz ‒ erano produttori leader di coloranti sintetici e le loro strategie di ricerca, basate su gruppi di lavoro e collaborazioni tra scienza accademica e industria, erano senza uguali. In Gran Bretagna, al contrario, ci si affidava a inventori isolati o a laboratori industriali poco attrezzati: Perkin, per esempio, lavorava da solo in un piccolo laboratorio situato vicino ai suoi stabilimenti di Greenford Green nei pressi di Londra. Nelle ricerche sui derivati dell'alizarina egli era assistito da Edward Schunck (1820-1903) di Manchester, nel cui laboratorio privato si studiava la chimica dei coloranti naturali. Tuttavia, poiché si rese conto che con le sue limitate possibilità di ricerca non poteva rivaleggiare con i gruppi di ricerca tedeschi, liquidò la sua attività alla fine del 1873. Anche Ludwig Mond (1839-1909), imprenditore leader nell'industria degli alcali, operava su piccola scala e negli anni Ottanta effettuò alcuni esperimenti nella sua casa di Londra.
La considerevole crescita dell'industria chimica tedesca si basava su un'attività, il controllo dei monopoli dei brevetti, per la quale era assolutamente decisiva la conoscenza scientifica sostenuta dalla ricerca istituzionale. Insieme ad abili strategie di marketing ciò inibì ovunque, a eccezione della Svizzera, lo sviluppo dell'industria dei coloranti. Agli inizi del XX sec., le industrie chimiche tedesche si trovarono a dominare il mercato mondiale e le loro risorse destinate alla ricerca e sviluppo orientarono la domanda di sapere accademico verso le promettenti possibilità della chimica delle sostanze aromatiche, occasione che determinò lo sviluppo della chimica organica classica. I migliori ricercatori nelle diverse aree della chimica organica, come Fischer, accrebbero la loro reputazione con la ricerca sui composti che riguardavano l'industria dei coloranti, e questo interesse si evidenziò anche altrove, in particolare in Inghilterra. L'esempio tedesco fu preso a modello e tra i più vivaci ricercatori vi fu Raphael Meldola (1849-1915), inventore del colorante blu di Meldola. Egli aveva lasciato nel 1885 l'industria di coloranti Brook, Simpson & Spiller (BS&S), indignato dalla mancanza d'interesse del suo datore di lavoro per le nuove invenzioni. Nello stesso anno, Meldola divenne professore di chimica al Finsbury Technical College e da quel momento si adoperò per il miglioramento dell'educazione scientifica, anche se con modesti risultati.
Arthur G. Green (1864-1941), successore di Meldola alla BS&S, non essendo meno critico riguardo alle condizioni della ricerca scientifica nell'industria dei coloranti, denunciò come i soci preferissero incassare i profitti piuttosto che investire in strutture e programmi di ricerca. Ivan Levinstein (1845-1916), un produttore di coloranti di successo nei cui laboratori a Blackley (Manchester) era stato condotto un apprezzabile lavoro scientifico, individuò il problema fondamentale nell'inadeguatezza della legge britannica sui brevetti e s'impegnò in un'attività di lobbying che portò nel 1905 a una sua revisione. Tuttavia, sotto molti aspetti non era più possibile recuperare i ritardi maturati. Nel 1906 Meldola presiedette il comitato esecutivo per il giubileo del primo colorante da catrame di carbon fossile scoperto da Perkin, ossia l'anilina: mentre l'impresa di Perkin era celebrata come l'inizio del magnifico connubio tra scienza e industria, l'evento non fece altro che confermare la posizione dominante della Germania nell'industria basata sulla scienza e anche nelle scienze chimiche.
Nel 1914 poteva già essere riscontrata una stretta equivalenza tra scienza e tecnologia, in particolare in Germania dove i laboratori di ricerca dell'industria dei coloranti erano attrezzati alla pari, e spesso meglio, delle università, delle Technische Hochschulen e dei Kaiser Wilhelm Institut. I metodi di sintesi e gli studi strutturali d'importanza per l'industria dei coloranti, oppure basati su prodotti resi accessibili dai laboratori industriali, dominavano le pagine del "Berichte der Deutsche Chemische Gesellschaft". In Germania, i migliori rappresentanti degli istituti di ricerca si affermavano attraverso contributi portati alla chimica dai prodotti del catrame di carbon fossile. Di lì a poco, i nitroderivati di questi prodotti, il cloro e altri composti dell'industria dei coloranti sarebbero stati impiegati nelle operazioni belliche.
Il messaggio di Meldola fu preso in considerazione soltanto allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando fu designato membro del Board of Trade Committee per l'approvvigionamento dei prodotti chimici. In quel periodo i coloranti e i loro intermedi, molti di questi ultimi richiesti nella produzione degli esplosivi, costituivano materiale strategico di cui, in Gran Bretagna, esisteva una modesta industria nazionale. Meldola fu anche membro del Committee for Scientific and Technical Research che nel 1916 diventò il British Department of Scientific and Industrial Research. Durante la guerra, le industrie di coloranti britanniche e francesi furono indotte a rivitalizzare i loro malconci stabilimenti attraverso la realizzazione sia di prodotti per le uniformi militari sia di intermedi per esplosivi, in particolare trinitrofenolo (acido picrico) e trinitrotoluene (TNT).
La penuria di coloranti ebbe notevoli ripercussioni negli Stati Uniti. Nel 1914, con la sospensione delle forniture dalla Germania, che necessitava dei coloranti e dei loro intermedi per usi militari e subiva anche il blocco britannico delle spedizioni marittime, l'industria chimica e tessile americana perseguì attivamente una strategia tesa all'autosufficienza nella produzione dei coloranti. Industrie come la Du Pont de Nemours e la Dow Chemical furono quindi orientate alla produzione chimica altamente specializzata fondata sulle conoscenze scientifiche, e furono costituite nuove aziende, come la Calco Chemical Company, a Bound Brook nel New Jersey, che si specializzò nella produzione di intermedi a partire da benzene, toluene e naftalene. I chimici americani, dovendo fronteggiare la scarsità di antracene, inventarono un processo di produzione per la conversione catalitica di naftalene in acido ftalico, che unito al benzene dava l'antrachinone. Nel 1917 la Du Pont inaugurò un nuovo grande insediamento industriale a Deepwaterpoint nel New Jersey, e un ruolo anche più importante rivestì il gruppo di industrie che si fusero per formare la National Aniline & Chemical Co., dal 1920 parte della Allied Chemical & Dye Corporation. L'industria dei coloranti statunitense beneficiò della disponibilità di informazioni sui brevetti tedeschi resa possibile da un'organizzazione conosciuta come Chemical Foundation. Prima del 1914 si stimava che ci fossero negli Stati Uniti soltanto sette piccole industrie di sostanze coloranti mentre alla fine della Prima guerra mondiale se ne potevano contare circa cento, alcune delle quali non erano affatto piccole.
Durante la Prima guerra mondiale fu dato grande impulso all'espansione e alla diversificazione delle industrie chimiche di altri paesi europei. In Italia, la distillazione del catrame di carbon fossile ebbe inizio nel 1915. Essendo l'agricoltura ancora d'importanza primaria per l'economia, il processo Frank-Caro per il fissaggio dell'azoto fu installato, senza successo, nei primi anni del Novecento a Piano d'Orte nei pressi di Terni. Nel 1917-1918, Luigi Casale (1882-1927), in precedenza assistente di Nernst, registrò il suo primo brevetto per la produzione d'ammoniaca ad alta pressione.
Sia la produzione dell'indaco nel 1897 sia quella dell'ammoniaca dal 1913 attraverso il processo Haber-Bosch comportarono notevoli sforzi scientifici durati molti anni, seguiti da attività di ricerca e sviluppo nei laboratori industriali; attività, queste, che non poterono essere uguagliate da strutture accademiche o industriali al di fuori della Germania fin dopo la Prima guerra mondiale. Tali programmi su grande scala avrebbero determinato nel XX sec. la tendenza dell'industria di fondarsi sulla conoscenza scientifica, e sarebbero diventati il modello per l'organizzazione della scienza applicata.
La sofferente industria britannica dei coloranti fu rianimata soltanto dal controllo diretto del governo, una prima forma di nazionalizzazione che ebbe inizio nel 1915 con la costituzione della British Dyes Ltd attraverso l'acquisizione della fabbrica Read Holliday & Sons in Huddersfield. L'industria scozzese Morton Sundour Fabrics gestiva la produzione di coloranti al tino, inclusi gli intermedi, e la Levinstein Ltd nel 1917 produceva indaco sintetico negli stabilimenti di Ellesmere Port confiscati alla Hoechst. Nel 1920, i chimici della sezione coloranti della Morton, Scottish Dyes Ltd, scoprirono quello che sarebbe diventato il colorante al tino maggiormente prodotto nel mondo, il 16,17-dimetossi-dibenzantrone (commercialmente, caledonian jade green).
Nel 1918-1919, per creare una forte organizzazione che potesse competere con le industrie tedesche, la British Dyestuffs venne fusa con l'altra grande industria britannica del settore, ossia la Levinstein Ltd, dando vita alla British Dyestuffs Corporation. Il professor Green, allora alla guida del Dipartimento di chimica del colore all'Università di Leeds, fu scelto nel 1916 dalla Levinstein per dirigere un dipartimento di ricerca che collaborava con diverse università britanniche e alcuni istituti tecnici. In Gran Bretagna la nazionalizzazione fu la risposta alla Interessengemeinschaft, o comunione d'interessi tra i due gruppi più importarti dell'industria tedesca. Nel 1918 anche i produttori svizzeri di coloranti ‒ Ciba, Geigy e Sandoz ‒ fondarono una comunità di interessi. Dopo il 1918, le industrie tedesche, secondo gli accordi di risarcimento postbellici, furono obbligate a rifornire di coloranti le nazioni vincitrici del conflitto e ciò contribuì a mantenere la Germania nella condizione di produttore leader nel settore.