La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. Geometria differenziale
Geometria differenziale
La geometria differenziale è lo studio dei problemi geometrici mediante i metodi dell'analisi. Le origini risalgono al XVII sec., e nel XIX era una delle branche più attive della matematica. I problemi tipici studiati dai geometri differenziali dell'epoca riguardavano curve nel piano e curve e superfici nello spazio. Per esempio, a partire da precedenti lavori di Joseph-Louis Lagrange (1736-1813) e di altri, il fisico belga Joseph Plateau (1801-1883) studia la forma delle lamine di sapone con bordo assegnato. Queste lamine tendono a formare superfici di area minima e, per questo motivo, tale branca della geometria viene detta 'teoria delle superfici minime'. Ebbe un notevole sviluppo nel XIX sec. e, come molti dei maggiori problemi posti in quel secolo, sarà affrontata da nuovi punti di vista nel corso del secolo successivo, mentre altri nuovi temi di ricerca si andavano affermando. Nel XX sec. la geometria differenziale si occupò di spazi di dimensione superiore e della ricerca di esempi di superfici e di oggetti di dimensione superiore con determinate proprietà. Ma si occupò anche dello studio di spazi in sé, sotto l'impulso delle ricerche di Albert Einstein (1879-1955) sulla descrizione matematica della gravitazione e dello spazio-tempo fisico quadridimensionale. Anche questi aspetti complementari della disciplina risalgono al XIX secolo.
Il contributo che più caratterizza questa disciplina si ebbe negli anni Cinquanta del secolo ed è dovuto al matematico tedesco Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866), che si basò su una precedente idea di Carl Friedrich Gauss (1777-1855). Questi aveva dimostrato nel 1827 che la curvatura di una superficie (una misura di quanto essa sia ben approssimata da una sfera, da un piano o da una sella di forma data) è una proprietà intrinseca. Ciò significa che la si può determinare attraverso misure che fanno intervenire soltanto la superficie e non lo spazio ambiente. Riemann osservò allora che ciò permette di studiare la geometria delle superfici indipendentemente da qualunque spazio nel quale si suppongano esistere, e anzi che si possono definire e studiare le superfici senza nemmeno supporne l'esistenza in qualche spazio tridimensionale. Dalla disciplina che si occupava di superfici immerse nello spazio euclideo si separò così un nuovo campo di ricerca, la geometria intrinseca. Riemann sostenne che per studiare la geometria intrinseca (bidimensionale) bastava considerare un insieme di punti (bidimensionale, nel senso intuitivo che sono necessarie due coordinate per descrivere l'intorno di un punto) sul quale misurare le distanze lungo una curva. Ciò permette di definire le geodetiche (le curve di minima lunghezza tra due punti), che corrispondono alle rette della geometria del piano. La restrizione a due dimensioni è arbitraria, e Riemann propose subito lo studio della geometria intrinseca di spazi di dimensione qualunque (anche infinita). Da questo punto di vista diventa possibile studiare la geometria su una superficie senza pensarla immersa in uno spazio. Una prima conferma di questa impostazione si ebbe quando il matematico italiano Eugenio Beltrami (1835-1900) utilizzò le idee di Riemann per costruire una geometria bidimensionale non euclidea. David Hilbert (1862-1943) avrebbe in seguito dimostrato che non vi sono superfici nello spazio euclideo tridimensionale che rappresentino in modo appropriato la geometria non euclidea.
In un'altra direzione, Rudolf Otto Sigismund Lipschitz (1832-1903), Elwin Bruno Christoffel (1829-1900) e altri si occuparono di un problema, proposto per la prima volta dallo stesso Riemann, che richiede di stabilire in quale caso due metriche:
sono equivalenti, cioè se esiste una trasformazione di coordinate che manda una forma nell'altra. La risposta di Christoffel fu nei termini di un complicato sistema di equazioni nelle quali intervengono le derivate parziali delle funzioni gij, che furono poi chiamate 'simboli di Christoffel'. Il lavoro dei due matematici mostra numerosi aspetti che saranno caratteristici degli studi a venire: numero qualunque di dimensioni, tecniche complicate e formali, proprietà locali.
La geometria differenziale si occupa tradizionalmente di proprietà locali di curve e superfici, il genere di problemi ai quali l'analisi si applica in modo naturale. I problemi di carattere globale cominciarono a essere formulati intorno al 1900 seguendo l'impostazione delineata da Felix Christian Klein (1849-1925) nel Programma di Erlangen del 1872. Da questo punto di vista la geometria è lo studio di uno spazio sul quale agisce un gruppo in modo che certe proprietà siano conservate. Per esempio, nell'usuale geometria euclidea piana lo spazio è il piano e il gruppo è il gruppo delle isometrie (trasformazioni che conservano le lunghezze). Oltre alla lunghezza le isometrie conservano le rette, gli angoli e di fatto la grandezza e la forma delle figure. Un secondo esempio è quello della geometria proiettiva. Si può estendere il piano aggiungendo una retta e ottenere il gruppo delle proiezioni di questo piano 'proiettivo' in sé. Tale gruppo conserva pochissime proprietà delle figure; tra queste, l'appartenenza di un punto a una retta o la proprietà che due rette si incontrano in un punto.
Klein introdusse questa filosofia per spiegare in che modo geometrie diverse possano essere collegate (negli anni Settanta del XIX sec. la proliferazione di geometrie oltre quella euclidea fu fonte di discussioni). Il gruppo delle isometrie euclidee è un sottogruppo del gruppo delle trasformazioni proiettive, e lo spazio proiettivo un sottospazio dello spazio euclideo. Klein attribuiva molta importanza a questa gerarchia delle geometrie conosciute; la sua crescente influenza come organizzatore della matematica ne agevolò la diffusione.
Altri matematici, quali il norvegese Sophus Lie (1842-1899) e il francese Jules-Henri Poincaré (1854-1912), trovarono ancora importanti applicazioni del concetto di gruppo di trasformazioni. In particolare, Lie fornì gli elementi essenziali della classificazione dei gruppi delle trasformazioni infinitesime. Da questo straordinario risultato, poi ottenuto indipendentemente da Wilhelm Karl Killing (1847-1923), per ottenere il quale fu assistito dagli studenti di Klein e di Poincaré che venivano mandati ogni tanto a studiare da lui affinché i risultati ottenuti fossero completati, si aprì un nuovo campo di ricerca. Allo stesso tempo si dimostrava che i gruppi che a mano a mano venivano scoperti erano, con poche eccezioni, esattamente quelli già noti. Alla morte di Lie, i suoi lavori erano essenzialmente completi, ma scritti in modo così oscuro che pochi se ne occuparono. La teoria delle equazioni differenziali alle derivate parziali e delle trasformazioni di contatto fu, di questi lavori, la parte più facilmente accettata: essa era infatti quella che corrispondeva più da vicino agli interessi di Jean-Gaston Darboux (1842-1917), una figura molto importante a Parigi. Chi si interessò attivamente alle idee di Lie sui gruppi di trasformazioni fu élie Cartan (1869-1951) il quale diede forma rigorosa a quelle idee correggendo alcuni errori di Lie e di Killing. Tuttavia anche lui passò poi allo studio dei sistemi di equazioni differenziali, che si avviavano a divenire una parte importante della più vasta analisi tensoriale.
Nel 1900 lo studio della geometria differenziale fu sviluppato più lungo linee tradizionali che non secondo l'aspetto intrinseco. Darboux, figura di punta della geometria, aveva scritto molto su problemi riguardanti le superfici, e anche insegnato e tenuto conferenze sull'argomento. I suoi manuali divennero i testi di riferimento per i matematici che volessero conoscere i risultati del XIX sec. e i problemi attuali. Darboux si era occupato a lungo, tra l'altro, di superfici minime. Queste comprendono le superfici di area minima generate da una curva dello spazio e si possono pensare simili a quelle che formano le lamine di sapone. Ma può anche trattarsi di superfici infinite senza bordo, ciascuna componente delle quali è di area minima.
In termini geometrici, una superficie è 'minima' se, e soltanto se, la curvatura media è nulla. L'intuizione di Riemann e, indipendentemente, di Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897) fu di capire che questa proprietà implica che l'applicazione di Gauss di una superficie minima è meromorfa. Ciò permetteva ai geometri differenziali di far uso di tecniche della teoria delle funzioni complesse, e Weierstrass dimostrò, utilizzando precedenti risultati di Alfred Enneper, come definire rappresentazioni parametriche di queste superfici valide su tutto il loro insieme di definizione. Un'impostazione che lasciava aperto il problema di trovare la corretta rappresentazione di una data curva e che, inoltre, non spiegava le proprietà globali di una superficie, come la questione di sapere se essa interseca o no sé stessa lungo altre curve. Darboux dette molti esempi di superfici minime, e riassunse una copiosa e spesso eterogenea letteratura su questo argomento, dimostrando così che esistono superfici minime la cui equazione è algebrica, superfici minime rigate, superfici minime con una data curva piana come geodetica, superfici minime non orientabili (la superficie di Henneberg), e così via. Il matematico Luigi Bianchi (1856-1928) fece opera analoga per il pubblico italiano.
Anche le applicazioni tra superfici furono ampiamente studiate. Le origini risalgono naturalmente allo studio delle applicazioni cartografiche della Terra sulle pagine di un atlante. Un'applicazione estremamente utile fu introdotta da Gauss e oggi è chiamata 'applicazione di Gauss'. Essa associa a ogni punto di una superficie immersa nello spazio la direzione della sua normale in quel punto. Questa direzione è descritta da un punto variabile sulla sfera unitaria, e quindi l'applicazione di Gauss applica la superficie sulla sfera unitaria. La curvatura di Gauss in un punto della superficie è definita allora come il limite del rapporto tra l'area dell'immagine sulla sfera unitaria di un triangolo che racchiude il punto e l'area del triangolo quando lo stesso tende a ridursi a un punto. In un importante risultato, generalizzato in seguito da Pierre-Ossian Bonnet (1819-1892), Gauss dimostrò che l'integrale della funzione curvatura esteso a un triangolo finito i cui lati sono geodetiche è legato alla somma degli angoli del triangolo.
La teoria delle applicazioni che conservano gli angoli (rappresentazioni conformi) fu particolarmente sviluppata in quanto Gauss, il matematico francese Joseph Liouville (1809-1882) e Riemann avevano dimostrato che essa è intimamente legata alla teoria delle funzioni complesse. In effetti, una rappresentazione conforme di una superficie è necessariamente espressa da una funzione olomorfa. Vi fu anche un notevole interesse nello studio delle applicazioni di una superficie in un'altra che trasformano un tipo di curve in un altro: per esempio, le applicazioni di una superficie su un piano che trasformano geodetiche in rette. Però con Darboux lo studio della geometria differenziale rimase ristretto allo studio delle curve e delle superfici dello spazio euclideo tridimensionale.
Uno dei pochi risultati di geometria globale del XIX sec. ha origine nella teoria delle funzioni complesse. Nei primi anni Ottanta, Poincaré e Klein avanzarono la congettura che ogni superficie di Riemann (che si può supporre di curvatura costante) è l'insieme quoziente del piano complesso, della sfera di Riemann o del disco non euclideo rispetto a un gruppo discreto di trasformazioni. Nel 1883 Poincaré dette una dimostrazione, incompleta, di questo fatto; esso fu poi dimostrato rigorosamente nel 1907 dallo stesso Poincaré e, indipendentemente, dal tedesco Paul Koebe (1882-1945). Sono state poi trovate dimostrazioni più semplici di questo risultato, che prende il nome di 'teorema di uniformizzazione'. Dalla teoria di Gauss delle superfici segue che la geometria delle superfici è intrinseca: il teorema di uniformizzazione implica che la geometria intrinseca è in quasi tutti i casi non euclidea. Pertanto, nell'intorno di un suo qualsiasi punto una superficie di Riemann a curvatura costante è simile localmente a una porzione di sfera, a una porzione del piano euclideo o di uno spazio non euclideo bidimensionale.
Una congettura di William P. Thurston che ha impegnato molti matematici negli ultimi trent'anni riguarda un enunciato analogo al teorema di uniformizzazione per oggetti tridimensionali. In questo caso vi sono da considerare otto tipi di geometrie, e la 'superficie tridimensionale' può essere composta da pezzi con geometrie diverse uniti insieme.
Alla fine dell'Ottocento lo studio della geometria differenziale intrinseca, in due o più dimensioni, non era andato molto oltre il punto in cui l'aveva portato Riemann, anche perché quest'ultimo non aveva lasciato alcuna trattazione sistematica della materia. Personalità di spicco in questo campo erano due matematici italiani Gregorio Ricci-Curbastro (1853-1925) e Tullio Levi-Civita (1873-1941). Basandosi su lavori precedenti di Lipschitz, Christoffel e altri, essi scrissero una serie di importanti articoli, tra cui spiccano la memoria di Ricci-Curbastro del 1895 e il lavoro congiunto del 1900. Essi svilupparono una teoria per misurare le lunghezze in diversi sistemi di coordinate e per definire in che modo due vettori in punti diversi di una superficie si possano considerare paralleli. Nel piano vi è una definizione naturale, ma su ogni altra superficie la definizione fa necessariamente intervenire la nozione di trasporto parallelo di vettori lungo una curva. Questa può funzionare in molti modi, secondo teorie che erano dette del 'parallelismo a distanza' e che ora sono chiamate delle 'connessioni'. Altri matematici si sono occupati di come definire concetti intrinseci in diversi sistemi di coordinate, dando origine a una fiorente teoria, anche se tecnicamente molto complessa, di quelli che venivano detti gli 'invarianti differenziali'.
L'idea originale di Levi-Civita fu quella di definire il trasporto parallelo di un vettore u tangente a una superficie in un punto P nel modo seguente. Egli suppone che la superficie sia immersa nello spazio euclideo tridimensionale; il vettore u è dunque parallelo a un unico vettore v applicato in un altro punto P′ della superficie; quest'ultimo ha una componente u′ tangente alla superficie, e un'altra u″ perpendicolare alla prima, per cui v=u′+u″. Levi-Civita definisce come vettore parallelo a u il vettore u′ tangente in P′. Questa definizione è aperta alle ovvie obiezioni che non è intrinseca e che è priva di senso quando il vettore u′ è nullo. Ma se si richiede che P′ sia un punto a distanza infinitesima da P, una nozione che si può rendere precisa, allora la definizione è intrinseca e il vettore parallelo è determinato dalla metrica definita sulla superficie. In un successivo lavoro, pubblicato nel 1917, Levi-Civita dà una nuova definizione di trasporto parallelo su una varietà n-dimensionale in uno spazio euclideo, che funziona quando la metrica è non degenere, in particolare se la metrica è pseudoriemanniana o indefinita come nella teoria della relatività. Hermann Weyl (1885-1955) definì la costruzione di Levi-Civita una 'connessione euclidea'. Essa permette di parlare di determinazione unica per l'angolo tra vettori applicati in punti vicini.
Nel libro del 1923, Levi-Civita studia il problema del parallelismo a distanza nel modo seguente. Dato un vettore unitario uscente da un punto P di una superficie, egli dimostra dapprima come definire il vettore unitario uscente da un altro punto P′, sviluppando la superficie su un piano lungo una curva da P a P′.
Questa definizione dipende in generale dalla scelta della curva. L'angolo tra due vettori applicati in P è invece indipendente. Se la curva scelta è una geodetica, lo sviluppo della superficie determina una retta nel piano, e i corrispondenti vettori unitari nel piano sono paralleli. Le tangenti a una geodetica sono quindi tutte tra loro parallele (rispetto alla geodetica stessa). Considerando la direzione istantanea del moto, ossia il caso in cui P e P′ sono a distanza infinitesima, Levi-Civita dà una definizione di curve parallele in termini di differenziali. Mostra allora che essendo le geodetiche definite intrinsecamente, il parallelismo lungo una geodetica è una nozione intrinseca. Muovendo da queste considerazioni egli derivò una famiglia di equazioni differenziali che determinano il parallelismo. In tali equazioni intervengono i cosiddetti simboli di Christoffel. Levi-Civita generalizza anche queste idee a una superficie a n dimensioni, dando equazioni differenziali per le geodetiche e definendo la derivata covariante in questo ambito più generale.
Tre avvenimenti significativi incideranno in modo decisivo sullo studio della geometria differenziale dopo il 1918. Si tratta dell'introduzione del concetto di varietà, della teoria della relatività generale di Einstein, e, infine, dell'accettazione, in una forma rielaborata, della teoria di Lie dei gruppi di trasformazioni.
Varietà
È difficile ricostruire un percorso storico relativo alla definizione del concetto di varietà: molti sono infatti gli esempi che ne hanno preceduto una formulazione esplicita. Un'idea semplice e intuitiva è quella di spazio composto da parti che si sovrappongono parzialmente, ciascuna equivalente a una porzione di spazio euclideo e aventi tutte la stessa dimensione. Lo spazio stesso non è necessariamente euclideo; può trattarsi, per esempio, di una sfera oppure di un toro. Questi oggetti nascono come insiemi di soluzioni di un insieme di equazioni, ma se ne possono specificare le componenti anche mediante disequazioni (per es., tutti i punti dello spazio tridimensionale ℝ3 che hanno la terza coordinata maggiore di zero).
Viceversa, partendo da un insieme di porzioni dello spazio euclideo e precisando il modo in cui devono sovrapporsi, si ottiene uno spazio assemblando i vari pezzi. Non è ovvio che così si ha un sottoinsieme di uno spazio euclideo di dimensione maggiore. Una definizione più rigorosa si ottiene considerando una varietà come uno spazio topologico ricoperto da insiemi che si intersecano, ciascuno dei quali omeomorfo a un aperto di un fissato spazio euclideo. Siano:
due tali omeomorfismi definiti su due insiemi U e U′ che si intersecano. Due opportune restrizioni delle f e f′ e le loro inverse danno applicazioni come la seguente:
che permettono di affermare che la varietà è continua, differenziabile o analitica se lo è ciascuna applicazione definita come nella [3]. Inoltre, per evitare esempi patologici che secondo nessuna definizione sarebbero varietà, sono richiesti requisiti più tecnici. La nozione precisa è in effetti abbastanza sottile: il grande matematico americano di origine cinese Shiing-Shen Chern ammette che si tratta di una nozione difficile da definire. Una nozione di varietà, intuitiva ma utile in pratica, fu enunciata con chiarezza da Poincaré negli straordinari, innovativi lavori di topologia degli anni Novanta del XIX secolo. L'idea fu poi ripresa dai topologi, i quali, per renderla praticabile, la interpretarono nel senso che una varietà ammette una triangolazione, si può cioè suddividere in simplessi (i simplessi generalizzano in dimensione superiore i triangoli e i tetraedri).
Un passo avanti decisivo fu fatto da Weyl con la sua definizione di superficie, data per poter trattare in modo rigoroso le superfici di Riemann. Egli considerava una superficie come una varietà bidimensionale, affermando esplicitamente che una superficie di Riemann non è una superficie dello spazio euclideo, bensì un insieme di punti definito specificando quali di essi si trovano in un intorno di ogni dato punto. Per ogni intorno viene assegnata un'applicazione su un disco aperto del piano, che manda gli intorni in esso contenuti in dischi contenuti nel disco immagine. Un punto è contenuto all'interno di ogni suo intorno, una condizione che esclude i bordi: la definizione di bordo di una varietà richiede attenzione. Weyl si basava poi su argomenti di Luitzen Egbertus Jan Brouwer, Max Dehn e Poul Heegaard per dimostrare che una superficie astratta così definita ammette una triangolazione.
Il libro di Weyl influì notevolmente sull'adozione dei moderni strumenti di topologia algebrica nello studio delle superfici di Riemann, una nozione definita in modo ancora ambiguo. Viceversa, mostrando che se si pensa una superficie in modo astratto si chiariscono problemi matematici classici, Weyl convinse i matematici dell'utilità di un tale approccio. Con la trattazione rigorosa in termini topologici dei principali concetti della disciplina, Weyl agevolò la modernizzazione di tutta la teoria delle superfici.
Idee analoghe vennero esposte dall'americano Oswald Veblen (1880-1960) nel 1931-1932. In precedenza Veblen era stato all'avanguardia nel generalizzare e ampliare l'impostazione assiomatica di Hilbert della geometria, che aveva portato allo studio di numerose geometrie che non possono avere come modello una varietà. Ora egli offriva una trattazione assiomatica della geometria differenziale che riprenderà in The foundations of differential geometry, del 1932, un volume scritto in collaborazione con John Henry Constantine Whitehead (1904-1960). Una svolta interessante in questi sviluppi si ebbe grazie a un altro matematico americano, Hassler Whitney (1907-1989), il quale dimostrò in un lavoro brevissimo del 1936 che una varietà di dimensione n può essere immersa nello spazio euclideo di dimensione 2n.
Il risultato di queste ricerche indica che è possibile studiare oggetti ‒ che non potrebbero essere descritti globalmente per mezzo di un unico sistema di coordinate ‒ grazie a sistemi di coordinate locali. Chern fu talmente colpito da tale sviluppo che un giorno si espresse in questi termini: "Se la geometria è il corpo umano e le coordinate sono i suoi abiti, allora per lo sviluppo della geometria si possono fare i seguenti paragoni:
Relatività generale
La teoria della relatività generale è stata costruita intorno a un'approfondita analisi dell'equivalenza tra accelerazione e gravitazione. Un esempio spesso ripetuto a dimostrazione di ciò è quello di un ascensore che cade liberamente. Le persone che si trovano nell'ascensore non sono in grado di distinguere la loro situazione da quella di chi è in una stanza sigillata al centro di uno spazio vuoto. Per entrambi la sensazione è quella della mancanza di peso: la gravità è scomparsa. Viceversa, se la stanza si muove con accelerazione costante, chi è all'interno si sente spinto verso il basso, e non è in grado di distinguere la propria situazione da quella di chi si trova nell'ascensore, ora felicemente arrivato. Consideriamo adesso la situazione della stanza come appare a un osservatore esterno, e che costituisce un riferimento inerziale (un riferimento in quiete rispetto alle stelle fisse). Se la stanza è ferma rispetto all'osservatore, chi si trova all'interno e l'osservatore esterno concordano sul fatto che la luce viaggia attraverso la stanza in linea retta. Se invece l'osservatore esterno vede la stanza accelerare incrociando il cammino della luce, vedrà la luce colpire la parete lontana più in basso di prima. L'equivalenza tra gravità e accelerazione richiede quindi che la gravità devii il percorso della luce.
La matematica adeguata a questa intuizione non è semplice (Tav. Ia e Ib).
La nostra descrizione è corretta solamente fino a un'approssimazione del primo ordine: occorre tener conto di effetti minori dovuti a effetti gravitazionali variabili. Einstein impiegò quasi dieci anni (dal 1910 al 1917) per trovare la giusta formulazione matematica, scontando alcune false partenze. Fu aiutato da Marcel Grossmann (1878-1936) matematico e suo amico, e fu solo allora che cominciò ad apprezzare la potenza e l'eleganza della matematica. Grossman lo introdusse ai lavori di Ricci-Curbastro e di Levi-Civita, e fu così che Einstein fu portato a esprimere le proprie idee sulla gravità nel linguaggio della curvatura di una varietà quadridimensionale. Mentre la curvatura di una varietà bidimensionale, o superficie, si può esprimere con un solo numero, variabile da punto a punto, la curvatura di una varietà quadridimensionale si esprime con una matrice simmetrica di sei variabili. In un cambiamento di coordinate queste variabili si comportano come un tensore, un oggetto della teoria degli invarianti differenziali e che rientrava quindi negli interessi della scuola italiana. È la combinazione di difficoltà tecniche e di potenza propria della geometria intrinseca riemanniana che doveva colpire Einstein.
Le previsioni di Einstein fecero grande impressione. Egli stupì gli esperti risolvendo un vecchio problema riguardante la precessione dell'orbita di Mercurio. Che la gravità devia la luce fu verificato da una spedizione internazionale guidata da Sir Arthur S. Eddington (1882-1944) nel 1919, che confermò quanto previsto da Einstein osservando una stella durante un'eclisse di Sole. Un fenomeno così semplice, ma all'apparenza paradossale (tutti a scuola impariamo che la luce si propaga in linea retta) e la collaborazione internazionale che si instaurò subito dopo gli orrori della Prima guerra mondiale, resero Einstein famoso nel mondo.
I matematici poi furono sorpresi da quanto Einstein aveva realizzato in un campo di loro pertinenza. Anzi, come Weyl sottolineò in una conferenza del 1949, se la teoria della relatività speciale ebbe un impatto maggiore sui fisici che sui matematici, quella della relatività generale provocò piuttosto la reazione inversa. Alcuni cominciarono quasi subito a cercare di dare un senso a quanto era stato fatto, e a generalizzarlo. Le figure di spicco impegnate in questo compito furono élie Cartan in Francia e Weyl stesso. Quest'ultimo cominciò presto a scrivere una serie di lavori sull'uso della geometria differenziale nella fisica moderna, il più noto dei quali è il volume Raum-Zeit-Materie (Spazio-tempo-materia, 1918) che doveva giungere alla quinta edizione.
Come tutti coloro che si avventurano nella fisica matematica, Weyl dovette occuparsi dell'espressione matematica di quantità fisiche. In fisica non ci si preoccupa soltanto della posizione degli oggetti, ma anche di altre loro proprietà come il momento, la carica o la fase. Le misure devono quindi specificare non solo le quattro coordinate spazio-temporali di un oggetto puntiforme, ma anche altre quantità numeriche pertinenti al tipo di oggetto in considerazione. Un diverso sistema di coordinate dà luogo a numeri diversi, legati ai primi in un modo particolare. Se le quantità, esclusa la posizione, sono di natura vettoriale, è utile pensare allo spazio di tutte le possibili misure come a uno spazio quadridimensionale (delle posizioni) a ogni punto del quale è associato un opportuno spazio vettoriale (in seguito un oggetto di questo tipo verrà chiamato 'fibrato vettoriale'). Se le altre grandezze non sono vettoriali (come, per es., la fase, che è descritta da un numero complesso di modulo 1), allora si ricorre a fibrati di altro genere.
L'idea di fibrato doveva però farsi strada lentamente: la prima formalizzazione utilizzabile è degli ultimi anni Quaranta del Novecento.
La terza edizione del Raum-Zeit-Materie di Weyl (1919) contiene il tentativo di unificare elettromagnetismo e forze gravitazionali della Natura (le sole conosciute all'epoca). Tentativo generalmente considerato fallimentare (ma vedremo più avanti che Weyl vi ritornò sopra con grande successo). Weyl fu spinto allora a considerare quello che chiamò il 'problema dello spazio' (Raumproblem), ossia trovare una caratterizzazione naturale dello spazio fisico. Egli si allontanò così dalla geometria differenziale come l'aveva concepita in passato, indirizzandosi verso un argomento destinato a un ruolo importante nel futuro della geometria differenziale.
Gruppi di Lie
In una memoria sul problema dello spazio (1922) Weyl passa in rassegna i vari modi in cui esso era stato trattato in precedenza. Prima c'erano gli assiomi di Euclide e quelli di Hilbert, ora c'è la descrizione cartesiana (come la chiama lo stesso Weyl) che fa uso di coordinate e di una metrica indefinita, la metrica di Lorentz-Einstein della relatività speciale. C'è poi l'impostazione della geometria differenziale basata sulla teoria di Riemann nella revisione di Levi-Civita, con la sua teoria del trasporto parallelo infinitesimo. È naturale che tutto ciò impegnasse a fondo Weyl. Da questo complesso di idee egli isolò la necessità di caratterizzare i gruppi ortogonali, cioè i gruppi che conservano una forma quadratica (come la x2+y2+z2−t2). E ciò andava fatto in modo che risultasse plausibile che i gruppi fossero naturalmente quelli che determinano la geometria locale dello spazio.
Nel 1926 Weyl era pronto per affrontare quella che sarà una straordinaria analisi dei gruppi di Lie semisemplici, chiarendo per la prima volta la vera natura dei gruppi di Lie, diversa da quella delle algebre di Lie all'epoca molto più note. Egli considerò i gruppi infinitesimali di Lie e di Cartan (a rigore non si tratta di gruppi ma piuttosto di algebre), e determinò i gruppi a essi associati: le trasformazioni finite generate dalle trasformazioni infinitesimali studiate da Lie. Su queste basi rigorose fu possibile creare per la prima volta una teoria dei gruppi di trasformazioni che interessa la fisica, la geometria e anche la chimica. Weyl fece tutto ciò rielaborando la teoria dei pesi di Cartan.
Cartan aveva notato che le rappresentazioni di un gruppo o di un'algebra di Lie dipendono da certe sottoalgebre massimali h dell'algebra di Lie, che in suo onore si chiamano ora sottoalgebre di Cartan; un esempio tipico è quello delle matrici diagonali. Se ñ(h) è una rappresentazione di una tale sottoalgebra, egli considera gli autovettori elementi di ñ(h). Gli autovalori corrispondenti sono i pesi; si tratta di forme lineari definite su h. Cartan dimostra che, viceversa, esiste un ordinamento dei pesi rispetto al quale un insieme massimale di pesi determina la rappresentazione della sottoalgebra.
La teoria di Cartan supponeva però che le rappresentazioni dei gruppi e delle algebre in questione fossero completamente riducibili. Questo fatto, a priori non evidente, fu dimostrato per la prima volta da Weyl. Dalla teoria dei prodotti di rappresentazioni dovuta ad Alfred Young (1873-1940) seguiva allora, con considerazioni standard, che era possibile una teoria completa delle rappresentazioni dei gruppi di Lie semisemplici. Con l'avvento della nuova meccanica quantistica questo lavoro doveva acquisire ulteriore importanza, anche se la complessa forma algebrica elaborata da Weyl in The classical groups: their invariants and representations (1939) sarebbe stata considerata proibitiva da autori successivi e spesso rielaborata.
Cartan cominciò a interessarsi alla teoria della relatività generale nel 1922 quando, su invito di Paul Langevin (1872-1946), Einstein tenne un ciclo di conferenze al Collège de France. Si incontrarono a casa di Jacques-Salomon Hadamard (1865-1963) dove discussero della teoria del parallelismo a distanza, e Cartan gli fece l'esempio della sfera, in cui due vettori sono considerati paralleli se formano lo stesso angolo con i meridiani che passano per i loro punti di applicazione (pubblicò questo esempio nel 1924). Con tale definizione le geodetiche (definite in questo caso come le curve lungo le quali non vi è accelerazione) sono curve lossodromiche, cioè le curve che intersecano i meridiani secondo un angolo costante. Egli sosteneva che il parallelismo a distanza è un caso particolare di una nozione più generale, quella di connessione euclidea. Una connessione permette di definire curvatura e torsione di una varietà; nel caso delle connessioni di Levi-Civita la torsione è nulla, tuttavia se la connessione è definita mediante un parallelismo a distanza la curvatura, e non la torsione, è nulla.
Cartan discusse queste idee in due serie di conferenze a Toronto nel 1924 e a Berna nel 1927.
Molti matematici venivano intanto attratti dalle teorie di Einstein. Tra questi l'olandese Jan Arnoldus Schouten (1883-1971), che in un lavoro pubblicato nel 1926 nei "Rendiconti del Circolo matematico di Palermo" osservò come nel XIX sec. fossero state stabilite e organizzate alla maniera di Klein tre teorie della geometria elementare, e cioè le teorie euclidea, affine e proiettiva. Nessuna di queste poteva evidentemente essere applicata così com'era alla nuova geometria differenziale. Poche varietà hanno infatti simmetrie e ammettono gruppi di trasformazioni diversi dal gruppo identico. Egli cercò quindi di colmare questa lacuna. Il problema era trovare un modo in cui il trasporto parallelo potesse essere considerato nel quadro della geometria proiettiva. Tuttavia, come avrebbe rilevato Cartan nella recensione del lavoro di Schouten, è la nozione stessa di parallelismo che non ha senso nella geometria proiettiva.
La soluzione di Schouten fu di riprendere alcune idee di Julius König (1849-1913), secondo le quali una connessione stabilisce una relazione lineare tra spazi vettoriali (non necessariamente spazi tangenti) associati a una varietà in due punti a distanza infinitesima.
Il punto di vista di Cartan fu invece di considerare il trasporto parallelo non come una nozione fondamentale, bensì semplicemente come un modo di applicare due porzioni vicine della varietà su uno stesso spazio euclideo. Egli supponeva dati una varietà e uno spazio (nel senso di Klein) associato a ogni suo punto. Questi spazi hanno tutti lo stesso gruppo di trasformazioni G: un confronto tra loro definisce una varietà con gruppo fondamentale G (in termini moderni, G è il gruppo di olonomia). In questa formulazione, uno spazio è dotato di una connessione o di un'altra a seconda del gruppo di trasformazioni di Klein scelto. Una connessione proiettiva, per esempio, viene descritta da Cartan in termini di spazi proiettivi associati a ogni punto: un confronto tra punti vicini dà luogo a una trasformazione proiettiva da uno spazio all'altro. Come hanno osservato Chern e Claude Chevalley (1909-1984) ciò si riduce a specificare una trasformazione di un'opportuna algebra di Lie. Unendo le idee di König e di Cartan, Schouten riuscì a presentare la geometria differenziale, secondo Klein, come lo studio delle proprietà che si conservano in una connessione, vista come una trasformazione dello spazio associato a ogni punto della varietà.
Nel maggio 1929, quando Einstein aveva appena compiuto cinquanta anni e veniva pubblicamente acclamato, Cartan, che dal canto suo ne aveva appena compiuti sessanta, scrisse a Einstein. Gli faceva notare che le ricerche nelle quali lui ‒ Einstein ‒ era allora impegnato sembravano in realtà fondate su un caso particolare di parallelismo a distanza e gli ricordava che avevano discusso insieme di queste idee a Parigi. Ne seguì una corrispondenza che proseguì per i tre anni successivi, finché Einstein, ancora non in grado di elaborare la teoria unificata del campo gravitazionale, si allontanò dalle teorie del parallelismo a distanza per indirizzarsi verso altre impostazioni, elaborate con il suo assistente Walther Mayer. Einstein convenne che le sue ricerche erano incluse, dal punto di vista matematico, in quelle di Cartan, confessando però di non aver capito molto della conversazione avuta a Parigi e chiedendo ulteriori spiegazioni. Egli affermò che soltanto recentemente si era reso conto di come la teoria del parallelismo a distanza potesse permettergli di derivare le equazioni del campo gravitazionale. A conclusione della vicenda Cartan, su suggerimento di Einstein, scrisse una breve rassegna storica sul parallelismo a distanza, che fu pubblicata nel 1930 nei "Mathematische Annalen", in appendice a un articolo di Einstein. In questa rassegna Cartan fondava l'idea del parallelismo a distanza sulla teoria delle forme differenziali pfaffiane. Due vettori infinitesimi su una varietà di dimensione n si dicono paralleli se e solo se, ogni elemento di una base di 1-forme ha lo stesso valore per entrambi. Una definizione, scriveva, legata a quella di Roland Weitzenböck di derivata covariante pubblicata nel 1921 e nel 1923, mentre i sistemi pfaffiani erano al centro della memoria fondamentale di Ricci-Curbastro del 1895. L'idea fu però resa esplicita per la prima volta nella memoria del 1923 dello stesso Cartan, nella quale una varietà è costituita da infinite piccole porzioni di spazio, ciascuna con una geometria nel senso di Klein (euclidea, affine, proiettiva, ecc.) e con una legge per far combaciare parti contigue. Questa legge si riduce a specificare una connessione, che può quindi essere di un qualunque tipo di Klein.
Si può trasportare, almeno intuitivamente, un vettore lungo una curva chiusa infinitesima avente per base un punto P. Se il vettore ritorna al punto di partenza con la stessa direzione, Cartan definisce nulla la curvatura della varietà in P. Se la curvatura è ovunque nulla si può parlare di parallelismo tra due vettori applicati in punti diversi (e ora a distanza finita), in quanto, come egli dimostra, il trasporto parallelo di un vettore non dipende dal cammino scelto. Si può anche definire la nozione di torsione. Cartan considera lo spostamento parallelo di un vettore lungo un cammino chiuso infinitesimo di base un punto P, ed esprime il vettore finale come trasformato di quello iniziale in una trasformazione affine. La parte vettoriale di questa trasformazione corrisponde alla torsione, quella matriciale alla curvatura. Cartan osserva che la prima teoria della relatività generale di Einstein richiedeva una varietà senza torsione, mentre la nuova una varietà senza curvatura.
I primi lavori di Cartan sulle connessioni non furono subito ripresi dagli altri ricercatori. L'impostazione rendeva difficile ottenere le più semplici definizioni dello spazio del quale si studiava la geometria. Un altro problema era che lo stile di Cartan non era dei più chiari. In una recensione di un'edizione delle lezioni di Cartan degli anni 1931-1932 Weyl le trovava "come la maggior parte dei lavori di Cartan, difficili da leggere". Jean Dieudonné (1906-1992) scrisse che tale miscela di "uno stile estremamente ellittico […] [e] di una misteriosa intuizione algebrica e geometrica aveva sconcertato due generazioni di matematici". Un'osservazione sollevata a proposito dei lavori di Cartan sui sistemi differenziali e i gruppi di Lie ma che è ugualmente valida per i lavori sulla geometria.
Le connessioni erano state studiate a fondo nei primi anni Trenta del XX sec., in particolare dalla scuola di Princeton sotto la guida di Veblen e di T.Y. Thomas. In anni più recenti il caso euclideo e quello affine sono apparsi maggiormente rilevanti. Quando intervengono le proprietà metriche di una superficie occorre definire una metrica riemanniana, e la geometria appropriata è allora quella metrica. Quando, però, è sufficiente definire le parallele a distanza, allora entra in gioco la nozione più debole di geometria affine. Per esempio, la nozione di trasporto parallelo di un vettore secondo Levi-Civita definisce in modo intrinseco una connessione affine compatibile con la metrica riemanniana della superficie. La nozione di connessione affine permette a sua volta di definire la derivata covariante, che generalizza la nozione naturale di derivata direzionale nel piano. A partire da questo punto si può costruire tutto il complesso apparato dell'analisi tensoriale.
I metodi di Cartan erano particolarmente efficaci in un quadro nel quale la geometria differenziale si dimostrava essere lo strumento più idoneo per lo studio dei gruppi di Lie. Uno strumento che conduceva naturalmente al cosiddetto metodo del riferimento mobile (repère mobile), che si può anche utilizzare con buoni risultati nello studio delle connessioni. Cartan considera un gruppo di Lie come gruppo di trasformazioni che muovono i punti di uno spazio: le possibili posizioni di un punto costituiscono la sua orbita. Egli considera poi lo spazio di tutte le orbite dello spazio di partenza. Per esempio, nell'usuale azione del gruppo degli interi sulla retta reale due punti sono equivalenti se differiscono per un intero, e pertanto lo spazio delle orbite è parametrizzato da una circonferenza.
In generale Cartan partiva da uno spazio S di dimensione p e da un gruppo di Lie G di dimensione r. Il metodo appena descritto fornisce allora uno spazio delle orbite M di dimensione p-r, che in un intorno infinitesimo di un punto è simile allo spazio ma che globalmente ha proprietà che riflettono quelle del gruppo. Cartan sceglie un sottogruppo H di G e nello stesso modo forma un secondo spazio G/H, usando G come spazio di partenza e H come gruppo.
Questi spazi si dicono 'omogenei'. Tale idea permette il confronto tra i gli spazi M e G/H. In particolare, è possibile studiare in questo modo gli invarianti differenziali di M. Cartan mostra come questa impostazione comprenda la vecchia idea dello spostamento di un sistema di assi coordinati su una superficie. Lo spazio può essere, per esempio, quello euclideo tridimensionale, e il gruppo dei movimenti quello delle trasformazioni euclidee dello spazio pensate come traslazioni e rotazioni di piccoli assi tridimensionali, o 'riferimenti' come egli li chiamava.
Data una superficie si può scegliere il sottogruppo che applica un riferimento (e la sua origine sulla superficie) in un altro riferimento. Prendendo questo gruppo come gruppo principale, si può confrontare la geometria locale della superficie e quella dello spazio euclideo. Oppure, per fare un esempio che risale al XIX sec., si immagini una curva nello spazio. Ogni suo punto si può pensare come origine di un sistema di assi paralleli a un sistema fissato di assi coordinati dello spazio. Oppure si possono scegliere gli assi uscenti da un punto della curva nel modo seguente: il primo asse è tangente alla curva, il secondo è normale e pertanto è diretto verso il centro del cerchio che meglio approssima la curva nel punto stesso, e il terzo forma con i primi due un sistema destrogiro. Contrariamente alla prima, la seconda scelta è naturale. Se si immagina di percorrere la curva a velocità costante, il primo asse è diretto come il vettore velocità, il secondo come il vettore accelerazione. Entrambi gli assi formano un sistema di riferimento mobile che fornisce una buona descrizione della curva, mentre con la prima scelta ciò chiaramente non avviene.
Questi metodi venivano applicati allo studio di varietà a curvatura costante in spazi sia euclidei sia non euclidei, per estendere i lavori del XIX sec. a spazi di dimensioni arbitrarie, e in particolare per dimostrare che per r⟨2p−1 non possono esistere nello spazio euclideo r-dimensionale varietà p-dimensionali a curvatura costante negativa. Cartan avrebbe successivamente costruito una teoria sistematica che era basata sulle nozioni di forme esterne e di derivata esterna, nella quale il ruolo delle connessioni è svolto da opportune matrici di 1-forme.
Un aspetto particolare dei lavori di Cartan e di Weyl, pur nell'impiego frequente dei calcoli, è l'accento posto su argomentazioni di carattere strutturale che evita l'uso sistematico delle coordinate. Ciò è in contrasto con la predilezione dei fisici per i sistemi di coordinate, viva ancora oggi, dovuta sia al fatto che molti dei problemi che essi affrontano hanno carattere locale, e pertanto è appropriato il ricorso a un sistema di coordinate, sia alla necessità di avere a disposizione quantità calcolabili da confrontare con i risultati degli esperimenti. Il matematico è invece più interessato a questioni di carattere globale.
La tensione tra queste due impostazioni si fece acuta. Durante la Seconda guerra mondiale, e subito dopo, due matematici decisero di riformulare la teoria secondo una linea di indipendenza dai sistemi di coordinate. Il primo fu Charles Ehresmann (1905-1979): egli intuì che una connessione permette di riconoscere in ogni punto dello spazio totale di un fibrato lo spazio tangente alla fibra e allo spazio base. Viceversa, questo spezzamento dello spazio tangente sullo spazio totale dà luogo a una connessione. L'altro matematico era Jean-Louis Koszul, che mostrò come formulare una connessione assiomatizzando opportune proprietà di una derivata covariante.
La nozione generale di fibrato venne alla luce lentamente dopo essere rimasta nascosta per un certo periodo di tempo nei lavori di Cartan. I primi a rivelarla furono il matematico americano Hassler Whitney (per i fasci di sfere), Heinz Hopf (1894-1971) ed Eduard Stiefel (1909-1978) negli anni 1935-1940, e Lev Semenovič Pontrjagin (1908-1988) in Unione Sovietica.
Whitney si occupava di famiglie di sfere associate a ogni punto di uno spazio base; il termine fibrato, che divenne standard con Norman Earl Steenrod (1910-1971) è dovuto a lui. Whitney studiò quelle che oggi si chiamano le classi caratteristiche dei fibrati di sfere. Contemporaneamente, Stiefel, uno studente di Hopf, discusse una tesi sul problema di stabilire sotto quali condizioni una n-varietà ammette n campi vettoriali ovunque linearmente indipendenti, una ricerca che lo portò a studiare il fibrato di sfere di una varietà e ad associare una classe di omologia al fibrato tangente a una varietà. Come il nome stesso suggerisce, le classi caratteristiche contengono molte informazioni sul fibrato. Per esempio, una varietà è orientabile se e soltanto se la sua prima classe di Stiefel-Whitney è nulla.
Allo scopo di generalizzare il teorema di Gauss-Bonnet a n dimensioni, Carl Barnett Allendörfer (1911-1974) e André Weil (1906-1998) studiarono il fibrato tangente a una varietà. Ma in modo non intrinseco: essi utilizzarono infatti un'immersione della varietà in uno spazio euclideo ambiente. Un'impostazione presto sostituita da quella di Chern, che diede una definizione intrinseca del fibrato tangente in un importante lavoro del 1946. Chern e Weil avevano trascorso insieme a Princeton parte degli anni 1943-1944, quando Weil aveva parlato a Chern dell'uso delle classi caratteristiche che John A. Todd (1908-1994) e William L. Edge (1904-1997) avevano fatto in geometria algebrica. A sua volta Weil aveva imparato dai lavori di Chern sulle varietà complesse come usare i fibrati in geometria algebrica. Da questa interazione nacque l'estensione di Chern delle idee di Pontrjagin a fibrati vettoriali complessi. Il primo a redigere una teoria generale dei fibrati vettoriali complessi e delle loro classi caratteristiche fu Wu Wen-Tsun nel 1950.
I primi autori davano definizioni diverse, spesso perfino incompatibili, e ciò generò qualche confusione. Allo stesso tempo, in quello che i matematici chiamano folklore circolavano molti risultati ma senza dimostrazioni esplicite. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale il primo a sistemare la materia fu il topologo americano Steenrod nel libro The topology of fibre bundles (1951). L'impostazione di Steenrod si impose rapidamente come quella standard. Un fibrato consta di vari oggetti: uno spazio base, B, che è una varietà, pensata appunto come lo spazio ambiente. Vi è poi la fibra, che è anch'essa una varietà, diciamo F, e che è uno spazio di parametri associato a ogni punto di B. Vi è quindi lo spazio totale, una varietà E, che è l'insieme di tutte le possibili combinazioni delle posizioni e dei valori dei parametri. Si considerano di grande interesse gli spazi per i quali lo spazio totale non è semplicemente il prodotto dello spazio base e della fibra. Per esempio, il cerchio si può prendere come spazio base, e i numeri reali come fibra. Vi sono essenzialmente due distinti spazi totali: il cilindro (che corrisponde al caso banale del prodotto) e il nastro di Möbius. La definizione di fibrato specifica anche un gruppo di Lie che agisce sulla fibra, e afferma che la restrizione del fibrato a intorni sufficientemente piccoli di un punto dello spazio base è banale, cioè il fibrato si riduce al prodotto dello spazio base e della fibra.
Il libro di Steenrod, oltre a chiarire i fondamenti topologici della teoria dei fibrati, presentava la teoria dei fibrati universali e la teoria della classificazione dei fibrati, mostrando che è sufficiente considerare solo fibrati principali, per i quali la fibra e il gruppo sono gli stessi, poiché metodi standard consentono di costruire un fibrato generale a partire da un appropriato fibrato principale.
Nella teoria dei fibrati un ruolo centrale ha la teoria delle classi caratteristiche, inizialmente considerate come qualcosa di misterioso. Quelle conosciute come le classi di Stiefel-Whitney sono definite solo mod 2, mentre quelle che oggi sono chiamate classi di Chern sono definite sugli interi. Un ulteriore tipo, dovuto a Pontrjagin, fu pubblicato in russo durante la Seconda guerra mondiale e inizialmente non fu conosciuto in Occidente. Pontrjagin e Chern trovarono, in maniera indipendente, che le loro classi caratteristiche potevano essere espresse in termini di forme differenziali. Questo risultato fu generalizzato da Weil. Data una varietà n-dimensionale M, il teorema di Chern-Weil stabilisce un omomorfismo dall'insieme dei polinomi invarianti all'anello delle matrici reali n × n. L'immagine di questo omomorfismo è l'insieme delle classi caratteristiche espresse come forme differenziali. Questo teorema, enunciato da Weil in una serie di lezioni tenute a Chicago nel 1949 ma pubblicate solo nel 1980, apparve a stampa in un libro del suo amico Chern nel 1951. L'ulteriore storia dei fibrati e delle classi caratteristiche è estremamente ricca ma, in virtù dei metodi adottati, appartiene forse più alla topologia algebrica che alla geometria differenziale.