La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. I fondamenti della geometria
I fondamenti della geometria
Verso la metà del XIX sec. Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866) aveva affrontato il problema dei fondamenti della geometria da una prospettiva molto generale. Nella sua lezione di abilitazione Über die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen (Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria) aveva affermato che Euclide e i suoi "moderni riformatori" assumono il concetto di spazio e le costruzioni geometriche elementari come qualcosa di dato, lasciando avvolti nel mistero i reciproci rapporti tra queste assunzioni. Secondo Riemann la ragione di tale oscurità risiedeva nel fatto che era rimasto "del tutto inesplorato il concetto generale di grandezza molteplicemente estesa", di cui l'usuale spazio a tre dimensioni costituisce soltanto 'un caso speciale'. Il sistema euclideo, aggiungeva Riemann, si basa su semplici fatti di esperienza, che non sono necessari ma "possiedono solo una certezza empirica, sono ipotesi". Le 'ipotesi' di Riemann non costituiscono dunque un momento di una ricerca sui fondamenti assiomatici della geometria, ma il tentativo di stabilire "il fondamento dei rapporti metrici" dello spazio collocandoli in un quadro teorico di grande generalità ‒ l'indagine matematica sugli spazi a n-dimensioni.
Pubblicata postuma nel 1867, quella lezione offre a Hermann von Helmholtz (1821-1894) lo spunto per un lavoro intitolato significativamente Über die Tatsachen, die der Geometrie zum Grunde liegen (Sui fatti che stanno alla base della geometria, 1868). I 'fatti' di cui parla Helmholtz sono esperienze di natura fisiologica, ricerche sulle "intuizioni spaziali nel campo visivo", che hanno dato origine a studi sull'origine e 'l'essenza' delle nostre intuizioni dello spazio. Partendo dalla definizione di metrica in una varietà n-dimensionale, Riemann aveva concluso che il movimento rigido dei corpi era possibile solamente in spazi a curvatura costante. Viceversa, per Helmholtz si giunge a tale ipotesi ‒ che costituisce il fulcro di tutta l'indagine riemanniana ‒ partendo dall'assunzione del movimento rigido dei corpi, il 'fatto' fondamentale, che sta alla base della 'dottrina dello spazio'. Qualche anno più tardi, la questione è ripresa da un nuovo punto di vista da Sophus Lie (1842-1899) nel quadro della sua teoria dei gruppi continui di trasformazioni. Nel 1890 Lie determina le proprietà necessarie e sufficienti a caratterizzare il gruppo dei movimenti rigidi (euclidei e non euclidei) di una figura in uno spazio n-dimensionale e, inoltre, dimostra che tali movimenti sono possibili soltanto in una varietà a curvatura costante.
Servendosi dei gruppi di Lie, nel 1887 Jules-Henri Poincaré aveva risolto il problema di Riemann-Helmholtz nel caso bidimensionale. In quel lavoro Poincaré aveva preso in considerazione le cosiddette 'geometrie quadratiche', associate cioè a una quadrica fondamentale. Se questa è un ellissoide, la geometria corrispondente è la geometria ellittica di Riemann. Se è un iperboloide a due falde, la geometria associata è quella iperbolica di Lobačevskij. La geometria euclidea si ottiene come caso limite dei precedenti, quando la quadrica è un paraboloide ellittico. Un'opportuna scelta degli assiomi caratterizza poi il gruppo dei movimenti euclidei nel piano. Tuttavia le ipotesi avanzate allo scopo, si chiede Poincaré, sono fatti sperimentali, giudizi analitici o sintetici a priori? Nel primo caso, la geometria sarebbe sottomessa a un'incessante revisione, non sarebbe affatto una scienza esatta. Negli altri due casi sarebbe impossibile prescindere da essi e fondare alcunché sulla loro negazione, come è invece avvenuto con le geometrie non-euclidee.
Ci si può domandare in quale senso allora sia possibile dire che i postulati della geometria euclidea siano 'veri'. La conclusione alla quale giunge Poincaré è che "la geometria non è altro che lo studio di un gruppo" e da questo punto di vista si potrebbe affermare che "la verità della geometria di Euclide non è incompatibile con quella della geometria di Nikolai Ivanovič Lobačevskij, poiché l'esistenza di un gruppo non è incompatibile con l'esistenza di un altro gruppo". Anticipando il punto di vista presentato nei suoi scritti di carattere filosofico, Poincaré sostiene che la scelta è materia di convenzioni; essa è determinata dalla semplicità del gruppo euclideo, che è solo più comodo di altri, e dall'esperienza del movimento dei corpi rigidi.
Un punto di vista assai diverso viene presentato da Moritz Pasch (1843-1930) nelle Vorlesungen über neuere Geometrie (Lezioni sulla nuova geometria, 1882), un volume che inaugura le moderne ricerche sui fondamenti assiomatici della geometria. Facendo propria l'opinione di Helmholtz relativa all'origine empirica dei concetti geometrici Pasch, nel suo scritto, sostiene che la geometria figura tra le scienze naturali ed è basata su fatti osservativi. I concetti e gli assiomi geometrici servono a descrivere il mondo esterno e devono corrispondere a fatti d'esperienza. Così, da Pasch sono chiamati 'punti' quei corpi, la cui suddivisione ulteriore non è più possibile entro i limiti dell'osservazione. In modo analogo si possono introdurre gli altri enti primitivi, il segmento di retta e la parte di piano. Anche gli assiomi corrispondono a 'fatti' empirici, come quello in base al quale due punti qualunque si possono sempre congiungere con un segmento e uno soltanto, oppure come l'assioma che oggi porta il suo nome e afferma che dato un triangolo ABC e un segmento di retta DE che taglia il lato AB, esso (o un suo prolungamento) taglia anche o AC oppure BC.
La 'moderna geometria' di cui parla Pasch è la geometria proiettiva nello spazio. Prima di costruirne l'intero edificio in maniera assiomatica, il matematico tedesco presenta una teoria assiomatica della congruenza, introducendo anche l'assioma di Archimede per studiare il continuo geometrico e costruisce poi l'assoluto nel senso di Cayley-Klein, ottenendo nuovamente i risultati di Felix Christian Klein(1849-1925) sulle geometrie euclidea e non-euclidea come sottogeometrie della geometria proiettiva.
Le Vorlesungen di Pasch rappresentarono per lungo tempo un testo di riferimento. A esse si ispirò, per esempio, Wilhelm Karl Killing nella Einführung in die Grundlagen der Geometrie (Introduzione ai fondamenti della geometria, 1893-1897) e, soprattutto, David Hilbert nei Grundlagen der Geometrie (GG, Fondamenti della geometria, 1899). Una decina d'anni prima dell'apparizione dei GG, Giuseppe Peano (1858-1932) aveva pubblicato I principii di geometria logicamente esposti (1889). I principii rispondevano alla questione sollevata da Pasch, che "il processo deduttivo deve essere totalmente indipendente dal significato dei concetti geometrici, così come deve essere indipendente dalle figure" (1882, p. 98). Il simbolismo di Peano eliminava appunto ogni ricorso a figure e rendeva trasparente il processo deduttivo dagli assiomi ai teoremi.
In quell'opuscolo Peano assume come enti non definiti 'punto' e 'retta limitata' (segmento). I primi 11 assiomi dei Principii caratterizzano la geometria della retta e coincidono essenzialmente con quelli di Pasch, come riconoscerà in seguito lo stesso Peano, rivendicando tuttavia di aver ridotto a due gli enti primitivi, ‒ punto, segmento rettilineo, parte di piano ‒ assunti dal geometra tedesco. Ridurre al minimo il numero dei concetti primitivi e degli assiomi è stata la preoccupazione costante di Peano fin dal suo primo lavoro di logica, le Operazioni della logica deduttiva poste in apertura del Calcolo geometrico (1888). Minore è il numero di concetti primitivi e di assiomi, più profonda è l'analisi: è questa la convinzione condivisa da Peano e dalla sua 'scuola'.
Nelle note esplicative Peano ribadisce il carattere arbitrario attribuito agli enti primitivi, carattere che tuttavia si accorda male con la sua convinzione che una teoria, per essere utile, deve sviluppare le conseguenze dei postulati sperimentali. Questa convinzione accomuna Peano a Pasch nell'indirizzo fisico-geometrico, secondo il quale gli assiomi derivano dall'osservazione del mondo esterno. Nella concezione di Peano il metodo assiomatico non rappresenta altro che un'analisi delle proposizioni fondamentali effettuata con gli strumenti della logica matematica. Chiunque può premettere le ipotesi che vuole e svilupparne le conseguenze logiche, dice Peano, "ma affinché questo lavoro meriti il nome di geometria, bisogna che quelle ipotesi o postulati esprimano il risultato delle osservazioni più semplici ed elementari delle figure fisiche" (Peano 1894, p. 141).
La posizione di Peano appare chiara: i postulati corrispondono a 'fatti reali' e non diventa necessario fornire alcuna prova di non-contraddittorietà. Inoltre, "si è moralmente certi" della loro indipendenza, che è affidata all'ordine in cui sono enunciati i postulati. Si comprende in tal modo anche il senso del Formulario matematico, l'impresa enciclopedica già concepita nel 1891, cui Peano e la sua 'scuola' si dedicano negli anni a venire.
Coniugato con il simbolismo della logica, il metodo assiomatico consente di poter formulare in maniera rigorosa le teorie matematiche ormai 'mature' e consolidate, come la geometria, l'aritmetica e le altre parti della matematica che vengono esposte nel Formulario.
Nei Principii Peano aveva fornito una trattazione assiomatica dello spazio proiettivo ordinario, lasciando invece aperta l'analoga questione per gli spazi a un numero qualunque di dimensioni che interessava in primo luogo Corrado Segre (1863-1924), giovanissimo professore di geometria superiore a Torino. Contrariamente a Peano, Segre considerava le questioni dei fondamenti della geometria nella prospettiva della ricerca geometrica più avanzata. Non si trattava di analizzare con tutto il rigore della logica peaniana le proposizioni fondamentali della geometria elementare, bensì di definire in maniera rigorosa un sistema di assiomi indipendenti per un iperspazio proiettivo Sr, che rappresentava l'ambiente naturale delle ricerche geometriche.
Allo scopo si poteva estendere "il linguaggio geometrico al caso di un numero qualunque di valori (coordinate del punto) di n variabili". In questa maniera però, osservava Segre, gli enti considerati si riducono a essere essenzialmente analitici e il contenuto geometrico passa in secondo piano; la geometria proiettiva per tali spazi non è altro in sostanza che l'algebra delle trasformazioni lineari.
Seguendo la via indicata da Julius Plucker (1801-1868), si potevano poi considerare come punti di uno spazio a più dimensioni gli enti dello spazio ordinario pensati come dipendenti da un numero qualsiasi di parametri. Tuttavia, così facendo la geometria degli iperspazi non presenta più alcuna 'novità di concetto'. Infine c'era la proposta di Giuseppe Veronese (1891) di definire lo spazio a n-dimensioni allo stesso modo di quello ordinario, eliminando il postulato delle tre dimensioni (e modificando quindi alcuni postulati relativi alla retta e al piano). Tutte queste distinzioni non avevano per Segre grande rilevanza. Ai suoi occhi, le indagini sui fondamenti avevano interesse soltanto se consegnavano al matematico strumenti di ricerca più efficaci. Quando si tratta di scoprire la verità, affermava Segre, la purezza del metodo passa in secondo piano e alcune volte anche il rigore, come si era già verificato nella storia della geometria.
Segre presenta queste idee in un articolo del 1891 che provoca l'immediata reazione di Peano. Di fronte al pragmatismo del collega, Peano rivendica l'esigenza di un 'rigore assoluto'. L'ironia è sferzante: "Chi enuncia conseguenze che non sono contenute nelle premesse, potrà fare della poesia, ma non della matematica" (Peano 1891, p. 67). La loro diversa concezione del rigore, e del suo ruolo in matematica, balza agli occhi. Per quanto importante, la questione del rigore mette tuttavia in secondo piano la sostanza matematica in discussione: come lavorare negli iperspazi? Segre privilegia il metodo sintetico della proiezione (e della sezione) da uno spazio Sr in un altro di dimensione inferiore (in particolare S3), sviluppato da Veronese (1882) in un lavoro che ha fatto veramente epoca. L'idea di Veronese era che "per studiare nello spazio ordinario R3 una configurazione di n+1 punti, o una curva, o una superficie 2-dimensionale che possiede certe singolarità, è utile in molti casi cercare anzitutto una configurazione o un dominio a 1 o 2 dimensioni nello spazio n-dimensionale Rn dal quale origina in maniera univoca il dominio dato per mezzo di opportune proiezioni o sezioni". (Veronese 1882, p. 161). È un'idea che Segre utilizza sistematicamente nei suoi lavori di geometria iperspaziale. La fecondità del metodo, osserva Segre, dipende anche dal fatto che lasciare indeterminata la 'natura intima' dei punti degli iperspazi apre la strada alla possibilità di stabilire isomorfismi tra spazi lineari, in modo che tutti gli spazi lineari a uno stesso numero di dimensioni, qualunque siano i loro elementi, si possono considerare come identici tra loro.
Nello stesso anno della polemica tra Peano e Segre, Veronese pubblica i Fondamenti di geometria a più dimensioni. Alla trattazione vera e propria Veronese premette oltre 250 pagine (!), in cui presenta i principî fondamentali delle forme matematiche astratte. Facendo propria la distinzione di Hermann Günter Grassmann tra scienze reali e formali, nei Fondamenti Veronese comincia con il distinguere tra scienze formali o esatte e scienze sperimentali; le prime riguardano enti astratti, le seconde fenomeni del mondo esterno. La geometria gli appare come una scienza 'mista', costituita a partire da premesse empiriche (gli assiomi), frutto dell'osservazione degli oggetti del mondo esterno, e da postulati o ipotesi, ossia da premesse semiempiriche o da premesse astratte, che fuoriescono entrambe dal campo dell'esperienza.
Dopo aver introdotto le prime proprietà delle forme matematiche astratte, il concetto di numero naturale e i sistemi a una dimensione, Veronese enuncia le ipotesi sull'esistenza di segmenti infiniti e infinitesimi attuali, mostrando come sia possibile "stabilire una geometria assoluta, indipendente dall'assioma di Archimede", fornendo così il primo esempio di geometria non archimedea. Stabilite le proprietà della retta, del piano (euclideo, di Riemann e di Lobačevskij), dello spazio euclideo, Veronese considera poi gli spazi a n-dimensioni.
La loro costruzione si fonda su una concezione 'genetica': "Dato lo spazio S3, e un punto 'fuori' di esso costruiamo lo spazio S4, così analogamente lo spazio Sn assoggettandolo agli assiomi dello spazio generale" (Veronese 1891, p. 611). In tali spazi "il punto non è un sistema di numeri, né un oggetto qualsiasi, ma il punto tale e quale ce lo immaginiamo nello spazio ordinario; e gli oggetti composti di punti sono oggetti (figure) a cui applichiamo continuamente l'intuizione spaziale combinata con l'astrazione, e quindi con il metodo sintetico" (ibidem). Con ciò, aveva obiettato Segre, si andava incontro all'obiezione che il punto, quale si concepisce nel nostro spazio, e appunto per il modo con cui lo concepiamo "non è più concepibile fuori di esso". Tale obiezione sarà resa esplicita da Peano: i punti in un iperspazio non si possono considerare "tali e quali ce li immaginiamo nello spazio ordinario" come pretende Veronese. Nei Principii egli aveva mostrato che per passare da due a tre dimensioni è necessario un opportuno assioma. Analogamente accade per le dimensioni superiori. In sostanza, afferma Peano, gli iperspazi non sono altro che insiemi di ennuple di numeri, da studiare con le tecniche dell'algebra lineare. In una recensione dei Fondamenti di geometria, Peano denuncia l'assurdità logica insita nella concezione 'genetica' degli iperspazi di Veronese, e conclude con la drastica affermazione che "la mancanza di precisione e rigore in tutto il libro tolgono a esso ogni valore" (Peano 1892, p. 143).
Insieme ai fondamenti della geometria degli iperspazi, la polemica di Peano riguarda anche l'esistenza di segmenti infinitesimi attuali. L'originale proposta di Veronese va incontro a critiche e incomprensioni. La breve nota in cui Peano sostiene (a torto) l'impossibilità di esistenza di segmenti infinitesimi si inserisce infatti in una discussione più ampia e vivace che coinvolge, su posizioni diverse, Georg Cantor, Giulio Vivanti, Rodolfo Bettazzi e Tullio Levi-Civita.
Da tempo in rapporti scientifici con Klein, nel 1890 Segre aveva scritto al matematico di Gottinga proponendogli la traduzione italiana del Programma di Erlangen. Quella traduzione, opera di un allievo di Segre, Gino Fano (1871-1952), rappresentò l'inizio della effettiva circolazione del Programma negli ambienti matematici europei. Nel giro di pochi anni apparvero infatti la traduzione francese (1891), quella inglese (1893), la ristampa nei "Mathematische Annalen" (1893) e in seguito, tra il 1895 e il 1897, le traduzioni in polacco, russo e ungherese. Raccogliendo l'invito rivolto da Segre ai 'suoi studenti', lo stesso Fano pubblica nel 1891 una trattazione assiomatica della geometria proiettiva negli iperspazi.
In particolare, al fine di dimostrare l'indipendenza dei postulati via via introdotti, Fano si serve sistematicamente di alcuni esempi in seguito divenuti celebri, come il piano di 7 punti e 7 rette, che proiettato da un punto esterno a esso dà luogo a una configurazione spaziale di 15 punti, 15 piani e 35 rette. Questi esempi di fatto segnano la nascita di un nuovo campo di indagini geometriche, vale a dire il campo delle geometrie finite.
Tra i 'giovani geometri' ai quali era indirizzata la traduzione del Programma di Erlangen, Federigo Enriques (1871-1946) fu certamente uno dei più pronti a cogliere le idee contenute in quello scritto, come pure a lavorare sui fondamenti della geometria iperspaziale. Nel 1894 egli ne fece l'oggetto di una serie di Conferenze di geometria, in cui sono evidenti le tracce sia delle concezioni empiriche di Pasch, Peano e Klein, sia delle preoccupazioni avanzate da Segre relative alla conservazione della più ampia libertà d'interpretazione degli enti fondamentali.
La geometria, afferma Enriques, appare "nel suo principio e nel suo svolgimento" come scienza soggettiva, giacché i postulati riflettono il concetto di spazio intuitivo che è presente nella nostra mente; le definizioni e le dimostrazioni sono soltanto 'operazioni logiche'. Se a questo spazio intuitivo corrisponda uno spazio 'reale', è una questione filosofica strettamente legata al problema della conoscenza, che Enriques qui accenna soltanto, ma che diventerà dominante nei suoi interessi nel giro di pochi anni. La distinzione tra geometria 'fisica' e geometria 'soggettiva' consente di fondare varie geometrie più generali attraverso un'analisi dei postulati condotta seguendo: (a) il criterio fisico, (b) il criterio fisico-psicologico e infine (c) il criterio logico. Enriques privilegia gli ultimi due criteri, giacché a suo parere basarsi soltanto sulla logica "come opinano alcuni" finirebbe per ridurre "la matematica a una semplice esercitazione sillogistica".
Il fatto che i postulati della geometria siano desunti dall'intuizione consente a Enriques di affermare a priori che essi sono compatibili tra loro sulla base del 'principio di ragione', secondo il quale "più verità concepite insieme come elementi di uno stesso concetto sono compatibili". Quanto alla loro indipendenza, Enriques ne riconosce il significato sia nell'ordine in cui i postulati sono enunciati (come aveva detto Peano) sia nella loro composizione (un postulato può "scindersi in altri qualcuno dei quali si deduca dai precedenti").
Enriques presenta il suo punto di vista in una serie di lavori e infine nelle Lezioni di geometria proiettiva (1897) che attirano l'attenzione di Klein. Questi ne propone la traduzione in tedesco, e affida a Enriques la redazione dell'articolo sui principî della geometria per la grande Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften (Enciclopedia delle scienze matematiche) che sta progettando.
Le idee di Enriques sui fondamenti della geometria erano infatti largamente in sintonia con le concezioni che Klein aveva presentato nei suoi più recenti lavori. Nel 1890 aveva pubblicato un articolo di sintesi, in cui affrontava più esplicitamente di quanto era avvenuto in passato il problema dei fondamenti. "In che senso ‒ si chiedeva Klein ‒ risulta psicologicamente corretto trattare la geometria proiettiva prima della geometria metrica, e addirittura considerare la prima come fondamento della seconda?" (1890, p. 380). Secondo Klein, la ragione ultima risiedeva nella distinzione tra le proprietà 'meccaniche' e quelle 'ottiche' dello spazio. Per Helmholtz era necessario assumere come fondamentali le proprietà meccaniche, che "trovano la loro espressione matematica nella libera mobilità dei corpi". Tuttavia "i miei lavori ‒ obiettava Klein ‒ mostrano che si può cominciare altrettanto bene dalle proprietà ottiche" e assumere dunque come fondamento "l'intuizione proiettiva". Nella concezione di Klein l'intuizione aveva un ruolo privilegiato. Riprendendo la questione nel 1898, Klein affermava che gli sviluppi della geometria non euclidea avevano mostrato che non era più condivisibile l'opinione di Immanuel Kant, secondo la quale gli assiomi rispondono a "necessità dell'intuizione interiore". Secondo Klein "l'essenza vera e propria" degli assiomi risiedeva invece nella "idealizzazione dei dati empirici". Un anno dopo Hilbert avrebbe dato alle stampe i GG, introducendo un punto di vista completamente diverso, che avrebbe lasciato alle discussioni dei filosofi il problema della natura dell'intuizione e dello spazio, così come quello dell'origine e della natura degli assiomi della geometria e la loro adeguatezza a dar conto dei fatti dell'esperienza. Saranno Poincaré ed Enriques, appunto in veste di filosofi prima ancora che di matematici, a parlarne nei primi anni del Novecento.
Lo stesso obiettivo di Enriques è perseguito da Mario Pieri in tre successive note apparse tra il 1895 e il 1896. La trattazione di Pieri ha un carattere ben altrimenti sistematico. Nella prima nota Pieri propone un sistema di 19 postulati per la geometria proiettiva intesa come una scienza deduttiva indipendente da ogni altro corpo di dottrine matematiche o fisiche (e in particolare dagli assiomi o ipotesi della geometria elementare), basata sui concetti primitivi di punto, retta e segmento proiettivi e "governata in ogni sua parte" dal principio di proiezione e dalla dualità.
Adottando lo stesso punto di vista puramente deduttivo e astratto, nel febbraio del 1896 Pieri ritorna sulla questione dell'assiomatizzazione della geometria proiettiva negli iperspazi, ancora un "soggetto di controversia per molti". Egli presenta un sistema di postulati che, unitamente agli assiomi della logica, sono sufficienti "a sostenere l'intero edifizio della geometria proiettiva astratta", ma non si spinge a discutere questioni di indipendenza e non-contraddittorietà dei postulati. Avanzando di un tratto ragguardevole nell'analisi dei principî della geometria proiettiva, qualche mese più tardi Pieri pubblica una breve nota per mostrare la possibilità di fondare la 'pura' geometria di posizione ‒ e dunque anche le geometrie metriche che ne derivano, come aveva a suo tempo mostrato Klein ‒ su due soli enti primitivi, il 'punto proiettivo' e la 'congiungente due punti proiettivi'. Il sistema di 16 postulati proposti da Pieri consente di stabilire il teorema fondamentale della proiettività, e dunque di introdurre coordinate proiettive senza ricorrere a concetti quali l'ordine naturale dei punti di una retta, come aveva fatto Enriques. Ogni enunciato di geometria proiettiva, in ultima analisi, non sarà altro che una combinazione logica dei postulati. L'ampia memoria in cui, nell'ottobre del 1897, Pieri raccoglie e ordina i risultati delle sue ricerche in un tutto più coerente e organico non contiene risultati essenzialmente nuovi. Nel motivare le sue ricerche, Pieri prende le distanze dalla concezione empirista di Pasch per affermare "un più moderno criterio", che conduce a una geometria proiettiva in tutto speculativa e astratta, "i cui soggetti sono mere creazioni del nostro spirito, e semplici atti della nostra volontà i postulati", in una parola, "arbitrari gli uni e gli altri". La geometria proiettiva è per Pieri una 'scienza ipotetica', del tutto indipendente, nel metodo e nelle premesse, dall'intuizione, e si affida invece ai canoni del metodo strettamente deduttivo.
Agli stessi canoni si ispira la sua monografia Della geometria elementare come sistema ipotetico deduttivo (1899) diventata celebre. L'argomento non è più la geometria proiettiva. Si tratta di una monografia del punto e del moto, che ha per oggetto la geometria elementare, costruita a partire dalle idee primitive di punto e moto. Il suo sistema di assiomi consente di ottenere le proprietà delle figure che sono indipendenti dall'assioma delle parallele, e quindi è "sufficiente allo scopo di certificare che la geometria elementare si può stabilire comodamente sui venti postulati di questo saggio, e sull'assioma predetto delle parallele" (Pieri 1898-1899, p. 187).
Nel giugno 1889 un Festschrift in onore di Carl Friedrich Gauss e Wilhelm Weber offre a Hilbert l'occasione di pubblicare le sue riflessioni sui fondamenti della geometria. A eccezione di Veronese, nessun altro dei geometri italiani è citato nei GG. Di Veronese Hilbert ricorda il 'tentativo' di costruzione di una geometria non-archimedea quando nei GG si accinge a dimostrare l'indipendenza dell'assioma di Archimede. Di fatto, gli obiettivi di Hilbert erano molto diversi sia da quelli di Klein sia da quelli dei geometri italiani. L'origine degli assiomi geometrici e il problema dei fondamenti della geometria proiettiva degli iperspazi erano questioni estranee all'orizzonte degli interessi di Hilbert. Del resto, con il nuovo secolo la questione dei fondamenti della geometria iperspaziale finisce per essere accantonata. Nell'introduzione al suo pionieristico volume Introduzione alla geometria proiettiva degli iperspazi (1907) Eugenio Bertini (1846-1933) può limitarsi ad affermare che quest'ultima "è semplice interpretazione di nozioni e teoremi algebrici". Al lavoro "di lunga lena e molto merito" di Veronese, Bertini riserva una breve nota, per ricordare che la nozione di spazio a più dimensioni e le sue proprietà possono essere presentate con il metodo del tutto sintetico, come appunto avevano fatto Veronese, Fano e, più recentemente, Pieri. Con i GG Hilbert finisce per imporre un radicale mutamento nelle ricerche sui fondamenti che cambia i temi all'ordine del giorno nell'agenda dei geometri: è la questione dei fondamenti della geometria euclidea a essere posta con forza in primo piano, come aveva intravisto Pieri per primo. Viene meno l'interesse a minimizzare il numero di assiomi e di concetti primitivi, che tanto aveva preoccupato Peano e lo stesso Pieri. Infine, e questo è l'aspetto decisivo, emerge con chiarezza una concezione 'moderna' delle teorie assiomatiche che moltiplica il panorama delle geometrie.
L'interesse di Hilbert per i fondamenti della geometria risale al 1890, quando partecipa alla riunione della Società matematica tedesca a Halle e assiste a una conferenza di Hermann Wiener (1857-1939) 'Sui fondamenti e la costruzione della geometria'. Quella conferenza esercita su Hilbert un'influenza profonda. Alle parole di Wiener egli si ispira quando, come racconta Otto Blumenthal nella sua biografia di Hilbert (1935), questi pronuncia la battuta diventata celebre che, nella teoria assiomatica della geometria, invece di punti, rette e piani si può parlare di tavoli, sedie e boccali di birra. Non altrimenti Hilbert si esprimerà nel 1899 rispondendo alle critiche di Gottlob Frege ai GG. Egli infatti scrive: "Se con i miei punti voglio intendere un sistema qualunque di enti, per esempio il sistema amore, legge, spazzacamino, allora basterà che assuma tutti i miei assiomi come relazione fra questi enti perché le mie proposizioni, per esempio il teorema di Pitagora, valgano anche per essi. In altre parole: ogni teoria può sempre essere applicata a infiniti sistemi di enti fondamentali" (in Frege 1983, p. 52). Insomma, afferma Hilbert, "si comprende da sé che ogni teoria è solo un telaio, uno schema di concetti unitamente alle loro mutue relazioni necessarie, e che gli elementi fondamentali possono venir pensati in modo arbitrario". Agli occhi di Hilbert questo non è un difetto, ma anzi "un grandissimo pregio" del metodo assiomatico. Se poi si vuole applicare la teoria "al mondo dei fenomeni", conclude Hilbert, è necessaria "una certa dose di buona volontà e un certo senso della misura" (ibidem).
I GG si aprono con una 'spiegazione' che chiarisce la concezione hilbertiana del metodo assiomatico. "Consideriamo tre diversi sistemi di oggetti", che chiameremo 'punti', 'rette' e 'piani', afferma Hilbert. Essi stanno in "certe relazioni reciproche", la cui "descrizione esatta e completa, ai fini matematici" segue dagli assiomi. Questi sono suddivisi in cinque gruppi: assiomi di collegamento, di ordinamento, di congruenza, assioma delle parallele e assioma di continuità, dato dal solo assioma di Archimede. Soltanto a partire dalla traduzione in francese, e poi in tutte le successive edizioni dei GG, Hilbert vi affianca un 'assioma di completezza', un assioma di carattere 'metamatematico' il quale afferma che non si possono aggiungere punti, rette e piani allo spazio in modo che tutti gli altri assiomi siano ancora soddisfatti. In una nota Hilbert osserva: "Del resto, nel corso delle presenti ricerche non ci siamo serviti in alcun luogo di questo assioma" (Hilbert 1971, p. 44); una fondazione topologica, con "la continuità al primo posto", sarà fornita da Hilbert nel 1902 facendo ricorso alla teoria dei gruppi di Lie.
Con la costruzione di opportuni modelli Hilbert dimostra poi che i suoi assiomi sono non contraddittori e indipendenti fra loro. Al tempo stesso, mostrare come i teoremi dipendano dagli assiomi consente a Hilbert di costruire nuove geometrie. Quali sono gli assiomi necessari alla dimostrazione dei singoli teoremi, e viceversa, come mostrare che certi teoremi sono indimostrabili senza certi assiomi? Questo è il tipo di questioni che Hilbert affronta. Così avviene, per esempio, per i due teoremi di Adrien-Marie Legendre, che in un triangolo la somma degli angoli è minore o uguale a due retti e che se in un triangolo la somma degli angoli è uguale a due retti, allora lo è in ogni triangolo. Questi teoremi non si possono dimostrare soltanto con il ricorso agli assiomi lineari, d'ordine e di congruenza, ma occorre anche l'assioma di Archimede. Si possono così dare geometrie piane non-legendriane o semi-legendriane. Analogamente, si può esibire una geometria piana 'non-desarguesiana', nella quale cioè "sono soddisfatti tutti gli assiomi lineari e piani, fatta eccezione per l'assioma III 5 (che dice che se due triangoli hanno conguenti due lati e l'angolo compreso, allora hanno congruente un altro angolo) mentre non vale il teorema di Desargues"; oppure una geometria non-pascaliana, in cui cioè non vale il teorema di Pascal. Si può costruire un calcolo non archimedeo sui segmenti, così come sistemi numerici desarguesiani e non, e sistemi pascaliani o non pascaliani a seconda che valga o meno la commutatività della moltiplicazione.
È questa molteplicità di geometrie l'elemento di radicale novità dei GG, che mostra quanto sia lontana dal vero l'affermazione, tante volte ripetuta da commentatori superficiali, che per Hilbert la geometria sia ridotta a un gioco formale di simboli senza significato. La fecondità della propria concezione era ribadita da Hilbert al Congresso dei matematici di Parigi (1900). Ben sei dei ventitré problemi presentati nella sua conferenza erano infatti ispirati alle sue ricerche sui fondamenti della geometria. D'altra parte, Hilbert indicava ai giovani matematici un concreto terreno di ricerca, ricco di sviluppi promettenti, come presto mostrarono i lavori di Max Dehn e degli altri suoi studenti di Gottinga e, sull'altra sponda dell'Atlantico, i lavori di giovani matematici quali Oswald Veblen ed Edward Vermilye Huntington. "L'ampliarsi della geometria ha fatto passare l'intuizione spaziale, che una volta era per essa un elemento indispensabile, in seconda linea" affermava Segre nel 1904 nel suo intervento al Congresso dei matematici a Heidelberg, commentando le nuove tendenze in geometria. "Ciò che invece caratterizza la geometria oggi è la forma dei suoi problemi o dei suoi ragionamenti".
In un articolo sui fondamenti della geometria apparso nel "Monist" (1898) Poincaré aveva sottolineato il ruolo decisivo dei gruppi di trasformazione e ribadito le sue tesi convenzionaliste. La pronta reazione di Bertrand Russell (1872-1970), autore di un filosofico Essay on the foundations of geometry (1897) ispirato a un empirismo geometrico, aveva dato origine a un vivace dibattito che si era rinnovato dopo che Poincaré aveva ripreso quell'articolo nel volume La science et l'hypothèse (1902). Nello stesso anno, con una lunga e dettagliata recensione Poincaré presentava i GG al pubblico francese. I matematici contemporanei, che come massima concessione hanno voluto dare diritto di cittadinanza alle geometrie non euclidee "perderanno questa loro illusione quando leggeranno l'opera di Hilbert. Vedranno da ogni parte abbattute le barriere entro le quali essi volevano rinchiuderci", scrive Poincaré cogliendo il punto essenziale dei GG. Tuttavia, al matematico di Gottinga Poincaré rimprovera di attribuire ai gruppi un ruolo secondario e di essere interessato al solo punto di vista logico. Data una sequenza di proposizioni, Hilbert mostra come tutte seguano logicamente dalla prima, "ma non si interessa del fondamento di questa prima proposizione". Gli assiomi sono semplicemente enunciati, non sappiamo da dove vengano. Nei GG non c'è posto per l'intuizione e neppure per la discussione sull'origine psicologica dei concetti fondamentali della geometria. Ecco perché, conclude Poincaré, l'opera di Hilbert, che pure ha permesso di compiere "un notevole progresso filosofico", appare "incompleta". Alle ricerche sui fondamenti Poincaré riserva anche le conclusioni della conferenza su 'L'avvenire delle matematiche' che tiene al Congresso internazionale dei matematici a Roma, e rappresenta per così dire la sua risposta alla Conferenza di Parigi di Hilbert.
Ci si è sforzati di enumerare gli assiomi e i postulati più o meno camuffati che servono di fondamento alle diverse teorie matematiche. Il sig. Hilbert ha ottenuto i risultati più brillanti. Sembra a prima vista che questo dominio sia assai limitato e che non vi sia più niente da fare quando l'inventario sarà terminato, cosa che non tarderà molto. Ma una volta che si sarà tutto enumerato, vi saranno molte maniere per classificare tutto quanto; un buon bibliotecario trova sempre il modo di occupare il suo tempo e ogni classificazione sarà istruttiva per la filosofia.
Pur dissentendo dalle posizioni di Poincaré, che accusa di nominalismo, non diversa, in fondo, è anche l'opinione di Enriques che, nell'articolo Prinzipien der Geometrie (Principî di geometria, 1907) apparso nell'Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften, accusa Hilbert e la sua scuola di tendere verso una crescente astrazione e di allontanarsi sempre più dai dati forniti dall'intuizione. D'altra parte, fin dal 1900 il saggio con cui Enriques apre le Questioni riguardanti la geometria elementare annuncia che ormai, per quanto riguarda i fondamenti, i suoi veri interessi sono rivolti a questioni di carattere 'filosofico', a cominciare dall'analisi del "problema psicologico dei postulati geometrici".
Con il nuovo secolo le strade di Hilbert e dei matematici italiani, che pure non si erano mai incontrate, divergono definitivamente. Così, mentre Peano si consacra alla realizzazione del Formulario, Pieri considera raggiunto lo scopo di minimizzare il numero dei concetti primitivi e degli assiomi, ed Enriques si dedica all'indagine più filosofica che matematica sull'origine e la natura dei postulati geometrici e dei principî della matematica.