La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. L'emergere della concezione strutturale in algebra
L'emergere della concezione strutturale in algebra
Il punto di vista strutturale in algebra fu presentato per la prima volta, pienamente sviluppato, nel trattato Moderne Algebra (Algebra moderna) di Bartel Leendert van der Waerden (1903-1996), pubblicato nel 1930. Secondo questa impostazione, varie strutture matematiche (gruppi, anelli, campi, sistemi ipercomplessi) vengono viste come differenti manifestazioni di un'unica e generale nozione, vale a dire quella di struttura algebrica. Lo scopo dell'algebra, secondo tale concezione, è quello di studiare tali strutture da un punto di vista unitario, ponendo domande analoghe per ciascuna di esse e cercando di rispondervi con l'aiuto dello stesso tipo di strumenti.
Prima dell'emergere di questa concezione basata sull'idea di struttura, l'algebra era considerata una disciplina i cui principali argomenti erano le forme e le equazioni algebriche, compresi tutti i metodi conosciuti per risolverle. Si riteneva che una sicura padronanza delle proprietà dei vari sistemi di numeri (razionali, reali e complessi) fornisse le basi per lo sviluppo delle conoscenze algebriche. L'aritmetica costituiva il fondamento dell'algebra. Secondo il nuovo punto di vista strutturale, invece, la gerarchia concettuale risulta capovolta e tutti i sistemi di numeri appaiono come semplici casi particolari di strutture algebriche o di loro combinazioni: i numeri razionali, per esempio, sono il campo dei quozienti di un 'dominio di razionalità', mentre i numeri reali sono un campo ordinato 'reale'. I polinomi a coefficienti reali sono studiati come un particolare tipo di anello le cui proprietà si possono dedurre da considerazioni di natura strutturale. Alcune caratteristiche di queste entità, precedentemente considerate, di fatto, come parte della ricerca algebrica (per es., la continuità, la densità, l'ordinamento), non riguardano più l'algebra e sono lasciate come argomento di indagine ad altre discipline matematiche.
Van der Waerden scrisse il suo trattato sotto l'influenza diretta di Emmy Noether (1882-1935) ed Emil Artin (1898-1962), dei quali negli anni precedenti aveva seguito i corsi, rispettivamente a Gottinga e Amburgo. Noether e Artin, in maniera indipendente l'una dall'altro, avevano creato negli anni Venti gli elementi con i quali van der Waerden avrebbe nel suo trattato ricostruito l'algebra. Tuttavia, molti dei concetti che in questa nuova formulazione appaiono come differenti espressioni dell'idea generale di struttura algebrica si erano sviluppati separatamente nella seconda metà del XIX sec., sia pure nell'ambito della concezione dell'algebra dell'epoca, nella quale ancora non si era manifestata l'idea di struttura. Così, benché il punto di vista strutturale in algebra non sia presente prima degli anni Venti del XX sec., le sue radici sono chiaramente riconoscibili già dalla metà degli anni Sessanta del secolo precedente. Il processo, lento e complesso, grazie al quale la definizione e lo studio di singoli concetti particolari avrebbe condotto all'idea di struttura algebrica, si può più agevolmente evidenziare in due importanti contesti: l'evoluzione della teoria di Galois e la teoria dei campi di numeri algebrici.
La pubblicazione dei lavori di Évariste Galois (1811-1832) nel 1846, a cura di Joseph Liouville, aprì nuove prospettive per la teoria delle equazioni algebriche. Tuttavia le idee di Galois erano per molti aspetti così innovative che furono necessari tempi e sforzi notevoli per assimilarle adeguatamente nel contesto delle conoscenze dell'epoca; di fatto esse furono incorporate nell'algebra in modi diversi.
Richard Dedekind (1831-1916) fu tra i primi a tentare una chiarificazione sistematica della teoria. In una serie di lezioni tenute a Gottinga nel 1856-1857, egli seguì strettamente sia il punto di vista sia i risultati originali di Galois, mettendo in rilievo la relazione fra il gruppo di Galois e i suoi sottogruppi, da una parte, e il campo dei razionali con le sue successive estensioni per aggiunzione di radici, dall'altra. Mentre le teorie dei gruppi e dei campi si evolvevano gradualmente in discipline matematiche pienamente sviluppate, i principî ispiratori dell'impostazione seguita da Dedekind divennero la base per la concezione della teoria di Galois generalmente accettata. Dopo il lavoro di Artin della metà degli anni Venti, l'argomento centrale della teoria ‒ nello spirito dell'iniziale formulazione di Dedekind ‒ sarà costituito dalla relazione fra queste due strutture, i gruppi e i campi, mentre la questione della risolubilità di un'equazione algebrica per radicali risulterà soltanto un'applicazione particolare della teoria più generale. Si possono tuttavia notare ancora significative differenze tra la concezione originale di Dedekind e quella implicita nel lavoro di Artin, specialmente riguardo ai differenti ruoli svolti dai vari concetti utilizzati.
Nella teoria di Galois, così come Dedekind la espone, il principale argomento di studio è costituito dalle relazioni tra i vari sottocampi del sistema dei numeri complessi ('domini di razionalità'); non si tratta quindi ancora di campi in senso astratto. I gruppi inoltre non compaiono che come strumento ‒ per quanto innovativo ed efficace ‒ da impiegare per risolvere problemi importanti riguardanti il campo complesso. Basandosi sul lavoro di Galois, Dedekind spiegava in modo molto chiaro, quasi assiomatico (nel senso moderno del termine), la natura di questo strumento e come il suo uso fosse giustificato in tale contesto. Questo genere di analisi è assente nella sua discussione dei domini di razionalità. Per di più, trattando questi ultimi, Dedekind prende in considerazione le proprietà dei loro elementi, mentre per quanto riguarda i gruppi egli si interessa sempre al gruppo in quanto tale. Per molti aspetti, dunque, nella concezione di Dedekind i gruppi e i campi sono enti matematici appartenenti a differenti livelli concettuali.
La teoria di Galois, nell'esposizione di Dedekind, presentava vari aspetti problematici e di fatto non ebbe un'influenza immediata sull'insegnamento o sulla ricerca. Le concezioni dell'algebra alle quali si ispiravano i manuali di quel periodo erano ancora più distanti dall'idea di struttura algebrica di quanto non lo fosse quella di Dedekind. Per esempio, nel Cours d'algèbre supérieure (1849), Joseph-Alfred Serret (1819-1885) presentava ancora l'algebra come la disciplina che studia forme ed equazioni algebriche, e questa impostazione permane anche nella terza e ultima edizione del 1866, quando il suo testo si affermò come il primo manuale universitario contenente un'esposizione della teoria di Galois. Serret la presentava come strumento ausiliario per determinare concretamente le radici di un'equazione; non discuteva in modo esplicito il concetto di gruppo e formulava i principali teoremi della teoria di Galois nel linguaggio tradizionale della teoria della risolubilità delle equazioni, ricollegandosi ai lavori di Joseph-Louis Lagrange e di Niels Henrik Abel.
Diversa sotto molti aspetti era l'impostazione seguita da Camille Jordan (1838-1922) nel Traité des substitutions et des équations algébriques (1870), il primo manuale che stabiliva in modo consapevole ed esplicito il collegamento fra la teoria delle equazioni algebriche e la teoria delle permutazioni. Jordan, per esempio, introduceva l'importante concetto di serie di composizione che egli aveva già definito in un articolo del 1869, anche se non in termini di gruppi di permutazioni ma soltanto in termini di equazioni algebriche, e che invece nel Traité appare già come un concetto puramente gruppale. Jordan tuttavia, non avendo a disposizione il concetto di gruppo quoziente, considerava il quoziente degli ordini di due gruppi consecutivi in una serie di composizione, dimostrando che il numero e i valori di tali quozienti (a parte forse il loro ordinamento) sono invarianti del gruppo.
La formulazione e la dimostrazione di questo risultato in forma più generale e astratta avrebbero dovuto attendere quasi vent'anni, quando Otto Ludwig Hölder (1859-1937) completò nel 1889 la seconda parte della dimostrazione dell'enunciato, attualmente noto come teorema di Jordan-Hölder. Il diverso modo in cui Serret, Jordan e Hölder consideravano e utilizzavano i gruppi, riesce bene a illustrare il processo di elaborazione che negli ultimi trenta anni del XIX sec. contribuì allo sviluppo di quelle idee che avrebbero in seguito portato al concetto di struttura concepita come entità fondamentale dell'algebra.
Verso la fine del secolo Heinrich Martin Weber (1842-1913) pubblicò il volume Lehrbuch der Algebra (Manuale di algebra), che divenne ben presto il testo di riferimento della disciplina. Pur dando conto di molti progressi dell'algebra, che i manuali precedenti avevano omesso di presentare, il lavoro di Weber manteneva nei suoi tratti essenziali la classica immagine ottocentesca di un'algebra che era intesa come scienza delle forme e delle equazioni algebriche.
Weber aveva pubblicato nel 1893 un importante articolo, nel quale presentava un'esposizione della teoria di Galois nei termini più generali conosciuti all'epoca. Questo lavoro era profondamente influenzato dal punto di vista di Dedekind, conteneva una definizione di gruppi e campi in termini completamente astratti e può essere considerato la prima esposizione veramente moderna della teoria di Galois. In particolare, nell'articolo sono introdotti tutti gli elementi necessari per stabilire l'isomorfismo tra il gruppo delle permutazioni delle radici di un'equazione e il gruppo degli automorfismi del campo di spezzamento del polinomio che lasciano fissi gli elementi del campo di base. Questa presentazione di Weber mostra in modo naturale i vantaggi derivanti da una formulazione astratta dei concetti basilari di gruppo e di campo; evidenzia inoltre l'importanza dell'interdipendenza tra le proprietà strutturali di entrambe le entità, e costituisce pertanto un passo importante verso la comprensione dell'idea di struttura algebrica e l'adozione di un punto di vista strutturale.
In questo lavoro la concezione innovativa di Weber ebbe tuttavia una scarsa influenza sulle ricerche algebriche di altri matematici dell'epoca e, cosa forse ancora più sorprendente, non influenzò neppure la prospettiva adottata da Weber nel suo trattato, pubblicato poco dopo l'articolo del 1893. Ancora nel 1924, in un nuovo manuale di algebra pubblicato da Robert Fricke (1861-1930) sotto l'evidente influenza del Lehrbuch, non troviamo alcuna traccia del 'nuovo punto di vista astratto' presente nell'articolo di Weber.
Il primo volume del Lehrbuch di Weber discuteva prevalentemente il problema della ricerca delle radici delle equazioni algebriche, presupponendo un'ampia conoscenza delle proprietà dei diversi sistemi di numeri e utilizzando strumenti che in seguito sarebbero divenuti estranei alla concezione moderna dell'algebra, basata sull'idea di struttura. In particolare, il concetto stesso di radice di un'equazione è discusso da Weber utilizzando argomenti propri dell'analisi matematica, come la teoria dei limiti e il concetto di continuità. Troviamo così una discussione del teorema di Sturm sul numero di radici di un polinomio appartenenti a un dato intervallo reale. In questo teorema si considerano derivate e altri concetti dell'analisi; analogamente accade per le tecniche di interpolazione e il metodo di approssimazione di Newton, che Weber tratta in dettaglio.
La teoria di Galois è presentata nel testo di Weber solamente dopo un esame di circa cinquecento pagine di altre tecniche riguardanti la risoluzione di equazioni algebriche. Anche i campi sono ancora concepiti prevalentemente come insiemi di numeri complessi chiusi rispetto alle quattro operazioni e, in un primo momento, troviamo definiti solamente i gruppi di sostituzioni. L'interesse maggiore non risiede nello studio delle proprietà del gruppo di permutazioni in quanto tale, ma soltanto nel suo ruolo chiarificatore per la teoria delle equazioni classica. Una definizione di gruppo in termini simili a quelli che Weber aveva usato nell'articolo del 1893 appare solamente nel secondo volume del Lehrbuch, seguita da una discussione elementare, per quanto abbastanza completa, dei risultati della teoria noti all'epoca.
Nel 1908 Weber pubblicò il terzo volume del suo trattato, che è in realtà una riedizione del suo libro sulle funzioni ellittiche e i numeri algebrici, apparso nel 1891. Secondo le tipiche concezioni di fine Ottocento, era del tutto naturale trattare questi argomenti in un testo di algebra. Abbiamo quindi un buon esempio di come il prevalere di una concezione dell'algebra fondata sull'idea di struttura avrebbe portato a una ridefinizione dei confini della disciplina: nel libro di van der Waerden e nei molti altri manuali che a esso successivamente si ispirarono, non troviamo alcun riferimento alle funzioni ellittiche e le loro relazioni con i problemi della teoria dei numeri algebrici.
Verso la fine del XIX sec. la teoria dei gruppi rappresentava il paradigma di una teoria astrattamente sviluppata, ed era forse l'unico settore della matematica dell'epoca che potesse essere considerato veramente 'strutturale'. La ricerca sui gruppi si era gradualmente concentrata su questioni delle quali oggi noi riconosciamo il carattere strutturale; allo stesso tempo, la possibilità di definire il concetto di gruppo in modo astratto era stata riconosciuta con sempre maggiore chiarezza. Cosa anche più importante, l'idea che due gruppi isomorfi fossero un'unica e identica struttura matematica era stata gradualmente assimilata. Anche se l'articolo di Weber del 1893 illustra chiaramente questa situazione, nel Lehrbuch la teoria dei gruppi svolge un ruolo che può essere definito quanto meno ambiguo rispetto alla concezione generale dell'algebra. Infatti, benché nel secondo volume tale teoria sia effettivamente presentata come un settore di intrinseco interesse per la ricerca matematica e molte tecniche e problemi siano discussi in modo aggiornato mediante considerazioni di tipo strutturale, nel primo volume, così come accadeva nelle lezioni di Dedekind, i gruppi appaiono come niente di più che uno strumento, per quanto chiaramente importante, della teoria delle equazioni. Il trattato di Weber e, in misura maggiore, il suo articolo del 1893 mettono in luce, più di ogni altro testo precedente, le relazioni fra campi e gruppi, considerati in senso astratto. Nonostante ciò, in nessuno di quei due lavori viene tuttavia abbandonata o messa in discussione la gerarchia concettuale classica che concepiva l'algebra come fondata sulle proprietà dei vari sistemi di numeri.
Il Lehrbuch di Weber ebbe molte ristampe e divenne il testo tedesco di riferimento per l'algebra. La sua influenza può intuirsi chiaramente dall'ampia diffusione di gran parte della terminologia che in esso è introdotta. La concezione dell'algebra che il trattato di Weber trasmette avrebbe dominato le ricerche nella disciplina per quasi trent'anni, fino a quando la nuova impostazione di van der Waerden non portò in primo piano il concetto di struttura come elemento essenziale dell'algebra. Per quanto decisivo e profondo fosse il mutamento che il trattato di van der Waerden produsse in algebra, l'influenza del testo di Weber non svanì certo di colpo, e può essere riscontrata anche dopo il 1930.
L'opera di Dedekind fornisce la migliore prospettiva per un esame del ruolo che concetti come quelli di campo, modulo e ideale hanno avuto nell'ambito della teoria dei campi di numeri algebrici. Lavorando in modo indipendente e adottando punti di vista diversi, sia Dedekind sia Leopold Kronecker (1823-1891) tentarono dopo il 1865, nelle loro rispettive ricerche, di sviluppare una teoria completa per la fattorizzazione unica nei campi di numeri algebrici, elaborando idee inizialmente introdotte da Ernst Eduard Kummer (1810-1893). A grandi linee, il punto di vista di Kronecker può essere definito di natura maggiormente algoritmica, mentre quello di Dedekind appare più concettuale. Dedekind introdusse i concetti di ideale, di campo e di modulo, sfruttandoli in modo efficace al fine di fornire una solida base per la sua teoria. In questo senso il suo lavoro rappresenta un progresso verso quella che oggi, retrospettivamente, è considerata una concezione decisamente ispirata all'idea di struttura. Un esame più attento della maniera in cui egli definisce tutti quei concetti rivela tuttavia che, come nel caso della teoria di Galois, li utilizzava avendo in mente concezioni molto diverse.
Per Dedekind i campi forniscono il contesto concettuale basilare per lo studio degli interi algebrici, mentre moduli e ideali sono strumenti idonei allo studio delle proprietà di fattorizzazione di tali interi. Moduli e ideali non sono per Dedekind strutture algebriche analoghe ai campi, dei quali non soddisfano tutti gli assiomi che li definiscono. Mentre i numeri che appartengono ai campi rimangono sempre l'obiettivo del suo interesse, le proprietà dei numeri appartenenti a moduli e a ideali non sono mai oggetto d'indagine; ciò che in quest'ultimo caso interessa sono le proprietà delle 'collezioni di numeri'. Lo studio di moduli e ideali dipende quindi da operazioni come quelle di intersezione, unione e inclusione, e non da operazioni e relazioni riguardanti i loro singoli elementi.
Nelle ricerche di Dedekind gli ideali non figurano mai come particolari sottostrutture della struttura algebrica più generale di anello. Egli definisce gli Ordnungen, che risultano formalmente equivalenti agli anelli, ma tali Ordnungen non forniscono un quadro generale per lo studio degli ideali, così come avviene per gli anelli secondo il punto di vista moderno sulle strutture algebriche. Un ideale non è uno speciale sottoinsieme di un Ordnung. Analogamente, quando tratta di moduli, Dedekind non menziona mai ‒ da una prospettiva astratta ‒ il fatto basilare che in realtà essi sono gruppi di numeri; e neppure applica ai moduli i risultati precedentemente ottenuti per i gruppi.
Dedekind definisce anche i Dualgruppen che, pur essendo formalmente equivalenti ai reticoli, ne differiscono per il modo in cui la loro natura e la loro funzione sono concepite. In questo caso egli non considera un insieme arbitrario per introdurvi una relazione d'ordine definita in modo astratto, o due astratte operazioni che soddisfino determinati assiomi, e verificare poi quali teoremi si possano dedurre per una tale struttura. Piuttosto, Dedekind è motivato dal desiderio di migliorare le dimostrazioni di certe identità riconosciute già valide per i moduli. Egli definisce un''algebra di moduli', stabilendo interdipendenze logiche e astratte fra le proprietà specifiche di alcune operazioni che in essa si presentano e considera tipi speciali di Dualgruppen (Idealgruppen e Modulgruppen), definiti come collezioni le cui proprietà di inclusione, unione e intersezione verificano determinate identità ‒ o assiomi ‒ studiando sotto quali condizioni tali identità siano reciprocamente equivalenti. Dedekind studia infine il caso specifico di un particolare oggetto matematico ‒ il Dualgruppe con 28 elementi, considerato in sue precedenti ricerche ‒ estendendo l'analisi dell'interdipendenza logica tra gli assiomi e includendone ora un altro: l'assioma della catena. Per quanto Dedekind fornisca esempi del ruolo che i Dualgruppen potrebbero avere nell'algebra della logica, nella teoria dei campi e in altri contesti della matematica, egli non stabilisce alcun collegamento diretto fra questi oggetti e le altre strutture algebriche. I Dualgruppen di Dedekind non appaiono come un caso particolare di un'unica entità matematica, come i campi, i gruppi e gli ideali.
La vera affinità concettuale degli ideali di Dedekind non riguarda le altre strutture algebriche che egli esamina, bensì due concetti da lui introdotti in tutt'altro contesto nei due celebri lavori sulla continuità e sul concetto di numero: le sezioni e le catene. Sezioni, catene e ideali sono elementi con i quali egli intende fornire i fondamenti concettuali rispettivamente per i sistemi dei numeri reali, naturali e algebrici; la loro finalità è di consentire la dimostrazione di alcuni risultati basilari, dai quali dedurre le proprietà più importanti riguardanti i domini in esame. Con il concetto di sezione Dedekind intende chiarire l'idea di continuità del sistema dei numeri reali, con quello di catena l'idea di successione dei numeri naturali. Nella stessa ottica, il concetto di ideale era stato formulato per affrontare il problema più importante relativo al dominio degli interi algebrici: la questione della fattorizzazione unica. Anche la maniera di trattare questi tre concetti è per molti versi simile, anche se essi furono introdotti in lavori pubblicati in tempi assai diversi.
Come nella teoria di Galois, alcuni aspetti controversi del lavoro di Dedekind in questo campo costituiscono un caso limite e un indice rivelatore per valutare il grado di accettazione di idee 'strutturali' o 'astratte' nell'algebra di fine Ottocento. Il prevalere nel XX sec. del punto di vista inizialmente introdotto in algebra da Dedekind è in completo contrasto con l'accoglienza che ricevette all'epoca. Nella teoria dei numeri algebrici, lo spartiacque è riconoscibile molto chiaramente: la pubblicazione nel 1897 dello Zahlbericht di David Hilbert (1862-1943). Benché concepito come un compendio dei risultati ottenuti in questo campo da Kummer, Dedekind e Kronecker, il testo di Hilbert non è certo una rassegna nel senso usuale del termine. Hilbert fornì un'impressionante sistemazione completa dei risultati della disciplina conosciuti, aggiungendovi inoltre molti propri importanti contributi. L'opera divenne il testo di riferimento classico per gli specialisti della teoria dei numeri algebrici e poiché il punto di vista in essa adottato è di fatto quello di Dedekind, la sua pubblicazione si rivelò un fattore decisivo nell'ambito della disciplina per la conseguente affermazione della concezione di Dedekind su quella di Kronecker.
Il punto di vista che ispira lo Zahlbericht è simile a quello di Dedekind anche nella concezione delle relazioni fra i concetti e gli strumenti di base, e lo stesso spirito è riscontrabile nell'articolo sulla teoria dei campi di numeri algebrici che Hilbert pubblicò nel 1900 nell'Encyclopädie der mathematischen Wissenschaften (Enciclopedia delle scienze matematiche). Egli vi definisce gli anelli, usando questo termine per la prima volta, ma ciò avviene esclusivamente nel contesto della teoria dei numeri: un anello, nel senso di Hilbert, è un sistema di interi algebrici in un dato campo, chiuso rispetto a opportune operazioni. Hilbert definisce poi un ideale di un anello come un qualsiasi sistema di interi algebrici appartenenti all'anello, chiuso rispetto alle combinazioni lineari a coefficienti nell'anello. Hilbert cita in questo contesto molti risultati della teoria degli ideali di Dedekind e non descrive mai un anello come un gruppo dotato di una seconda operazione, né come un campo in cui la divisione non soddisfi una certa proprietà. Neppure egli definisce gli ideali come particolari tipi di anelli: gli ideali di Hilbert sono sempre ideali in campi di numeri. Inoltre, nonostante le sue precedenti ricerche sulla teoria dei polinomi e la sua dimestichezza con i principali problemi della disciplina, Hilbert non tenta mai di usare gli ideali come uno strumento astratto che consenta un'analisi unitaria della fattorizzazione nei campi di numeri e nei sistemi di polinomi. Questo passo, cruciale per il successivo inquadramento di entrambe le questioni all'interno della teoria astratta degli anelli, sarebbe stato compiuto soltanto più di vent'anni dopo da Emmy Noether. Naturalmente, non è certo per mancanza di capacità tecniche, quanto per l'assenza di motivazioni, che Hilbert non compie tale passo, confermando così che l'idea di struttura algebrica come principio organizzatore dell'algebra è estranea alle sue concezioni.
Le idee di Hilbert influenzarono enormemente il corso della ricerca matematica per tutta la prima metà del XX secolo. La sua opera nella teoria dei numeri, come anche nella teoria degli invarianti, contiene molti elementi che si sarebbero rivelati fondamentali per l'affermarsi della concezione moderna dell'algebra astratta basata sul concetto di struttura; ma la sua concezione era diversa. Inoltre, la diretta influenza su studenti e collaboratori non contribuì a favorire un'immediata transizione verso una concezione strutturale. Un parametro significativo per valutare tale influenza è fornito dalle dissertazioni di dottorato ‒ almeno 68 in tutta la sua carriera ‒ delle quali egli fu relatore. Soltanto quattro di esse trattano argomenti direttamente o indirettamente collegati con il primo campo di ricerca di Hilbert, la teoria degli invarianti. Nessuna tratta problemi connessi con la teoria della fattorizzazione dei polinomi, benché negli stessi anni altri matematici come Emanuel Lasker (1868-1941) e Francis S. Macaulay (1862-1937) abbiano pubblicato importanti lavori nei quali elaboravano idee di Hilbert. Non ci sono neppure dissertazioni che prendano in esame temi che in seguito sarebbero divenuti tipici dell'algebra moderna ‒ come i campi astratti, o la teoria dei gruppi nei suoi vari aspetti ‒ e che avevano iniziato a stimolare intense attività di ricerca nel mondo matematico. Non meno degno di nota è il fatto che, benché cinque dei ventitré problemi della famosa lista che Hilbert compilò nel 1900 possano essere considerati per qualche verso appartenenti ai domini dell'algebra, nel senso ottocentesco del termine, nessuno di essi riguarda aspetti più moderni della ricerca algebrica e, in particolare, nessuno riguarda la teoria dei gruppi.
Nei lavori con i quali furono gettate le basi per l'emergere del punto di vista strutturale in algebra ‒ lavori di Ernst Steinitz (1871-1928), Emmy Noether e Artin (per non citare che i più rilevanti) ‒ si avverte la profonda influenza delle idee di matematici come Hilbert e Dedekind: in tali idee sono presenti molti degli elementi necessari per una fondazione dell'algebra ispirata al concetto di struttura. Tuttavia la concezione complessiva dell'algebra, all'interno della quale lavoravano Dedekind, Hilbert e gli algebristi dell'Ottocento, era essenzialmente diversa da quella strutturale, e si dovette attendere la successiva generazione di matematici per vedere il nuovo punto di vista raggiungere definitivamente la piena maturazione.
Dopo la pubblicazione del trattato Moderne Algebra di van der Waerden, l'algebra crebbe e si sviluppò vigorosamente durante il XX sec. nell'ambito di una concezione strutturale. Furono ottenuti molti importanti risultati che evidenziavano i vantaggi di tale impostazione concettuale. Intere branche della matematica furono riformate secondo tale nuova prospettiva. Fra queste il caso più notevole è forse quello della geometria algebrica, nella nuova formulazione di Oscar Zariski (1899-1986) e André Weil (1906-1998). Vennero inoltre pubblicati molti manuali che, adottando il nuovo punto di vista astratto, contribuirono alla diffusione del 'vangelo strutturale'. Uno dei più influenti fu A survey of modern algebra di Garrett Birkhoff (1911-1996) e Saunders Mac Lane, la cui prima edizione apparve nel 1941 e che divenne una pietra angolare nella formazione di generazioni di matematici in tutto il mondo.
Il successo del punto di vista strutturale in algebra spiega in larga misura l'adozione di punti di vista analoghi in altre discipline, quali la topologia e l'analisi funzionale. Concezioni della matematica fortemente orientate in senso strutturale sono quelle che stanno alla base dell'opera assai influente del gruppo di matematici francesi noto come Bourbaki. Questo punto di vista prese corpo nel loro trattato in più volumi Eléments de mathématique, pubblicato a partire dal 1939 e che, almeno fra il 1940 e il 1970, orientò decisamente il modo in cui le discipline matematiche furono concepite in molti paesi.
Il graduale affermarsi del punto di vista strutturale in vari settori della matematica condusse infine a interrogarsi sulla possibilità di sviluppare una 'teoria metamatematica', generale e astratta, che chiarisse il concetto stesso di struttura e nella quale si potessero ottenere risultati generali validi per i vari tipi di strutture, proprie dei diversi contesti matematici. Il tentativo più influente e di maggior successo in questa direzione è costituito dalla creazione della teoria delle categorie. Tali concetti furono introdotti nel 1942 in un articolo di Mac Lane e Samuel Eilenberg (1913-1998) e ben presto la teoria conobbe uno sviluppo autonomo. Pur non divenendo un linguaggio universale per la matematica (come alcuni dei suoi cultori avevano auspicato), la teoria delle categorie ha nondimeno fornito una formulazione molto generale e flessibile per ridefinire alcune importanti discipline come, per esempio, la topologia algebrica e, in particolare, l'omologia algebrica.