La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. La matematizzazione della biologia e la biomatematica
La matematizzazione della biologia e la biomatematica
La prima utilizzazione diffusa di metodi quantitativi nell'analisi dei fenomeni biologici si ebbe nel Seicento con la compilazione delle tavole di mortalità, che riportavano il numero degli individui deceduti in un dato paese, regione o città, a intervalli di tempo prefissati e secondo le fasce d'età. Queste raccolte di dati quantitativi, sempre più ricche e precise, stimolarono la domanda sull'esistenza di leggi scientifiche, espresse in termini matematici, descriventi l'andamento della mortalità delle popolazioni umane. Se nacque in questo contesto il primo sviluppo di quel che oggi chiamiamo la 'dinamica di una popolazione', cioè lo studio delle variazioni quantitative di una popolazione nel tempo, nel corso del Settecento prese corpo il primo tentativo di trattazione sistematica di un problema biologico con strumenti matematici. Il problema era fra i più dibattuti all'epoca: come combattere il vaiolo? Si era constatato che l'inoculazione di siero vaccino infetto in individui sani produceva una forma attenuata della malattia che, apparentemente, comportava una diminuzione della mortalità e il vantaggio dell'immunità per i soggetti sopravvissuti. Si trattava dunque di dimostrare in modo inoppugnabile la convenienza dell'inoculazione. Nel 1760 Daniel Bernoulli (1700-1782) affrontò la questione in un lavoro pubblicato soltanto nel 1766, Essai d'une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole et des avantage de l'inoculation pour la prévenir, che può essere considerato come una delle prime forme di matematizzazione di un problema di dinamica delle popolazioni e, al contempo, di epidemiologia. Applicando il calcolo delle probabilità alle tavole di mortalità disponibili, sotto l'ipotesi che "le leggi più semplici della natura sono sempre le più plausibili", egli calcolò il numero degli individui che sarebbero dovuti morire per infezione da vaiolo e l'aspettativa di vita derivante dall'inoculazione per le varie fasce di età e concluse che l'analisi matematica era chiaramente a favore della scelta dell'inoculazione.
Il lavoro di Bernoulli suscitò la reazione di Jean Le Rond d'Alembert (1717-1783), il quale convenne circa l'opportunità dell'inoculazione ma contestò radicalmente l'analisi matematica di Bernoulli, mettendo in dubbio l'efficacia del calcolo delle probabilità e persino l'opportunità di ricorrere allo strumento matematico: "Le mie obiezioni ‒ osservava d'Alembert ‒ attaccano soltanto i matematici che potrebbero affrettarsi troppo a ridurre questa materia in equazioni e in formule" (d'Alembert 1761-80).
La questione venne ripresa una trentina di anni dopo da Emmanuel-Étienne Duvillard de Durand (1755-1832), uno dei massimi statistici della Francia dell'epoca, autore di tavole di mortalità che furono utilizzate da gran parte delle compagnie di assicurazione europee fino alla seconda metà dell'Ottocento. In una memoria del 1795, sulla base di una nuova espressione della legge di mortalità e unendo una profonda conoscenza del calcolo delle probabilità a un dominio eccezionale dei dati empirici, Duvillard prendeva le parti di Bernoulli contro d'Alembert convalidando la tesi del vantaggio dell'inoculazione (Duvillard de Durand 1806).
La carriera di Duvillard fu stroncata dall'ostilità di Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) e della sua scuola, contrari a considerare su un piano di parità le applicazioni della matematica alle scienze fisiche e non fisiche. Jean-Baptiste Biot (1774-1862), allievo di Laplace, in una relazione del 1813 criticò il tentativo di Duvillard di elaborare una teoria della popolazione basata su leggi matematiche, affermando che "qui non è come nel moto dei corpi celesti in cui le forze perturbatrici, sempre regolari persino nelle loro variazioni, hanno sempre un'influenza estremamente piccola rispetto a quella della forza principale". Nei processi non fisici è impossibile "cogliere e fissare modificazioni tanto variabili" e stabilire una gerarchia tra fenomeni basilari e fenomeni accessori. I tentativi di matematizzazione venivano in tal modo respinti nell'ambito della pura raccolta di dati quantitativi, impotente a determinare leggi paragonabili a quelle della fisica-matematica.
L'Ottocento rappresenta un secolo di stasi quasi totale dei tentativi di matematizzare i fenomeni biologici. Le ricerche quantitative che si erano sviluppate nel contesto dell'aritmetica politica e della matematica sociale vennero sfrondate di ogni aspetto teorico e confluirono nel grande filone della demografia condotta secondo metodi statistici, o di quella che più tardi sarà chiamata 'biometria'. In questo panorama risaltano ancor di più i rarissimi contributi miranti a una visione quantitativa di carattere teorico. Essi appartengono tutti al campo della dinamica delle popolazioni, mentre i tentativi di applicare la matematica ad altre problematiche biologiche ‒ come l'elaborazione di una teoria del movimento dei corpi viventi, ossia una 'meccanica animale', fondata sui principî della meccanica classica ‒, che avevano avuto qualche sviluppo nel corso del Settecento sulla scia delle ricerche della scuola di 'iatromeccanica' di Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), vengono abbandonati.
La prima legge dell'evoluzione quantitativa delle popolazioni viventi fu formulata nel 1798 da Thomas R. Malthus (1766-1834) nel suo celebre trattato Essay on population (1798). Malthus la enunciò sostenendo che "in assenza di ostacoli al suo sviluppo, una popolazione cresce secondo una progressione geometrica". Tuttavia, Malthus non enunciò in termini matematici la sua legge, né lo fece Lambert-Adolphe-Jacques Quételet (1796-1874), fondatore della 'fisica sociale', che pure fu uno dei pochi a interessarsene, per proporne una correzione nei seguenti termini: "la resistenza, o la somma degli ostacoli allo sviluppo di una popolazione è come il quadrato della velocità con cui la popolazione tende a crescere" (Quételet 1835). Queste osservazioni stimolarono l'interesse del matematico belga Pierre-François Verhulst (1804-1849), che non soltanto tradusse per la prima volta la legge di Malthus in formula matematica ‒ ovvero nell'equazione differenziale dp/dt=mp(t), dove p(t) esprime il numero di individui della popolazione all'istante t e m è il tasso di crescita costante della popolazione, la quale cresce pertanto in modo esponenziale ‒ ma introdusse un fattore di correzione della crescita dipendente dal numero degli individui e precisamente proporzionale al loro quadrato. In tal modo egli enunciò la 'legge logistica' di crescita di una popolazione, dp/dt= =mp(t)−np(t)2, che offrì una prima descrizione semplice, ma meno rudimentale di quella di Malthus, della dinamica di una popolazione.
Tuttavia, i lavori di Verhulst caddero nell'oblio più completo dopo la sua morte e fu necessario attendere il 1920 perché la legge logistica venisse riscoperta e riportata all'attenzione dal biologo statunitense Raymond Pearl (1879-1940); di qui la denominazione usuale di 'equazione di Verhulst-Pearl' per l'equazione logistica. Pearl ne verificò l'efficacia in relazione allo sviluppo della popolazione degli Stati Uniti e alla crescita delle popolazioni di Drosophila melanogaster, il moscerino dell'aceto.
Questo balzo temporale di settant'anni esprime assai bene la stasi ottocentesca di cui abbiamo parlato. In verità, qualche primo sintomo di un rinnovato interesse per l'approccio matematico si era avuto già alla fine dell'Ottocento per opera di Ronald Ross (1857-1932), che nel 1902 ricevette il premio Nobel per la medicina o la fisiologia per le sue ricerche sulla malaria. Rompendo con la tradizione statistica, che a partire dalle osservazioni empiriche costruiva leggi analitiche coerenti con i dati numerici, Ross mirava a uno studio quantitativo della diffusione delle epidemie basato sulla formulazione di leggi generali, capaci di rendere conto di una vasta gamma di questioni variamente connesse tra di loro, dalla demografia alla salute pubblica, ai processi evolutivi e persino al commercio e alla politica. La prima occasione che gli si presentò per applicare queste idee fu l'esigenza di dimostrare con rigore la sua tesi secondo cui l'incidenza della malaria dipende dalla densità della popolazione di zanzare nell'area interessata. Allo scopo, egli formulò un modello matematico generale delle relazioni fra la dinamica delle popolazioni degli uomini e delle zanzare e la dinamica di diffusione della malattia. Il modello mostrava che la malattia poteva continuare a diffondersi soltanto se il numero delle zanzare superava una certa soglia.
Le ricerche di Ross rappresentarono un primo tentativo di applicazione della matematica in termini teorici generali e aprirono la strada agli sviluppi del ventennio 1920-1940. Tuttavia, agli inizi del secolo, le ricerche matematiche nel campo biologico apparivano ancora stagnanti, come è testimoniato dal panorama che nel 1901 ne offrì in una celebre conferenza il matematico italiano Vito Volterra (1860-1940), uno dei protagonisti dei successivi sviluppi. Il quadro delle ricerche presentato da Volterra ‒ che, a suo dire, erano ancora troppo dominate dai metodi probabilistici e statistici, da lui considerati come una 'forma minore' di matematica ‒ era completato dalla menzione di un modello della teoria dell'evoluzione elaborato dall'astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) nel 1898.
A ragione, il ventennio 1920-1940 è stato definito 'l'età d'oro della biologia teorica' (Scudo 1984). In questo periodo si verifica una vera e propria esplosione delle ricerche in biologia matematica; esse si orientano in quattro direzioni principali: la dinamica delle popolazioni, la diffusione delle epidemie, la genetica delle popolazioni e una vasta pleiade di modelli che mirano ad analizzare gli aspetti più disparati della fisiologia e della patologia del corpo umano.
Le ragioni di una siffatta e apparentemente improvvisa esplosione sono molteplici e complesse. Di certo, un ruolo cruciale fu giocato dalla crisi del riduzionismo classico determinata dallo sviluppo della teoria dei quanti e della teoria della relatività, dal progressivo svanire della credenza secondo cui il mondo è retto da grandi leggi naturali, dal ripiegamento verso l'obiettivo più modesto ed efficace della costruzione di modelli. Come affermerà più tardi John von Neumann (1903-1957), la scienza non soltanto non pretende più di spiegare, ma neppure di interpretare; essa costruisce dei modelli, che vengono valutati sulla base di criteri di efficacia e non di verità. Pertanto la diffusione di una concezione modellistica è la chiave decisiva per lo sviluppo della matematica applicata in ogni settore. Sotto questo profilo, una spinta importante viene dagli sviluppi della tecnologia, che suggeriscono nuovi campi applicativi e nuove inattese correlazioni. Vedremo come lo sviluppo tecnologico sia all'origine di un nuovo modo di considerare i processi biologici.
In un contesto di questo tipo, la diffusione della tecnologia dei servomeccanismi fu all'origine dell'introduzione nel 1926 del concetto di 'omeostasia' da parte del fisiologo statunitense Walter B. Cannon (1871-1945): si tratta di un concetto che riprende le concezioni di Claude Bernard (1813-1878) circa la centralità dei processi di autoregolazione nella fisiologia umana, e che viene generalizzato a una vastissima gamma di processi in evidente correlazione con il concetto meccanico di equilibrio e con la teoria matematica dei sistemi dinamici. Un altro esempio è dato dalla tecnologia delle trasmissioni radio che è all'origine della 'meccanica non lineare' e di una vasta gamma di modelli matematici di fenomeni biologici.
Contribuisce alla caduta delle resistenze nei confronti dell'uso della matematica nello studio del mondo vivente la crisi definitiva del pensiero romantico e delle concezioni vitalistiche, nonché la ripresa di un punto di vista materialistico, sia pure in senso metodologico, secondo la locuzione di Rudolf Carnap (1891-1970). Se ancora agli inizi del secolo gran parte dei biologi e dei matematici era ostile o scettica nei confronti dell'uso della matematica in biologia, in pochi anni la situazione si rovesciò in modo impressionante.
Lo sviluppo della dinamica delle popolazioni è dovuto all'opera fondamentale di due scienziati: lo statistico statunitense Alfred J. Lotka (1880-1949) e il matematico italiano Volterra. Lotka era un funzionario di una compagnia di assicurazioni di New York che svolse per tutta la vita, in forma quasi privata, un'intensa e originale attività di ricerca scientifica che spaziava dalla demografia alla dinamica delle popolazioni, dalla dinamica chimica all'energetica dei sistemi viventi, in una cornice fortemente influenzata dall'evoluzionismo spenceriano. Le sue riflessioni circa il mondo vivente, visto come un grande 'sistema di trasformatori di energia', furono raccolte in un volume ormai classico Elements of physical biology, pubblicato nel 1925. Il volume conteneva un modello matematico dell'interazione fra due popolazioni animali ‒ una delle quali era parassita dell'altra ‒ ispirato per analogia al modello matematico di una reazione chimica oscillante ipotetica, formulato dallo stesso Lotka nel 1920.
Sempre in quell'anno, Volterra trasformò i suoi generici interessi per la matematizzazione della biologia in intervento diretto sul campo, dietro lo stimolo dello zoologo Umberto D'Ancona (1896-1964), suo genero. D'Ancona aveva rilevato, attraverso analisi statistiche, un curioso fenomeno nella dinamica delle popolazioni di pesci prede e predatori dell'Alto Adriatico: precisamente, durante la Prima guerra mondiale, la percentuale dei secondi ‒ che in genere si manteneva stazionaria ‒ si era accresciuta sensibilmente. Ciò era probabilmente dovuto alla stasi peschereccia determinata dalla guerra e D'Ancona chiese a Volterra di dimostrarlo matematicamente. Questo spunto suggerì a Volterra la formulazione di un sistema di equazioni identico a quello di Lotka, che oggi va sotto il nome di 'equazioni di Volterra-Lotka'. Le equazioni rappresentavano soltanto il primo passo di una trattazione matematica molto più vasta, sviluppata da Volterra in pochi mesi e pubblicata nel 1926 con il titolo Variazioni e fluttuazioni del numero di individui in specie animali conviventi, la quale trattava del problema generale dell'interazione fra un numero qualsiasi di specie animali in rapporto di predazione o di conflitto per la sussistenza. Volterra descriveva l'interazione fra preda e predatore mediante la 'teoria degli incontri', immaginando le due popolazioni come due sistemi di particelle di un gas perfetto e gli incontri come urti fra queste particelle: l'effetto della predazione era proporzionale al numero dei possibili incontri. La trattazione includeva anche un'ipotesi di crescita delle popolazioni secondo la legge di Verhulst ‒ che Volterra aveva appreso dai lavori di Pearl, e che egli denominò 'effetto di Verhulst-Pearl' ‒ ed esaminava il caso in cui i processi di interazione manifestavano i loro effetti con ritardo. Per trattare questa circostanza più complessa, Volterra fece ricorso alla teoria delle equazioni integrali da lui elaborata nel contesto dei problemi della teoria dell'elasticità.
Volterra aveva ricavato le sue equazioni senza conoscere il libro di Lotka, e quindi in modo indipendente. Ne nacque una disputa di priorità, che fu tuttavia risolta in modo rapido e senza troppi attriti. D'altra parte era evidente non soltanto che la trattazione di Volterra andava molto oltre quella di Lotka sul piano analitico, non limitandosi al caso di due popolazioni, come aveva fatto Lotka; ma anche che le prospettive e le vedute dei due scienziati erano molto differenti. Lotka era più interessato agli aspetti energetici e alle analogie di carattere termodinamico; il suo libro conteneva una gran quantità di spunti originali, che avrebbero avuto, nel lungo periodo, un grande influsso, ma che dal punto di vista matematico erano spesso formulati in modo vago e piuttosto elementare. Volterra perseguiva invece un rigido programma meccanicistico articolato in tre fasi: la prima mirava alla costruzione di una meccanica delle associazioni biologiche in tutto parallela alla meccanica classica dei corpi materiali e i cui capisaldi furono esposti in un volume pubblicato nel 1931, intitolato Leçons sur la théorie mathématique de la lutte pour la vie; la 'fase analitica' mirava alla riformulazione delle equazioni in termini hamiltoniani e variazionali, riconducendole a un 'principio di minima azione vitale' analogo al principio di Maupertuis in meccanica (Volterra 1937); infine, la 'fase applicata' volta alla verifica sperimentale o almeno empirica delle leggi matematiche ottenute. Volterra s'impegnò intensamente su tutti e tre i fronti. Nei primi due casi ottenne una gran messe di risultati alcuni dei quali ‒ soprattutto quelli relativi alla fase ‒ viziati da difetti di base che ne limitavano la portata e che furono all'origine dell'oblio in cui caddero in seguito. Quanto al problema della verifica empirica, esso impegnò Volterra in modo intensissimo, conducendolo a stabilire relazioni con un gran numero di biologi, come è illustrato dalla corrispondenza relativa (Israel 2002). Nel volume Les associations biologiques au point de vue mathématique, pubblicato nel 1935 e scritto in collaborazione con D'Ancona, Volterra mirava a esporre le molteplici applicazioni delle sue teorie matematiche alla realtà biologica (Volterra 1935). Tuttavia, le ambizioni di Volterra erano superiori a quanto era consentito dalla complessità dei fenomeni studiati. Dopo un primo periodo di entusiasmo, molti biologi sottolinearono i problemi che sorgevano nel rapporto fra matematica e biologia e la difficoltà di realizzare una verifica empirica diretta delle teorie di Volterra. Tuttavia, da buon scienziato classico che considerava centrale il problema della convalida empirica, Volterra non si arrese e continuò a occuparsi della questione fino alla fine dei suoi giorni. Sono testimonianza dell'influenza da lui esercitata le opere di alcuni scienziati che furono anche suoi collaboratori; tra questi figurano i russi Georgij Frantsevič Gause e Vladimir Aleksandrovič Kostitsyn (il secondo emigrato a Parigi), autori di importanti lavori collegati alle ricerche di Volterra (Gause 1935; Kostitsyn 1934, 1937).
Agli inizi del Novecento la teoria dell'evoluzione darwiniana era caduta in sostanziale discredito nel mondo scientifico. Le controversie riguardavano il tema della continuità dell'evoluzione e soprattutto i meccanismi della selezione naturale, che nella teoria darwiniana apparivano oscuri e privi di una spiegazione convincente. Si affacciò così l'idea che questa spiegazione potesse essere trovata nelle teorie di Gregor Mendel (1822-1884) e si posero le basi per la ripresa della teoria dell'evoluzione nella forma detta 'sintetica', in quanto si basava su una sintesi fra mendelismo e darwinismo. Un contributo decisivo in questa direzione fu dato dalla genetica delle popolazioni, la cui motivazione principale era di presentare una versione completamente rinnovata dell'evoluzionismo darwiniano alla luce del mendelismo e della tradizione di ricerca della biometria. I fondamenti della genetica delle popolazioni furono posti nel periodo che va dal 1918 al 1932 da tre scienziati: Ronald A. Fisher, John B.S. Haldane e Sewall Wright. I tre protagonisti di questi sviluppi erano influenzati non soltanto dai temi del darwinismo, del mendelismo e della biometria, ma ritenevano che la fisica dovesse essere il riferimento concettuale per la costruzione della nuova genetica e sottolineavano il ruolo che doveva essere giocato dalla matematica. Fisher insisteva sul fatto che le ricerche nel campo della selezione naturale dovevano essere messe in parallelo con la trattazione analitica della teoria dei gas, in cui è possibile fare le più diverse ipotesi circa la natura delle molecole individuali e sviluppare leggi generali circa il comportamento dei gas, lasciando alla sperimentazione il compito di determinare le costanti fondamentali in gioco. Questo riferimento è significativo perché mostra come in questo periodo il modello della teoria analitica dei gas fosse un riferimento generale della matematizzazione in biologia, come si è visto a proposito della dinamica delle popolazioni. Malgrado il ricorso a metodi probabilistici, i nostri autori erano convinti del carattere fondamentalmente deterministico delle leggi che governano il processo evolutivo. La convinzione della profonda utilità della matematica era espressa con forza da Haldane, per il quale la storia di questa disciplina in biologia era soltanto agli inizi ma avrebbe avuto un sicuro sviluppo, mentre le ricerche nella genetica delle popolazioni rappresentavano l'emergere di una nuova branca delle matematiche applicate.
Nei fatti, la genetica delle popolazioni rimase una teoria alquanto isolata nel contesto della matematica applicata e anche della biologia matematica. Tuttavia, anche se i suoi sviluppi furono limitati, essa ebbe un ruolo assai importante nel riaccendere l'attenzione sulla teoria dell'evoluzione e nel prospettarne una rinascita per la via della teoria sintetica.
Un terzo ambito di sviluppo della biologia matematica fu dato dalla teoria matematica delle epidemie che aveva un illustre antecedente nell'analisi matematica del vaiolo. Tuttavia, la ripresa dell'interesse per questi temi avvenne all'insegna di un approccio deterministico, basato sui metodi dell'analisi infinitesimale piuttosto che sui metodi probabilistici. Naturalmente i lavori di Ross sulla malaria costituirono il punto di partenza dei nuovi sviluppi. Le ricerche condotte negli anni Venti si ponevano comunque l'obiettivo di analizzare le caratteristiche generali di un'epidemia allo scopo di rispondere a domande del tipo di quelle che seguono: se una malattia infettiva si diffonde in una popolazione, è possibile calcolare il numero finale degli infetti? Inoltre è possibile determinare le circostanze sotto le quali un'epidemia si verificherà?
Il modello di base della nuova teoria fu formulato nel 1927 dal biochimico inglese William O. Kermack (1898-1970) in collaborazione con il suo collega Anderson G. McKendrick e pubblicato con il titolo A contribution to the mathematical theory of epidemics. Il modello consisteva in un sistema di tre equazioni differenziali (di fatto riducibili a due indipendenti), in cui il processo di trasmissione della malattia era descritto (come nella dinamica delle popolazioni) mediante la teoria degli incontri. Il modello determinava le condizioni sotto le quali una malattia infettiva avente un periodo breve di incubazione avrebbe raggiunto uno stato endemico e, mediante il cosiddetto 'teorema della soglia', determinava il livello al di sopra del quale la trasmissione dell'infezione avrebbe dato luogo a un'epidemia. L'approccio di Kermack e McKendrick fu il punto di partenza di una grande messe di sviluppi, basati sulla specificazione del modello di base per un gran numero di malattie infettive particolari.
Il ventennio 1920-1940 fu contrassegnato anche dall'elaborazione di modelli matematici di particolari aspetti della fisiologia e della patologia del corpo umano. Fra essi si distingue il modello matematico del battito cardiaco, dovuto all'ingegnere olandese Balthasar van der Pol (1889-1959) in collaborazione con J. van der Mark, per l'originale approccio matematico che rappresentò un contributo fondamentale allo sviluppo dell'analisi matematica non lineare e della moderna teoria dei sistemi dinamici. Nel 1926, van der Pol aveva osservato che i circuiti elettrici utilizzati nella costruzione delle radio ‒ in particolare, i circuiti contenenti triodi, ma anche quelli contenenti tubi al neon ‒ oscillano in una forma che non può essere ricondotta ai classici oscillatori (smorzati e forzati). Infatti, appariva evidente la presenza di una sorgente di energia di segno positivo al di sotto di un dato valore soglia e negativo al di sopra dello stesso valore. Per descrivere questi nuovi oscillatori egli introdusse la ormai celebre 'equazione di van der Pol':
dove x è l'intensità di corrente, che rappresenta un sistema le cui oscillazioni tendono tutte a un'unica oscillazione stabile (ciclo limite), per questa ragione detto 'sistema autooscillante'.
Le analogie tra questo fenomeno e il battito cardiaco suggerirono a van der Pol di rappresentare l'andamento del potenziale elettrico generato dal battito cardiaco come un fenomeno di autooscillazione e di costruire un modello fisico per verificare questa ipotesi. Il modello di van der Pol mostrava un elettrocardiogramma del cuore artificiale assai simile a quello del cuore umano consentendo di rappresentare molti tipici disturbi di conduzione del battito, come le extrasistole e i blocchi atrioventricolari. Di fatto, il modello di van der Pol consentì di classificare tutti i blocchi di tipo Weckenbach prima che ciò venisse fatto direttamente sul comportamento del cuore umano. In tal senso, questo modello ‒ oltre ad avere un'importanza storica dal punto di vista matematico, in quanto rappresentava il primo caso di oscillatore non lineare, assieme a quello di Volterra-Lotka ‒ fu il prototipo di una lunga serie di modelli del battito cardiaco che hanno condotto a una classificazione completa di tutti i disturbi di conduzione e quindi alla possibilità di una diagnosi automatica dei medesimi.
Gli sviluppi della prima metà del Novecento presentano un aspetto paradossale. Tra i vari fattori che contribuirono al decollo del processo di matematizzazione della biologia vi fu il diffondersi della concezione modellistica, a sua volta legata alla crisi del riduzionismo classico. Tuttavia quegli sviluppi, paradossalmente contrassegnati dal tentativo di introdurre in biologia un approccio riduzionistico e meccanicistico, erano in larga misura lontani dalla visione modellistica. Non a caso il periodo in oggetto è stato definito come l'età d'oro della biologia teorica piuttosto che della biologia matematica. Infatti le opere di Volterra, di Lotka, di Fisher, Haldane e Wright e anche i contributi nel campo dell'epidemiologia matematica si ispiravano all'idea non tanto di elaborare modelli di specifiche e disparate problematiche biologiche, quanto di ricondurre interi settori della biologia a un approccio di carattere teorico centrato sul metodo matematico. Si aspirava dunque alla rifondazione teorico-matematica della scienza biologica, piuttosto che all'uso di tecniche matematiche in questo o quel contesto particolare.
Numerosi elementi confermano questa tendenza. Essa è evidente nel carattere generale e onnicomprensivo del volume di Lotka e nella vastità del progetto di Volterra; non fu certamente un caso se questi meditò di intitolare il suo volume del 1931 Principî di biologia matematica. Il rifiuto dell'approccio modellistico traspare anche nel modo in cui si sviluppò la disputa di priorità fra Volterra e Lotka: quando il primo si rese conto che Lotka aveva ricavato le sue equazioni per analogia da quelle che aveva ottenuto nel 1920 a proposito di una ipotetica reazione chimica oscillante, gli addebitò questo approccio come un difetto, ritenendo necessario che le equazioni dovessero derivare dal contesto specifico (nella fattispecie quello biologico) e non dall'applicazione di un procedimento di analogia matematica, caratteristico dell'approccio modellistico. Né Lotka si difese da tale critica, anche se il riferimento ai risultati del 1920 avrebbe dato più forza alla sua rivendicazione di priorità: neanche lui era disposto ad accettare una prospettiva di tipo modellistico. Va inoltre notato che quasi tutta la produzione matematica in campo biologico di questo periodo si ispira a una visione meccanicistica. Ciò è evidente non soltanto nei contenuti e nella struttura dei principali trattati, ma persino nella pervasività del modello di cinetica dei gas che ispira la teoria degli incontri, uno degli schemi concettuali più usati nel processo di matematizzazione.
Si sottraggono a questo approccio riduzionistico e meccanicistico pochi ma significativi contributi, in particolare quello di van der Pol, che invece si ispirano decisamente alla visione modellistica. Tuttavia, la pervasività di una visione tesa al progetto ambizioso di costruire una biologia teorica in senso quanto mai generale è all'origine della stasi del processo di matematizzazione, che si determina quando quel progetto fallisce o comunque entra in grave crisi. Le ragioni di tale crisi sono legate alle sue ambizioni eccessive, alla fiducia smodata nella possibilità di dominare un campo di fenomeni più complessi di quelli fisici con i medesimi strumenti in uso nella fisica-matematica, nonché alla difficoltà estrema di sviluppare procedimenti di convalida empirica. Al periodo d'oro segue quindi una stasi trentennale, durante la quale la biologia matematica deperisce come disciplina, e che si interrompe soltanto negli anni Settanta.