La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Biologia ambientale
Biologia ambientale
La storia della biologia ambientale, come quella di molte altre discipline delle scienze della vita, affonda le proprie radici moderne in Charles Darwin (1809-1882), il quale sottolineò il ruolo svolto dall'ambiente nel dare forma agli organismi sia in The voyage of the Beagle (1839) sia in On the origin of species (1859).
La sua famosa descrizione del paesaggio rurale inglese ‒ nel quale il trifoglio determina la popolazione dei gatti, in quanto l'ape mangia il trifoglio, il topo mangia gli alveari, il gatto mangia il topo ‒ delineava una complessa catena alimentare e di azione a distanza in un sistema naturale.
Sotto molti aspetti Darwin ha però rappresentato una figura di transizione tra il mondo della storia naturale e quello dell'ecologia e non deve quindi sorprendere che sia stato un biologo tedesco, suo discepolo, di nome Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919) a coniare nel 1866 il termine Ökologie, derivato dal greco οἶϰοϚ, casa ‒ lo stesso da cui proviene 'economia'. Il legame tra i due non era casuale, poiché Haeckel tentava di descrivere 'l'economia del mondo naturale', una nuova disciplina intesa come la scienza delle relazioni degli organismi viventi con il mondo esterno, il loro habitat, le loro abitudini, i parassiti e così via.
Sebbene molti naturalisti preferissero conservare la precedente espressione 'economia della Natura' per descrivere questo stato di Natura, il vocabolo anglicizzato 'ecologia' divenne, dopo il 1893, sempre più diffuso, grazie al tentativo dei botanici di distinguere la loro ricerca teorica dalle applicazioni pratiche della botanica ai problemi dell'agricoltura e dell'orticoltura. L'idea di economia della Natura, o di ecologia, sebbene la sua definizione risalga al 1866, era comunque sicuramente precedente. Le scienze ecologiche emersero dal 'calderone' della rivoluzione darwiniana e della rivoluzione industriale e non stupisce, pertanto, che molti fra i primi ecologi nei loro studi facessero uso di metafore industriali.
Stephen Forbes (1844-1930) scrisse, nel 1887, una monografia pionieristica dal titolo The lake as a microcosm, in cui analizzava dettagliatamente le relazioni alimentari di insetti, alghe e microorganismi nella comunità circoscritta di un lago: si trattava di un'applicazione pratica della nuova ecologia e di un ulteriore tentativo volto a comprendere le reti alimentari naturali descritte da Darwin. Applicando il principio della selezione naturale darwiniana, Forbes tentò di spiegare come si raggiunge un equilibro naturale (un altro tema ricorrente in ecologia). Le metafore utilizzate erano comunque le stesse dei sistemi umani ‒ guerra, rapina, assassinio ‒ e del darwinismo sociale del nuovo capitalismo industriale; per spiegare l'equilibrio di un sistema naturale come, per esempio, un lago, Forbes scriveva: "Così come l'uomo d'affari parsimonioso che vive secondo i propri mezzi alla fine spodesterà il suo inconcludente concorrente che non può mai pagare i suoi debiti, l'animale acquatico ben adattato nel tempo supererà i suoi concorrenti meno adattati per il cibo e le diverse merci della vita" (Forbes 1887, pp. 86-87). Tali metafore presentavano il vantaggio di rendere accessibile a un vasto pubblico una materia oscura (la limnologia, cioè lo studio dei laghi di acqua dolce), ma non erano prive di 'rischi', tipici della storia delle scienze ambientali, in quanto tendevano a portare a speculazioni ingiustificate e avrebbero potuto acquisire una vita e un potere esplicativo autonomi.
Nei lavori ecologici di Forbes si percepiscono due importanti temi, emersi appieno nell'ecologia del XX sec.: in primo luogo, egli suggerisce una nuova ecologia dinamica, concentrandosi su un ambiente in continuo cambiamento ed evoluzione, mantenuto in equilibrio dalle attività dei suoi abitanti; in secondo luogo, evidenzia la confusione tra il sociale e il naturale e l'uso fuorviante della terminologia, che non distingue il confine tra i due domini.
Sin dai tempi di Darwin l'ecologia ha sempre accomunato l'umano e il naturale; alcuni ecologi hanno però tentato di andare al di là della questione fondamentale su come funzioni il mondo, chiedendosi piuttosto quale sia il modo migliore per viverci; questo secondo gruppo è spesso indicato con il termine 'conservazionista' o, più di recente, 'ambientalista'. Gli ecologi si impegnarono comunque a individuare le modalità con cui gli umani avrebbero potuto coesistere con l'ambiente naturale in maniera più appropriata.
L'americano Frederic Clements (1874-1945) fu un pioniere dell'ecologia, al quale gli eventi storici concessero un'opportunità senza precedenti di intervento sul piano sociale. Ecologo della University of Nebraska, al centro di grandi praterie, derivò l'importante teoria della successione delle piante, descritta nel 1916 nel volume Plant succession. An analysis of the development of vegetation. Clements fu uno dei fondatori di un'ecologia dinamica, secondo la quale le comunità delle piante si evolvono nel tempo attraverso diversi stadi, fino a raggiungere un climax. Per esempio, in un'area che iniziasse a essere disturbata, si assisterebbe in un primo momento all'arrivo di erbe infestanti e al ritorno dei licheni; successivamente vi sarebbe un'invasione di cespugli e di piccoli alberi e, infine, il climax potrebbe essere costituito da un fitto querceto, che ne diverrebbe la comunità stabile. A seconda della temperatura, delle precipitazioni e del vento, il climax potrebbe essere rappresentato da un deserto o anche da una delle praterie del Nebraska. Nella teoria di Clements, l'intero processo era considerato analogo alla crescita e al raggiungimento della maturità di un organismo e la formazione del climax andava vista come 'un'entità organica': "Come organismo, la formazione nasce, cresce, matura e muore"; la forma adulta di un organismo è sempre la comunità climax di un dato 'bioma' (termine coniato da Clements nel 1939). La prateria risultante, per esempio, può riprodurre sé stessa all'infinito, a meno dell'arrivo di qualche agente di disturbo, come un colono con un aratro. L'avvento degli umani ha significato per la Terra l'inizio di una comunità climax disturbata, uno stato di Natura in cui l'instabilità è la norma e dal quale non ci si può aspettare nulla di positivo.
Gli avvertimenti ecologici di Clements sembrarono trovare conferma, come una vendetta, con l'avvento della cosiddetta dust bowl (il 'catino di polvere') nelle Grandi pianure americane negli anni Trenta: il 14 aprile del 1934 una tempesta di polvere oscurò il cielo del Texas e lasciò mucchi alti fino a 6 m nelle strade delle città; il 10 maggio un'altra tempesta si spostò verso est, scaricando 12.000.000 di tonnellate di detriti sulla città di Chicago; la polvere volò fino agli scalini della Casa Bianca e persino sulle navi nell'Atlantico. L'area centrale degli Stati Uniti veniva spazzata via, come risultato di una pessima gestione ambientale. I moniti di Clements nei confronti dell'operato dei contadini, che continuamente squilibravano i processi locali, erano divenuti realtà con gli 'sporchi Trenta', come furono chiamati quegli anni a causa dei cieli anneriti dalla dust bowl.
Il governo americano si mobilitò per far sì che le teorie ecologiche di Clements divenissero pratica sociale. Nel 1933 la creazione del Soil Conservation Service (SCS) e dei Civilian Conservation Corps fu un primo, e raro, esempio di un tentativo nazionale di mettere in pratica teorie ecologiche. Clements fu nominato consigliere dell'SCS e molti dei suoi allievi furono cooptati dalla nuova agenzia per dirigere la pianificazione ambientale. L'SCS fu istituito per implementare la conservazione del suolo basata sull'ipotesi di Clements secondo la quale il paesaggio naturale delle Grandi pianure era una prateria e l'agricoltura doveva avere orientamenti più ecologici. Sebbene non si potesse riportare tutto il territorio agricolo al suo stato precedente, le nuove agenzie federali cercarono di trovare soluzioni tecniche per adattare il suolo e i contadini che l'abitavano a questo climax permanentemente disturbato. L'intervento probabilmente più vistoso consistette nella creazione della U.S. Resettlement Administration, per ripristinare e occasionalmente spostare intere comunità rurali sulla base di principî ecologici. La dust bowl, la Grande depressione e la nuova disciplina dell'ecologia del climax, eventi pressoché contemporanei, condussero a profondi cambiamenti nella vita americana, favorendo l'opera iniziata sotto il presidente Theodore Roosevelt, che fece della conservazione un tema federale e mise sotto stretto controllo le risorse naturali. In particolare, egli consentì il controllo federale sulle risorse sia pubbliche sia private, poiché molto del lavoro di conservazione doveva interessare terreni di proprietà privata. Fu creata inoltre una nicchia professionale per i nuovi ecologi, permettendo loro di trovare impiego presso le università e gli uffici governativi grazie al prestigio del nuovo campo di studi e alla percezione della sua importanza. Da ultimo, all'ecologia fu assegnato un ruolo nella pianificazione sociale, mantenuto fino a oggi.
Nello stesso periodo, in Australia, le tempeste di polvere e l'erosione del suolo affliggevano territori di estensione simile a quelli degli Stati Uniti ma, mentre Clements riuscì a mettere a frutto questi eventi naturali nella nuova disciplina dell'ecologia applicata, l'esempio australiano si dimostrò piuttosto diverso. Francis Ratcliffe (1904-1970), un biologo britannico, fu incaricato di studiare il problema ed egli applicò una metodologia radicalmente diversa dall'ampia mobilitazione degli Stati Uniti: attraversò il paese in moto, ottenendo passaggi dai postini e dagli allevatori, osservando la terra e meditando sul suo futuro. Ratcliffe non aveva alcuna esperienza particolare, né in botanica né in ecologia, ma scrisse un rapporto che delineava i problemi rilevati e un libro divulgativo sulle sue esperienze nell'entroterra australiano, intitolato Flying fox and drifting sand. The adventures of a biologist in Australia (1938).
Le sue conclusioni erano sconcertanti: a suo parere, molte delle terre aride dell'Australia semplicemente non erano adatte per l'economia o per lo stile di vita dei contadini; ciononostante non furono intraprese particolari iniziative, anche a causa delle differenze tra Stati Uniti e Australia. La dust bowl aveva colpito la parte relativamente popolosa delle Grandi pianure e del Midwest e le stesse tempeste avevano ricoperto il paese; la reazione americana si espresse in gran parte a livello federale e ci si adoperò molto per estendere la conservazione e renderla un fattore di interesse nazionale. Al contrario, l'entroterra australiano era, ed è tuttora, poco popolato; inoltre, la risposta alle tempeste di polvere degli anni Trenta fu considerata un problema di competenza dei singoli Stati ‒ non federale ‒ e comunque ulteriormente limitata a causa delle ristrettezze economiche dovute alla recessione mondiale. La differenza tra le due nazioni nel modo di reagire al problema era legata all'interesse. Di fronte a eventi naturali molto simili dal punto di vista ambientale ‒ grandi tempeste di polvere che avevano coperto gran parte di un continente e la disastrosa erosione di suoli troppo sfruttati ‒ le risposte furono differenti perché dipendenti dal contesto sociale, politico e culturale. Sebbene rispetto all'ambiente si preferisca pensare globalmente, tale fenomeno ci ricorda che le nostre azioni sono quasi sempre legate al nostro contesto locale.
All'apice della Grande depressione e della dust bowl la teoria del climax di Clements aveva raggiunto il suo momento di massima espansione. Gli ecologi di impostazione clementsiana dominavano le nuove agenzie federali per la conservazione, i suoi metodi erano citati nei manuali di ecologia e i suoi progetti di ricerca ricevevano finanziamenti da enti pubblici e privati. Tale situazione non era tuttavia destinata a durare. Del resto, come ideatore di un'ecologia 'dinamica', Clements non si sarebbe meravigliato del fatto che il suo tipo di ecologia non fosse eterno: l'ecologia delle successioni fu in parte vittima del proprio successo. I tentativi di coniugare la politica sociale e l'ecologia furono visti da alcuni ecologi come un'inaccettabile mistura tra l'umano e il naturale. Arthur Tansley (1871-1955), botanico di Oxford, si dimostrò critico nei confronti della politica interventista di Clements e, sul piano scientifico, delle sue organismiche comunità di climax. Per superare la confusione mentale di chi parlava di comunità botaniche che vivono e muoiono, Tansley suggerì un nuovo termine: ecosistema, i cui componenti erano "clima, terreno e organismi"; tale sistema naturale doveva essere la nuova unità elementare dell'ecologia e i biologi avrebbero fatto bene a imparare dai fisici qualche nozione sull'importanza di studiare i processi dei sistemi. A partire dagli anni Quaranta, con un picco negli anni Cinquanta, gli ecologi sistemici si concentrarono su questa nuova unità di analisi come modo per comprendere e controllare meglio l'ambiente naturale. Per ironia della sorte, la successiva generazione di ecologi dell'ecosistema avrebbe usato la nuova ecologia per intervenire socialmente, proprio come proponeva la scuola di Clements.
In merito agli inizi della storia dell'ecologia fino alla Seconda guerra mondiale e al suo rapporto con la disciplina, più antica, della storia naturale si possono prendere in considerazione le parole di Paul Sears (1891-1990), il quale sottolineava: "L'ascesa dell'ecologo va quasi esattamente di pari passo con il declino del naturalista". Sears ‒ un ecologo botanico divenuto noto durante la dust bowl con un lavoro intitolato Deserts on the march (1935) ‒ assimilava tale processo a una successione naturale nelle scienze biologiche, che in realtà era più simile a un'attiva usurpazione disciplinare da parte di un gruppo di scienziati che cercavano di ricavare per sé un proprio spazio. Gli ecologi si definivano delimitando il loro nuovo campo di studi in relazione al vecchio: la storia naturale era descrittiva, mentre l'ecologia era sperimentale e predittiva; inoltre, la storia naturale parlava solamente del mondo naturale, mentre l'ecologia prometteva di insegnare qualcosa anche sul mondo umano. Quest'ultima caratteristica si rivelò un fattore determinante: il venir meno delle distinzioni consentì alla successiva generazione di ecologi degli anni Sessanta di considerare l'ecologia sia una scienza sia un movimento sociale.
Nelle scienze ecologiche del dopoguerra la successione perse il ruolo di paradigma centrale e l'ecosistema come definito da Tansley divenne il modello ecologico dominante. In prima linea nella 'nuova ecologia' degli ecosistemi negli anni Cinquanta e Sessanta due scienziati americani, Eugene Odum e Howard Odum, svilupparono in parallelo i loro interessi per l'ecoenergetica, applicata sia ai sistemi umani sia a quelli naturali, grazie al patrocinio dell'Atomic Energy Commission (AEC) degli Stati Uniti. L'AEC reclutò inizialmente i due giovani professori nel 1954 per studiare un sistema di barriera corallina a Eniwetok, un sito utilizzato per test nucleari nelle Isole Marshall. Grazie alle sei settimane di studi su tale sistema corallino relativamente stabile, gli Odum appresero che la 'moneta corrente' di un ecosistema è l'energia e che la principale caratteristica di un ecosistema maturo è uno stato di equilibrio costante, nel quale la produttività viene bilanciata pressoché interamente dalla respirazione mentre l'energia è utilizzata praticamente in toto per l'autosostentamento. Questo primo studio analizzava principalmente il significato reale che l'energia riveste per gli ecosistemi umani, fornendo quindi un punto di appoggio all'attivismo degli ecologi interessati all'analisi del dominio umano. Dallo studio della barriera corallina gli Odum impararono che l'energia è la chiave per la comprensione di qualunque sistema e che i sistemi naturali e umani possono essere messi a confronto grazie alla comune unità di indagine, ossia l'energia. I due fratelli si dedicarono perciò, in seguito, alla promozione dell'ecoenergetica come strumento fondamentale per analizzare i sistemi umani e naturali.
Dopo questa prima collaborazione, Eugene Odum divenne il più importante divulgatore dell'ecologia dei sistemi (una dicitura che egli stesso coniò). In precedenza egli aveva già pubblicato il primo manuale organizzato intorno al concetto di ecosistema, ossia l'influente Fundamentals of ecology (1953); Howard Odum contribuì a questo libro con il capitolo sull'ecoenergetica, inaugurando un nuovo approccio ‒oggi molto diffuso ‒ per comprendere i flussi di energia mediante i diagrammi energetici.
Per essere predittivi o per avere un valore teorico i modelli dei sistemi sia naturali sia umani dovevano seguire determinate leggi. Nell'intento di corrispondere all'esigenza indicata da Tansley di portare l'ecologia all'interno delle leggi naturali della fisica, Howard Odum descrisse le tre leggi ecoenergetiche implicate nell'interpretazione dei suoi diagrammi. La prima era quella ben nota della conservazione dell'energia, la quale prevedeva che ogni diagramma rendesse conto di tutta l'energia, in una qualsivoglia parte del modello. La seconda era una variante della legge dell'entropia, che prevedeva la necessaria degradazione dell'energia a ogni stato della trasformazione, solitamente in un pozzo di calore (o respirazione). L'ultima legge, infine, era 'il principio di massima potenza', il quale affermava che la selezione naturale aveva selezionato la massima efficacia nell'uso delle risorse energetiche disponibili. Delle tre leggi esplicitate che plasmavano ogni diagramma energetico, le prime due imponevano un attento rendiconto di ogni caloria immessa nel sistema e usata nei processi, mentre la terza richiedeva un circuito a flusso graduale, tale da mostrare che i sistemi di successo erano quelli che facevano uso delle risorse energetiche disponibili nella maniera più efficiente.
Partendo dal presupposto di aver compreso le leggi degli ecosistemi, disponendo dei mezzi per modellizzare in maniera innovativa e visivamente convincente e grazie a un programma di ricerca ben finanziato, gli Odum pensavano che i tempi fossero maturi per spiegare gli ecosistemi umani tramite le leggi dell'ecologia e, infine, per risolvere alcuni dei problemi più pressanti per l'umanità. Nelle speranze di Eugene l'ecologia sarebbe stata "il collegamento tra le scienze naturali e le scienze sociali"; Howard, dal canto suo, predisse ottimisticamente un futuro in cui a tutti gli scolari si sarebbero insegnate le tre 'e': energy, environment, economics.
In questa ambiziosa cornice intellettuale, gli Odum si concentrarono su un ecosistema umano che sembrava agli antipodi di ogni legge ecosistemica naturale: l'agricoltura industrializzata occidentale. Nella loro analisi dell'ecosistema il successo dell'agricoltura occidentale si basava sulla modificazione di alcuni stati naturali. Come Clements aveva già sottolineato nel 1916, l'agricoltura era basata sulla successione disturbata della comunità di piante, la quale evitava che si giungesse alla comunità climax naturale. Superando tale tipo di analisi, grazie ai nuovi studi ecosistemici sui diversi tassi di energia delle specie iniziali rispetto a quelle mature, gli Odum affermarono che gli stadi iniziali della successione vengono conservati in agricoltura perché sono quelli di produzione primaria più elevata, che consentono il maggior raccolto energetico. Al contrario, lo stadio di climax di una comunità ‒ come una barriera corallina o una foresta pluviale ‒ non è adattato a una massiccia produzione energetica bensì, piuttosto, alla conservazione di una grande biomassa e all'equilibrio; esso risulta pertanto meno utile per le necessità produttive dell'agricoltura.
Secondo i due ecologi, tuttavia, l'agricoltura occidentale è andata oltre il mero disturbo della successione in vaste aree del paese, effettivamente modificando le piante e gli animali presenti in tali stadi iniziali. La trasformazione delle piante e degli animali da parte dell'uomo risale probabilmente alla rivoluzione neolitica, ma ciò che ha reso unica l'agricoltura moderna è il grado di modificazione genetica permesso dagli input dei combustibili fossili. Howard Odum considerava i risultati dell'agricoltura industrializzata come la produzione di polli che sono poco più che "macchine da uova che camminano", mucche che sono soprattutto "mammelle a quattro zampe" e piante con così pochi meccanismi di protezione e sopravvivenza che vengono immediatamente eliminate non appena viene meno la gestione umana ricca di energia. In altre parole, la fornitura di energia aveva permesso alla genetica agricola di selezionare piante e animali tesi alla produttività piuttosto che alla protezione e alla vitalità, in antitesi con le strategie degli ecosistemi naturali, che nel tempo tenderebbero invece all'autoconservazione e alla stabilità. L'unico modo che permette di mantenere tale sistema squilibrato è il ricorso all'uso di combustibili fossili, per provvedere alle necessità di organismi precedentemente autosufficienti. Il risultato erano quelle che gli Odum chiamarono le 'fattorie a combustibile fossile', nelle quali i derivati del petrolio ‒ ossia i fertilizzanti, gli erbicidi, i pesticidi e i pollai con aria condizionata ‒ si erano sostituiti alle funzioni svolte in precedenza da organismi maggiormente autosufficienti. Per contro, gli ibridi dipendenti dai combustibili fossili sono per definizione più vulnerabili agli agenti infestanti e al prezzo crescente dei combustibili.
Riesaminando gli ecosistemi agricoli industrializzati dell'Occidente, gli Odum si erano spinti in prima linea nel dibattito scientifico e politico contemporaneo focalizzato sullo sviluppo del cosiddetto Terzo mondo. Uno dei punti della discussione era la 'rivoluzione verde', ossia l'insieme dei tentativi, attuati nella seconda metà degli anni Sessanta, di aumentare la produzione di cibo nei paesi in via di sviluppo usando sementi ibride ad alto rendimento, pesticidi, erbicidi e l'agricoltura meccanizzata su larga scala. Il polemico libro di Paul Ehrlich, The population bomb (1968), e il lavoro di Garrett Hardin sulla popolazione e i beni comuni globali avevano fortemente criticato i paesi in via di sviluppo, la cui popolazione continuava ad aumentare nella povertà. I neomalthusiani Ehrlich e Hardin dubitavano dell'efficacia della rivoluzione verde nel soddisfare le necessità di una popolazione mondiale in continuo aumento.
Gli Odum entrarono in questo dibattito politico criticando la rivoluzione verde che, secondo loro, ignorava l'efficienza nascosta dell'agricoltura del Terzo mondo e trascurava di considerare le deficienze insite nell'agricoltura occidentale. Howard Odum, in seguito al suo lavoro sulle foreste pluviali di Puerto Rico e alla collaborazione con il White House Panel on World Food Supply, si era progressivamente convinto che i sistemi agricoli dei paesi in via di sviluppo fossero stati poco compresi e nascondessero efficienze sconosciute agli esperti occidentali. In particolare, egli fu sorpreso dalla stabilità delle millenarie pratiche di allevamento del bestiame in Uganda e dall'agricoltura durante la stagione dei monsoni in India. Howard citava con approvazione l'affermazione di Gandhi secondo cui, in India, "le vacche sono sacre perché sono indispensabili", conferendo un'aura intellettuale alla propria analisi sul ritorno, in termini di proteine e di letame, ottenuto in quel paese dal bestiame. Entrambi i fratelli Odum erano convinti anche che, prima di poter essere esportata, l'agricoltura occidentale andasse compresa più a fondo. Essi la definivano come un vasto esperimento di sostituzione degli ecosistemi naturali con monocolture non autosufficienti, secondo una politica che aveva avuto come risultato un'agricoltura costosa e instabile. Negli anni Sessanta la confluenza di temi scientifici e politici portò gli Odum a studiare i sistemi agricoli di altri paesi del mondo, sempre sostenendo però la necessità di comprendere la situazione agricola domestica prima di avviarne l'esportazione: tale scelta appariva infatti avventata, pericolosa e fuorviante.
Le analisi degli Odum mostrarono che l'agricoltura occidentale poteva nascere soltanto in un'economia pienamente industrializzata, in grado di sopportare temporaneamente l'apporto di energia necessario a sostenere un sistema instabile. L'infrastruttura petrolifera dell'agricoltura occidentale era cruciale per la rivoluzione verde tanto quanto la genetica agricola. Il tentativo di introdurre organismi dipendenti dai combustibili nei paesi in via di sviluppo nacque dal generale fraintendimento del successo dell'agricoltura occidentale, che si pensava basata su un adattamento genetico in grado di migliorare l'efficienza solare. Secondo gli Odum, tuttavia, tale rivoluzione verde aveva in realtà selezionato le piante in base alla loro abilità di utilizzare l'energia fornita dai combustibili fossili. Come sottolineò Howard in un'eloquente metafora, l'uomo dell'era industriale non mangia più patate prodotte grazie all'energia solare; "ora mangia patate fatte in parte di petrolio". Compito degli ecologi, per gli Odum, doveva essere quello di incrementare da parte dell'uomo la comprensione delle realtà agroecologiche esistenti, aiutandolo a modificare le proprie politiche in accordo con esse.
In un articolo del 1969, pubblicato sulla rivista "Science", Eugene Odum tentò di spiegare la storia dell'umanità applicando le leggi ecologiche della successione delle piante: "In una società pioniera, come nell'ecosistema pioniere, un alto tasso di natalità, una crescita rapida, alti profitti economici e lo sfruttamento di risorse accessibili e inutilizzate sono vantaggiosi ma, avvicinandosi alla saturazione, queste tendenze devono modificarsi e tendere verso la simbiosi, il controllo delle nascite e il riciclaggio delle risorse" (Odum 1969, p. 269).
Secondo tali indicazioni la società umana aveva bisogno di avvicinarsi maggiormente a un ecosistema maturo, nel quale la crescita lascia il posto alla stabilità e all'autosostentamento. Alcune delle soluzioni specifiche per l'agricoltura proposte da Eugene Odum implicavano un più ampio uso dell''agricoltura dei detriti' (per es., le colture di ostriche lungo le coste atlantiche e del golfo del Messico), una minore dipendenza dai combustibili fossili nelle fattorie e la necessità di fermare la rivoluzione verde.
Questi timidi propositi furono superati da Howard Odum nel suo studio del 1971 Environment, power and society, andando più a fondo nell'immaginare l'intera struttura sociale umana regolata dalle leggi degli ecosistemi naturali. Per un ecosistema umano avvicinarsi a un ecosistema naturale maturo significherebbe sostituire la crescita con l'autosostentamento. I consistenti contributi energetici richiesti dall'agricoltura cesserebbero di essere necessari mentre, per mantenere la produzione, si assisterebbe allo sviluppo di una maggiore efficienza nell'uso dei prodotti della decomposizione e del lavoro umano e animale. Howard predisse che le agenzie di viaggio, i fornitori di beni di lusso, i commercianti internazionali e altre attività ai vertici della fragile e produttivistica economia dei combustibili fossili sarebbero stati trasferiti all'economia agricola per andare incontro alle necessità di un'agricoltura nuovamente basata sul lavoro intensivo. Il risultante ecosistema umano sarebbe stato maggiormente autosufficiente, più regionale e meno soggetto a fluttuazioni non locali. La perdita della disponibilità di arance della Florida lungo tutto l'arco dell'anno sarebbe stata compensata dalla sostenibilità del nuovo sistema e dalla fine delle fluttuazioni agricole. Come un ecosistema naturale, l'ecosistema umano in questo stato futuro sarebbe stato orientato verso il mantenimento dell'equilibrio in diverse unità regionali.
Perché il programma sociale degli Odum avesse successo e queste utopie potessero essere realizzate nel loro paese per primo, essi avevano bisogno di appoggiarsi agli ecologi americani e alle istituzioni agricole federali, che avrebbero dovuto collaborare per riformulare le priorità agricole secondo linee più ecologiche. La versione degli Odum dell'agroecologia, tuttavia, esercitò negli anni Settanta scarso richiamo tanto sugli uni quanto sulle altre.
Il tipo di analisi ecosistemica degli Odum parlava costantemente di 'strategie' e di 'scopi' degli ecosistemi naturali, da ottenere mediante 'circuiti retroattivi' nel sistema, e conduceva ad alcune speculazioni eterodosse, dalle quali però la nuova generazione degli ecologi si allontanò in conseguenza dell'uso incauto di termini antropomorfici. Negli anni Settanta e Ottanta i nuovi ecologi rivolsero il loro interesse a sistemi più piccoli e all'ecologia del caos. Il tentativo degli Odum di collegare le scienze naturali e sociali ebbe come conseguenza che le loro teorie, considerate antropomorfiche e teleologiche da quegli stessi ecologi che i due fratelli intendevano aiutare proponendo nuovi strumenti, furono contestate. Invece di contribuire all'affermazione della disciplina ecologica, l'agroecologia fu gradualmente marginalizzata come un'ecologia antropologica ibrida, che non ebbe diffusione nelle università americane. Gli ecologi, in larghissima parte, accantonarono gli studi di ecologia umana degli Odum e ridussero l'analisi agroecologica a un ambito di ricerca accademica di nicchia, utilizzata per analisi più dei paesi in via di sviluppo o dei popoli tribali che non del sistema agricolo che sosteneva le loro università. In definitiva l'eredità degli Odum fu minore di quanto essi avrebbero desiderato: i loro diagrammi continuarono a essere considerati e la loro fama perdurò, mentre il loro programma sociale scomparve ed essi persero del tutto la loro importanza all'interno della comunità degli ecologi dopo gli anni Sessanta.