La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Dall'ambiente interno all'omeostasi
Dall'ambiente interno all'omeostasi
A partire dalla metà del XIX sec., l'applicazione dell'approccio fisico-chimico e sperimentale allo studio delle funzioni degli organismi viventi iniziava a delineare la centralità del controllo e della regolazione nei processi fisiologici. Tra il 1857 e il 1865, Claude Bernard (1813-1878) elaborava il concetto di ambiente interno, un'idea fondamentale per l'inquadramento teorico delle evidenze e la definizione delle future ricerche sperimentali sui fenomeni dell'autoregolazione.
Secondo il fisiologo francese, l'ambiente interno era il complesso fluido (il plasma negli animali superiori) che bagna le cellule e agisce come vettore per lo scambio di nutrienti e di prodotti di rifiuto tra queste e l'ambiente esterno; esso assicura, integrando le diverse parti del corpo, le condizioni fisico-chimiche più idonee alle funzioni cellulari. Nelle Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux (1878) Bernard scriveva: "Tutti i meccanismi vitali, comunque variati e diversi essi siano, hanno soltanto uno scopo, quello di preservare costanti le condizioni della vita nell'ambiente interno" (Bernard 1878-79, I, p. 121). Venivano così definiti gli ambiti di un programma di ricerca sperimentale talmente vasto e articolato da coincidere con la fisiologia generale nel suo complesso.
La concezione integrazionistica avanzata da Bernard si è successivamente affermata per mezzo dell'estesa applicazione di un approccio analitico. Grazie alla disponibilità di strumenti in grado di risolvere la realtà dei fenomeni fisiologici a livelli sempre più microscopici, la sua visione è stata progressivamente dettagliata, riuscendo a mettere a punto modelli sperimentali tesi all'isolamento di variabili e processi specifici.
La ricerca sperimentale sui sistemi di controllo dell'apparato cardiovascolare era stata inaugurata nel 1845 a Lipsia, quando i fratelli Weber, Ernst Heinrich (1795-1878) ed Eduard Friedrich Wilhelm (1806-1871), avevano osservato che la frequenza cardiaca poteva essere rallentata con la stimolazione del nervo vago afferente al cuore e aumentata agendo sulle porzioni cardiache del simpatico.
Successivamente, gli esperimenti condotti presso l'Istituto di fisiologia di Lipsia diretto da Carl Ludwig (1816-1895) portarono a localizzare nei vasi i centri per la regolazione cardiovascolare e a comprenderne il funzionamento. Nel 1866, Ludwig ed Elia de Cyon (1843-1912) dimostrarono per primi che la stimolazione delle fibre afferenti al bulbo dall'arco aortico, inducevano brachicardia e ipotensione, attraverso il nervo vago.
Nessuna significativa acquisizione venne fatta in questo filone di indagine sino al 1898, quando Giuseppe Pagano (1872-1959) all'Istituto di fisiologia dell'Università di Palermo riprese alcuni esperimenti condotti nel 1877 da Charles-Albert François-Franck (1849-1921) al Collège de France, individuando nel seno carotideo una zona sensibile alle variazioni di pressione, localizzata nella biforcazione della carotide comune nei suoi rami interno ed esterno. Negli stessi anni il fisiologo Luigi Siciliano dimostrava che le variazioni della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa originavano dalla carotide e non, come si riteneva in quel tempo, direttamente dal cervello.
Gli studi di Pagano e Siciliano, incompleti e scarsamente conosciuti, non destarono un grande interesse nella comunità scientifica dell'epoca. Il loro significato veniva precisato nei primi anni Venti dalle ricerche di Heinrich Ewald Hering (1866-1948), il quale dimostrava finalmente che la zona vasosensibile è proprio nel seno carotideo; con la stimolazione meccanica o elettrica di essa si riusciva a ottenere brachicardia e caduta della pressione arteriosa.
I risultati di Hering venivano confermati negli stessi anni dalle importanti ricerche condotte a Gand dal fisiologo belga Corneille Heymans (1892-1968), attraverso l'elaborazione del protocollo sperimentale della perfusione crociata già introdotto dal connazionale Leon Frédéricq.
Occorreva a questo punto chiarire quali meccanismi fisiologici erano responsabili di tale risposta. Fu l'istologo spagnolo Fernando De Castro (1896-1967), allievo e collega di Santiago Ramón y Cajal, che nel 1926 riuscì a dimostrare la ricca innervazione di fibre recettrici presenti nelle pareti del seno carotideo, fornendo precise evidenze sull'anatomia microscopica del glomo carotideo, un piccolo organo neurovascolare situato in corrispondenza della zona indicata da Hering e Pagano come responsabile dei riflessi cardioinibitori. Nel 1928 De Castro ipotizzava che il glomo carotideo fosse uno speciale organo di senso in grado di rispondere a determinate modificazioni chimiche del sangue.
L'idea di un meccanismo neuroumorale alla base della regolazione della pressione e del ritmo cardiaco, che tuttavia escludeva funzioni endocrine per il glomo carotideo, veniva invece avanzata tanto da Heymans quanto da Walter B. Cannon. Nel 1929, i due ricercatori riuscivano a dimostrare, indipendentemente l'uno dall'altro, che le variazioni di pressione a livello dei recettori del seno carotideo inducevano il rilascio di adrenalina, precisando così peraltro le prime osservazioni sull'azione vasocostrittrice di questa sostanza effettuate nel 1894 da Edward Albert Sharpey-Schäfer e George Oliver. Heymans inoltre concentrò i suoi studi sulle relazioni tra le variabili fisiologiche dei processi respiratori e le dinamiche cardiovascolari, iniziando a far luce tanto sui meccanismi di compenso reciproco quanto sulle interazioni esistenti tra questi due sistemi fisiologici.
Altri importanti studi sui meccanismi fisiologici legati alle regolazioni cardiovascolari riguardarono le funzioni renali. Agli inizi del XX sec. il fisiologo Ernest H. Starling (1866-1927) dimostrava sperimentalmente sul cane il ruolo dell'assorbimento della filtrazione renale.
Utilizzando una pinza a livello dell'arteria renale per manipolare la pressione del sangue in entrata nei reni, appurò che la filtrazione si arrestava quando la pressione sanguigna nel rene scendeva ai valori della pressione osmotica esercitata dalle proteine plasmatiche. Al contrario, rilasciando la pinza e quindi aumentando il flusso del sangue verso il rene, Starling osservava la ripresa della filtrazione e il suo procedere a ritmi tanto più alti quanto maggiore era l'eccesso di pressione.
Nella seconda metà degli anni Quaranta, Ewald Erdman Selkurt (1914-1993) mise in rilievo gli effetti della pressione arteriosa sull'assorbimento renale del sodio. Questa indicazione costituiva uno dei riferimenti sperimentali fondamentali del complesso modello di spiegazione delle regolazioni cardiovascolari proposto, all'inizio degli anni Sessanta, da Arthur Clifton Guyton (1919-2003), che individuava nelle funzioni renali i principali meccanismi di compensazione e aggiustamento della pressione arteriosa.
La ricerca sui processi regolativi nella respirazione era strettamente intrecciata al filone delle ricerche sulle regolazioni del sistema cardiovascolare. Sin dall'Antichità era infatti noto che le variazioni nel ritmo e nella profondità della respirazione si accompagnavano a evidenti mutamenti nella frequenza cardiaca.
L'idea di un'autoregolazione (Selbsteuerung) della respirazione era stata avanzata per la prima volta nel 1868 da Karl Ewald Konstantin Hering (1834-1918), padre di Heinrich Ewald, e da Joseph Breuer (1842-1925), i quali avevano dimostrato che i riflessi di espirazione e inspirazione, innescati rispettivamente dalla distensione e dalla deflazione dei polmoni, sono mediati dal nervo vago. Nello stesso anno i lavori di Eduard Friedrich Wilhelm Pflüger (1829-1910) avevano invece messo in evidenza l'esistenza di una regolazione chimica della respirazione dipendente dalle variazioni di concentrazione del biossido di carbonio e di ossigeno nel sangue. Si dovevano a questo punto accertare le relazioni quantitative tra le concentrazioni dei due gas nel sangue e la respirazione. Fu Friedrich Miescher (1844-1895) nel 1885 a raccogliere i primi dati quantitativi grazie ai quali si iniziò a comprendere che il biossido di carbonio aveva il ruolo primario nella regolazione chimica di questo processo.
Le prove e l'interpretazione fisiologica proposte da Miescher erano confermate dalle ricerche di Frédéricq, che, allo stesso tempo, rappresentavano il primo grande passo verso l'identificazione della sede della chemosensibilità.
Frédéricq praticò un'anastomosi dei vasi del collo di due cani, così che la testa di ognuno fosse irrorata dalla circolazione dell'altro. In queste condizioni, l'occlusione momentanea della trachea in uno dei due cani faceva aumentare i movimenti respiratori nell'altro e induceva un'apnea nel primo non appena ne veniva liberata la trachea. Era la dimostrazione dell'esistenza di recettori sensibili a stimoli chimici a livello centrale o quantomeno in posizione più prossima al cranio rispetto al punto di anastomosi dei vasi dei due animali (Frédéricq 1887). Con lo stesso protocollo sperimentale, Frédéricq dimostrò, nel 1900, la preponderanza del ruolo del biossido di carbonio nella regolazione della respirazione rispetto a quello svolto dall'ossigeno.
Negli anni successivi fu John S. Haldane (1860-1936) la figura dominante nel campo delle ricerche sulla regolazione della respirazione. Egli definì il concetto di aria alveolare, mise a punto tecniche per la sua raccolta e analisi così semplici e affidabili che hanno reso possibile la sperimentazione sugli uomini; soprattutto, cominciò a considerare la regolazione della respirazione nei termini più generali del controllo dell'ambiente interno.
Nel 1905 Haldane e John Gillies Priestley (1879-1941) analizzavano sistematicamente centinaia di campioni di aria alveolare prelevata da soggetti nelle più diverse condizioni fisiologiche. I risultati così ottenuti dimostravano che la regolazione della ventilazione alveolare nella respirazione dipende, in condizioni normali, esclusivamente dalla pressione del CO2 nei centri respiratori. Il significato dello studio andava oltre la specificazione delle relazioni quantitative in gioco nella chimica della respirazione: permetteva per la prima volta di correlare quantitativamente la regolazione della respirazione alla dinamica del soddisfacimento delle richieste metaboliche dei tessuti.
Nel 1908 Haldane modificava la teoria quantitativa formulata con Priestley. Il fattore chimico primario per la regolazione della respirazione diventava l'acidità totale del sangue, inclusa quella dovuta al CO2 libero. Questa nuova ipotesi venne ulteriormente convalidata nel 1909, quando, insieme con Douglas, Haldane trovò che la tensione alveolare del biossido di carbonio diminuiva durante l'esercizio. In questo caso, la stimolazione della respirazione sarebbe da attribuire all'aumento di reattività del sangue che consegue alla produzione muscolare di acido lattico.
La regolazione del pH nel sangue
I notevoli sviluppi delle conoscenze sulla chimica dell'equilibrio acido-base di quegli anni, frattanto, facevano luce sulle relazioni tra biossido di carbonio e acidità del sangue e supportavano l'idea di Haldane sul ruolo dell'acidità nella regolazione della ventilazione polmonare. Già dal 1900, Auguste Fernbach (1860-1939) aveva introdotto il termine 'tampone' per indicare l'azione di mantenimento del grado di acidità operata dai fosfati all'interno di una soluzione di estratto di malto posta a contatto con vari reagenti. Egli aveva intuito, peraltro, l'importanza dei tamponi per la fisiologia in generale. Agli inizi del XX sec. era stato Lawrence J. Henderson (1878-1942), docente di chimica biologica alla Harvard University, a determinare sperimentalmente che l'influenza esercitata da acidità e alcalinità su molti processi chimici supera quella di tutte le altre condizioni, comprese la temperatura e la concentrazione dei reagenti. Nei sistemi biologici questa influenza si manifesta spiccatamente sull'attività enzimatica; di conseguenza, il grado di acidità è uno dei parametri chimici dell'ambiente interno più rigorosamente controllati dai sistemi di stabilizzazione fisiologica.
Fin dal 1904 Henderson aveva cominciato a lavorare all'identificazione dei sistemi tampone inorganici attivi nei tessuti. La determinazione quantitativa delle loro caratteristiche fisiche e chimiche, ben presto, lo portò a scoprire che i vari sistemi tampone del corpo erano molto più efficienti e sicuri delle semplici soluzioni di acido debole e sale relativo e che la loro capacità di regolare il pH si amplificava fortemente quando potevano agire in combinazione con tutti gli altri. Le ricerche di Henderson, inoltre, facevano emergere un fatto ancora più sorprendente: i particolari sistemi tampone presenti nei tessuti sembrano essere esattamente i meccanismi per la regolazione dell'equilibrio acido-base più adatti e integrati al complesso di tutte le altre funzioni organiche. La coppia coniugata bicarbonato-acido carbonico, il sistema tampone predominante nei mammiferi, per esempio, relativamente inefficace in vitro, diventa invece molto potente nel contesto dell'organizzazione fisiologica. La regolazione dell'equilibrio acido-base è ulteriormente complicata e integrata, come Henderson comprese nel 1911, dai processi di escrezione renale degli acidi. Tali risultati furono probabilmente determinanti nel dirigere la sua attenzione verso le questioni dell'autoregolazione e dell'organizzazione biologica. In questa direzione, Henderson finì per maturare un approccio olistico, per taluni versi meramente speculativo, alla comprensione dei diversi livelli di manifestazione del vivente, dai processi biochimici ai fenomeni sociali, una dottrina totalizzante compendiata nel saggio The fitness of the environment, pubblicato nel 1913.
La regolazione della respirazione dopo Henderson
A dispetto delle rarefatte argomentazioni filosofiche, erano stati i dati sperimentali, il lavoro analitico sulla regolazione del pH, a mettere in evidenza che un altro meccanismo di controllo di un parametro dell'ambiente interno è implicato nella regolazione della respirazione, contribuendo così a disegnare l'immagine dei processi fisiologici come un insieme comunque integrato e autoregolato. In un lavoro del 1909, tra l'altro, Haldane paragonava, per la prima volta, i centri del respiro al regolatore centrifugo (il dispositivo di controllo a retroazione installato nel 1790 da James Watt sul primo motore rotativo a vapore), introducendo così un'analogia tra apparati cibernetici e strutture funzionali del vivente che si rivelerà ben presto uno dei modelli concettuali più fecondi della ricerca biomedica del XX secolo.
L'idea della respirazione come processo integrato nel complesso degli aggiustamenti fisiologici deputati al mantenimento di un ambiente interno costante faceva inoltre cadere le ragioni metodologiche e strategiche che avevano spinto Haldane e molti altri a contrastare, frenandone gli sviluppi, la teoria neurologica del controllo della ventilazione polmonare e il programma di ricerca sulla localizzazione dei centri del respiro.
Nel 1923 il fisiologo inglese Thomas W. Lumsden (1874-1953), usando la tecnica dell'ablazione, localizzava quattro centri respiratori nella regione dorsolaterale del ponte: il centro per l'espirazione e quello per l'inspirazione e altri due siti encefalici cui dava rispettivamente il nome di centro apneustico, in quanto ritenuto responsabile degli impulsi a trattenere il respiro, e di centro pneumotassico, che a suo parere aveva la funzione di inibire gli impulsi apneustici anche in seguito alla sezione vagale.
Rimaneva da spiegare un altro fatto evidente e noto da lungo tempo, ossia come l'ipossia fosse in grado di stimolare la ventilazione polmonare. Le classiche ricerche quantitative sulla regolazione chimica del respiro non avevano mai identificato strutture specificamente sensibili alla pressione parziale dell'ossigeno nel sangue; eppure era evidente che un meccanismo in grado di valutare la deficienza di ossigeno dovesse esistere, come dimostrava eloquentemente l'iperventilazione che si produce salendo ad alta quota. Il problema era stato affrontato, senza particolare fortuna, anche dal fisiologo inglese Joseph Barcroft (1872-1947) nel corso di varie spedizioni scientifiche ad alta quota (Tenerife, 1910; Monte Rosa, 1911; Cerro de Pasco, 1921-1922) tese, però, soprattutto a chiarire le proprietà dell'emoglobina e la grande controversia secrezione vs diffusione dell'ossigeno nei polmoni. La soluzione cominciò, tuttavia, a delinearsi verso la metà degli anni Venti del XX sec., con gli studi di Jean-François Heymans (1859-1932), fondatore dell'Istituto di farmacologia dell'Università di Gand, e di suo figlio Corneille.
Nel 1928 Corneille e i suoi collaboratori di Gand giunsero a isolare il sito specifico di tale sensibilità. Essi dimostrarono che per ottenere iperventilazione era sufficiente perfondere soltanto il seno carotideo con sangue o soluzione fisiologica a bassa concentrazione di ossigeno. Le vie nervose per la realizzazione di tale riflesso sono il vago e il nervo del seno; Heymans, infatti, dimostrò che dopo la sezione di queste fibre si ha la scomparsa della sensibilità per la concentrazione di ossigeno, mentre permane quasi intatta quella per il biossido di carbonio.
L'importanza delle ricerche sui chemocettori nella regolazione della respirazione che Corneille Heymans condurrà, a partire da questa scoperta, durante la sua precoce carriera di docente a Gand, fu sancita ufficialmente dalla comunità scientifica nel 1938 con l'assegnazione del premio Nobel per la medicina o la fisiologia.
La ricerca sui meccanismi della regolazione della temperatura iniziava nel 1885 con le osservazioni di Eduard Aronsohn e Julius von Sachs, due studenti di medicina all'Università di Berlino. Essi dimostravano che la microlesione con ago, ossia la stimolazione elettrica di una piccola zona del tessuto encefalico a livello della parte mediana e anteriore del terzo ventricolo, causavano un considerevole aumento della temperatura. Nel 1912 Robert Georg Isenschmid e Ludolf von Krehl (1868-1937) provavano che la lesione di due piccole aree laterali del peduncolo cerebrale provocava una brusca caduta di temperatura negli animali. Essi avevano scoperto l'esistenza di un secondo centro cerebrale per la termoregolazione le cui specifiche funzioni e la cui diversità rispetto al centro individuato da Aronsohn e Sachs sarebbero stati chiariti nei decenni successivi.
Nel 1912 Henry Gray Barbour (1886-1943), studente americano di farmacologia specializzando a Vienna presso il laboratorio di Hans Meyer, precisava il ruolo fisiologico del centro termoregolatore individuato da Aronsohn e Sachs, dimostrando che il raffreddamento o il riscaldamento diretto di questo centro attraverso la perfusione con acqua provocava rispettivamente l'innalzamento e l'abbassamento della temperatura nelle cavie. Nello stesso lavoro Barbour evidenziava un meccanismo di regolazione più vasto e integrato, stabilendo che le variazioni di temperatura a livello del centro Aronsohn-Sachs modulavano contemporaneamente il comportamento dei vasi sanguigni, la respirazione e la perspirazione cutanea. La ricerca su questo ambito più vasto di aggiustamenti venne proseguita verso la metà degli anni Trenta dal gruppo statunitense di ricercatori della Northwestern Medical School di Chicago coordinato da Horace W. Magoun (1907-1991). Eseguito sui gatti, l'esperimento di Magoun dettagliava con precisione la localizzazione del centro cerebrale termosensibile, restringendo l'area indicata da Aronsohn e Sachs (Magoun 1938).
Rimaneva ancora da chiarire la funzione del secondo centro cerebrale per la termoregolazione individuato da Krehl e Isenschmid, ossia se fosse un nucleo nervoso termosensibile come l'altro oppure una struttura di collegamento e analisi. Fu il lavoro condotto nel 1940 da Allan Hemingway (1902-1972) all'Istituto di fisiologia dell'Università del Minnesota ad apportare un contributo decisivo. Hemingway provava a riscaldare con una sonda, come aveva fatto il gruppo di Magoun, il centro individuato da Krehl.
L'esperimento dava esito negativo, il centro di Krehl era insensibile alle variazioni locali di temperatura e tuttavia la sua integrità era necessaria per alcune risposte motorie autonomiche agli stimoli termici, come i brividi.
I processi di mantenimento della costanza della temperatura venivano frattanto indagati anche su versanti fisiologici diversi da quelli nervosi. Nelle sue spedizioni di ricerca in alta quota, condotte tra il 1921 e il 1922, Barcroft aveva osservato che il volume del sangue variava in funzione della temperatura. Sorpreso dal dato, al suo ritorno dalla spedizione metteva a punto un esperimento attraverso il quale dimostrava che l'innalzamento della temperatura provoca una diluizione del sangue e quindi un aumento del volume, fenomeno che permette così un potenziamento della traspirazione e un raffreddamento più efficace. Al contrario, temperature basse inducono la riduzione del volume di sangue circolante, limitando la dispersione del calore corporeo (Barcroft 1923).
Qualche anno più tardi Cannon portò alla luce le dimensioni umorali del controllo della temperatura e la reciproca integrazione tra i meccanismi endocrini e le funzioni del sistema nervoso autonomo. Egli dimostrava che l'asportazione della midollare del surrene amplificava grandemente gli altri meccanismi autonomici funzionali a compensare l'abbassamento di temperatura del corpo come i brividi, l'orripilazione e la vasocostrizione, in quanto impediva l'iperglicemia e l'aumento del metabolismo (Cannon 1926).
A partire dalla metà degli anni Cinquanta, le ricerche sulla farmacologia della termoregolazione subirono un'accelerazione, con l'individuazione di alte concentrazioni di serotonina, sostanza P e noradrenalina ‒ allora chiamata simpatina ‒ nelle zone ipotalamiche e del tronco cerebrale implicate nel controllo della temperatura corporea. Nel decennio successivo, emersero le prove dell'esistenza di neurotrasmettitori attivi a livello delle sinapsi dei centri termoregolatori nell'ipotalamo e a livello del tronco cerebrale (Feldberg 1963; Cooper 1965). In tal modo il controllo della temperatura veniva messo in relazione al campo più vasto dei processi di regolazione fisiologica mediati e reciprocamente coordinati dai sistemi endocrino e nervoso.
Cannon si era avvicinato allo studio dei processi autoregolativi indagando le influenze del sistema nervoso e delle emozioni sui processi digestivi. Tra i primi ad applicare i raggi X nelle indagini sperimentali in fisiologia, nel 1896 egli aveva osservato che le emozioni negli animali inibivano i movimenti del canale alimentare. Nel 1911 dimostrava la possibilità di indurre la secrezione di adrenalina con stimoli connotati affettivamente. Le numerose ricerche sulla fisiologia dell'emozione condotte da Cannon negli anni successivi mettevano in evidenza le funzioni del sistema nervoso simpatico, accertando che tale divisione del sistema nervoso autonomo è responsabile della reazione viscerale innescata durante le esperienze emotive e le situazioni di emergenza in cui viene posta in gioco l'integrità e la sopravvivenza dell'organismo. Raccordando i dati acquisiti con le diverse sperimentazioni, Cannon rilevava e descriveva l'azione del sistema nervoso simpatico nell'innesco e nel coordinamento delle modificazioni neuroendocrine e circolatorie finalizzate a preparare l'organismo alla lotta o alla fuga, la risposta fisiologica integrata che egli denominò 'reazione di allarme'. Le indagini condotte da Cannon chiarivano peraltro la cooperazione e l'integrazione fisiologica del sistema nervoso simpatico e il ruolo dell'adrenalina come trasportatore degli impulsi nervosi che accelerano il ritmo cardiaco, provocano contrazione dei vasi sanguigni, dilatano gli alveoli, mobilizzano le riserve di zuccheri dal fegato, causano l'arresto delle funzioni digestive e, infine, provocano il rilascio di adrenalina dalla midollare del surrene, producendo così un'altra serie di effetti energizzanti. L'adrenalina, attraverso il sangue, raggiunge tutti i compartimenti corporei e dal momento che essa possiede le stesse azioni degli impulsi nervosi simpatici sugli organi interni, Cannon propose di intendere questa cooperazione fisiologica come un unico sistema funzionale che definì 'meccanismo simpatico-adrenale'. L'interesse di Cannon per le funzioni di tale meccanismo venne, peraltro, alimentato dalle ricerche condotte durante la Prima guerra mondiale come ufficiale dell'U.S. Army Medical Corps.
La Grande guerra aveva drammaticamente imposto ai medici di tutte le nazioni un programma di ricerca già ben avviato negli Stati Uniti e a cui Cannon aveva dato un notevole contributo, definendo i meccanismi autonomi responsabili delle reazioni emostatiche che si osservano nelle emorragie. Nel 1914 Cannon e i suoi colleghi avevano dimostrato che la secrezione di adrenalina indotta dalla stimolazione dei nervi splancnici del simpatico produce l'accelerazione dei processi emostatici. Tale risultato era uno dei punti fermi di questa ricerca, tesa a perfezionare strumenti efficaci di pronto soccorso per i militari feriti fra i quali si contavano numerose morti per shock circolatorio.
Questi meccanismi di compensazione e salvaguardia sono fondamentali per l'economia vitale degli organismi, in quanto ‒ secondo Cannon ‒ assicurano la condizione primaria ed essenziale per la vita delle cellule, vale a dire, il mantenimento e l'uso effettivo dell'ambiente interno stesso. La velocità e l'efficienza con cui tali aggiustamenti vengono eseguiti in condizioni di estremo pericolo illustrava eloquentemente, a suo parere, a quali gradi di rendimento arriva il controllo integrato simpatico-adrenale.
Parallelamente a tali indagini Cannon effettuava una vasta serie di ricerche sulle influenze del meccanismo simpatico-adrenale e del sistema endocrino e, più in generale, su tutta la gamma di fenomeni della regolazione organica in condizioni normali e di emergenza come la velocità del metabolismo, il controllo della temperatura corporea e quello della concentrazione di zuccheri, grassi, calcio e proteine nel sangue, l'aggiustamento della ventilazione polmonare, del battito cardiaco e della pressione arteriosa. I dati così ottenuti dimostravano incontestabilmente che tutte queste regolazioni non si realizzano soltanto per mezzo di meccanismi di controllo 'localizzati' ma, soprattutto, attraverso il coordinamento e l'integrazione di numerose componenti fisiologiche. Tali risultati, inoltre, evidenziavano la preminenza del meccanismo simpatico-adrenale in questa complessa struttura di regolazioni grazie alla quale, secondo Cannon, l'organismo può agire come sistema integrato e può rispondere in maniera efficace alle sfide che gli sono poste dall'ambiente.
Cannon aveva così realizzato l'ideale indicato da Bernard, andando oltre l'ambito specifico dei controlli effettuati in seno a ogni specifica funzione fisiologica, riportando e, in tal modo, raccordando i singoli meccanismi autoregolativi al processo fondamentale della stabilità dell'ambiente interno. Diventava possibile per Cannon precisare e superare le idee di Bernard con l'introduzione di un nuovo termine teorico, 'omeostasi', proposto nel 1925 in occasione del giubileo del fisiologo francese Charles R. Richet.
Ci si potrebbe riferire alle condizioni costanti che sono mantenute nell'organismo con il termine equilibrio. Questa parola, tuttavia, è usata nel suo preciso significato soltanto quando la si applica all'interpretazione di stati fisico-chimici relativamente semplici di sistemi chiusi dove forze conosciute si bilanciano. I processi fisiologici coordinati che mantengono lo stato stazionario negli esseri viventi sono così complessi e peculiari ‒ implicando il lavoro integrato del cervello e dei nervi, del cuore, dei polmoni, dei reni e della milza ‒ che ho suggerito una speciale definizione per questi stati, omeostasi. La parola non implica qualcosa di immobile e fisso, una stagnazione. Essa vuole indicare una condizione, una condizione che può variare, ma che è relativamente costante. (Cannon 1932 [1963, p. 24])
La nozione di omeostasi ha rapidamente valicato l'ambito delle scienze biomediche, divenendo persino un termine chiave dell'ingegneria. Essa oggi viene comunemente usata per la spiegazione dei fenomeni biologici a tutti i livelli, rappresentando al contempo un valido principio per l'interpretazione della dinamica di macrosistemi molto complessi come gli ambienti eco-etologici e la società umana.
La prima ipotesi sulla mediazione chimica nell'impulso nervoso è legata alle ricerche sui meccanismi delle regolazioni cardiovascolari, in particolare alla scoperta dell'azione dell'estratto di ghiandola surrenale sul sistema cardiovascolare realizzata da Oliver e Schafer nel 1894. Nel tentativo di interpretare i meccanismi fisiologici di tale fenomeno, il fisiologo inglese Thomas R. Elliot (1877-1961), ipotizzava nel 1904 che i nervi del sistema nervoso simpatico potessero agire liberando adrenalina.
Walter Dixon (1871-1931) fu il primo a tentare la ricerca sulla farmacologia del sistema nervoso parasimpatico, con un originale esperimento sull'innervazione vagale del cuore realizzato nel 1906. Era già noto l'effetto inibitorio della stimolazione del vago sul ritmo cardiaco. Dixon raccolse il perfusato di un cuore di cane dopo aver stimolato il nervo vago per 30 minuti. Applicando successivamente il perfusato su un cuore di rana isolato, egli rilevava il rallentamento del battito, riportando così l'effetto antagonizzante della muscarina. Dixon concluse che i due fenomeni erano imputabili a uno stesso meccanismo farmacologico, ma erroneamente attribuiva al cuore l'origine di questa sostanza attiva sulle terminazioni nervose (Dixon 1907). Le prove necessarie non erano così state sufficienti alla scoperta della mediazione chimica della trasmissione vagale: troppo isolato il riscontro e ancora remota l'ipotesi di una dimensione farmacologica del segnale nervoso.
In questo stesso periodo, John N. Langley (1852-1925), fisiologo di Cambridge e direttore del "Journal of physiology", elaborava un complesso modello teorico di trasmissione nervosa chimicamente mediata (1906). Nei suoi studi sull'antagonismo fra nicotina e curaro nelle terminazioni nervose del muscolo di rana, Langley aveva potuto osservare che l'effetto stimolante della nicotina persisteva anche dopo la denervazione. Ciò costituiva una notevole anomalia per la teoria elettrica della trasmissione nervosa e dell'eccitazione muscolare. Langley interpretava il fenomeno ipotizzando che la mediazione chimica dell'impulso nervoso si realizzerebbe attraverso l'azione di una 'sostanza recettiva' che reagisce ai farmaci secondo le leggi della chimica (1907). Il concetto elaborato da Langley fu fondamentale per la definizione della nozione di recettore sviluppata successivamente dall'immunologo tedesco Paul Ehrlich (1854-1915) e posta a base della sua spiegazione della specificità immunologica.
Henry H. Dale (1875-1968), allievo di Langley, cominciava in quegli anni ad affrontare il problema della trasmissione neurochimica. Lavorando come ricercatore presso i laboratori dell'industria farmaceutica Burroughs-Wellcome, egli scoprì nel 1906 che la segale cornuta antagonizzava l'azione dell'adrenalina e l'attivazione simpatica. Quattro anni più tardi, Dale studiava, con George Barger, l'azione della noradrenalina, rilevandone l'attività eccitatrice sulle fibre del sistema nervoso simpatico, superiore a quella dell'adrenalina. Tali evidenze, nel contesto della nascente idea della trasmissione chimica, suggerivano che, piuttosto che l'adrenalina, il mediatore nervoso fosse la noradrenalina. Nel loro resoconto, Barger e Dale discutevano, in effetti, una simile possibilità, ma tale ammina, sintetizzata nel 1904, all'epoca era poco più di una curiosità chimica, non essendo mai stata rilevata la sua presenza all'interno del corpo. Soltanto nel 1946, la noradrenalina fu identificata dal farmacologo svedese Ulf Svante von Euler (1905-1983) con il neurotrasmettitore adrenergico.
L'acetilcolina costituiva un'altra delle grandi curiosità chimiche del periodo. Sintetizzata nel 1894, la sua azione era stata indagata da Reid Hunt e René Taveau, che ne avevano scoperto il potente effetto ipotensivo, la capacità di rallentare il ritmo cardiaco e ne avevano ipotizzato la natura endogena. Anche Dale era interessato all'indagine dell'attività farmacologica dell'acetilcolina, da lui ritrovata in estratti di segale cornuta. Nel 1914 egli descriveva in un resoconto come l'acetilcolina riproducesse in maniera impressionante gli stessi effetti della stimolazione parasimpatica. Abolendo tali reazioni muscariniche con somministrazione di atropina, inoltre, Dale dimostrava l'azione nicotinomimetica dell'acetilcolina sulle cellule gangliari e della midollare surrenale. Egli aveva, quindi, rilevato esattamente la duplicità dell'azione dell'acetilcolina sul sistema nervoso autonomo. Come per la noradrenalina, mancava tuttavia la prova che l'acetilcolina fosse un prodotto endogeno, pertanto Dale si limitò ad ammettere l'importanza di tale sostanza per la comprensione del funzionamento del sistema nervoso autonomo, senza speculare su una possibile mediazione chimica.
Le prove necessarie a dimostrare la fondatezza dell'ipotesi della mediazione chimica della neurotrasmissione furono fornite nel dopoguerra da Otto Loewi (1873-1961), professore di farmacologia presso l'Università di Graz, in Austria. Loewi mise a punto un protocollo sperimentale che gli consentì di dimostrare che la trasmissione nervosa è un fenomeno neuroumorale mediato a livello delle terminazioni nervose da sostanze con azione farmacologica potente e specifica.
Nel 1929 Dale e Harold Dudley rilevavano la presenza di istammina e acetilcolina nella milza del bue e del cavallo, dimostrando finalmente che l'acetilcolina non era soltanto un prodotto di sintesi ma anche una sostanza organica. In tal modo, veniva a cadere, definitivamente, l'obiezione più forte all'idea che l'acetilcolina fosse un mediatore chimico degli impulsi nervosi. Intorno agli anni Trenta, di conseguenza, la teoria neuroumorale divenne l'oggetto di indagine di molti laboratori di ricerca. Una serie di studi condotti da Dale sui muscoli denervati, per esempio, dimostrava che l'iniezione o l'applicazione di acetilcolina riproducono esattamente la stimolazione naturale operata per via nervosa. Altri studi evidenziavano l'azione vasodilatatrice dell'acetilcolina sui vasi denervati. In base a questi nuovi riscontri, Dale propose che l'acetilcolina potesse costituire il mediatore chimico del sistema parasimpatico e che tutti i fenomeni di trasmissione del segnale nervoso avvenissero attraverso la mediazione chimica. L'ipotesi di Dale tuttavia stentava a imporsi nella comunità scientifica. Per accettare definitivamente la 'rivoluzione' nella teoria della trasmissione nervosa, i fisiologi chiedevano una prova conclusiva, l'esperimento cruciale della dimostrazione del rilascio di acetilcolina da parte delle terminazioni nervose. La presenza di questa sostanza era tuttavia difficile da rilevare con gli strumenti dell'epoca, perché nel processo di trasmissione nervosa essa è ovviamente liberata in quantità minuscole che, in aggiunta, sono rapidamente scisse e inattivate dalla colinesterasi.
Un metodo efficace per determinare la presenza di acetilcolina durante la stimolazione nervosa fu messo a punto nel 1933 da Wilhelm Feldberg (1900-1993), un farmacologo tedesco chiamato da Dale al National Institute for Medical Research di Hampstead. Nel 1934 in collaborazione con John Gaddum (1900-1965), Feldberg dimostrò il rilascio di acetilcolina a livello delle sinapsi gangliari simpatiche. Il lavoro di Feldberg e Gaddum aveva inoltre una notevole importanza in quanto provava per la prima volta che un neurotrasmettitore aveva come bersaglio un altro neurone e non soltanto una fibra della muscolatura liscia o una ghiandola. Questi risultati iniziavano finalmente a sostanziare la descrizione funzionale delle giunzioni tra neuroni che Charles S. Sherrington (1857-1952) aveva proposto nel 1897 introducendo il concetto di sinapsi. Egli era infatti convinto che la contiguità e la non continuità delle cellule, descritta istologicamente da Ramón y Cajal, costituisse la base per i processi ancora ignoti di trasmissione e di modulazione del segnale nervoso.
Il nuovo settore di indagini aperto da Loewi e Dale doveva rivelarsi uno dei più proficui programmi di ricerca di tutta la fisiologia. Con il progresso delle tecniche sperimentali, soprattutto istologiche, nuovi neurotrasmettitori furono rapidamente scoperti nel sistema nervoso centrale. La noradrenalina, come abbiamo detto, identificata nel 1947 quale neurotrasmettitore; la serotonina, già isolata nel 1937 da Vittorio Erspamer nell'intestino ma allora chiamata enterammina, veniva individuata, isolata e cristallizzata come sostanza vasocostrittrice nel siero da Irvin Heinly Page (1901-1991) e da Maurice Rapport e perciò chiamata nel 1948 serotonina; la dimostrazione del ruolo dell'acido gamma-amminobutirrico (GABA) nella fisiologia delle sinapsi inibitorie encefaliche da parte di Harry Grundfest (1904-1983) presso i Marine Biological Laboratories a Woods Hole nel Massachusetts, nel 1958, lo stesso anno in cui Arvid Carlsson dimostrava la presenza della dopammina nel cervello.
L'accertamento della natura chimica della trasmissione nervosa, aveva indotto a equiparare, dal punto di vista funzionale, i neuroni alle cellule endocrine. L'attività del sistema nervoso si svolgerebbe, in sostanza, con meccanismi di trasporto e trasduzione dell'informazione analoghi a quelli usati dal sistema endocrino.
La prima idea dell'esistenza di un'attività neurosecretrice diversa da quella localizzata a livello sinaptico fu suggerita nel 1928 dalle ricerche condotte da Ernst Scharrer (1905-1965) per la preparazione della sua tesi di dottorato con Karl von Frisch a Monaco. L'ipotesi veniva formulata sulla base dell'osservazione della presenza di grandi neuroni fortemente vascolarizzati e dotati di granuli secretori nell'ipotalamo di alcuni pesci teleostei. Tali prove morfologiche furono ulteriormente sostanziate da indagini su altri animali, uomo compreso, e da osservazioni citologiche che testimoniavano la sostanziale identità tra gli organelli intracellulari individuati da Scharrer e quelli già dimostrati nelle cellule endocrine non nervose. Tali studi, inoltre, avevano provato che il materiale secretorio prodotto da questi 'neuroni gigantocellulari', localizzati nei nuclei sopraottico e paraventricolare dell'ipotalamo dei mammiferi, è presente nelle fibre assoniche che conducono al lobo posteriore dell'ipofisi. Soltanto nel 1951-1952, tuttavia, Walther Hild e W.A. Stotler riuscirono a specificare, rispettivamente sulle rane e sui gatti, l'esistenza e la direzione di un flusso assonico in queste fibre, dimostrando in maniera definitiva che gli ormoni rilasciati dalla neuroipofisi, ossitocina e vasopressina, sono elaborati a livello ipotalamico dai neuroni gigantocellulari.
Tali risultati furono certamente fondamentali per lo sviluppo del concetto di neurosecrezione e per la comprensione delle funzioni endocrine svolte dal sistema nervoso, però non ponevano realmente in evidenza le interazioni e le integrazioni tra il controllo organico operato per via ormonale e quello realizzato per via nervosa. I prodotti rilasciati dai neuroni gigantocellulari dell'ipotalamo, infatti, agiscono in via diretta sugli organi bersaglio come qualunque altro ormone effettore del sistema endocrino.
Diverso è il caso dell'interazione tra sistema nervoso centrale, adenoipofisi e ghiandole periferiche in atto nel controllo di alcune funzioni fisiologiche quale, per esempio, la riproduzione. Il sistema riproduttivo, infatti, come dimostrò nel 1936 Francis Hugh Adam Marshall (1878-1949), è soggetto, in special modo sotto l'aspetto della periodicità, all'influenza dei fattori ambientali, ossia a informazioni recettoriali che afferiscono al sistema nervoso centrale e da esso vengono elaborate. Un'interazione triangolare tra ipotalamo, ipofisi e gonadi, era già stata, peraltro, ipotizzata nel 1932 da Walter Holweg e Karl Junkmann. Essi avevano evidenziato che una lesione ipotalamica nei cani, eseguita senza danneggiare l'ipofisi, poteva condurre ad atrofia genitale. Nel 1937 l'endocrinologo inglese Geoffrey Wingfield Harris (1913-1971) riusciva a indurre l'ovulazione nelle femmine di ratto, un fenomeno che normalmente avviene soltanto al momento del coito, attraverso la stimolazione elettrica dell'ipotalamo e dell'ipofisi.
Il problema che si poneva ora ai ricercatori era quello dell'individuazione dei meccanismi con i quali si esercita l'interazione tra ipotalamo e ipofisi anteriore. Era apparso subito improbabile, data l'assenza di fibre nervose all'interno dell'adenoipofisi, che essi si realizzassero a livello nervoso. Era stata dimostrata, invece, nel 1933 la presenza di un letto vascolare venoso tra ipotalamo e adenoipofisi, lungo l'infundibolo ipofisario, con un flusso diretto dalla prima alla seconda di queste strutture: il sistema portale ipotalamo-ipofisario. L'importanza di tale sistema, tuttavia, fu intuita soltanto dieci anni più tardi da John Davis Green (1917-1964) e Harris, i quali avevano eseguito studi dettagliati di questo distretto su vari mammiferi. Essi furono i primi a suggerire che le funzioni adenoipofisarie potessero essere regolate dal sistema nervoso centrale "attraverso fattori umorali rilasciati lungo il sistema portale ipofisario" (Green 1947, pp. 136-146). Tale idea, pertanto, complicava ulteriormente la gerarchia dell'organizzazione endocrina, situando a livello centrale una nuova stazione superiore di controllo a retroazione.
L'ipotesi di Green e Harris si rivelò in breve corretta. Nel 1955, infatti, Murray Saffran, Andrew V. Schally e B.G. Benfey, dimostravano sperimentalmente l'esistenza del primo fattore di controllo ipotalamico, il releasing factor ‒ questo fu il nome che essi diedero ai fattori umorali ipotizzati da Green e Harris ‒ della corticotropina. Ciò scatenò la caccia ai releasing factor relativi agli altri ormoni adenoipofisari. L'esistenza del fattore di liberazione dell'ormone luteinizzante veniva provata nel 1960 da Samuel M. McCann, Samuel Taleisnik e Friedmann, mentre la sua struttura fu determinata nel 1971 da Schally. La presenza del fattore di rilascio della tireotropina fu dimostrata nel 1961 da Vratislav Schreiber e i suoi collaboratori. Schally, in seguito, riuscì a isolare e sintetizzare tale ormone, rispettivamente nel 1966 e nel 1969. Nel giro di pochi anni, in tal modo, venne provata in maniera definitiva l'esistenza di un fattore di rilascio ipotalamico di natura peptidica per ogni ormone dell'ipofisi anteriore, ma fu scoperta anche la presenza di prodotti ipotalamici con azione inibente la secrezione di quattro ormoni di tale ghiandola: la prolattina, l'ormone della crescita, la tireotropina e la melanotropina.
Agli inizi degli anni Settanta, dunque, era disponibile un dettaglio piuttosto ricco di conoscenze sui meccanismi con cui il sistema nervoso centrale presiede alle funzioni endocrine. Nello stesso periodo, prendeva corpo la conoscenza delle influenze esercitate sul sistema nervoso centrale dai messaggeri endocrini. Dalla fine degli anni Cinquanta sino alla metà degli anni Settanta veniva sperimentalmente individuata una serie di attività neuromodulatrici del sistema endocrino, come il controllo esercitato dalle gonadi sullo sviluppo del sistema nervoso, sulla sua caratterizzazione sessuale e sui comportamenti riproduttivi da esso mediati; il ruolo dell'insulina nel comportamento alimentare; quello dell'angiotensina nella regolazione della sete; l'influenza dei corticosteroidi sulle funzioni delle strutture cerebrali responsabili dei comportamenti emotivi, dell'apprendimento e l'azione degli ormoni tiroidei sulla maturazione del sistema nervoso centrale.
La precisazione delle profonde correlazioni neuroendocrine favorì l'emergere di nuove ipotesi metodologiche nel campo della fisiologia e della patologia del comportamento e dei processi mentali, come quella avanzata negli anni Sessanta da Edward J. Sachar (1933-1984), uno dei fondatori della psiconeuroendocrinologia. Secondo Sachar lo studio della correlazione tra fenomeni ormonali, nervosi e comportamentali, ossia degli effetti della manipolazione dei processi endocrini sulle funzioni nervose rappresentava il metodo più efficace, anche in quanto non invasivo e non traumatico, per l'indagine sulla chimica del sistema nervoso e delle sue funzioni: una privilegiata 'finestra sul cervello'. L'approccio metodologico proposto da Sachar si è rivelato estremamente potente e fecondo quando verso la metà degli anni Settanta la ricerca neuroendocrina ha potuto iniziare a usare agenti farmacologici di cui era nota l'azione su specifici neurotrasmettitori o recettori, per indurre precise risposte ormonali.
Le ricerche successive hanno messo in evidenza la doppia rappresentazione dei neuropetidi (come fattori di regolazione psicologica e comportamentale e come agenti dell'omeostasi fisiologica) nella realizzazione dell'adattamento individuale e nella coordinazione dei diversi livelli omeostatici in gioco nei vari programmi adattativi. Verso la metà degli anni Settanta, il dettaglio delle corrispondenze funzionali a livello centrale e periferico dei neuropeptidi iniziava a delineare un nuovo approccio alla comprensione dei processi di regolazione fisiologica. Questi venivano finalmente a situarsi all'interno del più vasto contesto dei processi adattativi individuali, in una prospettiva nuova, più genuinamente biologica, in cui diventava peraltro possibile concettualizzare e indagare sperimentalmente la continuità, ossia l'identità tra regolazione fisiologica e processi comportamentali normali e patologici.