La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Dall'eugenica alla genetica umana
Dall'eugenica alla genetica umana
L'eugenica è una disciplina generalmente associata alle brutalità del nazismo, ma affonda le sue radici nel darwinismo sociale di fine XIX sec. e nelle relative metafore del valore adattativo, della competizione e della razionalizzazione della disuguaglianza. Nella sua forma moderna, in effetti, il concetto ha avuto origine con Francis Galton (1822-1911), scienziato inglese cugino di Charles Darwin (1809-1882). Galton coniò il termine 'eugenica' nel 1883 e lo utilizzò per promuovere l'idea di un miglioramento della specie umana attraverso l'eliminazione dei caratteri ereditari 'sfavorevoli' e l'incremento di quelli 'favorevoli'. L'eugenica fiorì però a partire dal 1900, dopo la riscoperta della teoria di Mendel secondo la quale la composizione biologica degli organismi è determinata da certi 'fattori', in seguito riconosciuti come geni. All'inizio del XX sec. i movimenti eugenici si diffusero negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna, oltre che nell'Europa continentale e in parte dell'America Latina e dell'Asia. L'eugenica non fu dunque circoscritta soltanto ai programmi del nazismo, bensì si diffuse in ambienti diversi. Soltanto negli anni Trenta del Novecento, la genetica umana si allontanò dalle ipotesi degli eugenisti: fino ad allora, eugenica e genetica umana erano di fatto indistinguibili.
Gli eugenisti di ogni nazione temevano che la società fosse minacciata dalla degenerazione ed erano convinti che le persone definite 'frenasteniche' ‒ termine generalmente utilizzato per indicare gli individui ritenuti mentalmente ritardati ‒ non soltanto fossero responsabili di numerosi problemi sociali ma stessero proliferando al punto da costituire una minaccia per la stabilità e le risorse sociali. Gli eugenisti angloamericani basavano le loro convinzioni sul cosiddetto 'tasso di natalità differenziale': una teoria, fondata su dati britannici, secondo la quale la metà degli individui di ogni generazione successiva è prodotta da non più di un quarto dei suoi predecessori sposati, i quali appartengono nella maggioranza alla parte peggiore della società. Si riteneva infatti che le donne frenasteniche fossero guidate da una sessualità senza misura, risultato di difetti biologici della loro moralità, che le portava alla prostituzione e all'illegalità. Tali analisi in chiave biologica del comportamento sociale trovarono terreno fertile in molti uomini e donne della classe media di educazione puritana e preoccupati per gli orientamenti divergenti della moderna società urbana industrializzata tra i quali le crescenti richieste di diritti per le donne e la tolleranza sessuale.
Le dottrine eugeniche furono supportate dalle ricerche condotte negli istituti per lo studio dell'eugenica e della 'razza biologica' che vennero fondati in numerosi paesi quali la Danimarca, la Svezia, la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti. Molti eugenisti, soprattutto in Francia, ritenevano che gli organismi biologici, compreso l'uomo, fossero formati in primo luogo dal loro ambiente, sia fisico sia culturale. Come il biologo Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) all'inizio del XIX sec., essi sostenevano che le influenze ambientali potevano persino riconfigurare il materiale ereditario. Molti di loro, in particolare negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Germania e nei paesi scandinavi, credevano tuttavia che gli esseri umani fossero determinati quasi interamente dal plasma germinale, il quale era trasmesso da una generazione all'altra e riusciva a sopraffare le influenze ambientali nel dare forma allo sviluppo umano. La riscoperta dell'opera di Mendel rinforzò le loro convinzioni, tanto che l'approccio più frequentemente utilizzato nei laboratori di eugenica per spiegare in termini genetici l'ereditarietà di numerose malattie e di vari comportamenti sociali era quello dell'analisi mendeliana dei dati fenotipici e familiari.
Gran parte della ricerca eugenica è esemplificata dal lavoro dell'Eugenics Record Office, prima affiliato, successivamente accorpato, alle strutture di ricerca biologica del Cold Spring Harbor Laboratory di Long Island nello stato di New York, dirette dal biologo Charles B. Davenport (1866-1944) e sponsorizzate dalla Carnegie Institution di Washington. I ricercatori traevano le informazioni sull'ereditarietà umana dalle cartelle cliniche disponibili o da estesi studi familiari spesso realizzati raccogliendo direttamente i dati ‒ lavoro affidato in gran parte a ex studentesse dei collegi femminili ‒ per ricostruire le caratteristiche genealogiche di popolazioni selezionate (per es., i componenti di una comunità rurale) sulla base delle interviste e dei dati genealogici.
Quando le ascendenze familiari mostravano un'alta incidenza per un dato carattere, Davenport concludeva che esso doveva essere biologicamente ereditario e tentava di definire le modalità dell'ereditarietà in un contesto mendeliano. Tali risultati furono resi noti mediante articoli divulgativi, conferenze e libri ‒ tra i quali Heredity in relation to eugenics (1911) di Davenport ‒ che trovarono la giusta collocazione nella cultura dell'epoca. Un luogo comune della dottrina, per citare un documento presentato alla Kansas Free Fair nel 1929 allo scopo di illustrare le 'leggi' dell'ereditarietà mendeliana nell'uomo, era che i caratteri umani non favorevoli, quali, per esempio, la frenastenia, l'epilessia, la criminalità, la demenza, l'alcolismo, l'indigenza e molti altri ricorressero nelle famiglie e venissero ereditati esattamente con le stesse modalità del colore delle cavie.
In molte nazioni i sostenitori dell'eugenica erano medici, specialmente coloro che avevano a che fare con pazienti affetti da malattie o disturbi mentali, e scienziati, soprattutto biologi che, come Davenport, si occupavano della nuova disciplina genetica. In numerosi paesi molte donne, per la loro appartenenza ad associazioni femminili o perché coinvolte nelle problematiche relative ai bambini, alle ragazze ribelli e ai ritardati mentali, rivestirono un ruolo importante.
L'eugenica ricevette un sostegno significativo anche dai conservatori, preoccupati di prevenire il proliferare delle categorie a basso reddito e di risparmiare i costi dovuti al loro sostentamento. Le donne che condividevano i principî dell'eugenica erano spesso sconcertate dalla dichiarata sessualità sregolata delle donne frenasteniche e vedevano l'enfasi eugenica nella limitazione della riproduzione dei disabili come un modo per controllare comportamenti sessuali che trasgredivano le regole della classe media. Il movimento, tuttavia, rientrava anche, e soprattutto, nell'onda di riforma sociale progressista che attraversò l'Europa occidentale e il Nord America nei primi decenni del XX secolo. Per i progressisti l'eugenica costituiva un ramo del percorso verso il progresso sociale che molti riformatori dell'epoca pensavano potesse essere portato a termine attraverso lo sviluppo di una scienza finalizzata a scopi sociali benefici quali la pulizia delle città, una maggiore sobrietà, il benessere dei bambini e la salute pubblica. L'eugenica attrasse anche i fautori di riforme sociali radicali tra cui numerosi difensori della contraccezione e dell'emancipazione sessuale delle donne, che avrebbero potuto così amare qualsiasi uomo e scegliere il padre dei propri figli.
Il razzismo diede nuova energia all'eugenica, sebbene in modo sensibilmente diverso nei vari paesi. In questo contesto le differenze razziali erano attribuite a distinzioni etniche e persino nazionali. Gli analisti svedesi temevano che la purezza razziale della loro nazione potesse essere minata non ultimo a causa dell'emigrazione di molti nordici. In Finlandia le persone di lingua svedese erano preoccupate dal proliferare di quelle di lingua finlandese, ritenendole fondamentalmente mongole e come tali una minaccia per la qualità della nazione. In Inghilterra, la Fabian Society fondata da Sidney Webb (1859-1947) si occupò a lungo della teoria del tasso di natalità differenziale, dando rilievo al fatto che i distretti più poveri, caratterizzati da un'alta prolificità, erano densamente popolati da cattolici irlandesi e da ebrei, per i quali la fecondità e la procreazione erano sostenute da motivi religiosi. Webb ammoniva che ciò non poteva che condurre a un deterioramento nazionale o, in alternativa, al fatto che il paese cadesse nelle mani degli irlandesi e degli ebrei.
La razza, tuttavia, giocò un ruolo minore nell'eugenica britannica e scandinava rispetto a quello che invece assunse nelle versioni del movimento che si svilupparono in Canada e negli Stati Uniti. Gli eugenisti nordamericani erano particolarmente turbati dalla crescita della popolazione dovuta agli immigranti provenienti dall'Europa orientale e meridionale, i quali, a partire dal XIX sec., erano affluiti in gran numero nei loro paesi. I nuovi arrivati erano considerati non soltanto di razza diversa ma anche inferiori rispetto agli anglosassoni, perché costituivano parte preponderante dei criminali, delle prostitute, degli abitanti dei bassifondi e dei frenastenici che vivevano nelle città nordamericane. Davenport, per esempio, riteneva che i polacchi fossero indipendenti e autosufficienti sebbene formassero clan; che gli italiani tendessero a commettere violenze contro le persone; che gli ebrei fossero una via di mezzo tra i serbi sloveni, i greci e gli ordinati svedesi, tedeschi e boemi, dediti ai furti ma raramente a violenze contro le persone. Egli sosteneva che il grande afflusso di sangue proveniente dall'Europa sudorientale avrebbe potuto rapidamente rendere la popolazione americana più scura nella pigmentazione, più bassa di statura, più incostante e inoltre più incline a furti, rapimenti, aggressioni, omicidi e immoralità sessuale. La dottrina eugenica alla base di queste convinzioni era che se i difetti degli immigranti erano di tipo ereditario, qualora gli immigranti provenienti dall'Europa orientale si fossero riprodotti con i nativi di origine inglese la qualità della popolazione americana si sarebbe inevitabilmente abbassata.
I progressisti, i conservatori e i razzisti di entrambe le fazioni si trovarono d'accordo nell'attribuire fenomeni quali il crimine, la povertà, la prostituzione e l'alcolismo principalmente alla biologia. Sebbene difendessero i rimedi eugenici in modi differenti, essi tendevano tutti a sostenere un programma suddiviso in due parti per aumentare nella popolazione la quantità dei geni socialmente favorevoli e diminuire quella dei geni nocivi. La prima parte del programma comprendeva l'eugenica 'positiva', ossia la manipolazione dell'ereditarietà umana e della procreazione al fine di produrre individui superiori; l'altra era costituita dall'eugenica 'negativa', che prevedeva il miglioramento della specie umana attraverso l'eliminazione o l'esclusione degli individui biologicamente inferiori dalla popolazione.
Nel periodo compreso tra le due guerre l'eugenica positiva, che prevedeva l'inseminazione artificiale di donne volontarie con lo sperma di uomini intelligenti, fu incoraggiata, tra gli altri, dal biologo americano Hermann Joseph Muller (1890-1967), un socialista destinato in futuro a ricevere il premio Nobel per la medicina o la fisiologia. Secondo quanto affermava Muller, in questo modo le donne sarebbero state entusiaste e fiere di partorire e allevare un bambino figlio di Lenin o di Darwin, attraverso quella che si sarebbe potuta chiamare 'restrizione' piuttosto che 'costrizione'. In Gran Bretagna alcuni eugenisti speravano di raggiungere gli scopi dell'eugenica positiva attraverso assegni familiari statali che sarebbero stati elargiti in proporzione al reddito. Nessuno di questi programmi, tuttavia, ebbe successo, sebbene varianti di entrambi trovarono un certo credito nella Germania nazista, dove il governo nazionale e le istituzioni locali fornivano incentivi economici affinché nascessero bambini sani e Heinrich Himmler incoraggiava i membri delle SS ad avere molti figli dalle donne della razza eletta. Negli Stati Uniti l'eugenica positiva promosse i cosiddetti concorsi 'famiglia più sana', l'attrattiva comune ‒ all'interno delle sezioni dedicate alla 'riproduzione umana' ‒ di un gran numero di fiere nazionali. Nel corso della Kansas Free Fair del 1924 le famiglie vincitrici nelle tre categorie ‒ piccola, media e grande ‒ furono premiate con il trofeo 'famiglia più sana dello Stato'. Gli 'individui di classe A' ricevevano una medaglia che ritraeva una coppia di genitori con vesti sottili e le braccia tese verso quello che presumibilmente era il loro figlio eugenicamente perfetto. È difficile sapere quali caratteristiche dovessero avere queste famiglie e questi individui per essere considerati sani, ma alcuni elementi sono forniti, per esempio, dal fatto che tutti i partecipanti dovevano aver superato il test sul quoziente intellettivo e il test Wasserman per la sifilide.
Molto di più fu fatto per l'eugenica negativa; degni di nota furono, negli Stati Uniti, la limitazione dell'immigrazione e, in molti paesi, l'impedimento e la prevenzione della riproduzione degli individui presumibilmente disabili. Sulla base dei dati relativi ai test sul quoziente intellettivo distribuiti ai soldati di leva dell'esercito durante la Prima guerra mondiale, gli eugenisti americani dichiararono che molti degli immigranti provenienti dall'Europa orientale e meridionale erano presumibilmente o effettivamente frenastenici, e che pertanto consentire loro di continuare a entrare liberamente negli Stati Uniti minacciava l''integrità della razza'. Tali dichiarazioni fornirono un supporto scientifico razionale al Congresso che nel 1924 emanò l'Immigration Act, limitando notevolmente il numero di nuovi arrivati dall'Europa orientale e meridionale.
Il vigore dato alla prevenzione della riproduzione degli individui presumibilmente disabili determinò in un primo momento la loro segregazione in istituti pubblici. Il loro mantenimento, però, si rivelò costoso, mentre se quegli individui fossero stati sterilizzati sarebbero potuti tornare nella società. Negli Stati Uniti, alla fine degli anni Venti, furono quindi emanate leggi sulla sterilizzazione eugenica in ventiquattro Stati, in particolare nelle regioni centrali della costa atlantica, nel Midwest e in California, lo Stato più efficiente. Nel 1933, infatti, la California aveva sottoposto a sterilizzazione più individui di tutti gli altri Stati messi insieme. Misure analoghe furono approvate in Canada, nelle province della Columbia Britannica e dell'Alberta. In quasi tutti gli Stati le leggi furono applicate soltanto ai pazienti degli istituti psichiatrici statali, mentre le persone curate privatamente o presso le famiglie riuscirono a eluderle. Esse pertanto tendevano a colpire in modo discriminante le persone a basso reddito e le minoranze.
Le leggi sulla sterilizzazione calpestavano i diritti umani privati, subordinandoli al presumibile maggiore beneficio pubblico apportato dalla prevenzione della degenerazione. Tale ragionamento fu esplicitato nella sentenza del 'processo Buck' emessa nel 1927 dalla Corte suprema degli Stati Uniti. Il caso riguardava la volontà dello Stato della Virginia di sterilizzare Carrie Buck applicando la legge vigente sulla sterilizzazione eugenica. La donna aveva avuto una figlia illeggittima, Vivian e, in base alle testimonianze, la Buck, sua madre e la bambina erano frenasteniche. Il verdetto della Corte fu di otto voti favorevoli e uno contrario. Il giudice Oliver Wendell Holmes jr, scrivendo a nome della maggioranza, dichiarò:
Abbiamo visto più di una volta che la salute pubblica può richiedere la vita dei propri cittadini migliori. Sarebbe cosa strana se non potesse domandare sacrifici minori, spesso non percepiti come tali dagli interessati, a quelle persone che già indeboliscono la forza dello Stato, per evitare che la nostra esistenza sia travolta dall'incapacità. Sarebbe meglio per tutto il mondo se invece di aspettare di giustiziare per un crimine la prole degenerata, o lasciarla morire di fame per la propria stupidità, la società potesse impedire a quelli che sono chiaramente disadattati di proseguire la loro razza. Il principio alla base della vaccinazione obbligatoria è abbastanza vasto da includere il taglio delle tube di Falloppio. [...] Tre generazioni di idioti sono abbastanza. (Holmes 1927, pp. 205-207)
Nell'Alberta il Primo ministro riteneva che la sterilizzazione fosse più efficace della segregazione e, probabilmente prendendo spunto da una pagina del libro di Holmes, sosteneva che il concetto di libertà o di diritto dell'individuo non possa più essere valido laddove sia in discussione il benessere dello Stato e della società.
Il tasso di sterilizzazione aumentò con la depressione economica mondiale del 1929. In alcune zone del Canada, nel profondo Sud e in Scandinavia ebbe un grande supporto non tanto dall'eugenica (sebbene alcuni psichiatri ereditaristi continuassero a richiederla a questo scopo) quanto dalla necessità economica di ridurre i costi dell'assistenza pubblica e dell'aiuto ai poveri. Madge Thurlow Macklin (1893-1962), una genetista della University of Western Ontario, coordinatrice della Eugenics Society del Canada e aperta sostenitrice della sterilizzazione eugenica dei frenastenici, mise in guardia contro il tasso di natalità differenziale, dichiarando che ci si prendeva cura dei minorati mentali utilizzando le tasse, che dovevano essere pagate dalle persone mentalmente efficienti. Persino i genetisti che avevano sminuito il valore della sterilizzazione come panacea contro la degenerazione, sostennero che la sterilizzazione dei disabili mentali, evitando che nascessero figli da genitori che non si sarebbero potuti occupare di loro, avrebbe portato a un beneficio sociale.
Nei paesi scandinavi la sterilizzazione fu ampiamente approvata dagli esponenti della democrazia sociale come parte della programmazione, su basi scientifiche, del nuovo stato assistenziale. Alva Myrdal (1902-1986) parlò a nome del marito, Gunnar (1898-1987), e di molti liberali quando nel 1941 scrisse: "nel nostro tempo caratterizzato da riforme sociali sempre più incalzanti la necessità di una sterilizzazione su basi sociali acquista nuovo slancio. Riforme sociali liberali possono rendere più facile, rispetto a prima, avere una casa propria e bambini a genitori meno raccomandabili allo stesso modo che a quelli raccomandabili. [...] [Tale tendenza] richiede alcune misure correttive" (in Broberg 1996, pp. 104-105). La legislazione fu incline ad autorizzare la sterilizzazione non soltanto per motivi eugenici ma anche per quelle che gli scandinavi chiamavano 'indicazioni sociali' (incapacità di prendersi cura dei bambini) e 'indicazioni mediche' (salvaguardare la salute della donna).
In Germania la legge sulla sterilizzazione era in vigore già prima che Hitler andasse al potere nel 1933. Era stata difesa dagli igienisti della razza nazionale, definizione con cui erano noti gli eugenisti tedeschi, i quali, in modo analogo ai loro colleghi di altri paesi, avevano a lungo sostenuto che i comportamenti sociali devianti, come la criminalità e la prostituzione, originavano più dal 'sangue' che dalle condizioni sociali. Il governo di Hitler emanò nel 1933 una legge sulla sterilizzazione eugenica che superava di gran lunga quelle americane, in quanto coercitiva per tutta la popolazione, che si trattasse di individui ricoverati in istituti assistenziali o meno, di persone affette da invalidità presumibilmente ereditarie come la cecità, drogate o alcolizzate, con deformità fisiche che interferivano seriamente con la locomozione o molto ripugnanti. Dopo il 1° gennaio 1934, data in cui la legge entrò in vigore, i medici dovevano rendere note le persone 'inabili' alle centinaia di corti per la salute ereditaria istituite per decidere il futuro della procreazione in Germania. Nell'arco di tre anni le autorità tedesche sterilizzarono 225.000 persone ca., quasi dieci volte il numero di individui sterilizzati in America in tre decenni.
Per un certo periodo il programma di sterilizzazione nazista procedette indipendentemente dalle politiche antisemite del regime. L'antisemitismo non caratterizzò in modo marcato il movimento tedesco di igiene razziale fino agli anni Venti, quando i gruppi nazionalisti, per i quali le presunte differenze razziali richiedevano un buon ordinamento sociale, iniziarono a controllare la maggior parte dei centri istituzionali importanti della Germania, come i principali giornali, le case editrici e le categorie professionali. Quando Hitler conquistò il potere, gli igienisti della razza tedeschi disponevano di analisi biologiche in grado di spiegare cosa affliggesse la società ariana e di porvi rimedio in accordo con uno slogan comune nella letteratura tedesca: 'il nazionalismo sociale è l'espressione politica della nostra conoscenza biologica'. Non appena Hitler cominciò a perseguitare apertamente gli ebrei tedeschi, le politiche razziali naziste ed eugeniche si fusero determinando il divieto dei matrimoni tra ebrei e tedeschi.
Nei primi anni del regime nazista la maggior parte degli eugenisti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna non pensava, e probabilmente non voleva sapere, che la legge sulla sterilizzazione emanata nel 1933 avrebbe portato direttamente ad Auschwitz e Buchenwald. In entrambi i paesi si credeva che il programma di sterilizzazione nazista fosse privo di intenti razziali nefandi. Gli eugenisti tedeschi, tuttavia, ritenevano di essere in grande debito con quanto era stato approvato e applicato negli Stati Uniti, compreso il programma di sterilizzazione attuato in California. Nel 1936 l'Università di Heidelberg conferì una laurea ad honorem in medicina a Harry Laughlin, che lavorava presso l'Eugenics Records Office di Cold Spring Harbor, e, negli Stati Uniti, era uno dei principali difensori della sterilizzazione. Laughlin, che ricevette la laurea nel Consolato tedesco di Manhattan, scrisse alle autorità di Heidelberg che accettava l'onorificenza non solo come un onore personale ma anche come la prova di una visione della natura dell'eugenica comune agli scienziati tedeschi e americani.
Nonostante le sue degenerazioni la prospettiva eugenica rimase allettante e attirò verso la genetica umana l'attenzione di un gruppo di scienziati di eccezionale talento ‒ tra i quali gli inglesi Ronald A. Fisher (1890-1962), John B.S. Haldane (1892-1964), Lancelot T. Hogben (1895-1975), Julian Huxley (1887-1975) e l'americano Muller ‒ che si potrebbero definire 'eugenisti riformatori' perché, diversamente dai loro predecessori, ritenevano che qualsiasi forma di eugenica dovesse essere non solo libera da pregiudizi razziali o di classe, ma anche resa coerente con lo sviluppo di una corretta scienza della genetica umana.
Anche per emancipare la genetica umana dall'eugenica dei pregiudizi, i nuovi studiosi dell'ereditarietà umana preferirono cercare caratteri ben definiti, nettamente isolati e quanto più possibile immuni sia da un'identificazione incerta sia da influenze ambientali. Essi accolsero dunque con particolare entusiasmo il rapido incremento della conoscenza dei gruppi sanguigni, sette dei quali furono noti già a partire dagli anni Trenta. I gruppi sanguigni mostravano un modello di ereditarietà che sembrava conforme alle leggi di Mendel; essendo facilmente identificabili, potevano anche fornire marcatori genetici precisi e universali, presumibilmente localizzati nella stessa regione cromosomica nella maggior parte degli individui, con i quali i geni di altri caratteri potevano essere associati.
Gli eugenisti riponevano molte speranze in tali studi di associazione, poiché ritenevano che collegare i caratteri a marcatori quali i gruppi sanguigni sarebbe stato promettente per la prognosi eugenica. Le ricerche erano state a lungo ostacolate dal problema di marcare i portatori di singoli geni per caratteri recessivi che non venivano espressi fino a quando non si univano in omozigosi nella discendenza ‒ troppo tardi da un punto di vista eugenico. Gli studi di associazione potevano rivelare che il gene per un carattere recessivo e quello dei gruppi sanguigni erano localizzati sullo stesso cromosoma. Non sarebbe stato necessario, quindi, sapere quale cromosoma fosse coinvolto per riconoscere chi, avendo quel gruppo sanguigno, era un probabile portatore del carattere recessivo. In modo analogo, se si trattava di un gene dominante che si esprimeva in una fase successiva della vita ‒ per esempio, il gene per la malattia di Huntington ‒ le persone destinate ad ammalarsi potevano essere informate, prima di avere bambini, della possibilità di trasmettere la malattia alla loro prole, potendo in tal modo decidere di non procreare. Si fece il possibile, soprattutto in Inghilterra, per cercare di associare i gruppi sanguigni, o qualsiasi altro carattere universale non legato al sesso, con ogni tipo di disordine o malattia genetica, ma fino alla fine degli anni Quaranta la ricerca rimase infruttuosa.
Negli anni Trenta furono relativamente pochi i genetisti che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna decisero di dedicarsi alla genetica umana, anche perché le tecniche e le pratiche utilizzate nell'ambito della genetica vegetale e animale, discipline di cui si occupava la maggior parte di loro, non erano facilmente trasferibili allo studio dell'ereditarietà umana, che certamente dipendeva dalle conoscenze mediche così come da particolari metodi matematici. Negli Stati Uniti, dove la dottrina eugenica era stata usata in modo aggressivo contro le minoranze, coloro che si occupavano di genetica vegetale e animale tendevano anche a dissuadere i potenziali colleghi dall'occuparsi di genetica umana, ricordando loro che tale disciplina era associata al razzismo, alla sterilizzazione e alle semplificazioni scientifiche dell'eugenica. Un genetista americano ricordò di essere stato avvertito che era già abbastanza difficile ottenere le necessarie informazioni attendibili sull'ereditarietà umana. "I dati sono pochi; la classificazione è insufficiente. [...] Dobbiamo lavorare con organismi sperimentali. L'unica cosa che si può fare con la genetica umana è incrementare i pregiudizi. E chiunque si sia interessato di genetica umana è stato immediatamente classificato come una persona prevenuta".
Nel periodo compreso tra le due guerre, le dottrine eugeniche furono sempre più criticate a livello scientifico e per i loro pregiudizi di classe e di razza. Fu dimostrato che molte disabilità mentali non hanno origine genetica, mentre quelle che la hanno sono spesso complicate da vari fattori e non sono un semplice prodotto dei geni. Inoltre, si chiarì che molti comportamenti umani, compresi quelli devianti, sono plasmati dall'ambiente tanto quanto dall'ereditarietà, ammesso che i geni abbiano effettivamente un ruolo. Scienziati quali il biologo Huxley e l'antropologo Alfred C. Haddon (1855-1940) avversarono le ipotesi di chi affermava che i gruppi nazionali, o gli ebrei, costituissero razze differenti, mostrando come ciò che distingueva le popolazioni l'una dall'altra era soltanto la proporzione relativa di geni per un dato carattere. Huxley e Haddon sostenevano che per le popolazioni esistenti la parola 'razza' dovesse essere bandita e sostituita con la definizione descrittiva e meno impegnativa di 'gruppo etnico'.
Sin dal principio molte persone, da una parte all'altra dell'Atlantico, avevano avuto riserve etiche riguardo alla sterilizzazione ed erano scandalizzate dal fatto che gli individui fossero sottoposti al bisturi forzatamente. I tentativi per autorizzare la sterilizzazione eugenica in Gran Bretagna erano falliti, soprattutto grazie ai dibattiti riguardanti il Mental Deficiency Act tenuti nel 1913. Più di un terzo degli Stati americani rifiutò di approvare le leggi sulla sterilizzazione, così come fecero le province del Canada orientale. Numerosi Stati americani che invece le avevano approvate rifiutarono di metterle in atto, mentre la legge della Columbia Britannica fu applicata molto raramente.
L'opposizione alla sterilizzazione fu stimolata dal fatto che gli scienziati disapprovavano le teorie eugeniche, ma ancor di più dalle obiezioni dei gruppi religiosi e dei fautori delle piene libertà civili che sostenevano la difesa dei diritti umani individuali. Alcuni critici ammonirono che la sterilizzazione obbligatoria costituiva una soppressione dei diritti privati alla riproduzione analoga a quella compiuta da Hitler. In Alabama, per esempio, i tentativi di approvare la legge sulla sterilizzazione compiuti intorno alla metà degli anni Trenta indussero un giornale metodista ad ammonire che il proposto disegno di legge sulla sterilizzazione costituiva un passo verso il totalitarismo attualmente al potere in Germania, dove lo Stato stava prendendo in mano le questioni private, riguardanti la coscienza individuale e il controllo della famiglia, e che a volte si trattava di una mano rude, e sempre di una mano forte. In una lettera al governatore, un oppositore della legge sulla sterilizzazione espresse l'opinione che stava prendendo corpo: la gran massa della popolazione rurale dell'Alabama non voleva questa legge; essi non volevano un Alabama, così come era definito, hitlerizzato.
La sterilizzazione fu anche strenuamente avversata dai cattolici romani, sia perché contraria alla dottrina ecclesiastica, sia perché la maggioranza degli immigranti arrivati di recente negli Stati Uniti era cattolica e pertanto a rischio di sterilizzazione in percentuale maggiore. Prima della Seconda guerra mondiale, per molte persone i diritti umani individuali avevano più importanza rispetto a quelli sanciti dalla scienza, dalla legge e dalla percezione dei bisogni sociali dell'epoca.
La diffusione delle notizie sull'olocausto screditò l'eugenica in molti paesi dell'Europa continentale, in Gran Bretagna e in America Settentrionale, ma la sterilizzazione continuò a essere praticata nei paesi scandinavi, nelle province del Canada occidentale e negli Stati americani della Virgina, Carolina del Nord e Georgia fino ai primi anni Settanta. Da allora la genetica molecolare, impegnata nella ricerca finalizzata allo studio delle caratteristiche e del funzionamento del DNA, ha alzato il sipario su una nuova, potenzialmente rivoluzionaria, era del controllo dell'ereditarietà, inclusa la diversità umana. La ricerca sul codice genetico ispirò presto l'immaginazione dei neogaltoniani. Già nel 1969 Robert Sinsheimer, eminente biologo molecolare del California Institute of Technology, dichiarò che per la prima volta al mondo un essere vivente era in grado di capire la propria origine e poteva pensare di pianificare il proprio futuro e, di conseguenza, era potenzialmente in grado di controllare la propria evoluzione. Da allora in poi, tuttavia, molti osservatori, consci della storia dell'eugenica, hanno insistito sul fatto che gli usi contemporanei della scienza e dell'informazione genetica garantiscono una notevole attenzione, sia dal punto di vista legislativo sia pratico, alle libertà civili, ai diritti dell'individuo e alle regole sociali.
Uno dei passaggi più azzardati dell'eugenica fu il tentativo di ricondurre a singoli geni un numero elevato di caratteri. Già nei primi decenni del Novecento, lo studio delle piante e degli animali aveva evidenziato come in realtà molti caratteri fossero il prodotto di più geni. Questa situazione era tanto più evidente nel caso dei caratteri umani complicati come, per esempio, l'intelligenza.
La genetica umana poneva inoltre particolari problemi metodologici, dal momento che gli esseri umani non potevano essere sottoposti a riproduzione sperimentale controllata e dunque l'ereditarietà poteva essere studiata solamente osservando le famiglie esistenti. Nella famiglia umana tipo la discendenza esprimeva soltanto un campione ‒ piuttosto che il repertorio completo ‒ delle possibili combinazioni genetiche che i genitori possono fornire. In alcune famiglie portatrici di geni recessivi un carattere genetico può infatti non essere espresso nella prole, mentre in altre ‒ per esempio in una famiglia con un solo bambino ‒ esso può essere espresso con un'intensità considerata erroneamente alta. Di conseguenza quanto più piccola era la famiglia, tanto più i genetisti che la osservavano relativamente a un dato carattere rischiavano di incorrere in quello che sarebbe stato chiamato un 'errore di scostamento', ossia la tendenza, date le caratteristiche genetiche dei genitori, ad attribuire al carattere una frequenza più alta della sua reale probabilità di manifestarsi tra i fratelli.
Fu possibile ridurre tale errore mediante correzioni matematiche che tenevano conto del fatto che nelle indagini genetiche sarebbero state prese in considerazione soltanto le famiglie in cui il carattere veniva espresso, mentre quelle in cui il gene era presente in combinazioni non espresse ‒ e dunque non individuabili ‒ non potevano essere considerate. Su questa base si poteva calcolare la frequenza con la quale il carattere era osservato e successivamente confrontarla con l'incidenza che ne risultava, per stabilire se esso era dominante o recessivo in senso mendeliano. Tali metodi consentirono di dimostrare in modo convincente che l'idiozia amaurotica giovanile ‒ in seguito nota come 'malattia di Tay-Sachs' ‒ era causata da un gene recessivo e di ipotizzare fortemente che la schizofrenia avesse una causa diversa. Un primo studio della schizofrenia aveva evidenziato un'incidenza della malattia tra i fratelli pari al 25%, un valore caratteristico di un gene recessivo mendeliano, tuttavia la correzione dell'errore di scostamento rivelò che la frequenza reale era lievemente inferiore al 5%.
Dopo la Seconda guerra mondiale, tuttavia, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Scandinavia un numero crescente di scienziati si interessò alla genetica umana. Nel 1950, negli Stati Uniti, un gruppo di entusiasti costituì l'American Society of Human Genetics e nel 1954 fondò l'"American journal of human genetics". Un numero significativo di professionisti del settore era costituito da medici che, avendo notato tra i pazienti modelli familiari, erano stimolati a studiare la genetica nella sua complessità. Altri avevano iniziato con la genetica, poi avevano studiato la biologia umana, arrivando in qualche caso a conseguire una laurea in medicina. Alcuni, che avevano conseguito un dottorato di ricerca in genetica, furono portati a focalizzare la loro attenzione sull'uomo lavorando sugli effetti delle radiazioni, una questione riguardante la sicurezza nazionale; oppure perché, volenti o nolenti, si erano ritrovati affiliati a laboratori medici. Pochi ne intrapresero lo studio soltanto perché desideravano liberare la scienza dell'ereditarietà umana dall'oppressione del pregiudizio eugenico.
La genetica umana in Inghilterra
La principale istituzione mondiale dedicata alla ricerca nel campo della genetica umana era il Galton Laboratory of National Eugenics dello University College di Londra, che era diretto dal Galton professor of eugenics ‒ Fisher aveva ottenuto la cattedra nel 1933 ‒ e pubblicava gli "Annals of eugenics", la più prestigiosa rivista dedicata agli studi sull'ereditarietà umana. Nel 1945 Lionel Penrose (1898-1972), medico e genetista britannico, divenne direttore del laboratorio. Feroce antieugenista, Penrose nel 1954 ottenne che la rivista fosse rinominata "Annals of human genetics", e in seguito, nel 1961, fece in modo che il suo incarico prendesse il nome di Galton professor of human genetics. Sotto la direzione di Fisher, gli scopi dell'eugenica avevano influenzato il programma di ricerca dell'istituto; con Penrose, invece, esso fu orientato verso la genetica umana e la genetica medica, in particolare verso lo studio dei fenomeni ereditari che potevano essere apprezzati quantitativamente o comunque in modo oggettivo.
Attratti dallo studio dei caratteri oggettivi, alcuni scienziati del Galton si concentrarono sugli 'errori congeniti del metabolismo', già identificati all'inizio del secolo dal medico inglese Archibald E. Garrod (1857-1936). Tali errori sono una conseguenza dell'incapacità del corpo di completare i processi metabolici durante i quali le proteine vengono trasformate in prodotti intermedi successivi. Il processo si arresta perché manca un enzima che catalizza lo stadio seguente, e questa mancanza ‒ sosteneva Garrod ‒ era causata da un carattere mendeliano recessivo espresso in omozigosi. La teoria di Garrod adombrava l'ipotesi più generale 'un gene, un enzima' avanzata, verso la metà degli anni Quaranta, da George W. Beadle (1903-1989) ed Edward L. Tatum (1909-1975). Armati della loro ipotesi, gli scienziati del Galton separarono la genetica della cistinuria dalle altre amminoacidurie e aprirono la strada alla fondazione della genetica biochimica umana quale importante branca della scienza dell'ereditarietà umana.
James V. Neel e la genetica americana
Negli Stati Uniti, durante il secondo dopoguerra, James V. Neel (1915-2000) fu una figura chiave nel movimento che portò alla liberazione della genetica umana dai legami con l'eugenica. Neel aveva iniziato la sua carriera studiando la genetica di Drosophila e successivamente aveva conseguito la laurea in medicina, entrando a far parte nel 1948 del corpo docente della University of Michigan. L'università aveva istituito una piccola clinica dedicata all'ereditarietà, allo scopo di aiutare le persone a capire se fossero portatrici di geni 'cattivi'. Neel assunse la direzione della clinica e dedicò parte del suo tempo a cercare il modo per individuare i portatori di malattie ereditarie. Egli ricordava tuttavia che, quando iniziò a occuparsi di genetica umana aveva un principio guida assoluto, quello di cercare di essere tanto rigoroso quanto sarebbe stato se avesse continuato a occuparsi di Drosophila. Ciò significava, a suo giudizio, scegliere accuratamente i problemi che potessero fornire una solida prova scientifica dell'ereditarietà nell'uomo. La ricerca da parte di Neel di una solida prova scientifica ‒ e di indicatori utili all'individuazione dei portatori di geni dannosi ‒ aveva focalizzato la sua attenzione, così come quella di altri prima di lui, sul sangue umano, in quanto si può spargere, osservare, analizzare in modo oggettivo. Era noto che il sangue fosse composto in parte da eritrociti contenenti emoglobina, in parte da linfociti e in parte da siero costituito soprattutto da acqua ma con almeno una proteina, l'albumina. Ad attirare l'attenzione dell'occhio scientifico di Neel non furono però i gruppi sanguigni ma le malattie del sangue, in particolare due di esse correlate con le emoglobine degli eritrociti: la talassemia e l'anemia falciforme.
La talassemia, o anemia mediterranea, deve il nome al fatto che è molto comune fra le popolazioni della regione mediterranea. All'inizio degli anni Quaranta, mentre portava a termine gli studi di medicina presso la Rochester University, Neel scoprì insieme ai suoi colleghi che esistono due tipi di talassemia ‒ una maggiore, grave, e una minore, più lieve ‒ e che la forma maggiore è causata dall'espressione in omozigosi di un gene recessivo mentre quella minore è la sua espressione in eterozigosi. Nel 1949, quando si trovava in Michigan, Neel osservò inoltre che il possesso di un singolo gene recessivo per l'anemia falciforme era apparentemente innocuo, mentre in coloro che avevano lo stesso gene espresso in omozigosi compariva la malattia. Le osservazioni di Neel coincidevano con quelle effettuate negli stessi anni in Italia indipendentemente da Ezio Silvestroni e Ida Bianco. Sempre nel 1949 Linus C. Pauling (1901-1994) e alcuni suoi ricercatori del California Institute of Technology completarono una ricerca indipendente sulle proprietà fisiche dell'emoglobina falciforme. Usando l'elettroforesi essi scoprirono che la molecola dell'emoglobina mutata è fisicamente diversa da quella normale. Più sorprendentemente, nei portatori sani del carattere falciforme era circa il 40% dell'emoglobina a mostrare le proprietà molecolari anormali, mentre nei malati di anemia falciforme tutta l'emoglobina era anormale. Il gruppo di Pauling, ribadendo la conclusione di Neel, fornì una spiegazione dei risultati secondo la quale il carattere e la malattia derivano da un singolo gene coinvolto nella sintesi della molecola dell'emoglobina.
L'apporto della biochimica
Durante gli anni Cinquanta i genetisti umani attinsero ai risultati delle ricerche in ambito biochimico della genetica vegetale e animale e, in modo crescente, della genetica batterica, nonché al rapido incremento della conoscenza della biochimica del corpo umano. Il loro lavoro fu favorito dalla diffusione di nuove ed economiche tecniche per l'analisi dell'emoglobina, degli amminoacidi e di altri composti biochimici, quali la cromatografia su carta e l'elettroforesi su gel di amido. I nuovi metodi cromatografici ed elettroforetici consentirono a molti laboratori che non erano in grado di permettersi metodi di analisi più costosi di entrare nell'attività di ricerca di varianti biochimiche, non soltanto tra le persone malate che dovevano necessariamente tenere rapporti con le cliniche, ma anche nella più ampia popolazione sana.
La cromatografia e l'elettroforesi furono indispensabili per la ricerca intrapresa da Vernon M. Ingram nel 1956 per capire se esistesse una particolare differenza chimica tra l'emoglobina normale e la variante letale falciforme. Nel 1957 egli dichiarò che la mutante falciforme differiva chimicamente soltanto per uno degli amminoacidi costituenti: nel punto in cui nella catena normale vi era un acido glutammico, nella catena dell'emoglobina mutante vi era la valina.
Il lavoro di Ingram aprì un nuovo capitolo della genetica umana. Erano ormai note molte varianti biochimiche ben delineate, tra cui più di una dozzina di errori congeniti del metabolismo causati da probabili carenze di enzimi e numerose varianti di emoglobina e di proteine del siero del sangue, la cui conoscenza era andata aumentando grazie a ricerche condotte in tutto il mondo. Quando a Napoli, nel 1959, Penrose inaugurò una conferenza sulla genetica umana fu giustamente indotto a dichiarare che in quel momento l'applicazione dei metodi matematici non era più un fattore dominante, mentre erano in ascesa i metodi biochimici.
Gli studi sui cromosomi
Erano in ascesa, però, anche i nuovi metodi per lo studio dei cromosomi umani. Per molti decenni si era creduto che essi fossero normalmente 48, ma nel 1956, a Lund in Svezia, Joe-Hin Tjio (1919-2001) e Albert Levan combinarono numerose tecniche per dimostrare che il numero normale di cromosomi era in realtà 46. Il loro risultato aprì la strada per la citogenetica umana, comprendente la ricerca in termini cromosomici sulle malattie e i disturbi mentali.
Una di queste patologie era la sindrome di Down, evidente alla nascita e caratterizzata da un grave ritardo mentale, da una testa grande e da pliche palpebrali oblique. Quando nel 1866 John Down (1828-1896) descrisse questa sindrome, i medici occidentali l'avevano riscontrata soltanto nei caucasici. Down suppose che la malattia rappresentasse un esempio di regressione biologica dei malati verso i Mongoli dell'Asia, cui pensava somigliassero, e che riteneva fossero un esempio superstite di un tipo umano primitivo. I bambini affetti dalla malattia furono quindi a lungo chiamati 'idioti mongolici'. Tuttavia, basandosi su uno studio comparativo dei tipi di sangue Penrose potè affermare negli anni Trenta che da un punto di vista razziale gli idioti mongolici non erano 'più mongolici di altri idioti'. Egli dimostrò inoltre in modo definitivo che la sindrome di Down dipende soltanto dall'età della madre alla nascita del bambino, e che la sua probabilità di manifestarsi aumenta decisamente per le donne di età superiore a 35 anni.
All'inizio del 1959, grazie alle nuove tecniche di analisi cromosomica disponibili, il biologo francese Jérôme Lejeune (1926-1994) osservò che le persone affette da sindrome di Down hanno tre esemplari del cromosoma 21 anziché dei due normali, per un totale di 47 cromosomi invece dei normali 46. In Inghilterra, dove si ignoravano i risultati del suo lavoro, diversi laboratori, incluso quello di Penrose, trovarono in modo indipendente il cromosoma aggiuntivo nei pazienti Down. Qualche mese dopo, Penrose ribadì che gli eventi dell'anno precedente significavano un grande passo avanti nel campo della scienza della genetica umana e che riteneva la fotografia della cellula di un uomo con due cromosomi aggiuntivi, dalla quale si potevano prevedere in modo attendibile il livello di intelligenza, il comportamento e le caratteristiche sessuali, sorprendente quasi quanto la fotografia della faccia nascosta della Luna.
All'inizio degli anni Sessanta la genetica umana attraeva un numero crescente di persone, ampliando quella che nell'ambito della disciplina era ormai una florida comunità internazionale ‒ il primo Congresso internazionale di genetica umana si era tenuto nel 1956 ‒ che riuniva scienziati provenienti dalla maggior parte delle nazioni dell'Europa occidentale così come dal Giappone e dall'America Latina. Se nel 1953 soltanto in sette facoltà di Medicina degli Stati Uniti e del Canada, meno di un decimo del totale, erano istituiti corsi completi di genetica medica, le scoperte nella genetica di malattie come l'anemia falciforme o la sindrome di Down stavano rendendo i corsi di studi delle facoltà di Medicina sempre più attenti a questa materia. Nel 1972 i corsi di genetica erano obbligatori nella metà delle facoltà di Medicina americane ed erano attivi in più di tre quarti di queste, mentre almeno cinque dipartimenti di genetica umana erano stati creati negli analoghi istituti inglesi.
I pediatri, in particolare, avevano capito che la genetica umana costituiva un importante mezzo di diagnosi postnatale, che avrebbe permesso un inizio precoce delle cure appropriate in caso di malattia. Mentre le malattie genetiche sembravano manifestarsi in meno di un caso su 50 nascite, esse spiegavano uno su otto casi di mortalità infantile.
Il caso terapeutico paradigmatico era la fenilchetonuria. Tale malattia, dovuta a un altro errore congenito del metabolismo, impediva ai bambini che ne erano affetti di metabolizzare la fenilalanina causandone un ritardo mentale. I bambini che alla nascita risultavano positivi potevano essere curati con diete a basso contenuto di fenilalanina e crescere normalmente. Altri errori congeniti del metabolismo ‒ per esempio la galattosemia ‒ potevano essere individuati in modo analogo mediante test postnatali e curati con diete adatte. L'individuazione nei neonati delle malattie dovute a un singolo gene fu integrata in modo crescente dall'abilità di riconoscere nei futuri genitori il potenziale gene recessivo. Negli Stati Uniti furono sviluppati test per individuare i portatori di singoli geni recessivi che in omozigosi causano l'anemia falciforme, la malattia di Tay-Sachs o la talassemia.
I progressi nella genetica medica incentivarono il settore dell'assistenza genetica, che cominciò a svilupparsi nel decennio successivo alla Seconda guerra mondiale allo scopo di consigliare i genitori sul potenziale rischio di generare un bambino affetto da una malattia genetica. Senza gli indicatori di associazione, i consulenti genetici non potevano fornire alle coppie altro che un calcolo delle probabilità di procreare un bambino malato. Ciononostante alcuni genetisti cercarono di trasformare la pratica dell'assistenza genetica in un vantaggio eugenico, allo scopo di limitare l'incidenza delle malattie genetiche nella popolazione, e, per estensione, di ridurre la frequenza dei geni deleteri in quello che i genetisti di popolazione cominciavano a chiamare il 'pool genico umano'. A tale scopo alcuni sostenevano che il dovere del consulente non era semplicemente quello di informare le coppie sulle possibili conseguenze genetiche della loro unione, ma anche di invitarle a riflettere sull'opportunità di avere figli. Durante gli anni Cinquanta, tuttavia, i principî dell'assistenza genetica portarono a una decisa opposizione contro la somministrazione di consigli eugenicamente orientati, cioè finalizzati al bene del pool genico piuttosto che a quello della famiglia. Secondo tali principî nessun consulente aveva il diritto di consigliare alla coppia di non avere figli, anche se lo scopo è il bene della coppia stessa.
Comunque, dal momento che all'epoca il consulto poteva fornire ai futuri genitori soltanto probabilità, non fu molto richiesto. Nel 1951 erano dieci le cliniche per l'assistenza genetica negli Stati Uniti, forse tre o quattro in Gran Bretagna e diverse nell'Europa continentale, in particolare in Scandinavia. Alla fine del decennio erano forse complessivamente trenta tra Stati Uniti e Regno Unito: un incremento costante ma per nulla sorprendente. Mentre in Gran Bretagna il numero di specialisti che fornivano questa assistenza era superiore rispetto agli Stati Uniti, nel complesso i medici sembravano indifferenti al tipo di consulenza genetica che potevano offrire le cliniche.
Verso la metà degli anni Sessanta veniva introdotta l'amniocentesi ‒ procedura che consiste nel prelievo di cellule fetali dall'utero della donna per la diagnosi di malattie genetiche e cromosomiche ‒ e dieci anni dopo potenzialmente tutte le cento malattie cromosomiche note, così come 23 errori congeniti del metabolismo ‒ tra i quali quello che causa la malattia di Tay-Sachs ‒ potevano essere diagnosticati prima della nascita. Se il feto fosse risultato affetto da una malattia, i futuri genitori potevano scegliere l'aborto, diritto sancito in Gran Bretagna per legge nel 1967, e negli Stati Uniti nel 1973 con il verdetto emesso dalla Corte suprema nel processo Roe contro Wade. L'amniocentesi e la legalizzazione dell'aborto favorirono quindi un rapido sviluppo della diagnosi prenatale.
Negli anni Settanta, grazie all'invenzione della tecnica del DNA ricombinante, iniziò una nuova era nel campo della genetica umana e della genetica medica. Le tecniche di ricombinazione permisero agli scienziati di isolare e di determinare la funzione di singoli geni, compresi quelli che causano malattie. Esse aprirono in tal modo la porta a una maggiore comprensione delle malattie genetiche, a una loro diagnosi più efficace, a una produzione biologica di proteine per la cura di varie malattie ‒ procedura sviluppata dalla nuova azienda biotecnologica Genentech per la fabbricazione di insulina umana ‒ e, infine, alla loro possibile cura mediante terapia genica.