La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Diagnostica medica per immagini
Diagnostica medica per immagini
Prima che Wilhelm Conrad Röntgen (1845-1923) scoprisse, l'8 novembre del 1895 nel proprio laboratorio dell'Università di Würzburg, ciò che egli stesso definì 'un nuovo tipo di raggi', l'idea di poter guardare all'interno di un corpo ancora in vita non era mai stata presa in considerazione. Sette settimane dopo, una volta resa nota la scoperta nell'ambito della riunione del 31 dicembre della Società Fisico-Medica di Würzburg, la diagnostica per immagini era già entrata a far parte della vita moderna. Il fenomeno, da lui minuziosamente documentato, comprendeva le proprietà di un raggio, sino a quel momento sconosciuto, che egli stesso denominò 'X' proprio in virtù del fatto che era ignoto.
Röntgen non brevettò la propria scoperta. I raggi potevano essere utilizzati da chiunque: era sufficiente attrezzare un tubo a raggi catodici e seguire le sue istruzioni dettagliate presenti all'interno della sua documentazione.
Subito dopo le pubblicazioni di Röntgen, medici, scienziati e ricercatori fecero a gara per trasformare i nuovi raggi in macchinari utili. I primi tubi a raggi X erano alquanto rudimentali, avevano uno scarso potere di penetrazione e si limitavano a 'impressionare' le ossa ed eventuali corpi estranei presenti nel corpo. In Europa e negli Stati Uniti vennero presto registrati brevetti di strumenti a raggi X.
Pochi mesi dopo, l'inventore americano Thomas A. Edison (1847-1931) fabbricò un fluoroscopio, un apparato che mostrava in tempo reale un'immagine in movimento su uno schermo fluorescente; più o meno contemporaneamente Enrico Salvioni brevettò, all'Università di Perugia, un dispositivo simile chiamato 'criptoscopio'. Alle soglie del XX sec., alcuni fisici avevano già condotto esperimenti con agenti di contrasto; il primo di questi fu il sottonitrato di bismuto: una sostanza non nociva che risultava opaca ai raggi X e che, una volta ingerita, delineava l'apparato digerente. Röntgen indagò a fondo tale fenomeno ma non sviluppò ulteriormente le proprie ricerche. Nel 1901 l'Accademia di Svezia gli conferì il primo premio Nobel per la fisica.
Agli occhi degli osservatori fu presto evidente, però, che i raggi X risultavano essere nocivi. Poiché molti radiologi e alcuni pazienti morivano a causa di malattie indotte dalle radiazioni, diventava infatti sempre più difficile ignorare il manifestarsi degli effetti collaterali, spesso sottovalutati o attribuiti all'impiego di corrente elettrica (che, all'inizio del XX sec., rappresentava ancora una novità nella maggior parte degli ospedali). Nel 1906 i francesi Jean-Alban Bergonié e Louis Tribondeau formularono il principio descrittivo secondo il quale l'effetto delle radiazioni sulle cellule viventi è maggiore nei primi stadi della divisione cellulare, in particolare sulle cellule riproduttive, e la proliferazione indotta delle cellule tumorali varia in rapporto al loro stadio di sviluppo. Questa teoria rimase valida fino agli anni Trenta e, sebbene sia stata ormai soppiantata da argomentazioni più precise, a grandi linee risulta ancora corretta.
Fra il 1896 e il 1914 i dispositivi a raggi X furono ulteriormente perfezionati e le ricerche sugli effetti delle radiazioni su esseri umani e altri animali in vita vennero portate avanti sia in Europa Occidentale sia negli Stati Uniti. Tra le innovazioni introdotte nei macchinari figuravano gli schermi protettivi di piombo, ossia semplici strati di vernice al piombo che, pur rivelandosi efficaci, risultavano ancora poco diffusi e scarsamente utilizzati.
All'inizio le radiografie erano impiegate soprattutto per localizzare i proiettili all'interno del corpo e consentirne l'asportazione da parte dei chirurghi. Fondamentali nella cura di ferite d'arma da fuoco e di fratture ossee, i raggi X divennero presto appannaggio degli eserciti. Nel 1896, in Abissinia, l'Italia fu il primo paese che utilizzò un dispositivo a raggi X negli ospedali da campo per curare i soldati feriti; l'anno successivo la Gran Bretagna impiegò le radiografie in Afganistan e in Egitto e, nel 1898, furono gli Stati Uniti a impiegare i raggi X su entrambi i fronti, Cuba e Filippine, nel corso della Guerra ispano-americana.
Nonostante la loro utilità, però, i raggi X furono adottati regolarmente negli ospedali soltanto un ventennio dopo la loro scoperta; ciò avvenne in parte per via del conservatorismo della comunità medico-scientifica e in parte a causa della fragilità e della scarsa precisione dei primi tubi a gas generatori dei raggi. Soltanto dopo il 1913, quando William D. Coolidge (1873-1975) della General Electric progettò il tubo a vuoto generatore di raggi X, le radiografie divennero protagoniste della medicina ospedaliera che si sviluppò sulla scia della Prima guerra mondiale.
Negli anni Venti, soggetti apparentemente sani venivano sottoposti con regolarità a raggi X al torace al fine di riscontrare eventuali tracce di tubercolosi; molto comuni erano anche le radiografie ad arti lesionati in seguito a incidenti automobilistici o di ambito sportivo; le radiografie dentali erano ormai abitualmente prescritte nel corso dei normali controlli medici. I raggi X divennero così il metodo più diffuso nell'ambito della diagnostica per immagini e, a tutt'oggi, lo sono ancora.
I decenni fra le due guerre furono ricchi di innovazioni, argomentate e presentate presso i nuovi convegni internazionali di radiologia. I rischi riconosciuti di un'esposizione eccessiva alle radiazioni fecero sì che venissero stabiliti livelli massimi di esposizione e unità internazionali di misura delle stesse. Nel 1927 il biologo americano Hermann Joseph Muller (1890-1967) dimostrò che i ceppi di Drosophila esposti a radiazioni subivano mutazioni genetiche. Muller non allargò il raggio delle ricerche agli esseri umani, ma alcune conclusioni risultarono ugualmente chiare.
A partire dal 1921 i radiologi tentarono di sviluppare un sistema che rendesse possibile l'osservazione di organi racchiusi all'interno di altre parti del corpo, come nel caso della gabbia toracica, attraverso l'immagine di una sezione orizzontale della parte nascosta. Queste sezioni, definite 'tomografie', furono in quell'anno all'origine di ben tre richieste di brevetto, tutte da parte di francesi; nessun apparecchio venne però progettato fino al 1930, quando Alessandro Vallebona costruì a Genova il prototipo di un'apparecchiatura che ricavava un'immagine definita da Vallebona stesso 'stratigrafia'. Nel ventennio successivo furono immessi sul mercato i nuovi dispositivi tomografici, finalizzati soprattutto a ottenere immagini del busto. Nel 1949, poi, nacque il primo strumento destinato alla diagnostica per immagini dei tessuti del seno che consentiva di non esporre le pazienti a quantitativi nocivi di radiazioni. Questi nuovi dispositivi continuavano comunque a inviare i raggi X attraverso il paziente su uno schermo o una pellicola, più o meno come avveniva all'epoca di Röntgen.
La rivoluzione successiva nell'ambito della diagnostica per immagini si verificò del tutto inaspettatamente. Nel 1937 un saggista avanzò, per conto della National Academy of Science degli Stati Uniti, alcune previsioni sul futuro della scienza, ma non seppe intuire lo sviluppo dei computer. L'imminente sodalizio fra computer e radiografie e tutti gli altri sistemi di diagnostica per immagini non era di certo prevedibile; così come, a suo tempo, non lo era stata nemmeno la scoperta dei raggi X.
I computer, nati per risolvere problemi matematici, furono adibiti in seguito alla ricostruzione di immagini a partire da enormi quantità di dati matematici. Dopo che, nel 1964, in previsione dell'atterraggio dell'Apollo (avvenuto cinque anni dopo), Ranger 7 inviò dallo spazio alcune immagini della Luna rielaborate al computer, sembrò possibile ricostruire con i computer ogni tipo di immagine, comprese quelle ottenute dai dati presenti all'interno del corpo umano.
Sebbene nessun'altra immagine diagnostica avrebbe più scioccato il mondo come le prime radiografie di Röntgen, anche le nuove tecnologie mediche, al pari dell'informatica, suscitarono un forte impatto emotivo. Le nuove tecniche diagnostiche, come la TAC (tomografia assiale computerizzata), la PET (tomografia a emissione di positroni), la RMI (risonanza magnetica per immagini) e gli ultrasuoni, sviluppate nel dopoguerra, hanno origini scientifiche estremamente varie e sono giunte alla medicina attraverso percorsi molto diversi. Il centro di questa proliferazione di tecniche diagnostiche furono gli Stati Uniti, ma importanti contributi vennero anche da fisici e ricercatori francesi, tedeschi, danesi, svedesi, giapponesi e, in particolare, inglesi.
La tomografia assiale computerizzata (TAC)
La prima a svilupparsi fu la tecnica della TAC, che creava una nuova connessione fra computer e raggi X. A differenza di questi ultimi, scoperti per caso e subito applicati, la TAC è il risultato di molti anni di lavoro da parte di alcuni uomini che lottarono per convincere gli investitori dell'effettiva possibilità di realizzare macchinari di quel tipo; macchinari che sarebbero risultati utili da un punto di vista medico e, quindi, meritevoli di tutti gli investimenti necessari. Realizzata in gran parte grazie alle sovvenzioni di un'azienda privata e ad alcuni contributi statali in Gran Bretagna, la TAC rappresentò un'autentica rivoluzione nel campo della medicina, da un punto di vista sia diagnostico sia economico.
Ancor prima che diventasse una realtà nel 1972, comunque, la tomografia computerizzata era già stata idealmente prefigurata da alcuni precursori. Negli anni Cinquanta, infatti, quattro uomini appartenenti a quattro paesi e a quattro campi scientifici diversi, avevano iniziato a condurre ricerche su come ricostruire l'immagine di una sezione trasversale di un oggetto tramite i dati ricavati dai raggi X.
Il primo, Ronald Bracewell, astronomo australiano della Stanford University, in California, dovette affrontare, nel 1955, alcuni problemi di mappatura, tramite radiotelescopio, delle macchie solari (aree d'intensa emissione di microonde). Non riusciva a focalizzare un'antenna radio su un punto localizzato del Sole, e perciò cercò di risolvere il problema ricavando una striscia di dati da una linea unidimensionale, dalla quale ricostruì una mappa a due dimensioni servendosi degli algoritmi matematici delle trasformate di Fourier. Pubblicò questi risultati su una rivista australiana di fisica nel 1956.
Più o meno contemporaneamente, William Oldendorf, neurologo della California University di Los Angeles, sottolineava l'inadeguatezza della pneumoencefalografia, l'unico sistema che all'epoca consentiva l'osservazione dell'interno del cranio. Questa tecnica, che prevedeva l'immissione di aria all'interno del cervello con un'iniezione nella colonna vertebrale, oltre a risultare estremamente dolorosa, forniva immagini molto approssimative. Cercando una soluzione migliore per poter visualizzare l'interno del cervello, Oldendorf intuì che si poteva misurare la radiodensità di un punto su un determinato oggetto non omogeneo facendovi passare attraverso un fascio di raggi X o raggi γ, in modo tale che i raggi colpissero un rilevatore situato dalla parte opposta. Se poi si facevano ruotare il fascio e il rilevatore situato su di un piano intorno allo stesso asse, il fascio passava attraverso l'oggetto da più angolazioni, indicando un unico punto; spostando l'oggetto lungo una linea, risultava infine possibile misurare la densità lungo quella linea e ricostruire i rapporti di densità dei punti dell'oggetto stesso.
Oldendorf continuò a condurre ricerche nel proprio laboratorio privato e, nel 1959, costruì un prototipo di macchinario. Servendosi di 41 chiodi di ferro identici, un chiodo d'alluminio e un blocco di plastica con dei fori, posizionò sul pianale un fantoccio e il rimorchio di un trenino elettrico preso in prestito dai suoi figli. Servendosi di una fonte di raggi γ su uno schermo protettivo di piombo, misurò tutti i punti sul piano tramite rotazione, isolando un punto, e mediante traslazione, muovendo il punto lungo una linea; traslazione e rotazione divennero i termini chiave della TAC. Montata su un fonografo girevole, la 'macchina' spostava all'interno del prototipo il punto d'intersezione dell'asse e il fascio a una velocità di 80 mm l'ora; essa inviava, attraverso un piano, un fascio collimato di particelle ad alta energia sulla testa del fantoccio. Le particelle affioravano, colpivano un rilevatore di fotoni, venivano contate e ne risultava un'immagine bidimensionale con una struttura riconoscibile. Nonostante la sua semplicità, il prototipo di Oldendorf già racchiudeva in sé i principî fondamentali di tutti i successivi scanner tomografici computerizzati, a eccezione del computer digitale. Oldendorf si consultò con un matematico: questi ipotizzò, in quell'epoca preinformatizzata, che ci sarebbero volute 28.000 ca. equazioni simultanee per poter ottenere le informazioni necessarie alla ricostruzione di un'immagine. In altre parole, gli disse di 'lasciar perdere'.
Sempre negli anni Cinquanta, in Sudafrica, l'ospedale Groote Schuur di Città del Capo cercava un fisico che si occupasse di monitorare le radioterapie e offrì l'incarico ad Allan M. Cormack; questi, all'epoca assistente universitario, accettò. Lavorando presso il dipartimento di radiologia, rimase sgomento di fronte alla casualità della radioterapia: essa si basava sull'assorbimento di radiazioni da parte di una materia omogenea, simile al tessuto umano, senza quindi tenere conto delle differenze di assorbimento esistenti tra un osso, un muscolo e un tessuto polmonare. Capì che, a seconda delle diverse sezioni dell'organismo e dei diversi tessuti, si rendeva necessaria una serie di mappe con i vari coefficienti di assorbimento. Cormack aveva focalizzato il proprio interesse sulla terapia non sulla diagnostica, e la sua maggiore preoccupazione era la sovraesposizione superflua alle radiazioni: questo aspetto lo condusse a elaborare il concetto di mappa del corpo. Egli cominciò, dunque, a condurre ricerche su come ottenere una mappa dell'organismo tramite raggi X. In realtà, non aveva ancora pensato all'eventualità di poterne ricavare immagini, né aveva mai sentito parlare di 'tomografia'; era concentrato nel risolvere il problema matematico della misurazione dell'assorbimento lineare dei raggi X attraverso tessuti non omogenei del corpo.
Nel 1957, assillato da questi interrogativi, Cormack decise di fare un esperimento servendosi di una fonte di raggi γ su un modello (o fantoccio). In questa occasione approfittò dell'errore di un tecnico. Aveva chiesto un fantoccio simmetrico ricavato da un disco uniforme di alluminio circondato da un anello di legno, quando ne ricavò l'immagine, però, scoprì un'anomalia nei dati: il fantoccio non era uniforme, il tecnico aveva utilizzato un perno con densità leggermente diversa al centro del disco e lo scanner aveva individuato questa piccola differenza. Tale 'errore' confermò Cormack della giustezza della strada intrapresa. Questi dati costituirono poi il nucleo dell'articolo che egli pubblicò nel 1963 (in quel periodo si era già trasferito negli Stati Uniti, presso la Tufts University di Boston).
Sempre nel 1963 portò avanti alcuni esperimenti con un nuovo modello e si servì di un computer per ricostruire le immagini di fantocci asimmetrici; pubblicò i risultati e, come Oldendorf in California, tentò di raccogliere consensi anche all'esterno. L'unica risposta giunse da parte dell'Université de Neuchâtel: una rappresentanza del Centro di ricerche svizzero sulle valanghe si chiedeva se l'approccio di Cormack potesse essere utile a prevedere la profondità della neve.
Nello stesso tempo altri medici stavano usando gli isotopi radioattivi che la Atomic Energy Commission distribuiva negli ospedali come scarto dei reattori nucleari. Alcuni radioisotopi emettono positroni e possono essere iniettati nel sangue; una volta entrati in circolo, i positroni emessi risultano facilmente localizzabili da parte di rilevatori sensibili. Dopo che, nel 1972, la TAC era stata sperimentata, i ricercatori nel campo della tecnologia di emissione capirono che potevano servirsi della matematica della tecnologia di trasmissione e così facendo svilupparono la PET, la tomografia a emissione di positroni. La PET unisce la diagnostica per immagini alla medicina nucleare (che prevede l'impiego di radioisotopi a scopi terapeutici) per consentire ai fisici di seguire le funzioni del metabolismo, il flusso sanguigno nell'organismo e persino i processi mentali del cervello.
Nel frattempo, in Gran Bretagna, Godfrey N. Hounsfield, ingegnere della Electrical and Musical Industries limited (EMI), seguiva un cammino a sé. Durante la Seconda guerra mondiale aveva lavorato con i radar; in seguito, entrato alla EMI, negli anni Cinquanta, sviluppò un modello di computer. La EMI, all'epoca, si stava espandendo e curava soprattutto la propria produzione musicale. Negli anni Sessanta i Beatles riscuotevano un enorme successo e le loro vendite costituivano oltre il 50% degli introiti della EMI, che aveva il gruppo sotto contratto.
L'industria aveva intanto abbandonato le proprie ricerche nel ramo dell'informatica e aveva chiesto a Hounsfield di ideare un nuovo progetto; egli decise, quindi, di risolvere il problema di come ricavare un'immagine tramite la misurazione di un oggetto da varie angolazioni. Intuì che, riuscendo a ottenere un numero sufficiente di figure, avrebbe potuto ricostruire una rappresentazione dell'oggetto stesso. Tale processo avrebbe richiesto migliaia di equazioni matematiche, ma egli sapeva bene che i computer ai quali aveva lavorato sino a quel momento sarebbero stati in grado di risolverle.
Hounsfield era anche consapevole che il progetto da presentare alla EMI doveva essere pratico e la diretta applicazione delle sue ricerche era proprio la diagnostica per immagini. Le immagini da lui prese in considerazione avrebbero fornito più informazioni rispetto ai raggi X; ciascuna di esse avrebbe avuto l'aspetto di una sezione trasversale. Il problema principale era quello di ottenere un'immagine nitida senza sottoporre il paziente a una quantità eccessiva di radiazioni. Questa fu la motivazione per il brevetto della EMI nel 1968: "Un metodo e un dispositivo per l'ispezione di un corpo tramite radiazioni di raggi X o gamma". La matematica che aveva ossessionato Cormack non rappresentava un problema per Hounsfield; egli sapeva bene che gli algoritmi, le trasformate di Fourier e le pubblicazioni di Bracewell erano elementi fondamentali, ma in quella fase, nel 1971, era più interessato a dimostrare semplicemente che avrebbe potuto farcela.
La EMI richiedeva una prova di mercato. Al fine di rispettare tale obiettivo, Hounsfield prese contatti con il Dipartimento di sanità e sicurezza sociale britannico e propose loro un dispositivo che consentiva di osservare l'interno del cervello garantendo anche un notevole risparmio economico. All'epoca, infatti, la diagnosi della maggior parte dei di-sturbi cerebrali richiedeva necessariamente costosi interventi esplorativi. Hounsfield iniziò presto a collaborare con un neurochirurgo; il progetto si avvicinava sempre più alla propria realizzazione. Il 1° ottobre 1971 Hounsfield esaminò una paziente di 41 anni i cui sintomi lasciavano presagire un tumore in un'area imprecisata del lobo frontale. La donna fu fatta stendere con la testa da un lato mentre un fascio collimato di raggi X le attraversava il cranio e veniva raccolto da un rilevatore situato dalla parte opposta. Spostando in modo lineare la fonte dei raggi e il rilevatore, questi raccolsero e immagazzinarono informazioni da 160 punti, detti 'passaggi di scan', facendo ruotare l'unità di un grado attorno alla testa della paziente; il processo venne poi ripetuto. Questo scanner raccolse complessivamente su un unico nastro magnetico informazioni da 180 punti diversi, per un totale di 28.000 letture. La paziente rimase immobile per quindici ore. La registrazione dei dati fu inviata a Londra direttamente a un computer; i dati furono quindi elaborati da un altro computer, che produsse un'immagine di sezione trasversale, poi fotografata dallo schermo. Quella fotografia venne consegnata al chirurgo, il quale poté così constatare la presenza di un tumore nel lobo frontale sinistro della paziente e procedere alla sua immediata rimozione.
Le prime TAC vennero perfezionate con una tale rapidità che nei tre anni successivi questa tecnica compì un 'salto' di tre generazioni. Le nuove apparecchiature consentivano diagnosi per immagini dell'intero corpo grazie ai rilevatori multipli, i quali permisero di ridurre il tempo necessario all'ottenimento di una singola immagine da 15 ore, a 20 minuti, quindi a 20 secondi (il tempo per cui un paziente era in grado di trattenere il respiro), fino ad arrivare a un solo secondo. Con lo sviluppo delle potenzialità informatiche, la TAC divenne più rapida e versatile, rivoluzionando le diagnosi e i trattamenti dei traumi. Nel 1979 Cormack e Hounsfield ottennero entrambi il premio Nobel per la medicina o la fisiologia.
Per quanto le sue immagini risultino di ottima qualità, la TAC ha, però, due limiti: utilizza radiazioni ionizzanti e non può visualizzare tessuti o formazioni molli, come i tumori, presenti all'interno delle ossa. Questi limiti non sussistono nel caso della risonanza magnetica per immagini.
La risonanza magnetica per immagini (RMI) e la risonanza magnetica nucleare (RMN)
La RMI, comparsa intorno alla metà degli anni Ottanta, beneficiò dell'ossessione di Cormack di trovare i dati matematici che alimentassero il suo computer perché, sebbene i segnali della RMI differiscano complessivamente dai dati ottenuti dalla TAC, esse hanno in comune lo stesso target: il corpo umano. Il problema della ricostruzione di immagini a partire da una massa di dati ricavati dall'interno del corpo è altrettanto simile. Fortunatamente per la RMI, la potenzialità dei computer era aumentata enormemente; nel decennio trascorso fra lo sviluppo di queste due tecnologie, i matematici avevano sviluppato straordinari nuovi algoritmi per l'elaborazione dei dati. Questo fu soltanto il primo dei grandi regali che la TAC fece alla RMI; il secondo fu la convinzione, da parte delle aziende che facevano a gara per costruire un macchinario clinicamente utile, che quegli stessi ospedali che si erano messi in fila per pagare oltre 700.000 dollari una TAC avrebbero acquistato anche una più costosa RMI.
La RMI ebbe origine dalla consapevolezza che l'interno del nucleo atomico potesse essere manipolato, un'idea inizialmente avanzata dal fisico Wolfgang Pauli (1900-1958) nel 1924, quando suggerì che i nuclei di alcuni atomi avrebbero potuto avere un momento angolare, o spin, e diventare magnetici. La prova di questo magnetismo nucleare fu trovata nell'idrogeno congelato da due ricercatori sovietici nel 1937, lo stesso anno in cui il fisico Isidor Isaac Rabi misurò il momento magnetico (o spin) del nucleo, per il quale coniò la locuzione 'risonanza magnetica nucleare', o RMN. Due anni più tardi, Rabi misurò i momenti del protone e del deuterone; l'anno successivo, nel 1940, Felix Bloch usò una variante di questo metodo per misurare il momento del neutrone e nel 1945 si chiese se le transizioni nucleari potessero essere rilevate usando campi di radiofrequenza, una tecnica che chiamò 'induzione nucleare'.
All'inizio vi era solamente la RMN. Essa era il dominio di fisici come Rabi, che vinse il premio Nobel nel 1944 per i suoi esperimenti di misurazione della risonanza magnetica nucleare. Poi, nel 1946 Bloch ed Edward M. Purcell ‒ anche loro vincitori del Nobel ‒ indipendentemente e quasi simultaneamente pubblicarono alcuni articoli su "Physical review", descrivendo come avevano misurato la RMN di un corpo dotato di massa. Entrambi sapevano che i nuclei con un numero dispari di protoni, neutroni o entrambi, si allineano come piccole bussole se esposti a un forte campo magnetico; di conseguenza, se un'induzione magnetica alternata viene effettuata sulla radiofrequenza di un particolare atomo ‒ la sua frequenza di risonanza ‒ i protoni nel nucleo risuonano.
Nella maggior parte delle RMN, e più tardi nella diagnostica medica, il nucleo scelto per l'immagine è l'idrogeno: essendo il principale costituente dell'acqua, è l'elemento prevalente nel corpo umano.
Nei primi decenni del secondo dopoguerra, la RMN venne usata per esplorare piccoli campioni di sostanze inorganiche omogenee che nulla avevano a che fare con la medicina: ci sarebbero voluti 25 anni prima che fosse applicata alla diagnostica. In questi anni, chi costruiva gli strumenti per la RMN creò magneti sempre più potenti. Quando la RMI divenne possibile, gli enormi magneti necessari per gli strumenti clinici potevano essere costruiti da queste industrie.
La RMI crebbe sulle orme della RMN. Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, i chimici avevano ampliato l'uso della RMN alle sostanze organiche e a campioni di tessuto di dimensioni maggiori. È in questo momento che appare sulla scena Raymond Damadian, medico del Downstate Medical Center a Brooklyn, New York. Damadian pensava che un tessuto maligno fosse diverso da un tessuto sano, e che fosse possibile rilevare questa differenza per mezzo della RMN. Portò dunque numerosi ratti in un laboratorio vicino Pittsburgh, NMR Specialties, per verificare la sua teoria: era alla ricerca di un modo per diagnosticare il cancro a uno stadio precoce e la RMN sembrava promettente. Contemporaneamente Paul Lauterbur, un chimico della State University di New York a Stony Brook, aveva accettato un lavoro estivo presso la NMR Specialties, che aveva un bilancio finanziario precario. Lauterbur era interessato ai dati della RMN fin dai primi minuti campioni, e ricordava che quando una macchina per la RMN non era perfettamente tarata, apparivano strane forme, masse e linee discontinue, artefatti che dovevano essere eliminati. Improvvisamente, gli sovvenne che grumi e masse portavano informazione, non soltanto sul campo magnetico, ma anche sul resto del campione.
Fu questa intuizione che lo portò a chiedersi se esistesse un modo per sapere esattamente da dove provenisse un segnale RMN e a capire che se si fossero usati i gradienti di campo magnetico la risposta avrebbe potuto essere positiva. Se un campo magnetico varia nell'oggetto da un punto a un altro, infatti, la frequenza di risonanza, che è direttamente proporzionale all'intensità del campo magnetico, varierà da un punto all'altro nello stesso modo. Comprese dunque che poteva ottenere un'immagine completa applicando gradienti di campo magnetico in diverse direzioni. Mise subito per iscritto la sua idea, datandola 2 settembre 1971: era l'inizio della risonanza magnetica per immagini.
Successivamente, quando la RMN fu adattata a sofisticati sistemi per le immagini, divenne possibile ottenere ulteriori immagini manipolando i segnali radio. Tutto ciò veniva effettuato facendo pulsare i segnali (spegnendoli e riaccendendoli rapidamente), sfruttando altre qualità dei nuclei dotati di spin. Da allora, la risonanza magnetica è stata trasformata nella risonanza magnetica funzionale (fMR), capace di mostrare le funzioni del cervello seguendo in tempo reale le molecole di idrogeno. La fMR è utilizzata per localizzare le attività cerebrali, tra cui i processi decisionali, in aggiunta alle tradizionali diagnosi mediche e chirurgiche.
Gli ultrasuoni
Gli ultrasuoni sono stati l'ultima tecnologia diagnostica a usufruire dei computer. Come suggerisce la parola stessa, la diagnostica a ultrasuoni rileva le onde sonore ed è un erede del sonar (sound navigation and ranging technology), usato per localizzare i sottomarini durante la Seconda guerra mondiale. Gli ultrasuoni hanno diverse applicazioni mediche e sono pressoché sempre presenti in ostetricia, dove vengono utilizzati per osservare gli oociti non fecondati e lo sviluppo embrionale e fetale. Combinati con computer molto potenti, gli ultrasuoni consentono di mostrare, dettagliatamente e senza l'uso di radiazioni, immagini in movimento all'interno del corpo.
I casi medici e chirurgici richiedono spesso una combinazione di tecnologie di diagnostica per immagini che, per mezzo di computer sempre più potenti, possono essere riprodotte su un unico schermo. La diagnostica medica per immagini è, ovviamente, uno strumento diagnostico, ma è utilizzata sempre più anche dagli specialisti delle procedure invasive, tra cui i radiologi interventisti, i quali effettuano cateterismi arteriosi, e dagli ostetrici e ginecologi.