La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La formazione dei medici
La formazione dei medici
Fin dai tempi degli antichi sciamani, gli uomini hanno sempre aspirato a vivere in buona salute; di conseguenza tutte le culture hanno cercato di spiegare in modo razionale i misteri della malattia e di offrire qualche tipo di terapia. Gli abitanti dell'America coloniale ottenevano cure mediche da persone che praticavano la medicina popolare, basata sull'uso di erbe, e la medicina indiana; talvolta i coloni si rivolgevano anche ai membri del clero. Il più famoso di questi religiosi fu Cotton Mather (1663-1728), un teologo protestante del New England che considerava il corpo e l'anima strettamente collegati tra loro e si prendeva cura di entrambi.
Nel Settecento, la pratica della medicina 'regolare' o 'allopatica' iniziò a diffondersi. Un numero ristretto di persone conseguiva la laurea in medicina, studiando soprattutto a Edimburgo, a Leida o a Londra; tuttavia pochissimi potevano permettersi questo tipo di studi. Di conseguenza, l'apprendistato, che di solito prevedeva tre anni di lezioni con un precettore, divenne il sistema più diffuso di formazione. Gli apprendisti studiavano medicina con un praticante, il quale permetteva loro di partecipare alla sua attività in cambio di una retta modesta e dell'esecuzione dei lavori più umili. La qualità di questa esperienza era molto variabile poiché dipendeva dalle conoscenze, dalle capacità didattiche, dalla biblioteca personale e dalla dedizione del precettore.
Nel 1800 in America esistevano soltanto quattro facoltà di medicina: la University of Pennsylvania (fondata nel 1765), il King's College (1767), Harvard (1782) e Dartmouth (1797). Sebbene fossero tutte affiliate a università già consolidate, sedi principali dell'istruzione medica ben presto divennero le scuole di medicina private o indipendenti: tra il 1810 e il 1840 furono istituite 26 nuove scuole e, tra il 1840 e il 1876, altre 47; alla fine del XIX sec. ne sarebbero poi fiorite decine di altre. In origine, il loro scopo era quello di integrare il sistema dell'apprendistato; tuttavia, poiché erano in grado di fornire un insegnamento più sistematico, verso la metà del XIX sec. si sostituirono all'apprendistato come principale metodo di formazione dei medici. Alcuni esempi di queste scuole sono il Bennett Medical College di Chicago, nell'Illinois, l'Oglethorpe Medical College di Atlanta, in Georgia, e il Castleton Medical College di Castleton, nel Vermont.
Sebbene avessero grandi ambizioni, la qualità dell'insegnamento in queste prime scuole private ben presto si deteriorò, persino rispetto agli standard piuttosto bassi dell'epoca. Non esisteva alcun requisito per l'ammissione oltre alla possibilità di pagare la retta e si verificavano regolarmente problemi di disciplina dovuti al comportamento degli allievi. Il corso di preparazione standard consisteva in due quadrimestri di lezioni identici tra loro e si teneva in autunno e in inverno, in modo che gli studenti potessero lavorare nelle fattorie durante i mesi della semina e del raccolto. Il piano di studi generalmente prevedeva i seguenti corsi: anatomia, fisiologia e patologia, materia medica, terapeutica e farmacia, chimica e giurisprudenza medica, teoria e pratica della medicina, principî e pratica della chirurgia, ostetricia e malattie delle donne e dei bambini.
L'istruzione, interamente teorica, consisteva in sette od otto ore di lezione al giorno integrate dalla lettura dei manuali. Le occasioni di entrare in un laboratorio erano rare, e anche nelle discipline cliniche non era offerta alcuna opportunità di lavorare con i pazienti; gli esami erano brevi e superficiali. Gli studenti per ottenere un'istruzione medica più rigorosa dovevano integrare quello che avevano imparato in altri modi, per esempio iscrivendosi a corsi liberi in scuole private che non rilasciavano diplomi di laurea, andando a studiare in Europa o lavorando negli ospedali come 'allievi interni'.
Le scuole private della metà del XIX sec. erano istituzioni indipendenti, che operavano senza essere affiliate a università od ospedali, a differenza di quanto sarebbe avvenuto successivamente per le facoltà di medicina americane. Il corpo docente era poco numeroso, composto di solito da sei a otto professori; i docenti erano anche i proprietari delle scuole e miravano al profitto, dividendosi quello che restava delle rette degli studenti una volta decurtate le spese. Le scuole erano, dunque, pervase da un certo spirito commerciale e una buona scuola di medicina, come qualsiasi altra impresa, veniva giudicata in base alla sua redditività. Dal momento che possedere un anfiteatro era praticamente l'unico requisito richiesto per istituire una scuola medica, non erano necessarie troppe attrezzature; il piano superiore di un negozio di alimentari era già sufficiente e una scuola che avesse un suo edificio era considerata ampiamente dotata. In quell'epoca, la ricerca non faceva parte dei compiti delle scuole di medicina americane.
Nell'America della metà dell'Ottocento la formazione medica era ancora approssimativa, ma la riforma del sistema stava già cominciando. Questa trasformazione fu innescata da una serie di eventi: la rivoluzione della medicina sperimentale che era già in atto in Europa; l'esistenza di un gruppo di medici americani che si recava regolarmente in Europa (soprattutto in Germania) per imparare i metodi di laboratorio; la nascita delle università moderne in tutto il continente; lo sviluppo di un sistema di istruzione pubblica di massa per permettere l'accesso all'università agli studenti qualificati; infine lo spirito filantropico di alcuni industriali abbienti.
La nascita del nuovo sistema medico avvenne in due fasi che si sovrapposero tra loro. Nella prima fase, iniziata verso la metà del XIX sec., si verificò una vera rivoluzione nel modo di concepire gli scopi e i metodi della formazione medica. Dopo la guerra civile, gli educatori iniziarono a respingere la vecchia concezione secondo la quale bisognava costringere gli studenti a memorizzare le nozioni e cominciarono a porsi come obiettivo della formazione la preparazione di persone che fossero in grado di risolvere i problemi, di pensare in modo critico e quindi di reperire e valutare le informazioni. Per migliorare la capacità di risoluzione dei problemi, i professori attribuirono sempre meno importanza ai metodi didattici tradizionali basati sulle lezioni e sullo studio dei manuali. Iniziarono invece a parlare dell'importanza dell''autoapprendimento' e dell''imparare facendo'; lavorando in laboratorio e facendo tirocinio negli ospedali, gli studenti non erano più osservatori passivi ma dovevano partecipare attivamente alla propria formazione. Una generazione prima di John Dewey (1859-1952), i professori di medicina stavano già sposando le idee di quella che più tardi sarebbe stata chiamata 'istruzione progressista'.
Contemporaneamente, si verificò una rivoluzione nel modo di vedere la missione istituzionale delle scuole di medicina. Cominciò ad affermarsi l'idea che una scuola di medicina moderna non dovesse soltanto occuparsi dell'insegnamento superiore, ma impegnarsi anche nella conquista di nuove conoscenze attraverso la ricerca. Ciò significava che le scuole di medicina non potevano più rimanere istituzioni separate, ma dovevano entrare a far parte integrante delle università e assumere a tempo pieno docenti scientificamente preparati i quali, come ogni professore universitario ideale, fossero impegnati nella ricerca oltre che nell'insegnamento.
Gli anni Settanta dell'Ottocento videro le prime riforme importanti. Harvard, la University of Pennsylvania e la University of Michigan estesero la durata del loro corso di studi a tre anni, aggiunsero nuove discipline scientifiche, richiesero a tutti gli studenti di svolgere attività di laboratorio e cominciarono ad assumere personale docente a tempo pieno. Alla fine degli anni Settanta, fu annunciato il progetto di costruzione della nuova Johns Hopkins Medical School. Per motivi economici l'apertura fu rimandata al 1893 ma, quando la facoltà fu finalmente inaugurata, divenne immediatamente il modello per tutte le altre scuole di medicina, proprio come nel 1876 la Johns Hopkins University lo era stata per le università americane per quanto riguarda la ricerca. Per essere ammessi alla Johns Hopkins Medical School era necessario aver conseguito una laurea di primo grado. Tale scuola adottò un piano di studi quadriennale con corsi della durata di nove mesi; le classi erano poco numerose, gli studenti venivano esaminati di frequente, le attività di laboratorio e il tirocinio in ospedale erano i principali metodi di insegnamento. Inoltre fu assunto un brillante corpo docente a tempo pieno che considerava la ricerca, oltre all'insegnamento, parte della propria missione. Negli anni Ottanta e Novanta, le facoltà di tutto il paese iniziarono a emulare le scuole pionieristiche nel campo medico e fu lanciata una campagna per riformare l'istruzione medica in toto. Alla fine del secolo le facoltà mediche universitarie erano diventate un ideale universalmente valido, mentre le scuole private stavano chiudendo per mancanza di studenti.
La seconda fase di questa trasformazione si attuò tra il 1885 e il 1925, quando si cominciò a riconoscere che non bastavano soltanto le idee per creare una facoltà di Medicina moderna. I nuovi metodi di insegnamento erano estremamente costosi e bisognava convincere gli ospedali a collaborare alla formazione dei medici. Per realizzare questa rivoluzione istituzionale furono raccolte ingenti somme di denaro, furono costruiti nuovi laboratori, assunti numerosi docenti a tempo pieno e acquisiti i locali e le attrezzature per la pratica clinica. Le facoltà di Medicina, che nell'era delle scuole private erano state autonome, divennero ora strettamente collegate alle università e agli ospedali.
A questo processo di istituzionalizzazione nessuno contribuì in modo più significativo di Abraham Flexner (1866-1959), un professore di Louisville che era entrato a far parte dell'équipe della Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching. Nel 1910 Flexner pubblicò, suscitando molto scalpore, un rapporto intitolato Medical education in the United States and Canada nel quale descriveva le condizioni ideali in cui avrebbe dovuto svolgersi l'insegnamento della medicina ‒ prendendo come esempio la Johns Hopkins Medical School ‒ e sottolineava le condizioni ancora insoddisfacenti in cui operava la maggior parte delle facoltà di Medicina. Flexner non fornì, però, alcun nuovo contributo al dibattito su come dovessero essere formati i medici; si limitò ad adottare le idee che erano state sviluppate dagli educatori del settore negli anni Settanta e Ottanta. Tuttavia, il suo rapporto attirò l'attenzione sulla riforma dell'istruzione medica, trasformando quella che fino ad allora era stata una questione riguardante solamente la professione in un vasto movimento sociale, simile a tanti altri movimenti di riforma in atto nell'America dell'era del progresso. La reazione del pubblico fu quella di contribuire, a livello sia di filantropia privata sia di finanziamenti statali e municipali, alla realizzazione della riforma. Nei due decenni che seguirono, i finanziamenti pubblici garantirono alle scuole di medicina i fondi e le strutture che fino a quel momento non avevano avuto. Inoltre, le amministrazioni pubbliche, indignate e scandalizzate dalla descrizione che Flexner aveva fatto delle scuole private ancora esistenti, introdussero in tutti gli Stati leggi che imponevano l'obbligo di ottenere una licenza. In base a queste leggi, le scuole di medicina a fini di lucro non erano riconosciute e pertanto l'era dell'istruzione medica privata finì bruscamente.
Introducendo nel programma di studi i laboratori e il tirocinio in ospedale, i pionieri della nuova istruzione medica erano consapevoli di aver preso in prestito dall'Europa quelle strategie didattiche. In Germania la tradizione delle ricerche di laboratorio era già molto forte e l'insegnamento clinico in ospedale era altrettanto diffuso in Inghilterra, Scozia e Francia. In tutti questi paesi, un'élite di studenti poteva godere di ottime opportunità didattiche che non erano disponibili negli Stati Uniti.
I riformatori americani della medicina trasformarono però i metodi didattici presi in prestito; fusero le attività di laboratorio con la pratica clinica, creando per la prima volta un sistema di formazione che offriva eccezionali opportunità di apprendimento a livello sia scientifico sia clinico. Inoltre, essi sottolinearono la necessità di offrire la possibilità di questa formazione medica 'ideale' a tutti e non soltanto a pochi privilegiati, sostenendo che la gran parte dei tanti studenti di medicina, intenzionata a praticare con competenza la professione, avesse bisogno di basi solide, così come l'esiguo numero che intendeva intraprendere la carriera dell'insegnamento e della ricerca. In un paese democratico ed egalitario come gli Stati Uniti, la miglior formazione possibile divenne lo standard per tutti gli studenti che decidevano di tentare quella professione, e non solo per chi proveniva dalle classi privilegiate o per l'élite intellettuale.
Dopo il rapporto di Flexner, il nuovo sistema americano di formazione dei medici divenne rapidamente il modello di eccellenza per tutto il resto del mondo. Un americano non aveva più bisogno di recarsi all'estero per ricevere una rigorosa istruzione medica o per acquisire i metodi e le competenze per impegnarsi nella ricerca; al contrario erano gli europei che cominciavano a recarsi negli Stati Uniti. Nel 1912 Flexner pubblicò un secondo influente rapporto intitolato Medical education in Europe in cui criticava severamente l'istruzione medica in Gran Bretagna, Germania e Francia. Questo rapporto spinse gli educatori europei ad adottare un approccio più scientifico, proprio come due anni prima era accaduto negli Stati Uniti dopo la sua famosa critica del sistema americano. I vari sistemi nazionali di istruzione medica erano praticamente tornati a essere sullo stesso piano, come un secolo prima.
Prima della Grande guerra, le facoltà di Medicina si occupavano quasi esclusivamente delle lauree di primo grado ‒ vale a dire della formazione di base. Dal momento che la maggior parte dei laureati si dedicava alla medicina generale, quei quattro anni erano ritenuti sufficienti per esercitare la professione. Il rapporto di Flexner del 1910 non faceva alcun cenno al tirocinio o ad altri tipi di internato in ospedale per i laureati, perché rifletteva l'ortodossia dell'epoca secondo la quale la formazione universitaria assicurava la preparazione necessaria per l'esercizio della medicina generale.
Dopo la Prima guerra mondiale, tuttavia, la quantità di conoscenze mediche, di tecniche e di procedure era molto accresciuta. I programmi di insegnamento erano ampi, perfino per un corso quadriennale; di conseguenza, si ritenne necessario per tutti i medici un periodo di tirocinio in ospedale dopo la laurea, ossia il cosiddetto 'internato', che negli anni Venti divenne obbligatorio per tutti i laureati in medicina.
L'internato moderno traeva origine da un sistema informale di incarichi ospedalieri che risaliva all'inizio del XIX secolo. All'epoca, molti degli ospedali più grandi assumevano un esiguo numero di giovani medici che vivevano e lavoravano lì per un anno o due; fino alla fine del secolo, queste occasioni erano rare e solo pochissimi potevano usufruirne. Inoltre, la loro utilità per quanto riguarda l'apprendimento era molto relativa. Gli interni avevano responsabilità limitate e spesso erano utilizzati per svolgere compiti umili che avevano ben poco a che fare con la medicina, come occuparsi della manutenzione dei laboratori e ordinare medicine e rifornimenti vari.
Nel corso dei primi due decenni del XX sec. l'internato si trasformò in una vera esperienza formativa. Nei casi migliori, in quel periodo era possibile seguire conferenze, seminari, tavole rotonde e lezioni, oltre ad avere l'opportunità di partecipare attivamente alla cura dei pazienti. Con il passare del tempo, l'internato divenne possibile ‒ e infine obbligatorio ‒ per tutti i laureati in medicina. Vi erano tre tipi di internato; il più comune era quello cosiddetto 'a rotazione', nel quale gli interni ruotavano in tutti i settori clinici. Alcuni ospedali, soprattutto quelli associati alle facoltà di medicina, offrivano internati 'specialistici' in medicina o chirurgia, nei quali gli interni passavano tutto il tempo a occuparsi di quel settore. Il terzo tipo era quello 'misto', un connubio di internati a rotazione e specialistici; rispetto a quelli a rotazione, gli internati misti consentivano di dedicare più tempo alla medicina e alla chirurgia, ma meno a tutte le altre specializzazioni. Di solito, l'internato durava un anno, anche se alcuni si protraevano fino a tre; in tutte le sue forme il periodo di internato offriva un'esperienza clinica completa e molto utile.
All'inizio del XX sec., però, l'istruzione medica dovette affrontare anche un'altra sfida: quella di soddisfare le necessità di coloro che desideravano esercitare una branca specialistica (come l'oftalmologia, la pediatria o la chirurgia) o intraprendere la carriera di ricercatori. A questo scopo fu istituito 'l'assistentato' ‒ un'esperienza ospedaliera di diversi anni, successiva all'internato. L'assistentato moderno fu introdotto in America nel 1889 all'apertura del Johns Hopkins Hospital. Basato sul sistema degli 'assistenti interni' delle cliniche mediche delle università tedesche, l'assistentato al Johns Hopkins fu concepito come un'esperienza accademica per studiosi della medicina più maturi. Durante la Prima guerra mondiale, il medesimo sistema cominciò a diffondersi in altre istituzioni, proprio come quello della laurea di base della Johns Hopkins era stato adottato dalle altre facoltà di medicina durante la generazione precedente. Negli anni Trenta, l'assistentato era ormai diventato l'unico modo per conseguire una specializzazione, sostituendo i precedenti metodi informali, meno desiderabili dal punto di vista formativo (per esempio un breve corso in un'istituzione privata o l'affiancamento di un medico più anziano e già considerato uno specialista).
Prima della Seconda guerra mondiale, l'assistentato aveva tre caratteristiche fondamentali. In primo luogo, diversamente dall'internato, che a partire dalla Prima guerra mondiale era diventato obbligatorio per tutti i laureati in medicina, l'assistentato era riservato alle élite. Soltanto un terzo dei laureati poteva accedervi dopo aver terminato l'internato e, fra questi, solamente un quarto arrivava a completare il programma. In secondo luogo, il suo tratto didattico distintivo era l'assunzione di responsabilità nella cura dei malati. Gli assistenti valutavano da soli le condizioni dei pazienti, decidevano la diagnosi e la terapia ed eseguivano le procedure e i trattamenti. Al loro operato sovrintendevano gli aiuti, ai quali dovevano rendere conto, ma nel complesso godevano di una notevole indipendenza; questo era ritenuto il modo migliore per trasformare gli apprendisti in medici maturi. Infine, in quell'epoca l'esperienza dell'assistentato era associata allo studio e alla ricerca oltre che alla pratica clinica. Il sistema dell'assistentato all'interno degli ospedali assunse gradualmente molte caratteristiche della scuola di specializzazione e gli assistenti erano accuratamente addestrati alla ricerca clinica; esso finì quindi per essere riconosciuto come il 'terreno di coltura' della successiva generazione di ricercatori e di studiosi.
Le conoscenze scientifiche aumentano continuamente e le malattie che colpiscono una popolazione cambiano costantemente, come anche le pratiche mediche, gli atteggiamenti culturali e i sistemi di assistenza sanitaria; di conseguenza l'istruzione medica deve evolversi per riflettere i cambiamenti scientifici e sociali.
Gli educatori continuarono anche dopo la Seconda guerra mondiale a mettere in risalto l'importanza dell'apprendimento attivo nella risoluzione dei problemi. Tuttavia, nel dopoguerra furono apportate molte innovazioni nei programmi di studi. Le più significative furono l'introduzione di un corso di laurea basato sullo studio dei diversi sistemi di organi (da parte del Western Reserve College of Medicine nel 1953), l'approccio problem based learning (PBL) sperimentato dalla facoltà di Medicina della McMaster University (negli anni Settanta), l'introduzione di un corso di laurea in pronto soccorso da parte della University of New Mexico (negli anni Ottanta) e l'istituzione del New Pathway Program da parte della Harvard Medical School (negli anni Ottanta). Inoltre, si ebbe una riduzione del numero di corsi obbligatori, aumentarono quelli facoltativi e tutte le facoltà mediche cominciarono a offrire la possibilità di fare esperienza clinica anche durante il primo e secondo anno di studi.
Riflettendo i cambiamenti della società in generale, le facoltà di Medicina divennero anche più rappresentative delle diverse categorie di persone che accoglievano. Le quote religiose che discriminavano gli studenti ebrei e cattolici, istituite negli anni Venti, scomparvero negli anni Cinquanta, dopo la scoperta delle atrocità commesse dai nazisti e l'approvazione di nuove leggi sui diritti civili. Il numero di studenti afroamericani ammessi ai corsi, anche se ancora resta molto basso, dagli anni Sessanta del Novecento al Duemila è passato dal 2,7 all'8 %. Un maggiore successo ottennero le donne, le cui iscrizioni sono cresciute dal 6 % degli anni Sessanta al 50 % degli anni Novanta.
Dopo la Seconda guerra mondiale anche la situazione delle specializzazioni cambiò in modo significativo. Alla fine degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta, il sistema dell'assistentato divenne più democratico: vale a dire, divenne disponibile per tutti i laureati, non solo per le élite accademiche. Tra il 1940 e il 1970, il numero dei posti di assistente negli ospedali americani passò da 5796 a 42.258 e quello dei laureati in medicina che chiedevano una formazione specialistica aumentò notevolmente. Allo stesso tempo, la componente accademica legata all'assistentato fu ridimensionata. L'assistentato divenne essenzialmente una forma di addestramento clinico piuttosto che una preparazione per l'attività di ricerca. La maggior parte dei medici che voleva dedicarsi alla ricerca doveva seguire un programma di dottorato od ottenere una borsa di ricerca postuniversitaria.
Si accrebbero notevolmente anche le responsabilità degli assistenti. Negli anni Sessanta furono infatti introdotti i centri di rianimazione, nonché una serie di nuove tecnologie salvavita, come i respiratori e le apparecchiature per la dialisi. I pazienti ospedalizzati presentavano patologie molto più gravi rispetto alle epoche precedenti e tale cambiamento comportava un maggior carico di lavoro. Negli anni Ottanta, dopo che la responsabilità della morte di una giovane di 19 anni al New York Hospital fu attribuita alla stanchezza del personale medico sovraffaticato e non controllato, si cominciò a chiedere una riduzione degli orari di lavoro e un maggior controllo sul personale ospedaliero; per ironia della sorte, dopo lunghe indagini, si scoprì che la morte della giovane era dovuta ad altre cause. Nonostante questo, il movimento per regolamentare l'orario di lavoro del personale ospedaliero andò avanti e nel luglio del 2003 sono entrate in vigore nuove norme che ne limitano l'impegno a 80 ore settimanali.
Mano a mano che cambiava, l'istruzione medica diveniva anche un'impresa più complicata. Negli anni Sessanta e Settanta, in risposta alla richiesta degli utenti di disporre di un maggior numero di medici, le facoltà di Medicina esistenti aumentarono le dimensioni delle loro classi e furono istituite 40 nuove facoltà; tra il 1960 e il 1980, in America il numero di studenti passò da 8298 a 17.320. Dopo la Seconda guerra mondiale, l'attività di ricerca si ampliò enormemente, grazie soprattutto allo stanziamento di finanziamenti notevolissimi da parte dei National Institutes of Health; il numero di docenti a tempo pieno delle facoltà di medicina americane passò dai 3500 del 1945 ai 17.000 del 1965.
Dopo il 1965 si registrò una nuova crescita grazie all'approvazione dei programmi Medicare e Medicaid e la conseguente esplosione di richieste alle facoltà affinché garantissero un maggior numero di medici. Negli anni Novanta, i docenti a tempo pieno delle facoltà di medicina erano già divenuti 85.000 e l'aumento aveva riguardato soprattutto i dipartimenti clinici. A quel punto metà delle entrate delle facoltà proveniva dall'esercizio della medicina da parte dei loro docenti. Negli anni Novanta, i 'centri sanitari universitari' ‒ una fusione tra facoltà di Medicina e ospedali didattici ‒ erano già diventati organizzazioni estremamente vaste e complesse con molte responsabilità oltre a quelle dell'istruzione e della ricerca. Nel 2000 un tipico centro sanitario universitario poteva facilmente gestire un bilancio di un miliardo e mezzo di dollari o più ed essere il maggiore datore di lavoro della propria comunità.
Nel corso del Novecento le facoltà di Medicina hanno prosperato e offerto un servizio pubblico adeguato e tuttavia, verso la fine del secolo è scattato un campanello d'allarme. I centri sanitari universitari erano diventati forti e ricchi ma dipendevano sempre più dalle scelte politiche di altri enti (compagnie di assicurazione e agenzie governative) che pagavano i conti. Durante l'era dell'assistenza sanitaria gestita degli anni Novanta, la parsimonia degli esborsi di molti enti pagatori ha cominciato a causare considerevoli problemi finanziari ai centri sanitari universitari. Per esempio, nel 2000 lo University of Pennsylvania Health System ha avuto 200 milioni di dollari di perdite per costi di gestione (tutti gli ospedali sono stati danneggiati finanziariamente dal sistema dell'assistenza sanitaria gestita, ma i centri didattici, a causa dei loro alti costi di gestione, ne hanno risentito in modo particolare). L'enfasi di molte organizzazioni sanitarie sulla necessità di aumentare il 'volume della produzione' ‒ vale a dire di curare il maggior numero di pazienti nel minor tempo possibile ‒ ha contribuito al deterioramento della qualità dei programmi di istruzione. Studenti e assistenti non hanno avuto più tempo sufficiente per imparare dalla pratica o per studiare a fondo i loro pazienti. L'insistenza sulla necessità di emettere diagnosi rapide, piuttosto che accurate, ha prodotto conseguenze anche sulla qualità dei servizi. Si spera che il desiderio della categoria e del pubblico di mantenere alta la qualità della formazione e dell'assistenza possa nei prossimi anni permettere di superare queste difficoltà.