La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La sperimentazione sull'uomo ...
La sperimentazione sull'uomo: l'avvento della regolamentazione
La sperimentazione sull'uomo è probabilmente antica quanto la medicina stessa, ma l'uso sistematico e su larga scala di esseri umani per la valutazione clinica di nuovi farmaci, procedure o armi si è sviluppato soltanto nel XX secolo. Ciò, insieme alla scoperta di numerosi casi di lesione o morte di soggetti umani utilizzati a scopo sperimentale, ha sollecitato la World Medical Association, la World Health Organization e il Council for International Organizations of Medical Sciences a regolamentare la ricerca clinica a livello nazionale e internazionale. Nonostante questi sforzi, la questione della tutela dei soggetti umani della ricerca biomedica continua a destare preoccupazione. C'è chi accusa gli Stati Uniti e altre nazioni occidentali di sfruttare gli abitanti dei paesi in via di sviluppo per condurre ricerche di cui sarà l'Occidente a beneficiare e che contribuiranno ben poco a modificare le condizioni di salute e di benessere delle popolazioni più povere.
Nel 1865 il fisiologo francese Claude Bernard (1813-1878) analizzò i limiti della sperimentazione sull'uomo nel manuale Introduction à l'étude de la médecine expérimentale; gli esperimenti, sosteneva, sono necessari al progresso della medicina e delle scienze mediche, ma entro certo limiti. Bernard osservava: "Il principio della moralità della medicina e della chirurgia consiste nel non condurre mai su un uomo un esperimento che potrebbe in qualsiasi misura nuocergli", e ciò anche se il risultato potesse sembrare vantaggioso per la scienza. L'etica di Bernard in merito alla sperimentazione sull'uomo lasciava che fosse compito del singolo medico o chirurgo stabilire cosa andasse considerato dannoso per il soggetto e cosa risultasse utile alla scienza: enormi erano le differenze tra medici e chirurghi nella valutazione di rischi e benefici.
Per la maggior parte del XIX sec. la sperimentazione fu più simile a una forma di piccolo artigianato che non a un metodo d'indagine sistematico; di tanto in tanto, una patologia inusuale o un'idea originale spingeva qualcuno a tentare nuove procedure e medicine sui propri familiari, sui vicini di casa e sui pazienti. Negli anni Venti, il medico militare americano William Beaumont (1786-1853) condusse numerosi esperimenti sulla funzione gastrica servendosi di una fistola nello stomaco di un cacciatore del Canada francese. Negli anni Quaranta un altro medico americano, James Marion Sims (1813-1883), mise a punto un intervento chirurgico di eliminazione delle fistole vescico-vaginali utilizzando schiave afroamericane. Gli esperimenti non sarebbero stati tollerati dalle donne bianche; Sims riuscì ad assicurarsi la disponibilità delle donne nere prendendo con i loro padroni accordi, secondo i quali egli stesso avrebbe sostenuto le spese di vitto e alloggio delle donne per il periodo in cui avrebbe condotto su di loro i suoi esperimenti.
Negli anni Sessanta e Settanta dell'Ottocento l'avvento della teoria dei germi aprì alla ricerca su soggetti umani nuovi orizzonti. Nel caso più noto di sperimentazione umana del XIX sec., Louis Pasteur (1822-1895) provò il suo vaccino antirabbico, mai testato prima, su un bambino di 10 anni che era stato morso gravemente da un animale affetto da rabbia. Nel 1885, quando il bambino guarì dopo che gli era stato somministrato il nuovo trattamento, vi fu chi ne biasimò tanto l'etica quanto le basi teoriche, ma il successo travolgente del vaccino protesse in misura notevole Pasteur dalle critiche aspre e minuziose. Come lo storico Gerald Geison ha dimostrato in maniera convincente nel volume The private science of Louis Pasteur (1995), il chimico francese, che si rendeva chiaramente conto dei problemi posti dalla sperimentazione sull'uomo, nel somministrare (o meglio, far somministrare da un collega) il vaccino al bambino mancò di rispettare quelli che erano i suoi stessi criteri etici. Gli appunti di laboratorio dello stesso Pasteur non hanno fornito alcuna prova che egli avesse davvero portato a termine gli esperimenti su animali ai quali fece riferimento per giustificare la sua decisione di trattare il bambino, rivelando anche che, quando decise di procedere in tal senso, lo scienziato francese aveva a malapena cominciato a condurre su alcuni cani esperimenti 'vagamente simili'.
Il vaccino di Pasteur fu adottato come presidio terapeutico, ma gli scienziati del tardo Ottocento condussero esperimenti anche a scopi non terapeutici. Le teorie del medico tedesco Robert Koch (1843-1910) imponevano ai ricercatori di individuare il microbo che rappresentava l'agente causale di una determinata malattia, lo crescessero in coltura pura e lo iniettassero in un animale per riprodurre quella malattia. In alcuni casi, tuttavia, non era disponibile alcun animale non umano adatto, e gli sperimentatori dovevano necessariamente rivolgersi a soggetti umani. Nel 1883 il medico George Fitch (1826-1906) tentò di dimostrare la sua teoria, secondo la quale la lebbra e la sifilide erano in realtà la stessa malattia, iniettando in sei giovani 'lebbrose' il virus della sifilide. Negli anni Novanta il microbiologo italiano Giuseppe Sanarelli (1864-1940) condusse ricerche analoghe in Uruguay al fine di scoprire l'agente causale della grave malattia tropicale chiamata febbre gialla; isolò il microbo e, in un ospedale di Montevideo, iniettò un filtrato contenente l'organismo in cinque pazienti immigranti. Due di essi accusarono un lieve gonfiore, vomito e inappetenza, ma altri due mostrarono sintomi più rilevanti, tra i quali febbre, dolore e delirio; dal momento che era riuscito a provocare questi sintomi, Sanarelli affermò che il suo bacillo causava la malattia.
Egli però non soltanto vide contestate le sue conclusioni scientifiche ma venne criticato da diversi colleghi per avere infettato pazienti con una malattia pericolosa (all'epoca non esisteva per la febbre gialla alcuna terapia efficace). L'indignazione suscitata dalla ricerca di Sanarelli indusse, nel 1900, la Commissione dell'Esercito statunitense a Cuba ad adottare misure straordinarie per l'utilizzo di soggetti umani nell'identificazione della zanzara vettrice della febbre gialla. Il chirurgo militare Walter Reed introdusse un accordo scritto con gli immigranti spagnoli che fungevano da soggetti sperimentali; l'accordo, redatto in inglese e in spagnolo, descriveva i rischi e i benefici della partecipazione ai tentativi di provocare la febbre gialla nell'uomo.
In Europa, una serie di scandali relativi alla sperimentazione sull'uomo indusse i legislatori a regolamentare la ricerca clinica. Nel 1900 il ministro della cultura prussiano emise un'ordinanza che proibiva la sperimentazione medica su persone troppo giovani o debilitate e stabiliva che, per partecipare, i soggetti dovessero dare il loro consenso. L'ordinanza fece seguito alla controversia suscitata dall'inoculazione di un siero proveniente da sifilitici in prostitute e ragazze, allo scopo di testare un vaccino; il responsabile, il ricercatore di Breslavia Albert Neisser (1855-1916), scopritore del gonococco, era stato ufficialmente richiamato e multato di 300 marchi dal Reich. Nel 1931, subito dopo il 'disastro di Lubecca', il ministro dell'interno del Reich tedesco emise una 'Regolamentazione per le nuove terapie e la sperimentazione sull'uomo'. La tragedia di Lubecca aveva riguardato la sperimentazione, condotta nel 1930 dal direttore dell'ospedale comunale, del vaccino antitubercolare BCG; contaminati con bacilli di tubercolosi virulenti, i test avevano provocato la morte di 76 bambini. Oltre a comminare ai medici la pena della reclusione, il ministro dell'Interno indisse una riunione straordinaria del Consiglio Sanitario per discutere sulla sperimentazione umana.
La regolamentazione che ne risultò richiedeva che le prove cliniche sull'uomo fossero precedute dalla sperimentazione su animali, che fosse ottenuto il consenso del soggetto e che misure speciali fossero adottate a tutela dei bambini, dei pazienti 'socialmente bisognosi' e dei morenti. Tale regolamentazione, che rimase tecnicamente in vigore fino al 1945, fu completamente ignorata, dal 1933 in poi, dai medici nazisti.
Gli esperimenti condotti dai nazisti nei campi di concentramento tedeschi rappresentano il caso più estremo di abuso di soggetti umani da parte della ricerca medica. I medici accettarono la propria trasformazione da 'dottore dell'individuo' a 'dottore della nazione' e diedero un notevole contributo alla realizzazione del progetto nazista, praticando per esempio la sterilizzazione forzata di più di 400.000 persone e lo sterminio di un gran numero di individui, considerati di razza inferiore oppure mentalmente o socialmente anormali. I medici nazisti condussero ricerche raccapriccianti sui prigionieri dei campi di concentramento. Con il pretesto di raccogliere informazioni che potessero aiutare le forze armate tedesche, essi eseguirono una serie di esperimenti sconvolgenti: immersero i prigionieri di Dachau in acqua ghiacciata allo scopo di stabilire quanto a lungo i piloti tedeschi sarebbero sopravvissuti nelle gelide acque del Mare del Nord e li costrinsero a bere acqua marina per determinare quanto a lungo un uomo potesse sopravvivere senza acqua dolce; li chiusero in camere a bassa pressione per simulare le condizioni atmosferiche proprie delle altitudini elevate in cui si trovavano a operare i piloti; praticarono interventi di mutilazione degli arti per mettere a punto tecniche mediche e chirurgiche che potessero salvare i soldati feriti. I ricercatori nazisti infettarono con la malaria quasi 1200 prigionieri per testare varie combinazioni di farmaci allo scopo di scoprire quale fosse il trattamento più efficace; quasi un terzo dei prigionieri utilizzati per questi esperimenti morì a causa delle complicanze della malattia o della terapia farmacologica somministratagli.
Presso il campo di concentramento di Auschwitz, il medico Josef Mengele supervisionò un composito insieme di esperimenti su soggetti umani; usò 500 donne ca. come 'cavie' per ricerche finalizzate allo sviluppo di tecniche di sterilizzazione sessuale più efficaci. Alle donne venivano iniettate sostanze caustiche o erano sottoposte a irradiazione e, quindi, inseminate artificialmente per stabilire la validità della tecnica. Mengele era interessato ai gemelli monoovulari e promosse una lunga serie di esperimenti che coinvolse circa 1500 coppie. Dopo l'identificazione, i bambini gemelli di tutte le età venivano costantemente controllati, pesati e sottoposti a svariati esperimenti, sia fisici sia psicologici; ad alcuni furono praticati interventi di chirurgia sperimentale, tra i quali le trasfusioni di sangue da un gemello all'altro e la rimozione di organi o arti; di altri veniva studiata la reazione a vari stimoli, tra cui l'inoculazione di germi letali oppure iniezioni di agenti chimici negli occhi allo scopo di modificarne il colore. Nel lager di Ravensbrueck alcune donne polacche furono sottoposte a sperimentazioni dolorose e spesso fatali sulle infezioni da ferita, consistenti tra l'altro nell'inoculazione di bacilli della cancrena gassosa e di altre tossine.
Il processo di Norimberga
Molti, agghiaccianti dettagli sugli esperimenti condotti dai nazisti vennero alla luce nel corso del 'processo ai medici', che si tenne dal 1946 al 1947 a Norimberga davanti a un tribunale militare americano; durante il processo gli accusati (23 imputati, tutti medici tranne tre) difesero la propria condotta sostenendo che le vite dei prigionieri erano usate per salvare altre vite. Gli avvocati difensori tedeschi sottolinearono inoltre che l'uso sperimentale dei detenuti nei campi di concentramento da parte dei nazisti non rappresentava un caso isolato; fecero riferimento all'utilizzazione di prigionieri e di altre popolazioni istituzionalizzate da parte dei ricercatori americani e all'esclusione dei professionisti di colore dalle organizzazioni mediche americane.
I ricercatori americani contestarono con vigore qualsiasi assimilazione dei propri esperimenti a quelli dei nazisti. Il dottor Andrew C. Ivy, un fisiologo della University of Illinois, presidente dell'American Medical Association, che al processo affiancò in qualità di esperto il pubblico ministero americano, fece notare che i detenuti delle carceri americane non venivano costretti a partecipare alle ricerche, in quanto avevano la facoltà di acconsentire o meno. Mentre collaborava alla preparazione del processo, Ivy fece in modo che l'American Medical Association prendesse per la prima volta formalmente posizione in merito all'etica della sperimentazione sull'uomo. Nel dicembre del 1946, essa individuò tre requisiti per l'etica della ricerca sull'uomo: il consenso volontario del soggetto; l'obbligo di una precedente sperimentazione su animali; la necessità di un'adeguata supervisione medica. Questi principî furono citati nel corso dell'azione giudiziaria contro i medici nazisti.
Nonostante il pronunciamento dell'American Medical Association, molte delle ricerche mediche svolte dagli americani durante e dopo la Seconda guerra mondiale mancarono di soddisfare il primo criterio. Nel periodo 1941-1945, per esempio, i ricercatori si servirono abitualmente di popolazioni che non erano in grado di dare il loro consenso volontario, tra cui bambini e persone con ritardo mentale. Con il patrocinio del Committee on Medical Research, branca dell'Office of Scientific Research and Development istituito dal presidente Franklin D. Roosevelt nel 1941, gli sperimentatori studiarono varie malattie connesse allo sforzo bellico, quali la dissenteria, l'influenza, la malaria e le patologie veneree, e condizioni fisiche avverse come le temperature molto fredde, servendosi di prigionieri, malati mentali internati e bambini in orfanotrofio. Di fatto, l'accesso alle popolazioni istituzionalizzate dei bambini della Ohio State and Soldiers Home e della State Colony for the feeble-minded del New Jersey giunse a facilitare l'iter della richiesta di finanziamento indirizzata da un ricercatore al comitato. Analogamente, durante e dopo la guerra, gli sperimentatori americani testarono nuovi farmaci, vaccini e procedure su obiettori di coscienza; anche i militari furono usati su larga scala, per test clandestini che prevedevano l'esposizione ad agenti impiegati per scopi bellici come l'iprite e le radiazioni nucleari. Nel condurre tali esperimenti, i ricercatori espressero qualche preoccupazione in merito ai potenziali effetti negativi e, in particolare, alle lesioni o alla morte dei soggetti utilizzati, ma non interruppero i loro studi.
In Gran Bretagna, negli anni Trenta e Quaranta, gli obiettori di coscienza parteciparono alle ricerche mediche come volontari. Nel 1945 il medico entomologo Kenneth Mellanby fece una rassegna della ricerche britanniche sulla scabbia condotte su questa popolazione nel periodo bellico; divenuto in seguito il corrispondente del "British Medical Journal" al processo di Norimberga, Mellanby contestò le affermazioni degli americani secondo le quali le ricerche mediche naziste erano state inutili. Secondo lo storico Paul Weindling (2001), Mellanby non era l'unico ricercatore britannico a considerare i crimini medici nazisti il prevedibile risultato dell'interferenza dello Stato nella medicina e nella ricerca medica. La British Medical Association avrebbe in seguito addotto argomentazioni di questo tipo allo scopo di contrastare il servizio sanitario nazionale e di procrastinare l'avvento della supervisione della ricerca clinica da parte dello Stato.
Al processo di Norimberga i giudici americani presiedettero 143 giorni di procedimento, ascoltarono la testimonianza di 85 persone ed esaminarono quasi 1500 documenti; giudicarono colpevoli di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità 16 dei 23 medici nazisti imputati. Sette di questi, compreso l'imputato principale, Karl Brandt, commissario per la salute e la sanità del Reich e medico personale di Adolf Hitler, furono condannati a morte e giustiziati il 2 giugno del 1948. Ad altri cinque venne comminato il carcere a vita (pena poi commutata nella maggior parte dei casi a 15 o 20 anni di reclusione); sette medici tedeschi furono giudicati innocenti e rilasciati. La sentenza di questo processo pose una delle più importanti pietre miliari nella storia dell'etica della ricerca: i dieci criteri della sperimentazione ammissibile sull'uomo noti come Codice di Norimberga. Come George J. Annas e Michael A. Grodin (1992) hanno osservato, il Codice "stabilì i criteri generali in base ai quali rispondere a tutti gli interrogativi etici e legali che sarebbero sorti in futuro in merito alla condotta da tenere nella sperimentazione sull'uomo". Ciò non fu però sufficiente a tutelare i soggetti umani.
Quando a Norimberga si concluse il processo, il governo americano venne a conoscenza dei test su larga scala con agenti batteriologici impiegati per scopi bellici che erano condotti dai medici militari in Giappone. Dopo l'invasione giapponese della Manciuria nel 1931, Ishii Shiro, maggiore dell'esercito e uno dei principali fautori della guerra batteriologica, costruì in quella regione un istituto di ricerca in cui intraprese una vasta sperimentazione di agenti batteriologici e sistemi di rilascio. Per tredici anni, e grazie al sostanzioso finanziamento delle forze armate giapponesi, il dottore testò su migliaia di prigionieri cinesi gli agenti patogeni di peste, colera, tifo, dissenteria, antrace e morva. A un suo comando venivano eseguite prove di congelamento e scongelamento ripetuto di esseri umani, che si concludevano regolarmente con la morte. Lo storico Sheldon R. Harris (1994) ha stimato che prima che Ishii, alla fine della guerra, ponesse termine all'operazione, morirono più di 3000 persone. Diversamente dai medici nazisti, Ishii e i suoi colleghi non furono perseguiti per i loro crimini: il governo americano estese l'amnistia ai ricercatori giapponesi in cambio dell'accesso ai loro dati sulla guerra batteriologica e per assicurarsi che i dettagli delle ricerche non diventassero di pubblico dominio.
Un effetto della perdurante repulsione destata dai medici nazisti fu lo sforzo di sviluppare linee guida professionali per l'etica della sperimentazione sull'uomo. Una delle principali protagoniste in tal senso fu la World Medical Association, fondata nel 1947 da medici delle nazioni che avevano subito l'invasione nazista e da colleghi australiani, statunitensi, canadesi, britannici, neozelandesi e sudafricani. Negli anni Cinquanta e Sessanta tale organismo si impegnò per adottare standard che bilanciassero la necessità di proseguire nella sperimentazione sull'uomo con i diritti dei volontari e dei pazienti; nel 1964, a Helsinki, la XVIII assemblea generale della World Medical Association approvò un importante insieme di direttive per la ricerca clinica. A dare l'impulso per l'adozione della Dichiarazione di Helsinki furono, in parte, anche l'apprensione internazionale destata dalla tragedia della talidomide e i propositi statunitensi di rendere maggiormente rigorosa la regolamentazione dello studio clinico dei farmaci su soggetti umani.
La talidomide, infatti, somministrata alle donne in gravidanza per attenuare le nausee aveva provocato la nascita di numerosi bambini focomelici. Diversamente dal Codice di Norimberga, che individuava nel consenso volontario del soggetto sperimentale uno dei requisiti imprescindibili per una ricerca eticamente corretta, la Dichiarazione di Helsinki prevedeva che, nel caso di persone incapaci di dare il loro consenso (per es., bambini, persone in stato di coma o malati di mente), fosse possibile farne richiesta al tutore e permetteva ai ricercatori di anticipare il consenso, in caso di sua 'incompatibilità con le condizioni psicologiche del paziente'.
Il fatto che queste decisioni fossero ritenute tali da poter essere affidate alla coscienza del singolo sperimentatore disturbò alcuni osservatori. In Gran Bretagna, un medico di nome Maurice H. Pappworth iniziò a raccogliere materiale sulle ricerche pubblicate che gli sembravano eticamente sospette; nel suo libro del 1967, Human Guinea pigs (ampliamento di un articolo pubblicato inizialmente nel 1962), descrisse tra l'altro esperimenti condotti su bambini, persone con ritardo o malattie mentali, criminali, morenti e anziani, pazienti chirurgici e soggetti sani volontari. La denuncia di Pappworth destò nel pubblico britannico un interesse limitato ed ebbe poca influenza sulla pratica medica. Negli anni Sessanta e Settanta tuttavia le principali organizzazioni mediche britanniche, tra cui il Medical Research Council e il Royal College of Physicians, emanarono una serie di raccomandazioni e direttive sulla sperimentazione umana.
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti il dibattito sui diritti dei soggetti sperimentali si accese sullo sfondo di un crescente sospetto nei confronti dell'autorità in generale e della classe medica in particolare. Negli anni Sessanta ambientalisti, femministe, attivisti per i diritti civili, pacifisti e movimenti antinucleari attaccarono i valori prestabiliti e lottarono per un cambiamento radicale dello statu quo. Negli anni Settanta il movimento per la salute delle donne sfidò le teorie e le prassi di una medicina dominata dagli uomini, in particolare nel campo dell'ostetricia e della ginecologia, e mise in discussione l'uso strumentale del corpo femminile.
L'apprensione in merito alla crescente spersonalizzazione della medicina, alla dipendenza sempre più marcata da tecnologie sofisticate e al divario sempre più profondo tra medici e pazienti finì per provocare una 'crisi della cattiva pratica medica' e un'ondata di processi intentati ai medici e alle istituzioni mediche. La legislazione americana provvide a limitare abusi come quelli della psicochirurgia ‒ in particolare la lobotomia ‒ e l'impiego improprio dei soggetti sia umani sia animali nella sperimentazione. La natura della ricerca biomedica stava intanto cambiando. Negli anni Settanta Archie Cochrane, un medico britannico, avanzò l'idea che i servizi sanitari andassero valutati in base a prove scientifiche. L'esigenza di un nuovo tipo di medicina ‒ quella che sarebbe stata in seguito definita evidence-based medicine ‒ stimolò un ricorso crescente a sperimentazioni cliniche randomizzate condotte su campioni numerosi di pazienti e finalizzate a determinare l'efficacia e il rapporto costi benefici dei vari tipi di intervento medico.
Negli anni Sessanta la necessità di un ripensamento della ricerca clinica si manifestò anche all'interno della professione medica; preoccupato dei rischi corsi dai soggetti sperimentali, l'anestesista Henry K. Beecher rese note le 'sviste' etiche della ricerca clinica americana, descrivendo 22 casi di sperimentazione eticamente discutibile nel suo articolo del 1966 Ethics and clinical research. Diversamente da Pappworth, Beecher non fornì i nominativi degli sperimentatori che aveva identificato come moralmente sospetti, ma l'infamia di alcuni dei suoi esempi è rimasta negli annali della sperimentazione sull'uomo.
Tra questi, gli studi condotti da Saul Krugman, un medico della New York University, e dai suoi colleghi, inoculando deliberatamente il virus dell'epatite nei bambini della scuola statale per handicappati di Willowbrook, e le ricerche condotte da Chester Southam iniettando cellule tumorali nei pazienti anziani del Jewish Chronic Disease Hospital.
Ad accrescere ulteriormente l'allarme relativo agli abusi compiuti sui soggetti sperimentali, nel 1972 fu reso pubblico il Tuskegee syphilis study, una ricerca svolta dal servizio sanitario pubblico degli Stati Uniti concernente lo studio della sifilide non curata. Tra il 1932 e il 1972, anno in cui fu posto termine all'esperimento, erano stati esaminati più di 400 uomini afroamericani, allo scopo di monitorare l'evoluzione delle manifestazioni cliniche della malattia con l'invecchiamento e, dopo la loro morte, effettuare l'autopsia dei cadaveri. Nelle udienze di fronte al Congresso degli Stati Uniti, i legislatori scoprirono che i medici avevano attivamente ingannato i partecipanti, molti dei quali erano poveri e analfabeti, facendo loro credere di ricevere il trattamento che avrebbe curato il loro 'sangue cattivo'. Come osservato dallo storico James H. Jones (1993), l'indignazione provocata dal coinvolgimento in prima persona del governo nel Tuskegee syphilis study indusse il Congresso a sottoscrivere nel 1974 il National research act, che ingiunse agli istituti di ricerca intenzionati a beneficiare di finanziamenti federali di nominare commissioni istituzionali di controllo che esaminassero i progetti relativi a soggetti umani e, ai ricercatori, di procurarsi il consenso informato scritto dei partecipanti.
Nel giro di vent'anni ci si accorse però che l'impegno per la tutela delle donne e delle popolazioni minoritarie aveva fatto sì che questi gruppi risultassero 'sottorappresentati nella ricerca medica' e dunque non beneficiassero dei progressi conseguiti grazie alla sperimentazione clinica. Negli anni Ottanta gli attivisti per la salute delle donne e per la lotta all'AIDS attirarono l'attenzione sull'iniquità dei finanziamenti per la ricerca e sull'esclusione delle donne e delle minoranze dagli studi. Nel 1993 i National Institutes of Health risposero introducendo nuove norme che favorivano l'inclusione delle donne e delle minoranze negli studi clinici supportati da finanziamenti federali (con l'eccezione delle ricerche in cui la loro esclusione avesse una giustificazione). I ricercatori scoprirono che alcuni gruppi, e in particolare le popolazioni afroamericane, erano stati riluttanti a partecipare alle sperimentazioni cliniche a causa della pregressa storia di abusi.
A partire dal 1964 la Dichiarazione di Helsinki e le sue successive revisioni hanno fornito linee guida per l'etica della sperimentazione sull'uomo; i cambiamenti nell'organizzazione e nelle procedure di finanziamento della ricerca clinica e le collaborazioni internazionali hanno sollevato ulteriori problematiche. Nel 1993, il Council for International Organizations of Medical Sciences ha messo a punto nuove direttive etiche internazionali per la ricerca biomedica su soggetti umani, occupandosi delle procedure di ricerca seguite nei paesi in via di sviluppo. La tragedia mondiale dell'AIDS ha inasprito le controversie relative alle ricerche cliniche condotte dalle nazioni occidentali sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo: è probabile che queste problematiche assumano un'importanza crescente con il progredire della globalizzazione.