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La servitù di parcheggio
Nel luglio del 2017, a distanza di tre anni dall’ultima rilevante pronuncia sul tema, la Corte di cassazione è tornata a prendere posizione sulla veste giuridica attribuibile a quella peculiare facoltà d’uso della ricchezza immobiliare consistente nel parcheggiare l’automezzo su terreni di proprietà altrui. Il più recente arresto dei giudici di legittimità costituisce un importante revirement rispetto all’indirizzo interpretativo, consolidatosi a partire dall’inizio del nuovo secolo, tendente ad escludere in termini assoluti la possibilità di conferire valenza reale al diritto di parcheggio, attraverso il suo inquadramento nel regolamento della servitù prediale. La soluzione interpretativa da ultimo accolta merita apprezzamento, non solo per una maggiore aderenza al dato codicistico, ma anche per il maggior rispetto che essa pare conferire all’autonomia privata nel settore del diritto dei beni.
La giurisprudenza, pratica e teorica, è stata nel tempo, e a più riprese, chiamata a prendere posizione sulla veste giuridica attribuibile alla facoltà di parcheggiare autovetture sul fondo altrui, tanto nel caso in cui questo potere sia esercitato in via meramente fattuale, quanto allorché esso trovi fondamento in uno specifico accordo intercorso con il dominus. Controversa, in particolare, è risultata la possibilità di conferire valenza reale al diritto di parcheggio, attraverso il suo inquadramento entro le maglie di uno degli iura in re aliena riconosciuti nel nostro ordinamento, e segnatamente nel tipo della servitù prediale.
Il codice civile descrive la servitù come un «peso» imposto sopra un fondo a vantaggio di un altro fondo, per un’utilità che può consistere anche nella maggiore comodità o amenità dell’immobile, ovvero inerire alla destinazione industriale dello stesso (artt. 1027, 1028 c.c.).È sulla scorta di queste disposizioni, evidentemente incentrate sulla dimensione economica del fenomeno, che si afferma il fondamentale connotato della predialità, da intendersi nel senso che i poteri esercitati sul fondo servente devono riverberarsi a oggettivo beneficio del fondo dominante, e non già alla soddisfazione di un interesse meramente personale del suo titolare1. A differenza degli altri diritti reali, puntualmente definiti negli elementi tipici dalle norme del codice civile, il modello legale della servitù risulta pertanto contenutisticamente flessibile, in grado di veicolare un’ampia gamma di facoltà di godimento dei beni immobili2. Tali possibili conformazioni del diritto devono comunque esplicarsi entro i limiti dell’utilitas fundi: i consociati possono quindi modellare il contenuto dei poteri conferiti al titolare secondo le mutevoli esigenze emergenti nel contesto dei rapporti sociali ed economici, ma il loro agire negoziale risulta pur sempre vincolato al necessario rispetto del rapporto di servizio fondiario, che, funzionalmente, assume un ruolo di “filtro” tra situazioni reali e mere situazioni personali di godimento. Rimangono infatti estranei al tipo legale quei diritti sui beni costituiti ad esclusivo vantaggio di particolari soggetti (persone fisiche o giuridiche), senza alcun oggettivo collegameno tra le res. Si parla, in questi casi, di servitù personali, o irregolari3: la disciplina ad esse applicabile è quella che regola il rapporto obbligatorio tra concedente e beneficiario4.
È in questo quadro di principi che si colloca la questione concernente la qualificazione giuridica della facoltà di far sostare autovetture su terreni altrui.
In passato, la Suprema Corte, senza dar conto di particolari ragioni ostative, si è mostrata incline a riconoscere nella facoltà di parcheggio il presupposto dell’utilitas fundi: esplicitamente – allorché di tale diritto è stata dichiarata l’acquisibilità per usucapione5 – ovvero implicitamente – come nel caso in cui il rigetto di una domanda intesa a far accertare l’avvenuto acquisto è dipeso non già dall’assoluta assenza di realitas, quanto piuttosto da un suo esercizio ritenuto, in concreto, privo dei connotati dell’apparenza6. Tale orientamento è stato sovvertito nel 2004, anno nel quale la Cassazione – inaugurando un indirizzo ermeneutico stabilmente confermato nelle successive pronunce in tema7 – ha per la prima volta escluso la configurabilità di una servitù prediale in base al principio di diritto per cui «la mera commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi dell’utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari»8. Nel luglio del 2017 la Corte di cassazione è tornata a prendere posizione sulla questione: come meglio si dirà, sovvertendo l’indirizzo di chiusura consolidatosi nel corso degli ultimi dieci anni, la più recente sentenza apre alla possibilità che la destinazione di un fondo ad area di sosta per automezzi rientri nel novero degli usi della ricchezza immobiliare sussumibili entro le maglie del diritto reale di servitù9.
I diversi approcci interpretativi tratteggiati nel precedente paragrafo sottendendono evidenti implicazioni pratiche. Dalla possibile configurazione di una servitù prediale di parcheggio derivano infatti rilevantissime conseguenze in punto qualificazione giuridica delle prerogative del titolare delle facoltà di sosta su terreni altrui. Invero, solo le servitù prediali – e non quelle meramente personali – sono capaci, quali diritti reali:
i) di circolare con il bene su cui insistono, risultando opponibili nei confronti di successivi titolari dello stesso;
ii) di essere oggetto di tutela confessoria e possessoria;
iii) nonché, quando il loro esercizio è «apparente» – e cioè caratterizzato da «opere visibili e permapermanenti» (art. 1031 c.c.) – di essere acquisite attraverso l’istituto dell’usucapione10.
Si possono dunque agevolmente comprendere gli stringenti vincoli operativi imposti dalla soluzione giurisprudenziale accreditatasi in Italia a partire dagli anni Duemila11, secondo la quale la disponibilità di spazi di sosta su aree di proprietà altrui dovrebbe essere sempre e comunque considerata come un mero vantaggio personale di cui beneficiano specifici individui, legittimati all’accesso con proprio veicolo sul fondo del titolare concedente12. Si è andata su queste basi consolidando la regola per cui il diritto al parcheggio difetterebbe, in termini assoluti, di qualsiasi possibile rilievo petitorio e possessorio13; si è altresì escluso che tale forma d’uso dei terreni, a prescindere dalle modalità (apparenti o meno) di esercizio, possa essere acquista per usucapione14, ovvero tutelata attraverso l’azione di reintegrazione15, essendo entrambi questi istituti inscindibilmente connessi all’esercizio di un potere corrispondente a uno dei tipi di diritti reali riconosciuti dal sistema16.
L’orientamento giurisprudenziale accreditatosi negli ultimi anni non ha mancato di sollevare penetranti rilievi critici, che interessano, in primo luogo, l’interpretazione dell’elemento codicistico dell’utilitas fundi. Ad apparire meritevole di ripensamento è stata proprio l’assolutezza con cui la giurisprudenza era arrivata ad escludere che la commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo non potesse in alcun modo integrare gli estremi della realitas, come utilità inerente al fondo stesso17. Ed invero – sia che la predialità venga intesa come elemento capace di incrementare il valore di mercato del fondo dominante, sia che, come appare maggiormente accreditato, l’attenzione debba rivolgersi alla «migliore utilizzazione» della res (e quindi al suo valore d’uso)18 – non pare legittimo escludere che tale condizione possa in concreto ricorrere allorché un immobile, specie se a destinazione abitativa, benefici di uno spazio adibito a sosta di autovetture19. Quanto affermato risulta chiaro se si accetta l’idea del rapporto non necessariamente alternativo tra l’utilità richiesta dall’art. 1027 c.c.per il fondo dominante e il beneficio personale del suo proprietario20. Se è infatti vero che per l’interprete è spesso assai arduo isolare un’utilitas che ricada puramente e semplicemente a vantaggio della res, e non dei titolari di un particolare diritto di godimento sulla stessa, merita osservare che ciò che la legge prescrive è che il peso rappresentato dalla servitù si riverberi anche (e non esclusivamente) a favore del fondo dominante. Ebbene, nel caso della facoltà di parcheggio sussistono indici normativi di indiscutibile pregio a sostegno della sua realitas, come oggettiva inerenza (anche) al bene. Confermano questa considerazione, a livello sistematico, le disposizioni della legislazione urbanistica dalle quali emerge nitidamente il vincolo “reale” che sovente viene ad instaurarsi tra l’immobile ad uso abitativo e le aree destinate alla sosta di autoveicoli. Si pensi, in tal senso, alle prescrizioni edilizie che impongono quote minime di metrature necessariamene riservate a parcheggio come condizioni per l’edificazione di nuove abitazioni (v. art. 41 sexies l. 17.8.1942, n. 1150); ovvero alla disciplina del vincolo pertinenziale con le unità immobiliari, che oggi – pure a fronte di interventi di riforma tendenti ad promuovere la contrattazione immobiliare – consente sì la cessione separata del posto auto rispetto alla proprietà dell’immobile, ma solo a condizione che il parcheggio trasferito sia contestualmente destinato a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune (v. art. 9, co. 5, l. 24.3.1989, n. 122, per come modificato dal d.l. 9.2.2012, n. 5)21. Elementi, questi, che indubbiamente inquadrano la disponibilità di un parcheggio come oggettivo vantaggio di un immobile, secondo un apprezzamento che non dovrebbe mutare allorché tale utilità consegua alla costituzione, a favore dello stesso, di un diritto di servitù.
In questo quadro, deve guardarsi con favore alla pronuncia con la quale la Cassazione, nel 2017, è tornata sul tema, ritenendo «non condivisibile, nella sua assolutezza, l’affermazione che nega la configurabilità della servitù di parcheggio». Questo passaggio argomentativo segna un’evidente inversione di tendenza rispetto ai precedenti, consolidati, orientamenti interpretativi: ciò risulta chiaro pure a fronte del tentativo, che pare esser stato operato dalla Corte, di limitare la portata innovativa del principio di diritto da ultimo affermato. Nella parte motiva del provvedimento si sottolinea infatti come la numerosa serie di precedenti contrari alla configurabilità della servitù di parcheggio possano aver trovato fondamento nelle peculiarità dei casi concreti, che avrebbero orientato, di volta in volta, le conclusioni raggiunte dai singoli collegi giudicanti22. L’analisi di quelle sentenze mostra tuttavia come, a prescindere dal tenore letterale degli accordi oggetto di giudizio, le loro conclusioni fossero radicate proprio su un’aprioristica esclusione della predialità come elemento caratterizzante la facoltà di parcheggio, ritenuta già in astratto inidonea ad integrare un regolamento di servitù. Ciò è particolarmente evidente se si pone mente all’ultimo approdo dell’itinerario giurisprudenziale di chiusura, costituito dalla pronuncia con cui, nel 2014, la Corte di cassazione è arrivata a dichiarare la nullità «per impossibilità dell’oggetto» della clausola contrattuale istitutiva di una «servitù di parcheggio»23: arresto che evidentemente revoca in dubbio la stessa validità – e non la mera realità – di una qualsiasi situazione di godimento dei beni qualificata dalle parti in tal modo24. Non così nella sentenza del 2017, che muove dal riconoscimento di come, sul piano dei principi generali, lo schema divisato dagli artt. 1027, 1028 c.c. lascia ampio margine all’autonomia privata di stabilire il contenuto del «vantaggio» per il fondo dominante, cui corrisponda il «peso» a carico del fondo servente25. Ne consegue che la tipicità delle servitù volontarie non assume, a differenza degli altri diritti reali, carattere contenutistico, ma esclusivamente strutturale, cosìcché ne risulta ammissibile una conformazione potenzialmente estesa ad ogni forma di utilità estraibile dalla res26. In questa prospettiva, il carattere della realità non può essere aprioristicamente escluso per il parcheggio quando tale facoltà sia intesa dalle parti come vantaggio del fondo dominante, funzionale alla sua migliore utilizzazione: è ad esempio il caso – sottolinea la Corte – dell’immobile a destinazione abitativa, il cui utilizzo è innegabilmente incrementato qualitativamente dalla facoltà assicurata a chiunque ne abbia il godimento di parcheggiare l’auto nelle vicinanze dell’abitazione.
Il più recente arresto della Cassazione si pone in linea con la posizione di chi ha in passato auspicato un mutamento d’indirizzo rispetto all’orientamento consolidatosi dall’inizio del secolo sul tema della servitù di parcheggio, in modo da poter conferire maggiore spazio alla conformazione secondo autonomia delle situazioni di godimento della ricchezza immobiliare, rifiutando una rigida interpretazione dell’elemento dell’utilità prediale27. In prospettiva futura, clausole negoziali istitutive di una “servitù di parcheggio” (specie allorché prive di specifici richiami alla predialità) potrebbero porre problemi interpretativi, imponendo di risolvere il dubbio se le parti abbiano inteso conformare la proprietà con un peso di carattere reale, ovvero istituire un vincolo rilevante esclusivamente nel rapporto contrattuale (cd. servitù personale)28.
Consapevole di ciò, la Cassazione ha puntualmente enucleato una serie di elementi rilevanti nella qualificazione di uno ius in re aliena, la cui concreta interpretazione costituirà la base dei futuri sviluppi del tema: l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza (non necessità dell’altrui collaborazione, ai sensi dell’art. 1064 c.c.), l’inerenza al fondo servente e al fondo dominante (nel senso che l’utilizzo del parcheggio deve essere, nel contempo, godimento della proprietà del fondo dominante, secondo la sua destinazione), la specificità dell’utilità riservata, l’esatta individuazione del luogo di esercizio della servitù.
1 Senza pretesa d’esaustività, v. Barassi, L., I diritti reali limitati, in particolare l’usufrutto e le servitù, Milano, 1937, 129 ss.; e sotto la vigenza del codice civile del 1942, Branca, G., Servitù prediali (Art. 1027-1099), in Comm. c.c. Scialoja-Branca, VI ed., Bologna-Roma, 1987, 18.
2 Per un’efficace immagine, Barbero, D., Tipicità, predialità e indivisibilità nel problema dell’identificazione delle servitù, in Foro pad., 1957, I, 1043, ove la servitù è vista come uno «stampo» nel quale «si può collocare a scelta degli interessati un contenuto molto vario».
3 Per tutti, Santoro-Passarelli, G., I diritti di uso limitato, in Riv. it. sc. giur., 1927, 101 ss.; Nicolò, R., Servitù personali, in N. D. I., XII, Torino, 1940, 184 ss.
4 Cfr. Luminoso, A., Diritti personali di godimento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Comporti, M., Le servitù prediali, in Tratt. Rescigno, VIII, II ed., Torino, 2002, 193.
5 Cass., 26.6.2001, n. 8737.
6 Cass., 23.3.1995, n. 3370, la quale ha escluso che un’apertura munita di cancello nel muro di recinzione di un fondo fosse opera visibile e permanente destinata all’esercizio della facoltà di parcheggio.
7 Ripetute stabilmente sino a Cass., 6.11.2014, n. 23708.
8 Cass., 28.4.2004, n. 8137.
9 Cass., 6.7.2017, n. 16698.
10 In generale, sul valore della distinzione tra diritti reali e personali di godimento, v. ex multis Guarneri, A., Diritti reali e diritti di credito, in Tratt. Gambaro-Morello, I, Milano, 2008, 53 ss.
11 Comparativisticamente, appare significativo il riscontro di come sia costante, in Europa, il riconoscimento della realità della servitù di parcheggio: per gli essenziali riferimenti, v. Bona, C., Per la servitù di parcheggio, in Foro it., 2015, I, 501.
12 Cass., 28.4.2004, n. 8137.
13 Tra le ultime, v. Cass., 7.3.2013, n. 5769.
14 Cfr. Cass., 22.9.2009, n. 20409.
15 Cass., 13.9.2012, n. 15334; Cass., 21.1.2009, n. 1551.
16 Per tutti, Bianca, C.M., Diritto civile, VI, La proprietà, II ed., Milano, 2017, 85 ss.
17 Per questi rilievi, v. tra gli altri, Musolino, G., Il parcheggio fra servitù prediale, servitù irregolare e servitù personale (diritto di uso), in Riv. not., 2012, II, 1137; Bona, C., op. cit., 501.
18 Tra gli altri, Triola, R., Servitù prediali,in Della proprietà, II, a cura di A. Jannarelli e F. Macario, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2011, 753 s.; Bigliazzi Geri, L.Breccia, U.Busnelli, F.D.Natoli, U., Diritto civile, II, Diritti reali, Torino, 1999 (rist.), 243.
19 Per questi rilievi, v. tra gli altri, Esposito, F., Considerazioni sull’ammissibilità della servitù di parcheggio, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 286.
20 Sul rapporto tra l’oggettiva utilità apportata dalla servitù al fondo dominante, e il vantaggio parallelamente arrecato al proprietario dello stesso, v. già i rilievi di Bensa, P.E., Delle servitù prediali, Siena, 1899, 35 s.; e poi Branca, G., op. cit., 21.
21 L’originaria formulazione dell’art. 9, co. 5, l. n. 122/1989 prevedeva la radicale nullità degli atti di cessione dei posti auto in spregio al vincolo pertinenziale istituito ex lege.
22 Cass., 6.7.2017, n. 16698: «È perfino ovvio osservare che ciascuno dei precedenti numerosi ed autorevoli ha riguardato un caso concreto, con le sue peculiarità».
23 Cass., 6.11.2014, n. 23708.
24 V. sul punto Mezzanotte, F., La servitù di parcheggio, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 25 ss.
25 In dottrina, cfr. Palermo, G., Nemini res sua servit (servitù e vincoli atipici), in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, 335 ss.
26 Diffusamente, Vitucci, P., Utilità e interesse nelle servitù prediali. La costituzione convenzionale di servitù, Milano, 1974.
27 Per il dibattito sul tema, sia consentito rinviare a Mezzanotte, F., Sull’impossibilità della servitù di parcheggio (e sui limiti dell’autonomia privata nel diritto dei beni), in Foro it., 2015, I, 1297 ss.
28 V. Musolino, G., Le servitù irregolari (l’autonomia negoziale e la questione della tipicità dei diritti reali), in Riv. not., 2010, I, 1518 ss.