La sfida del vino biologico
Scriveva lo storico greco Senofonte (Economico, 5 12): «La Terra insegna di buon grado la rettitudine a coloro che siano in grado d’impararla, poiché più è rispettata, più ricambia». È un principio, una specie di saggio convincimento, che esprime bene l’atteggiamento degli antichi pensatori verso la Terra. Una sorta di autodisciplina, di visione etica basata sul concetto di ‘primitiva reciprocità’ dove, infatti, la Terra premia la buona gestione e punisce lo spreco.
È, questa, l’idea dell’agricoltura vissuta come cura della Terra, della Madre Terra, ed è, in fondo, molto più pragmaticamente, il pensiero che sta oggi alla base dei presupposti della ‘moderna’ agroecologia e della viticoltura biologica.
‘Viticoltura’ e non ‘enologia biologica’, in quanto, secondo la vigente e discussa normativa italiana, la dicitura ‘vino biologico’ non deve esistere e, per essere precisi, si deve parlare e indicare specificamente in etichetta ‘vino prodotto con uve da agricoltura biologica’. ‘Vino biologico’ è, per questo motivo, un’espressione parzialmente impropria, specialmente se pensiamo alla maggiore completezza delle norme vigenti negli Stati Uniti, dove si utilizzano alcune esplicative diciture: ‘100 percent organic’, ‘organic wine’, ‘made with organic ingredients’ e ‘some organic ingredients’.
Una dettagliata specificazione, per distinguere i vini ottenuti da una ‘semplice’ scelta biologica di tipo agricolo sulle uve da quelli che sottendono una scelta ‘globale’, che va dalla vigna alla vinificazione ‘pulita’, cioè priva di additivi di sintesi anche in cantina.
La legislazione europea, diversamente, malgrado i recenti tentativi, naufragati, di risolvere la questione a tutela di un globale e completo ‘vino biologico’ (‘100 percent organic wine’), si limita infatti a normare le fasi di lavorazione che si svolgono sui terreni e nei vigneti. Tutto questo malgrado in Italia esistano associazioni ed enti che hanno creato dei seri disciplinari produttivi che, pur non avendo valore legale, comportano per le cantine che li sottoscrivono regole e passaggi precisi per arrivare a produrre vini biologici certificati anche nelle fasi di lavorazione che avvengono in cantina (vinificazione).
Un settore qualificato, quindi, ma con una cornice normativa che si ferma in vigna, malgrado l’ascesa mondiale del fenomeno ‘bio’, sia in Europa, dove gli ettari di vigneti riservati alla produzione biologica sono circa 93.000, con una crescita stimata negli ultimi anni del 23%, sia in Italia, dove ci sono voluti più di vent’anni perché si uscisse da un mercato di nicchia, acquistando un peso nel mondo enologico, come dimostrano i dati relativi al 2009, secondo i quali sono ormai 40.000 gli ettari di vigneti coltivati biologicamente, con una superficie totale aumentata del 10,3% rispetto al 2007.
È un segnale che coglie un’attenzione nuova nell’ambito dei consumi del vino, così come nel campo del cibo, ma anche, per certi aspetti, della moda ‘bio’ o dell’eco-design.
Il consumatore sta mandando indicazioni precise, è divenuto più esigente, più maturo, si sta trasformando in protagonista, in ‘consum-attore’, in alcuni casi in ‘consum-autore’, o, quanto meno, in coproduttore. E il vino biologico del futuro dovrà essere in prima fila nell’intercettare queste tendenze, sapendo che il ‘saper fare agronomico’ del biologico dovrà evolversi in scienza della complessità, in visione multidisciplinare e sostenibile dell’intera filiera produttiva.
C’è qualcosa, oggi, di più complesso da scoprire, di più affascinante del ‘semplice’ concetto di vino biologico che sta dentro una bottiglia.
Qualcosa che si trova fuori dal bicchiere e che, oltre al gusto, oltre al lavoro in campagna, oltre alle pratiche di cantina, è in grado di riportarci con soddisfazione e con gioia alla genealogia del vino, alla sua provenienza, al suo rapporto stretto con la terra, il sottosuolo, il clima, l’acqua, le risorse genetiche locali.
È qualcosa che dovremo scoprire in un vino biologico in grado di competere a tutti i livelli, di essere il frutto non solo di un’agricoltura pulita, ma di una visione sostenibile in ogni suo elemento e in ogni fase della produzione.
Le stesse cantine in cui si produce del vino ‘organic’ dovranno diventare ‘bio’, ecocompatibili, realizzate con materiali naturali e locali, progettate con gestione delle temperature interne e movimentazioni di masse di tipo ecologico, con riciclo completo delle risorse, utilizzo di bottiglie ‘leggere’, risparmio sull’uso di acqua e di energia.
Il tutto per fare un vino che non sia soltanto vero, ma diverso, originale, per certi aspetti ‘imperfetto’, e, proprio per questo, ricco di pathos.
Buono da bere, ma soprattutto buono da pensare.