di Giorgio Bavestrello
Secondo lo sviluppo socioeconomico di una determinata area, inquinamento e prelievo di risorse hanno un impatto rilevante sulla biodiversità marina, agendo direttamente sulla dinamica delle popolazioni e sulla struttura delle comunità. A queste problematiche si è recentemente aggiunto il riscaldamento globale, i cui effetti sono ancora tutti da valutare.
Oggi l’uomo preleva dal mare circa ottanta milioni di tonnellate di pesci, crostacei e molluschi, di cui oltre il 70% è dovuto all’attività dei paesi asiatici: solo nel 2010 in Cina il consumo di pesce procapite è stato di 35 kg, mentre il resto del mondo ne ha consumati mediamente 15,5 kg. Inoltre una percentuale sempre più importante di risorse marine proviene dalla maricoltura ovvero dall’allevamento in mare di specie d’interesse economico. Da una parte questo consente una minore pressione sulla fauna selvatica, dall’altro ha determinato un cambiamento radicale delle caratteristiche ambientali di ampi tratti di costa, soprattutto nelle aree tropicali, dove i mangrovieti sono stati distrutti per lasciar spazio all’acquacultura estensiva.
La cattiva gestione delle risorse ha provocato, negli anni, una costante riduzione delle popolazioni interessate, con pesanti ricadute sul funzionamento delle catene trofiche. Un caso famoso è quello del merluzzo di Terranova, le cui popolazioni sono oggi al collasso in seguito a una gestione totalmente sbagliata, in particolare nella seconda metà del secolo scorso. Un altro caso particolarmente noto riguarda il tonno rosso. La richiesta crescente da parte del mercato giapponese ha determinato, negli anni Ottanta, un cambiamento radicale delle tecniche di pesca, con l’abbandono delle tonnare fisse e l’impiego di grandi reti a circuizione (le tonnare volanti). L’aumento dello sforzo di pesca ha però portato le popolazioni di questa specie a livelli preoccupanti che oggi, grazie all’introduzione di quote di pesca, sono in parziale recupero. Anche gli squali sono seriamente minacciati a causa dell’interesse commerciale delle loro pinne: oggi larga parte delle specie è tutelata da leggi internazionali, anche se la pesca di frodo è molto diffusa.
Oltre al danno alla biodiversità causato dalla distruzione degli stock delle specie target deve considerarsi l’impatto che alcune tecniche di pesca hanno su specie di scarso o nullo valore commerciale (il cosiddetto by-catch). Gli effetti più gravi, da questo punto di vista, sono provocati dalla pesca a strascico il cui by-catch, composto da molte specie di pesci e da numerosissimi invertebrati, può superare di molto la biomassa della specie target. Il problema della distruzione degli habitat è inoltre particolarmente importante per le comunità a coralli profondi, spesso insediate sulle sommità dei sea mounts oceanici.
A livello mondiale è purtroppo diffusa la pesca con mezzi illegali: gli esplosivi sono molto usati nell’area indo-pacifica, ma talvolta anche nel Mediterraneo. Questo tipo di pesca è particolarmente dannoso per gli edifici corallini che sono frantumati dalle esplosioni. Altrettanto devastante è, ovviamente, l’uso di sali di cianuro per catturare pesci d’interesse acquariologico.
Anche diverse specie d’invertebrati sono oggetto di pesca. Il corallo rosso, un’importante risorsa per le popolazioni mediterranee, è da circa un secolo pescato anche nelle acque circostanti il Giappone. Tradizionalmente la pesca avveniva tramite un attrezzo a strascico, l’ingegno, uno strumento particolarmente distruttivo. Oggi il suo uso è vietato in tutto il Mediterraneo mentre in alcune aree meridionali dell’arcipelago giapponese è ancora legalmente utilizzato.
Un altro tipo di strumento di pesca che ha un impatto notevole sulle comunità bentoniche è la draga idraulica per la pesca dei bivalvi nei fondi sabbiosi. Quest’attività, che continuamente sconvolge l’integrità dei fondali fino a diversi centimetri di profondità, ha cambiato sostanzialmente la composizione e la struttura delle comunità costiere dell’intero Adriatico nord-occidentale.
Le politiche di conservazione hanno comunque ottenuto anche alcuni successi. Sono nate, in tutto il mondo, aree marine protette che svolgono un ruolo fondamentale nella tutela della biodiversità e inoltre molte specie sono ormai tutelate, in particolare i cetacei, la cui caccia è vietata dal 1986. Ciò nonostante alcune nazioni, in particolare Giappone, Islanda e Norvegia, continuano la caccia uccidendo circa 500 esemplari ogni anno.
In un mondo dove più di 800 milioni d’individui continuano a soffrire di malnutrizione cronica e dove si prevede che la popolazione sfiorerà 10 miliardi di persone entro il 2050, la principale sfida è quella del fabbisogno nutritivo, salvaguardando nel contempo le risorse naturali per le generazioni future. Da questo punto di vista gli alimenti di origine marina forniscono un apporto proteico fondamentale: 150 g di pesce forniscono circa il 50-60% del fabbisogno proteico giornaliero di un adulto. Oggi il consumo mondiale di pesce pro capite sfiora i 20 kg e rappresenta il 17% delle proteine animali consumate e il 6,5% delle proteine totali. La sfida del prossimo futuro è continuare a prelevare risorse marine conservando gli ambienti e tutelando la loro ricchezza specifica. Difficile, ma non impossibile.