La sfida di Hollande
La meteora Sarkozy ha attraversato rapidamente il cielo francese. La sua ‘rivoluzione conservatrice’ ha dovuto fare i conti con la diffidenza dei francesi e con la difficile situazione economica europea. E ora tocca all’‘uomo nuovo’ socialista dimostrare di essere all’altezza.
Nell’ultimo decennio, la Francia ha vissuto tre momenti che hanno messo in discussione molti capisaldi dell’identità nazionale e aperto una profonda riflessione collettiva sui valori comuni di riferimento, sul ruolo dello Stato come erogatore di servizi e protezione sociale, sul peso politico del paese in Europa e nel mondo globalizzato. Tre momenti che hanno drammaticamente esaltato il dilemma fra cambiamento e conservazione e reso più complicata l’immagine della Francia: un paese orgoglioso, tenuto insieme da uno Stato forte, ma percorso da fremiti di rivolta, malumori, nostalgia del passato che spesso tramutano l’orgoglio in supponenza e impotenza; un paese ricco e importante, ma ormai impoverito e privo di un rilevante peso politico; un paese angosciato, che esalta i valori universali di cui si sente portatore e al tempo stesso li denigra con le barriere economiche e sociali dell’esclusione.
Il primo momento è legato alle elezioni del 2002, quando irrompe sulla scena il leader del Front National, Jean-Marie Le Pen, che elimina dalla corsa alla presidenza il primo ministro socialista Lionel Jospin e obbliga classe dirigente, media, cultura e partiti a misurarsi con le questioni dell’immigrazione legale e illegale, della sicurezza e delle periferie, territori urbani in cui il grande principio dell’égalité viene quotidianamente tradito.
Le elezioni furono vinte da Jacques Chirac, il quale non riuscì a imprimere al suo secondo mandato quella linea di riforme economiche e sociali che la situazione del paese avrebbe richiesto.
Preferì al contrario un immobilismo consensuale, si risolse a compiere passi indietro per evitare scontri sociali e decise un referendum sul trattato costituzionale europeo che, oltre a lacerare società e partiti, congelò ogni aspettativa di maggiore integrazione continentale, con conseguenze che si sarebbero avvertite negli anni successivi con la crisi del debito. Il secondo momento è coinciso con l’ascesa folgorante, rapida come lo sarebbe stata la caduta, di Nicolas Sarkozy, il quale riuscì a conquistare nel 2007 l’Eliseo con un discorso di profonda rottura nei confronti della tradizione politica della destra gollista.
Il nuovo leader proponeva di promuovere in Francia, collocandosi a destra, la rivoluzione attuata in Gran Bretagna dal laburista Tony Blair. Una rivoluzione che aggrediva luoghi comuni del ‘pensiero unico’, come amava ripetere, e avrebbe dovuto trasformare in modo radicale società, economia e modello statuale del paese. Ritenuto dai critici troppo liberista e troppo ‘americano’, Sarkozy nutriva l’ambizione di alleviare paure e fobie della maggioranza dei suoi connazionali: paura del declino, della perdita di prestigio e della competitività internazionale, dei processi di riforme e modernizzazione che avrebbero inevitabilmente toccato diritti acquisiti e sfilacciato la calda coperta dello Stato protettore.
Sono di questi anni la riforma delle pensioni, dell’università, della burocrazia e – parzialmente – della giustizia e del costo del lavoro.
Nello stesso tempo, Sarkozy aveva affrontato con energia questioni scottanti dell’ordine pubblico e dell’immigrazione, ottenendo buoni risultati e notevole consenso.
Da un lato, il presidente usava i muscoli e non aveva timore nel mostrare anche il volto repressivo dello Stato, dall’altro rilanciava ideali d’integrazione sociale e apertura verso molteplici realtà etniche e religiose: per la prima volta, personalità di origini diverse ottennero posti di responsabilità nel governo. Il progetto di modernizzazione della Francia si è interrotto nel maggio del 2012 e non soltanto perché Sarkozy ha perso le elezioni contro il candidato socialista, François Hollande, che ha riportato la sinistra al potere 31 anni dopo François Mitterrand. La crisi finanziaria internazionale ha infatti costretto l’esecutivo a rallentare o a lasciare a metà molte delle riforme intraprese.
Il debito pubblico è esploso.
La bilancia commerciale è fortemente negativa.
La ‘cura dimagrante’ del modello sociale è stata frenata da forti resistenze corporative. Errori di comunicazione e atteggiamenti troppo disinvolti, soprattutto all’inizio del mandato, hanno ingenerato nel paese una crisi di rigetto nei confronti del presidente e dei suoi metodi. Sarkozy, inviso anche a una parte del partito gollista, ha finito per gettare la spugna, vittima di quella ‘rivoluzione conservatrice’ che ricorre in varie fasi della storia francese e che ha contraddistinto anche la breve stagione di cui è stato protagonista. Il terzo momento è appena cominciato. La vittoria dei socialisti apre una fase politica e storica nuova, densa di speranze e incertezze, come è tipico delle nazioni in bilico e dei periodi di crisi. Anche Hollande ritiene necessari il risanamento della finanza pubblica e il processo di riforme strutturali avviato da Sarkozy, ma conta di farlo in modo più morbido, con meno tagli e maggiori entrate fiscali, in ogni caso senza stravolgere il sistema sociale tanto caro ai francesi.
Anche Hollande, da convinto europeista, tiene vivo e fruttuoso il dialogo con la Germania, indispensabile punto di partenza di qualsiasi politica europea, ma si propone di attenuare quei criteri di rigore finanziario e di riduzione della spesa pubblica che appena messi in pratica hanno travolto governi in carica, non hanno generato fattori di ripresa e hanno creato pericolosi movimenti di rigetto dell’idea stessa di Europa. Quei movimenti che proprio in Francia trovano affermazioni puntuali e ricorrenti quanto più la crisi si aggrava. È stato così anche all’appuntamento elettorale in cui Hollande ha trionfato. Per queste ragioni il terzo momento della Francia si sovrappone al momento di un’Europa che non avanza sulla strada dell’unione politica e che può venire stravolta dalla crisi del debito. La ‘rivoluzione conservatrice’ attende anche Hollande.
In Europa, la Francia di oggi può essere un problema in più o parte della soluzione.
Il tweetgate di Francia
Il 12 giugno, la giornalista Valérie Trierweiler, attuale compagna del neopresidente francese François Hollande e première dame all’Eliseo, compie una clamorosa gaffe via Twitter per ostacolare politicamente Ségolène Royal, precedente compagna di Hollande e madre dei suoi quattro figli.
La Trierweiler, che nutre una profonda gelosia nei confronti della ex di Hollande, pubblica sul proprio account un messaggio di incoraggiamento a Olivier Falorni, dissidente socialista e avversario politico della Royal: «Courage à Olivier Falorni qui n’a pas démérité, qui se bat aux côtés des rochelais depuis tant d’années dans un engagement désintéressé» («Buona fortuna a Olivier Falorni che se la merita, che si batte al fianco degli abitanti di La Rochelle da così tanti anni con un impegno disinteressato»). La dichiarazione risulta inopportuna e imbarazzante per vari motivi: innanzitutto perché giunge alla vigilia del ballottaggio di La Rochelle, in cui la candidata socialista Royal e il dissidente del partito Falorni si contendevano il seggio parlamentare (poi vinto dal secondo); ma anche perché, così facendo, Valérie si pone apertamente in contrasto con il pensiero politico del fidanzato-presidente, dopo che la Royal aveva dichiarato pubblicamente che la sua candidatura godeva dell’appoggio di Hollande, coerentemente all’orientamento del partito. Il biografo di Hollande, Serge Raffy, ha subito definito il gesto di Valérie come «il peccato originale del quinquennio presidenziale».