La Sicilia normanna: Cefalu, Palermo, Monreale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’incoronazione di Ruggero II nel 1130 si configura come l’atto costitutivo della nuova dinastia normanna in Sicilia. Prende avvio una politica culturale caratterizzata da un’intensa attività costruttiva, di commissione sia pubblica che privata. La cattedrale di Cefalù è uno dei primi edifici messi in opera dal sovrano e, contemporaneamente, a Palermo si attende alla realizzazione della Cappella Palatina, inglobata nel Palazzo Reale. Tra le iniziative private di maggior respiro sono la chiesa detta la Martorana, edificata sotto il patronato dell’ammiraglio Giorgio di Antiochia, e la chiesa di San Cataldo, voluta dall’ammiraglio Maione di Bari. Alla fine del XII sec. si aprono due nuovi cantieri: la cattedrale di Palermo, voluta dal vescovo Gualtiero Offamilio, e il complesso episcopale di Monreale, grande impresa di Guglielmo II. Anche l’architettura civile riceve un notevole impulso dai sovrani normanni, prevalentemente per la realizzazione di residenze estive e luoghi di sollazzo come la Favara e la Zisa.
La conquista di Bari, sede del catepanato bizantino d’Italia, sancisce nel 1071 la definitiva ascesa dei Normanni nel Meridione d’Italia chiudendo definitivamente – almeno sul piano politico – la parabola egemonica dell’impero d’Oriente sul suolo italico. Entro gli anni Ottanta dell’XI secolo viene inoltre portata a termine la conquista della Sicilia, e l’incoronazione di Ruggero II nel 1130 riunisce, de facto, sotto la sua persona, l’intero Sud peninsulare.
L’evento si configura come l’atto costitutivo della nuova dinastia normanna in Sicilia e rappresenta, al contempo, l’avvio di una politica culturale propriamente dinastica.
Rientra appieno in questa nuova ottica l’edificazione della cattedrale di Cefalù, commissionata direttamente dal nuovo sovrano per farne il proprio mausoleo. Fondata nel giorno di Pentecoste del 1131 e dedicata al Salvatore e ai santi Pietro e Paolo, la chiesa fa parte di un piano ben più ampio di riassetto urbanistico ed ecclesiastico. L’istituzione della cattedrale implica l’elevazione di Cefalù al rango di diocesi e già nel 1132 viene dotata di terre e beni direttamente da Ruggero. A dispetto della grandezza, l’edificio è in gran parte concluso già in epoca ruggeriana, come testimoniano la dotazione, nel 1145, di due sarcofagi in porfido da collocarsi nel transetto, e la datazione 1148 trasmessa dalla decorazione musiva absidale. Esso si sviluppa secondo uno schema basilicale a croce latina, terminante con tre absidi orientate e suddiviso in tre navate, queste ultime separate da otto grandi colonne granitiche su basi di marmo, tutti elementi di spoglio. Nella fabbrica cefaludese si riscontrano chiaramente due importanti fasi costruttive, verosimilmente separate dalla morte di Ruggero II nel 1154, e riconoscibili in alcune incongruenze e disomogeneità, riscontrabili soprattutto in elevato. Il profondo presbiterio corrisponde comunque al progetto iniziale, mentre è andata purtroppo quasi completamente perduta la copertura lignea, della quale restano pochi frammenti, provenienti dalla navata, di travi dipinte di carattere islamico. L’esterno appare particolarmente austero e articolato allo stesso tempo.
La facciata – incompiuta – presenta due grandi torri che delimitano l’ampiezza del lato occidentale secondo una prassi comune all’architettura europea del XII sec., ma di assoluta novità nel panorama siciliano. Il paramento murario è scandito da una partitura di alte lesene in pietra di taglio e coronata da archetti su mensole, con sobria presenza di elementi figurati.
Di notevole interesse le sculture. Se i capitelli della chiesa sono in gran parte legati al linguaggio plastico della terra di Bari, i lapicidi che lavorano all’attiguo chiostro invece manifestano un più marcato classicismo.
I mosaici di Cefalù, opera di maestranze bizantine, decorano il solo coro (abside maggiore, vele della crociera e pareti sottostanti) e sono il risultato di un perfetto equilibrio tra la prassi decorativa bizantina e gli intenti autocelebrativi che sottendono all’intero programma ruggeriano. Esso si sviluppa su un duplice livello di lettura: sia in verticale, nella studiata corrispondenza delle singole figure che si dispiegano su una partitura a registri sovrapposti; sia in senso orizzontale, laddove da un lato si riconosce la gerarchia delle immagini costituita a Bisanzio, dall’altro l’occhio del fedele è catturato dalla lunga iscrizione su campo argenteo, che corre alla base della grande finestra centrale e che trasmette, come detto, la data del 1148. Il programma si dispiega dal catino absidale dove trova posto il busto del Pantokrator, raffigurato con un Vangelo bilingue, in greco e latino. Sulle superfici del cilindro sono raffigurati su tre registri la Theotokos orante fra i quattro arcangeli e gli apostoli in gruppo di tre, ai lati della finestra centrale. Nella volta a crociera trovano posto invece angeli a mezza figura in adorazione, con cherubini e serafini. Le pareti del presbiterio, organizzate anch’esse in quattro registri, ospitano profeti dell’Antico Testamento, santi guerrieri e diaconi ed infine i vescovi (latini a nord e greci a sud). Stilisticamente i mosaici di Cefalù obbediscono a uno schematismo quasi irrigidito dall’uso della singola figura – classicamente maestosa, ma dai tratti fisionomici talvolta severi – come unità compositiva che si ripete con ritmo chiaro, studiato e arioso.
Perfettamente acclarata appare la datazione allo scorcio del secondo quarto del XII secolo, anche se il progetto decorativo non nasce contestualente alla fabbrica edilizia come testimonia, all’esterno, la tamponatura delle finestre circolari dell’abside maggiore; essa si decide forse dopo la sistemazione, nei due bracci del transetto, dei due sarcofagi porfirei dove Ruggero II intende conservare le proprie spoglie e la memoria delle sue imprese.
Contemporaneamente alla cattedrale cefaludese, in costruzione intorno al 1130, a Palermo si attende alla costruzione di una seconda fabbrica di committenza regia: la Cappella Palatina.
Inglobata all’interno del Palazzo Reale, la Palatina si presenta, sul piano icnografico, come la felice fusione di un’aula latina tripartita cui s’innesta, in corrispondenza della zona presbiteriale leggermente sopraelevata, un corpo a croce greca. Esso è coperto da una cupola emisferica su nicchie angolari e alto tamburo, mentre il coro termina con due absidi laterali poco profonde e la centrale, più ampia, preceduta da un bema. La sezione delle navate si organizza in quattro campate separate da brevi filari di colonne, sormontate da archi leggermente acuti e fortemente rialzati. Sul lato occidentale si erge maestoso il trono regio, opera di intarsi marmorei di tipo cosmatesco con cui s’armonizza il pavimento.
La Cappella non può dirsi completata tuttavia fino a quando non viene ultimato il grande tappeto musivo che copre l’intera superficie interna dell’edificio. L’iscrizione musiva in greco posta alla base della cupola del coro trasmette sia il nome di Ruggero II sia l’anno 1143. È verosimile supporre dunque che a quella data la decorazione dovesse essere interamente completata. Un unicum, soprattutto per l’ottimo stato di conservazione, è il soffitto ligneo a muqarnas, decorato con pitture di ispirazione profana ove si riconosce la forte presenza islamica della cultura artistica siciliana del XII secolo.
Connesso alla fase ruggeriana è il programma del presbiterio. Domina lo spazio sacro la figura del Cristo Pantocratore circondato da quattro arcangeli e altri angeli della cupola cui seguono una serie di profeti nel tamburo, apostoli ed evangelisti, martiri e infine vescovi, soprattutto latini. La maggiore novità del programma della Palatina risiede nella presenza del ciclo cristologico, modellato come a Bisanzio, ma con una studiata e quanto mai flessibile dislocazione delle scene. Anche la decorazione delle absidiole laterali rientra nella prima fase dei lavori, con i busti dei santi Pietro e Paolo, rispettivamente a nord e interamente di restauro, e a sud nella sua veste originaria, cui corrispondono, nelle navatelle, i cicli agiografici. La decorazione dell’invaso viene poi completata successivamente sotto Guglielmo I, con la disposizione del programma veterotestamentario lungo le pareti della navata centrale (Genesi, Creazione, fino alle Storie di Giacobbe) secondo una tradizione tutta occidentale delle grandi basiliche costantiniane romane (da San Pietro a San Paolo fuori le mura).
Nel quinto decennio del XII secolo l’intensa attività edilizia regia si intreccia con altre iniziative private. Tra quelle di maggior respiro, s’inserisce certamente la commissione della chiesa detta la Martorana, edificata sotto il patronato dell’ammiraglio Giorgio di Antiochia. La memoria della costruzione e della decorazione dell’edificio è affidata alla lunga iscrizione di dedicazione alla Vergine nel pannello con l’Antiocheno in proskynesis, posto immediatamente prima dell’accesso al naos cui fa da pendant il riquadro che mostra Ruggero II incoronato da Cristo. La chiesa dell’Ammiraglio si sviluppa secondo un puro schema a croce greca inscritta in un quadrato, triabsidato e preceduto da un ampio spazio antistante l’ingresso originario (quest’ultimo totalmente compromesso dalle ristrutturazioni di epoca barocca che hanno completamente distrutto anche l’abside maggiore). Il sistema di coperture si articola intorno alla cupola centrale con tamburo esterno, cui s’alternano ampie arcate in corrispondenza dei bracci della croce, e volte a botte negli ambienti restanti.
Tale articolazione spaziale rispecchia la predilezione personale del commitente, come accade, per esempio, nella chiesa di San Cataldo, contigua alla Martorana, voluta dall’ammiraglio Maione di Bari, un parallelepipedo movimentato da profonde arcate cieche che inquadrano le finestre, e coperto da tre cupolette emisferiche.
In linea di massima fedele al modello della Palatina è il progetto decorativo della chiesa dell’Ammiraglio, opera di artisti bizantini. Le similitudini sono particolarmente evidenti soprattutto dell’impaginazione dei mosaici del tamburo. Diversa appare invece l’organizzazione del ciclo cristologico, che nella Martorana è disposto con maggiore coerenza di lettura e ponendo fortemente l’accento sul ruolo della Vergine nell’Incarnazione, come pure nella scelta di collocare i busti dei genitori di Maria nelle absidiole laterali. Sul piano strettamente formale, sebbene i mosaici della Martorana siano contemporanei a quelli della Palatina, da essi se ne distanziano nella immediatezza delle singole scene, sciolte dai legami imposti da un sovraffollamento di figuranti, e maggiormente concentrati sulla singola figura.
Allo scadere del XII secolo si situano gli ultimi due cantieri della Sicilia normanna: l’edificazione della nuova cattedrale cittadina, voluta da Gualtiero Offamilio, vescovo inglese di Palermo dal 1169 al 1190, e il complesso episcopale di Monreale, la grande impresa di Guglielmo II. Se l’opera di Offamilio oggi si ricostruisce solo in via teorica, dopo le profonde trasformazioni settecentesche, Monreale conserva intatta la propria identità strutturale e decorativa. Il complesso è costituito dal palazzo reale, l’episcopio, la chiesa di Santa Maria Nuova e dal monastero benedettino (con il superbo chiostro). La realizzazione è tanto maestosa quanto rapida: tra il 1174 ed il 1186, anno in cui Bonanno Pisano firma la porta bronzea dell’edificio, la chiesa viene completata. L’impianto propone un’evoluzione del modello classico delle cattedrali normanne con il corpo tripartito delle navate più sviluppato e terminante con un ampio transetto, leggermente sporgente, e un santuario triabsidato, ma anch’esso tripartito e particolarmente profondo. Nel quadrato centrale del coro, delimitato da grandi arconi a sesto leggermente acuto, si riconosce il punto focale dell’intera fabbrica; le coperture, originariamente lignee, piane nelle navatelle e con travature in quella centrale, dipinte anch’esse come nella Palatina, sono andate in gran parte distrutte nel corso dell’Ottocento. La facciata odierna, sebbene sia opera settecentesca, ripercorre le movenze di quella medievale originale: un breve atrio a tre fornici, poco aggettante rispetto alla linea di facciata, rimane elegantemente incastonato tra le due massicce torri, sul modello della cattedrale di Cefalù. Di notevole interesse è, infine, il trattamento delle murature esterne, caratterizzate, soprattutto nella zona absidale, da un elegante intreccio di archi acuti rientranti con motivi geometrici, floreali e animali disegnati con tufo lavico nero su calcare chiaro.
Il programma decorativo, di cui si sono perdute le Storie della Vergine del portico originario, si presenta in massima parte integro. La campagna viene completata prima della morte del sovrano, come testimoniano chiaramente i due pannelli votivi collocati sui pilastri all’ingresso della campata centrale del santuario, raffiguranti l’uno Guglielmo II offerente il modello della chiesa alla Vergine e l’altro il sovrano incoronato da Cristo. Il grande catino absidale ospita un maestoso Pantokrator, mentre nel cilindro vi sono la Vergine in trono tra arcangeli e apostoli, e santi Padri, identificati da iscrizioni greche e latine. I santi Pietro e Paolo troneggiano rispettivamente nelle absidi meridionale e settentrionale, accompagnati da scene della loro vita. Nel coro e lungo le navate minori si sviluppa un esteso ciclo cristologico, in cui è posto particolare accento sugli episodi della vita pubblica di Cristo; la navata centrale ospita il ciclo veterotestamentario, di fatto organizzato come quello di Guglielmo I se non fosse per il più ampio respiro spaziale dato alle singole scene, quale risultato di una maggiore ampiezza delle superfici. Sebbene contigui alla fabbrica palermitana, talvolta anche sul piano iconografico, i mosaici di Monreale se ne discostano su quello stilistico: le maestranze bizantine, probabilmente coadiuvate anche da apporti siciliani, si mostrano estremamente à la page, padrone dei modi tardo-comneni e capaci di conciliare una consolidata tradizione iconografica a uno stile nuovo e innovativo, e, anche, a una scatola architettonica tutta occidentale.Delle strutture che in origine costituivano l’intero complesso, merita infine una particolare attenzione lo straordinario chiostro. Esso permette di seguire con analitica minuzia l’evolversi della plastica di epoca normanna, specchio della convivenza all’interno dello stesso cantiere di maestranze diverse – almeno due grandi botteghe, piuttosto composite – che si dilettano in forme e ritmi narrativi di sapore antichizzante.
Anche l’architettura civile ha un ragguardevole sviluppo nel periodo normanno. Si tratta in parte di opere di pubblica utilità e residenziali. Secondo le fonti, risale, per esempio, all’epoca di Ruggero II la cosiddetta Favara, un grande edificio giunto quasi totalmente nella sua veste originale, con il grande giardino centrale che suscita la meraviglia dei cronisti medievali. Dello stesso gruppo, ma di poco successiva, è la Zisa, la residenza estiva di Guglielmo II: un edificio parallelepipedo a due piani con una grande sala della fontana per feste al piano terra, e gli appartamenti a quello superiore. Sempre alla seconda metà del XII secolo si data la Cuba, altro edificio secolare, a poca distanza dal Palazzo Reale. In alcuni di questi edifici si conservano anche pochi resti di decorazione musiva profana. È il caso della cosiddetta Stanza di Ruggero, nella reggia palermitana. Su un lussureggiante fondo oro, si stagliano una serie di coppie di animali e figure fantastiche (pavoni che s’affrontano ai lati di un’esotica palma; leoni barbati; centauri), scene di caccia accompagnate da un ricchissimo partito decorativo di racemi floreali e, sulla volta, un’intricata trama di fasce secanti creano girali abitati di varia forgia.