La simmetria in natura
Verso la fine del 20° sec. la fisica ha subito un cambiamento di paradigma epocale. Non è stata una rivoluzione così importante come quella che ha portato alla relatività e alla meccanica quantistica, tuttavia è stata una rivoluzione a suo modo unica: non si sono cambiate le teorie, bensì il modo di fare teoria. Si sono cominciati a imporre principi di bellezza ed eleganza come base del funzionamento fondamentale dell’Universo. In questo nuovo paradigma il ruolo dominante lo ha giocato, e lo gioca tuttora, la simmetria. Non soltanto quella più visibile dello spazio-tempo, ma anche e principalmente simmetrie astratte, la cui esistenza è nascosta nell’infinitesimamente piccolo e nell’infinitesimamente breve, che purtuttavia costituiscono la base del funzionamento delle cose. La simmetria, in particolare la sua rottura o mancanza, ha un ruolo ben noto e documentato nell’arte (Jablan 1995) e forse ancor più fondamentale nelle leggi della fisica. Questo nuovo paradigma sta generando nei fisici la concreta speranza di arrivare in tempi non lunghi a una teoria finale, basata su una supersimmetria ancora ignota. La coscienza di tale simmetrizzazione della scienza si è esplicitata a livello più ampio nella cultura contemporanea soltanto recentemente, portando fra l’altro a forti convergenze interdisciplinari nelle scienze, naturali e umane, e a vedere scienza, arte e umanesimo come i risultati degli stessi meccanismi che regolano l’attività intellettuale degli esseri umani e dei relativi processi cognitivi (Zeki 1999). È da questo angolo visuale, più vicino alla cultura del 21° sec., che vogliamo affrontare l’argomento della simmetria in natura.
Le simmetrie nello spazio e nel tempo
Simmetrie spaziali
Si dice che la simmetria in natura sia spesso approssimata, in contrapposizione con quella astratta della matematica. Tuttavia, per dire approssimata, dobbiamo già avere un’idea specifica di cosa dovrebbe essere la simmetria perfetta, che però in natura non esiste. In altre parole, la nostra mente supplisce agli elementi mancanti, definisce la simmetria perfetta e poi rileva come l’oggetto possieda la simmetria solo a livello approssimato, nel senso che esistono caratteristiche che la rompono. La percezione della simmetria è più profonda di una semplice passiva osservazione. Dall’osservazione la mente ne elabora una astratta, da cui deduce le imperfezioni dell’oggetto osservato. Il nostro cervello perciò è stato ‘programmato’ dall’evoluzione a estrarre dagli oggetti naturali quegli elementi su cui si basa la loro simmetria. Questa sensibilizzazione e capacità di astrazione sono intimamente connesse con il nostro senso estetico. Spesso, sono gli elementi di simmetria di un oggetto che attivano il piacere estetico. Oppure, è la loro mancanza: la simmetria approssimata, o rotta, degli oggetti naturali.
Le simmetrie che vediamo sono quelle connesse a regolarità rispetto a trasformazioni nello spazio. Ossia, l’oggetto può apparire lo stesso (è invariante) se ruotato di un certo angolo, oppure se traslato di una certa distanza nello spazio, oppure se riflesso, come in uno specchio. A ognuna di queste operazioni corrisponde una possibile simmetria: rotazionale, traslazionale, di riflessione.
Per quantificare queste osservazioni empiriche, è necessario ricorrere alla formalizzazione matematica dello spazio, introducendo un opportuno sistema di coordinate, per es. quelle cartesiane: le varie operazioni di simmetria saranno riferite a trasformazioni rispetto al sistema di coordinate scelto. Le simmetrie, ossia le invarianze di questa o quella caratteristica dell’oggetto rispetto a una trasformazione, possono essere classificate in gruppi, i gruppi di simmetria. La matematizzazione della simmetria porta alla teoria dei gruppi (Rotman 19954) che, essendo oggetti astratti, possono riferirsi non solo alle simmetrie spaziali discusse finora, ma anche a simmetrie non riconducibili direttamente alla nostra esperienza visiva.
Consideriamo per cominciare la simmetria rotazionale. Definiamo pertanto il nostro sistema di coordinate e applichiamo un operatore di rotazione di un angolo φ dell’oggetto rispetto a uno degli assi. Supponiamo che per un dato valore di φ, diciamo φ=60°, troviamo invarianza, ossia l’oggetto ci appare esattamente uguale a prima. Una rapida considerazione ci porta a realizzare che questa invarianza è a sua volta basata su una simmetria più fondamentale, ancorché inespressa, ossia il fatto che la rotazione non ha in alcun modo modificato l’oggetto. Le proprietà dell’oggetto, e dunque la sua forma, il suo aspetto, le sue dimensioni ecc., dipendono tuttavia dalle interazioni fisiche fra le varie particelle che lo costituiscono, ossia infine dalle leggi della natura. L’assumere tacitamente che la rotazione non modifichi l’oggetto equivale a fare un’ipotesi fondamentale sulla natura dell’Universo, ossia che lo spazio è isotropo: i fenomeni fisici non dipendono dalla direzione in cui li si osserva. Siamo qui in presenza di una simmetria continua (la direzione di osservazione può variare con continuità) fondamentale. Questa simmetria dà senso all’invarianza rotazionale dell’oggetto, per es. un esagono, per una rotazione di multipli di 60° (simmetria discreta).
Analoghe considerazioni possono essere fatte per la simmetria traslazionale. Se consideriamo una struttura cristallina e la trasliamo di una distanza pari a una costante reticolare (o multipla di questa) la struttura appare identica: i cristalli (perfetti) hanno simmetria traslazionale discreta. Ma anche in questo caso sotto questa simmetria vi è l’ipotesi inespressa dell’invarianza delle leggi della fisica (o più in generale della natura) per traslazioni continue nello spazio: ossia lo spazio è omogeneo. Ebbene, in linea di principio non c’è niente che vieti l’esistenza di universi in cui lo spazio non goda di queste simmetrie fondamentali: però, nell’Universo in cui viviamo, lo spazio sembra essere omogeneo e isotropo, sembra cioè avere intrinsecamente le proprietà di simmetria traslazionale e rotazionale continue.
Vogliamo soffermarci su un’altra questione centrale: abbiamo parlato di spazio senza definirlo, ossia dando per scontato che tutti siano d’accordo su cosa esso sia. In realtà la questione non è così ovvia. Ha senso parlare di uno spazio vuoto? Consideriamo lo spazio in cui sono presenti oggetti; in questo caso dovremmo essere tutti d’accordo: vi è un oggetto qui, uno là e si può definire un sistema di coordinate e calcolare la distanza fra gli oggetti. Gli oggetti sono in questo spazio e la loro distanza è ben definita. Eliminiamo ora uno alla volta gli oggetti, finché ne restano solo due. La distanza, e dunque lo spazio, fra i due è ancora definita. Diventa più difficile estendere questo concetto senza fare riferimento agli oggetti. Sembra cioè che lo spazio si sia ‘concentrato’ nella zona dove sono i due oggetti. Facciamo ora l’ultimo passo e consideriamo un unico oggetto. A questo punto lo spazio è collassato su quest’unico oggetto, e l’Universo ha le dimensioni dell’oggetto stesso. Se ora eliminiamo quest’ultimo oggetto, sparisce anche lo spazio. Ossia, lo spazio è creato dagli oggetti che ci sono, le masse. Lo spazio oggettivo, preesistente e indipendente dagli oggetti che in esso possono essere contenuti, alla base della fisica classica, non ha significato operativo: è un’ipotesi aggiuntiva, ad hoc.
Simmetrie temporali
Per certi aspetti il tempo è simile allo spazio, per altri è molto diverso. Nella fisica classica il tempo scorre omogeneamente e indipendentemente: spazio e tempo sono due cose diverse e separate, e i fenomeni naturali avvengono in un determinato punto e in un determinato istante. In quest’ottica diventa naturale postulare un’altra simmetria fondamentale, quella dell’invarianza dei fenomeni naturali in funzione del tempo: le osservazioni non devono dipendere dall’istante in cui sono fatte, ossia le leggi della natura sono invarianti per traslazioni temporali. Anche a questa simmetria continua corrispondono conseguenze fisiche fondamentali. Vediamo però che anche per il tempo ciò che sembra ovvio non lo è. Se, infatti, ricordiamo che lo spazio vuoto non esiste e che lo spazio è creato dalla distribuzione delle masse, se a un certo punto iniziamo a far scorrere il tempo, le masse si muoveranno, la loro distribuzione cambierà e così verranno modificate anche le proprietà dello spazio. Lo scorrere del tempo, dunque, modifica la struttura dello spazio: le variabili spazio e tempo non sono indipendenti.
Nelle conclusioni cui siamo giunti, è possibile riconoscere alcuni risultati fondamentali della teoria della relatività: per quanto riguarda la relatività speciale, il fatto che le trasformazioni di coordinate nello spazio-tempo siano quelle di Lorentz e non quelle galileiane; per quanto concerne la relatività generale, la geometrizzazione dovuta alla gravitazione, per cui le traiettorie delle masse interagenti non sono tanto dovute a una forza gravitazionale quanto al fatto che la struttura (le geodetiche) dello spazio dipende dalla distribuzione delle masse, in altre parole lo spazio si curva in presenza di una massa.
L’isotropia e l’omogeneità dello spazio implicano dunque omogeneità e isotropia nella distribuzione delle masse, su larga scala: nelle vicinanze di una massa lo spazio sarà più o meno curvo, ma questa disomogeneità è locale, ed è una piccola fluttuazione rispetto alla scala cosmica. In questa visione non dobbiamo più assumere a priori che esista un certo tipo di spazio e di tempo; in più, questi due fattori fondamentali sono ora unificati, non solo fra loro, ma anche con la massa-energia. Ecco un mirabile esempio di bellezza nella teoria: l’analisi concettuale approfondita ci porta a semplificare, unificare, eliminare il superfluo.
Il senso estetico nelle teorie fisiche
Si afferma spesso che niente sia più lontano del lavoro metodico, quantitativo, razionale dello scienziato dallo slancio creativo e soggettivo dell’artista: la bellezza dell’opera d’arte e il valore di una teoria (o esperimento) scientifico sono cose molto diverse, che non possono essere discusse con gli stessi criteri. Anche in questo caso quello che sembra ovvio, a uno sguardo più profondo, non lo è. Ritorniamo, per es., alla relatività di Albert Einstein e consideriamo il postulato che niente può muoversi a una velocità superiore a quella della luce. Si può vedere che questo fatto è una conseguenza diretta di un’invarianza (dunque simmetria) delle leggi della natura. Semplicemente, nella natura non vi sono sistemi di coordinate e orologi. Questi li usiamo noi per poter trattare matematicamente i problemi; la natura ne fa tranquillamente a meno. La velocità della luce, il cui valore discende direttamente dalle leggi dell’elettromagnetismo, è infatti un assoluto, ossia non dipende dal sistema di riferimento dell’osservatore. Da qui Einstein, con estrema semplicità ed eleganza, spiegò il risultato negativo dell’esperimento di Michelson-Morley, ossia l’assenza di evidenza del moto della Terra attraverso l’etere, che venne così spazzato via, eliminando la necessità di inventarsi un mezzo materiale dalle proprietà molto strane e contraddittorie per interpretare la propagazione delle onde elettromagnetiche: molto più di complicati calcoli e ipotesi formulate ad hoc, furono le sirene dell’eleganza, della semplicità, della simmetria a guidare Einstein.
A tutt’oggi una teoria importante difficilmente non è semplice ed elegante (e dunque comprensiva di simmetrie). Non sempre una teoria bella è vera, però difficilmente una teoria complicata, piena di ipotesi ad hoc, senza elementi di simmetria formale, sarà vera. Per questo, specialmente negli ultimi anni, la bellezza è stata non solo la caratteristica auspicata di una teoria, ma anche il binario su cui la mente dello scienziato procedeva per arrivare al risultato finale.
Simmetria e leggi della fisica
Sebbene sembri banale descrivere una simmetria, in realtà non è affatto facile. In mancanza di un oggetto concreto ci viene in aiuto la matematica, che permette una grande ‘stenografia’ del pensiero: con pochi simboli si riescono a descrivere cose anche molto complesse, in modo oggettivo, con l’ausilio di un sistema di coordinate spaziali, come quelle cartesiane.
Spazio
Per quanto riguarda le traslazioni spaziali, consideriamo un regolo, per es. un bastoncino di legno lungo circa un metro. Quando lo trasliamo, le sue proprietà fisiche non cambiano. Il materiale, gli atomi che lo compongono, le loro strutturazioni ulteriori in molecole e poi in fibre di cellulosa non variano in alcun modo evidente in seguito alla traslazione; dunque, ogni equazione che noi possiamo scrivere per il comportamento del regolo, dalla scala dei quark a quella del materiale di cui è composto, dovrà essere invariante per traslazioni spaziali continue: la natura è tale per cui le equazioni della fisica sono invarianti traslazionali.
Nel caso della riflessione, la simmetria riguarda la trasformazione di una sola delle coordinate nel suo opposto, per es., x → −x, con y e z invariate. È dunque una simmetria rispetto a un piano di riflessione, che nell’esempio sarebbe il piano yz. Anche la simmetria di riflessione ha un grande ruolo in natura, pur se molto spesso piccole deviazioni rispetto a questa simmetria risultano importanti. Tra gli esempi vi è il nostro cervello con i suoi due lobi, simmetrici per riflessione se si guarda la forma e la morfologia, ma non simmetrici se si guarda alla funzionalità; ancora, le molecole chirali (levogire o destrogire), come lo zucchero, sono chimicamente identiche ma non hanno simmetria di riflessione e questo fatto incide profondamente sul loro comportamento. Un altro importante esempio di rottura della simmetria di riflessione lo troviamo nel decadimento β dovuto all’interazione debole (v. oltre La simmetria inflattiva: La rottura della simmetria).
Più fondamentale è, invece, la simmetria rotazionale, che può essere, come quella traslazionale, sia continua sia discreta: un cerchio può essere ruotato attorno al suo asse perpendicolare di un qualsiasi angolo, senza cambiare aspetto; il triangolo equilatero invece è invariante solo per rotazioni di 120°. A livello fisico, la simmetria rotazionale, continua o discreta, è importante perché così come per la simmetria traslazionale, anche per quella rotazionale esiste l’invarianza dello spazio vuoto: lo spazio è isotropico e le leggi della fisica sono invarianti per rotazioni continue.
Esistono altre simmetrie e relative trasformazioni di coordinate. Per es., la simmetria di inversione: se si trasformano le tre coordinate nel loro opposto e l’oggetto non cambia aspetto, si dice che questo ha un centro di inversione. Una sfera è chiaramente centrosimmetrica, e così un cubo o un ottaedro. Una piramide (o, nell’ambito di due dimensioni, un triangolo) non lo è.
Di fatto le simmetrie citate esauriscono tutte le possibili operazioni di simmetria che riguardano la struttura spaziale degli oggetti. La teoria dei gruppi di simmetria permette una classificazione precisa e sintetica della simmetria delle strutture, dalle molecole ai cristalli agli oggetti macroscopici. Esistono poi simmetrie più astratte, che non si riferiscono direttamente alla forma di oggetti concreti, come le simmetrie continue dello spazio: in questi casi la teoria dei gruppi deve essere generalizzata a infinite dimensioni (per es., una simmetria rotazionale continua è descritta da un infinito numero di operatori di rotazione). Si parla allora di gruppi di Lie, che sempre di più sono venuti a costituire il substrato formale della nuova fisica.
Tempo
I fenomeni fisici hanno un’invarianza temporale, nel senso che la loro misurazione non dipende dall’istante in cui la si effettua. Su questo punto in realtà bisogna essere un po’ più precisi: l’invarianza temporale è una proprietà dello spazio vuoto e, da questo punto di vista, le leggi della fisica sono invarianti nel tempo. Però il tempo è una coordinata diversa da quelle spaziali: per es., nel mondo reale al tempo è associata una freccia che va dal passato al futuro, e indietro non si torna, mentre invece le coordinate spaziali possono essere invertite a piacere.
Come si conciliano allora le leggi della fisica che possiedono un’invarianza temporale con la realtà che non ce l’ha? Fondamentalmente la freccia temporale è evidente solo su scale sia temporali sia spaziali macroscopiche, mentre per i fenomeni microscopici l’invarianza temporale è rispettata. La ragione di ciò è ancora uno dei problemi irrisolti della fisica. Si può capire la particolare difficoltà di tale questione: si deve conciliare una teoria fondamentale, presumibilmente valida sempre e dovunque, con una realizzazione macroscopica che è specifica e particolare del nostro Universo. A tale proposito potremmo ricordare il dibattito contemporaneo sul cosiddetto principio antropico (in base al quale l’uomo, inteso come osservatore, viene ad assumere il ruolo di convalidatore dell’Universo) che vorrebbe dare una guida e, nelle sue forme più estreme, una giustificazione teleologica (o addirittura teologica) alle proprietà dell’Universo.
Ritornando alle misurazioni spaziali, non abbiamo mai menzionato il fatto implicito che la posizione, o la lunghezza, si riferiscono a un preciso istante nel tempo. Chiaramente se gli oggetti si muovono nello spazio, la loro posizione cambia istante per istante e la descrizione data usando il sistema di tre coordinate cartesiane è incompleta. È più appropriato parlare di eventi (ossia della posizione a un dato istante nel tempo) e dunque usare quattro coordinate, tre spaziali e una temporale. In precedenza, volendo misurare la lunghezza del regolo era implicito che le posizioni dei suoi due estremi venissero misurate simultaneamente. Questo fatto sembra ovvio, ma cessa di esserlo con la critica al concetto di simultaneità della rivoluzione relativistica, per la quale due osservatori spazialmente separati per scambiarsi l’informazione che l’evento è avvenuto devono usare un segnale luminoso, che impiega un tempo finito per arrivare.
La descrizione completa dell’atto di misurazione della lunghezza del regolo si avrà quando si specificano anche i tempi t1 e t2 dei due osservatori. Possiamo perciò dire in generale che la lunghezza misurata all’istante t sarà la stessa se la misuriamo all’istante t=t+t*, dove t* può essere un qualsiasi periodo di tempo. Se noi operiamo una traslazione lungo l’asse dei tempi, allora la lunghezza non cambia: le leggi della fisica sono invarianti per traslazioni temporali continue.
Il teorema di Noether
Nel 1913 la matematica tedesca Emmy Noether (1882-1935) dimostrò un teorema fondamentale (Greiner, Müller 19903) che, nella sua applicazione alla natura, sostanzialmente afferma: per ogni simmetria continua delle leggi della fisica, deve esistere una legge di conservazione; viceversa, per ogni legge di conservazione, deve esistere una simmetria continua.
Questo teorema rende evidente la profonda connessione fra fisica e simmetria, su basi di rigore formale. Facciamo notare che il teorema non specifica il tipo di simmetria, ma solo il fatto che sia continua: questo implica che è possibile che vi siano leggi di conservazione non connesse con le simmetrie spaziotemporali fin qui discusse. Sono proprio queste simmetrie nascoste che hanno portato ai grandi risultati della fisica contemporanea. Di ciò discuteremo più avanti; ora ci interessa illustrare in modo semplice le conseguenze del teorema di Noether restando nell’ambito delle simmetrie spaziotemporali.
Nel caso delle traslazioni spaziali, il teorema di Noether dimostra che dalla simmetria traslazionale nello spazio discende la legge di conservazione della quantità di moto. Infatti, la quantità di moto totale di un sistema isolato è costante. In un sistema composto da N elementi, questa sarà: P=p1+p2+…+pN, dove pi=mvi è il vettore quantità di moto dell’elemento i-esimo. Il teorema di Noether ci dice che si ha la conservazione di P, indipendentemente da come i vari elementi del sistema interagiscono gli uni con gli altri, perché le interazioni sono definite da leggi che non dipendono da dove il sistema è collocato nello spazio. Viceversa, il fatto che la validità della legge di conservazione della quantità di moto sia stata sperimentalmente verificata moltissime volte con estrema precisione, nelle più disparate condizioni spaziotemporali, implica che lo spazio è omogeneo, ossia che ha simmetria traslazionale continua.
Analogamente per l’invarianza rotazionale continua dello spazio, il teorema di Noether dimostra che dalla simmetria rotazionale dello spazio discende la legge di conservazione del momento angolare. Ricordiamo che il momento angolare è dato da J=Iω, dove I è il momento di inerzia dell’oggetto e ω è la sua velocità angolare, per cui quando il momento d’inerzia diminuisce la velocità angolare aumenta, dato che in un sistema isolato il momento angolare deve essere conservato. In ogni processo dinamico di un sistema isolato i momenti angolari iniziale e finale devono coincidere e dal teorema di Noether discende allora che lo spazio possiede simmetria rotazionale, ossia che è isotropico. L’evidenza sperimentale indica anche l’omogeneità del tempo: le leggi della fisica sono invarianti per una traslazione temporale. In questo caso deriva che dalla simmetria traslazionale nel tempo discende il principio di conservazione dell’energia. Invertendo, il teorema di Noether dimostra formalmente che le leggi della natura sono invarianti per traslazioni temporali continue.
È importante notare che tutte queste simmetrie non sono in linea di principio necessarie: esistono perché la natura sembra fatta così. Concettualmente, le cose potevano andare diversamente: per es., se lo spazio non avesse la simmetria traslazionale continua, ma l’avesse discreta, come la distribuzione delle posizioni degli atomi in un cristallo, non sarebbe isotropico (dunque non esisterebbe conservazione del momento angolare) e la conservazione della quantità di moto sarebbe sostituita da una legge più debole (passaggio dalla simmetria continua a quella discreta).
Ma la natura possiede anche altre importanti simmetrie, meno visibili. Consideriamo l’invarianza di Lorentz della teoria della relatività: le leggi dell’elettromagnetismo sono invarianti per le trasformazioni di Lorentz nello spazio-tempo, date da
x′=γ(x−vt), y′=y, z′=z, t′=γ(t−vx/c2)
In questo caso i due sistemi di riferimento sono in moto relativo l’uno rispetto all’altro lungo l’asse x con velocità v, e il fattore di Lorentz è γ=1/[1−(v2/c2)]1/2. Da tale simmetria discende l’equazione di Einstein E=mc2, che stabilisce l’equivalenza tra massa m ed energia E (c è la velocità della luce, circa 300.000 km/s).
Le simmetrie nascoste
Vi sono simmetrie ancora più astratte che non coinvolgono le coordinate spaziali e temporali: se si ha un sistema costituito da un numero di cariche positive e negative e si cambia il segno di queste cariche, il nuovo oggetto avrà esattamente le stesse proprietà dell’originale. Un esempio può essere l’atomo di idrogeno, costituito da un protone (carico positivamente, che ne costituisce il nucleo) e un elettrone (carico negativamente). L’oggetto simmetrico sarebbe l’anti-idrogeno, con un antiprotone carico negativamente e l’antielettrone (detto positrone) carico positivamente. Ebbene, queste particelle esistono veramente (il positrone fu scoperto nel 1932, l’antiprotone nel 1955), e così pure l’anti-idrogeno. Sono la cosiddetta antimateria, e la simmetria relativa si chiama simmetria per inversione di carica.
Come già accennato all’inizio, verso la fine del 20° sec. abbiamo assistito alla nascita di un nuovo paradigma nella fisica. A differenza dei precedenti, il nuovo sistema di riferimento culturale interessava, più che una nuova teoria, un nuovo modo di fare teoria. E, invece di cercare di capire e interpretare le fenomenologie e le relative leggi, si è cominciato a imporre i criteri di semplificazione e di simmetria nelle teorie fondamentali. Illustriamo questo cambiamento prendendo in considerazione le interazioni fondamentali della natura: gravitazionale, elettromagnetica, debole e forte. Notiamo subito che mentre le prime due sono descritte da aggettivi ben precisi, le ultime due si qualificano in modo vago, che riflette di fatto l’ignoranza su cosa fossero quando sono state introdotte per cercare di interpretare le fenomenologie nucleari e subnucleari che venivano via via disvelandosi. L’interazione debole è stata aggiunta per interpretare i decadimenti radioattivi, quella forte per modellizzare il fatto che i nuclei atomici esistono. Solo mezzo secolo dopo si è arrivati a una teoria fondamentale di queste interazioni. E tale risultato fu ottenuto in seguito al nuovo paradigma.
Perché ci sono proprio quattro interazioni fondamentali? Perché queste interazioni dobbiamo prenderle come sono, e non come deduzioni da una teoria più generale e fondamentale? E se questa teoria esistesse, che caratteristiche dovrebbe avere?
Si inizia considerando la bellezza uno degli elementi discriminanti nell’elaborazione di una teoria e con la conseguente diffidenza nei confronti di teorie complicate, per es. con molte ipotesi ad hoc. La situazione nella fisica delle interazioni fondamentali a metà dello scorso secolo assomigliava per certi aspetti a quella dell’astronomia ai tempi in cui vigeva il paradigma tolemaico: vi era una selva (quasi 100) di cosiddette particelle elementari, senza una teoria che ne spiegasse il motivo, ma modelli che si limitavano ad aggiungere parametri ad hoc per dare una qualche sistemazione a quella foresta. Il cambiamento di paradigma ha permesso alla simmetria di venire in soccorso alla necessità di semplicità ed eleganza, perché si è cercato di rispondere sfruttando le simmetrie che la fenomenologia rivelava, generalizzandole, imponendone di più profonde e fondamentali che potessero permettere una semplificazione delle fenomenologie e dei relativi modelli interpretativi. Un esempio fortunato è stata la teoria di Steven Weinberg e Abdus Salam, formulata alla fine degli anni Sessanta, la quale, postulando l’esistenza di una simmetria fondamentale che permetteva di mescolare particelle fino ad allora completamente diverse, ossia gli elettroni e i neutrini, permise l’unificazione dell’interazione elettromagnetica e di quella debole (v. oltre La simmetria inflattiva: La rottura della simmetria).
Il principio di azione
Fin dagli inizi della rivoluzione newtoniana, due scuole di pensiero si sono contrapposte nella nuova meccanica: quella deterministica (equazioni del moto, condizioni iniziali ecc.) e quella che chiameremo olistica (principi della termodinamica, condizioni estremali). I successi della meccanica di Isaac Newton in tutte le sue applicazioni hanno per molto tempo oscurato l’approccio olistico, almeno fino a quando il paradigma newtoniano fu l’unico a dominare incontrastato la scienza. Le rivoluzioni relativistica e quantistica specialmente hanno conferito all’energia e alle sue trasformazioni un ruolo dominante, riportando in auge l’approccio olistico. Tale approccio ha il suo antesignano riconosciuto nel principio di Fermat, che introduce il concetto di condizione estremale come base per il calcolo della dinamica, in questo caso il cammino della luce in un mezzo eterogeneo. L’idea che la natura si comporti in modo da estremizzare una variabile fisica fa appello a chi voleva vedere uno scopo nell’ordine delle cose. Anche per questo motivo, sebbene il principio prenda in considerazione gli estremi della funzione (ossia il minimo o il massimo), l’ansia teleologica ha trasformato l’estremo in un minimo: la natura è parsimoniosa. Un ben più importante principio estremale è il cosiddetto principio di azione, che ci apre la visuale su un diverso tipo di simmetria rispetto a quelle discusse finora.
Consideriamo la traiettoria x(t) di un oggetto, che si muove da x0 a x1 nel tempo che intercorre fra t0 e t1: x0=x(t0) e x1=x(t1). La traiettoria è completamente arbitraria: può aggrovigliarsi, avvitarsi secondo la nostra fantasia artistica. Cosa fa ‘scegliere’ alla particella una particolare traiettoria fra tutte quelle possibili? Ecco che ci viene in aiuto il concetto di azione A(x), definita, per ogni traiettoria, come l’integrale temporale della lagrangiana L=E−V del sistema, dove E è l’energia cinetica e V l’energia potenziale dovuta ai campi di forza che interagiscono con il sistema:
A(x) =∫Ldt =∫1to -12 m (---dx(t) dt)2 dt
L’ultima eguaglianza si riferisce al caso della particella libera (L=E) e l’integrale è valutato lungo la traiettoria x(t) da x0 a x1. Fra tutte le possibili traiettorie una sola sarà quella vera: nel caso della particella libera già sappiamo che sarà il moto rettilineo uniforme, così come prevedono le equazioni di moto. Il principio di azione permette di identificare la traiettoria senza far ricorso alle equazioni di Newton: la particella si muoverà lungo quella particolare traiettoria che minimizza (estremizza) il valore dell’azione.
L’azione, definita per mezzo dell’energia, è un concetto più generale delle traiettorie della fisica classica ed è indipendente dalla validità o meno delle equazioni di Newton. Di fatto il principio di azione può essere trasportato nella meccanica quantistica in modo del tutto naturale (Dittrich, Reuter 19942). Sembra dunque essere un principio più fondamentale e generale. Ebbene, a questo principio corrisponde una simmetria, quella dell’invarianza rispetto a variazioni infinitesime: la funzione A(x) è tale che la sua variazione prima rispetto allo spostamento infinitesimo δxj è identicamente nulla:
Σ(∂A/∂xj)δxj=0
In effetti Noether utilizzò proprio le tecniche del calcolo variazionale infinitesimale per dimostrare il suo teorema. In questo caso ci interessa un altro particolare: l’azione, per il teorema di Noether, è un’invariante per le trasformazioni spaziotemporali. Queste corrispondono alle cosiddette simmetrie globali, ossia simmetrie che valgono sempre e dovunque. L’invarianza dell’azione per trasformazioni infinitesime corrisponde a un tipo diverso di simmetria, più generale delle simmetrie globali: è una simmetria locale.
Le simmetrie intrinsecamente quantistiche
Come si traduce il principio di azione nella meccanica quantistica? Fu il fisico statunitense Richard Ph. Feynman (1918-1988), attorno al 1950, a darne l’enunciato. Consideriamo tutte le possibili traiettorie per andare da x1 a x2. Classicamente, il principio ci dice che la particella ne seguirà una, quella che minimizza l’azione. La traduzione quantistica si basa sul fatto fondamentale (principio di indeterminazione) che non è possibile conoscere la specifica traiettoria di una particella. Feynman postulò che la particella le può seguire tutte, ma con probabilità diverse connesse con l’ampiezza Ω[x(t)]=exp[iAx(t)/h]. Per calcolare come il sistema evolverà, si somma (integra) questa ampiezza su tutte le traiettorie; la probabilità di arrivare al punto finale è il modulo quadro dell’ampiezza totale. È importante notare che la particella non segue solo una traiettoria, cioè quella più probabile, ma le ‘segue’ tutte, ossia, prima della misurazione che individua la particella, quest’ultima è delocalizzata e il suo stato è descritto dalla combinazione lineare degli stati che caratterizzano ciascuna singola traiettoria; quando si ottiene la misura della posizione, allora tutte le traiettorie alternative spariscono.
Con il metodo di Feynman arriviamo al principio di azione, che a sua volta ci porta al teorema di Noether, e dunque alle leggi di conservazione che abbiamo già discusso per la fisica classica; queste manterranno la loro validità anche nel mondo completamente diverso della fisica quantistica. In questo ambito il ruolo potenziale della simmetria aumenta notevolmente. Classicamente, la conoscenza totale di un sistema fisico era possibile conoscendo le traiettorie del sistema e/o delle sue componenti. Queste traiettorie erano funzioni definite nel tempo e nello spazio, con le simmetrie globali che abbiamo discusso, che sono date, ossia sono rigide e non modificabili. Nel mondo quantistico tutto ciò sparisce. La quantità fondamentale non è la traiettoria – una quantità effettivamente misurabile – bensì un vettore in uno spazio a infinite dimensioni (la funzione d’onda). Inoltre, la dinamica del sistema ora è connessa con rotazioni del vettore nello spazio di Hilbert, che ne lasciano immutata la lunghezza. Si apre dunque la possibilità dell’esistenza di altri tipi di simmetrie, più astratte ma cionondimeno altrettanto fondamentali. Fra l’altro, questo porta, fra tutti i gruppi di Lie che formalizzano queste simmetrie, ai cosiddetti gruppi unitari U(N) e ai gruppi unitari speciali SU(N) (Greiner, Müller 19903), che costituiscono il substrato formale della nuova fisica.
Le simmetrie di gauge
Consideriamo ora la funzione d’onda ψ(x,t) per una particella generica. Come sappiamo, è una funzione complessa e, quindi, sarà caratterizzata da una fase. Moltiplichiamo la ψ(x,t) per un fattore di fase costante ma arbitrario: ψ′(x,t)=exp(iθ)ψ(x,t). Chiaramente la funzione trasformata non è la stessa, però dobbiamo ricordarci che la quantità fisicamente significativa è il modulo quadro, e questo resta invariato sotto l’operazione di trasformazione: ψ(x,t)2=ψ′(x,t)2. Questa invarianza rispetto alla fase ci indica che siamo in presenza di una simmetria continua (la fase θ varia con continuità) e dunque, per il teorema di Noether, dovrà esistere in corrispondenza una quantità conservata. Formalmente questo tipo di simmetria è denominata U(1). A cosa corrisponde fisicamente? Se la particella è un elettrone (o comunque possiede una carica elettrica), questa simmetria porta alla conservazione della carica elettrica.
La simmetria che abbiamo appena descritto è di tipo globale e possiamo dunque chiederci se ci sia una simmetria locale in corrispondenza: la risposta è positiva, e porta a una descrizione unificata di tutti i fenomeni fisici della meccanica quantistica. Moltiplichiamo la funzione d’onda per una fase che è essa stessa funzione del tempo e dello spazio: ψ(x,t)→exp[iθ(x,t)]ψ(x,t). Ebbene, anche in questo caso si ha invarianza. Data la maggiore arbitrarietà della trasformazione, le quantità che si conservano possono essere diverse, non soltanto la carica elettrica. Il risultato di questa trasformazione, che porta alla cosiddetta invarianza locale di gauge, coinvolge tutta la fisica, dall’elettromagnetismo alle interazioni fra le particelle elementari.
La simmetria di scambio
La prima e più semplice simmetria nascosta (o interna) è la simmetria di scambio, che ha importanza fondamentale per le proprietà di atomi e molecole e per i materiali da essi composti. Questa simmetria si evidenzia quando vogliamo distinguere, in un dato sistema fisico, due particelle identiche. Dal punto di vista classico il problema non si pone. Prendiamo, per es., due palle da biliardo identiche: a un dato istante si possono localizzare con infinita precisione senza rendere totalmente indeterminata la loro velocità. Ciò non è possibile in meccanica quantistica, dove le particelle sono sempre caratterizzate da una delocalizzazione spaziale se sono in uno stato quantico ragionevolmente definito.
Consideriamo un atomo di elio. Questo consiste di un nucleo (costituito da un neutrone e da due protoni) e di due elettroni. La funzione d’onda del sistema sarà allora ψ(x1,x2,t) e il suo modulo al quadrato ci darà la probabilità di trovare, al tempo t, un elettrone nella posizione x1 e uno nella posizione x2. Ora immaginiamo di scambiare i due elettroni: nel nuovo sistema, la funzione d’onda sarà ψ(x2,x1,t). Abbiamo realmente un nuovo atomo di elio? Per rispondere, osserviamo meglio gli elettroni: ci accorgiamo che l’unica cosa che li distinguerebbe è la loro posizione, cosa però impossibile per il principio di indeterminazione. Questo implica che, essendo gli elettroni indistinguibili, la nuova funzione d’onda (o, meglio, il suo modulo al quadrato) deve dare lo stesso stato, ossia quello dell’atomo di elio prima dello scambio degli elettroni. Abbiamo trovato una nuova simmetria, l’invarianza per lo scambio di particelle identiche. Si ha dunque ψ(x1,x2,t)2=ψ(x2,x1,t)2 e ψ(x1,x2,t)=±ψ(x2,x1,t).
Il simbolo ± non cambia il risultato per quanto riguarda le probabilità, ma è necessario per tener conto delle diverse tipologie delle particelle in meccanica quantistica: per es., nel caso degli elettroni varrebbe il segno −, mentre per altre particelle, come i fotoni, varrebbe il segno +. Questa differenza è connessa con un’altra caratteristica osservabile nelle particelle, ossia il loro momento angolare intrinseco (spin).
Per brevità, consideriamo solo le particelle che portano al segno – per l’operazione di scambio, dette fermioni (dal nome di Enrico Fermi, che ne studiò le proprietà). I fermioni sono caratterizzati da spin cosiddetti seminteri (1/2, 3/2,…): l’elettrone ha spin 1/2. Si può ora enunciare un principio che si applica ai fermioni: non più di una particella può occupare un dato stato quantico, ossia ψ(x2=x, x1=x)=−ψ(x1=x, x2=x)=0.
Si tratta del cosiddetto principio di Pauli, o principio di esclusione (enunciato nel 1925) che è alla base di tutta la fisica e la chimica degli atomi e delle molecole. Questo principio discende a sua volta da una simmetria nascosta, quella di scambio.
La simmetria inflattiva
Vogliamo ora discutere un tipo molto diverso di simmetria che, anomalia matematica nell’Ottocento, alla fine del 20° sec. è diventato paradigmatico per lo studio di un’infinita varietà di problemi, nelle scienze naturali così come in quelle umane: la simmetria inflattiva. Con questa simmetria lasciamo il mondo delle interazioni fondamentali e delle particelle elementari e passiamo a quello della materia, ossia di insiemi complessi con un grande numero di componenti, fra loro interagenti con leggi note. Queste componenti possono essere gli atomi o le molecole di un materiale, le galassie dell’Universo, le automobili nel traffico cittadino, i microrganismi che propagano un’epidemia, le fluttuazioni dei mercati azionari e così via.
Per concretizzare, consideriamo un oggetto comune, per es. una spugna. Uno sguardo attento mostra che i buchi nella spugna non hanno (in media) le medesime dimensioni, ossia non hanno una dimensione caratteristica; esiste invece una distribuzione di buchi che va fino a quelli più piccoli visibili a occhio nudo. Muniamoci allora di un microscopio e guardiamo una piccola zona della spugna (la cui dimensione sarà riscalata del fattore d’ingrandimento dello strumento): vediamo che i buchi continuano a essere dispersi su tutte le dimensioni, fino a quelle date dal limite diffrattivo del microscopio. Questo gioco può essere iterato, amplificando sempre di più l’immagine (ossia riscalando su zone sempre più piccole). Ciò che si osserva è che l’aspetto della spugna non cambia: non possiamo distinguere un’immagine di un’area di 10 mm2 da una di 1 μm2. Siamo dunque in presenza di una simmetria: l’invarianza per cambiamenti di scala. Dato che a ogni livello d’ingrandimento vediamo la presenza di buchi di tutte le dimensioni, possiamo immaginare che, iterando il processo un numero molto grande di volte, il volume occupato dallo spazio vuoto crescerà relativamente a quello occupato dal materiale. Iterando all’infinito, il volume dei buchi divergerà, ossia la densità della spugna tenderà a zero. Questa è la legge di scala dovuta alla simmetria inflattiva. Naturalmente il processo non può essere iterato all’infinito su un oggetto reale. Sulle scale grandi, si arriva alla dimensione macroscopica della spugna; su quelle piccole, si arriva al limite della struttura atomica del materiale. Tuttavia, esisterà una finestra, intermedia fra questi due estremi, all’interno della quale una legge di scala inflattiva sarà valida.
Un’altra importante considerazione: gli oggetti naturali, come abbiamo più volte rilevato, hanno simmetrie imperfette. Così pure la spugna: in questo caso la distribuzione dei buchi è disordinata, per cui l’autosimilarità della struttura con una sua parte è di tipo statistico. A questo punto ci si può chiedere se la matematica può fornire lo strumento per una trattazione formale della simmetria inflattiva e delle strutture autosimilari. Si scopre così che in realtà, un secolo prima che questo tipo di strutture venisse alla ribalta della scienza verso la fine del 20° sec., i matematici le avevano già studiate, per poi abbandonarle come strane curiosità. Per es., l’insieme di Cantor è una struttura autosimilare che si ottiene iterando all’infinito un processo di decimazione che è il seguente: dato un segmento, si divide in tre parti uguali e si toglie il segmento centrale, lasciando solo i due estremi. Il processo si ripete un numero arbitrario di volte sui segmenti che restano. Alla fine, come ci si può aspettare, non resta più niente: matematicamente, l’insieme finale ha misura nulla. Ciò che non ci si aspetta è che se si contano i punti che restano, ce n’è un numero non contabile e infinito, tanto che si può stabilire una corrispondenza fra i punti dell’insieme di Cantor e i punti del segmento originale, prima della decimazione. Tale insieme è un oggetto ben strano e in questo, come in tantissimi altri casi, le proprietà anomale sono connesse con le anfrattuosità che matematicamente si ripetono all’infinito.
Proprio parlando di anfrattuosità torniamo ai sistemi naturali. Verso la metà del 20° sec. il matematico polacco naturalizzato francese Benoît B. Mandelbrot (n. 1924) notò che in natura (e poi nella società umana) esistono molti sistemi con anfrattuosità su tutte le scale (entro la finestra di cui abbiamo parlato) che hanno simmetria inflattiva. Un celebre esempio che Mandelbrot riportò è quello della misura della lunghezza delle coste dell’Inghilterra. In linea di principio tale misura può essere effettuata con un regolo seguendo la linea della costa. Immaginiamo ora di usare un regolo 10 volte più corto: sarà possibile seguire meglio le anfrattuosità, dunque la lunghezza misurata sarà più grande. Iteriamo questo processo: la lunghezza continuerà ad aumentare. Chiaramente non divergerà all’infinito perché si arriva al limite inferiore della finestra di scala. Però su un certo numero di ordini di grandezza avremo riprodotto la fenomenologia inflattiva e la relativa legge di scala.
È chiaro che per questa divergenza è essenziale l’anfrattuosità su tutte le scale, dunque la non univocità del semplice concetto di lunghezza. Oggetti disomogenei su tutte le scale e che hanno le caratteristiche di invarianza di scala spaziale furono chiamati da Mandelbrot frattali; tutta la teoria degli insiemi poteva essere applicata alla loro trattazione, ovviamente nei limiti della finestra di scala per gli oggetti naturali.
I frattali possono essere statistici, ma possono essere anche basati sull’iterazione di una regola precisa. In questo secondo caso avremo oggetti matematici che possono riprodurre fino a un certo punto le caratteristiche dei frattali naturali, oppure creare strutture completamente nuove, in cui il limite è rappresentato soltanto dalla fantasia. Il caso più semplice è quello dei frattali deterministici, dove la regola per l’iterazione è appunto sempre la stessa e non contiene fattori casuali.
Consideriamo, per es., la classica curva di Koch. Si parte da un segmento (l’iniziatore) e si definisce la regola da iterare (generatore). In questo caso la regola è di dividere il segmento in tre parti uguali e poi di sostituire la parte centrale con una cuspide di lato uguale. Abbiamo quindi una struttura con 4 segmenti uguali. A ognuno di essi applichiamo la stessa regola, ottenendo una struttura un po’ più frastagliata di 16 segmenti. È evidente come il processo di iterazione di N volte porterà rapidamente a una curva frastagliatissima con una lunghezza che, nel frattale matematico, divergerà all’infinito.
Infatti, se si assume che la lunghezza dell’iniziatore è 1, dopo la prima applicazione della regola sarà 4/3, dopo la seconda applicazione (4/3)2 e così via. Il processo, iterato all’infinito, porterà a una curva di lunghezza infinita, che sarà simultaneamente ovunque continua ma anche non differenziabile in alcun punto. Questa curva sarà autosimilare, e dunque la lunghezza dovrà obbedire a una legge di scala, ossia sarà una funzione omogenea di una potenza della lunghezza r del regolo. Mentre per una struttura non frattale (omogenea) la funzione L(r)=Nr tenderà a un valore costante, a mano a mano che r tende a zero, per un frattale si avrà L(r)=NrD, dove l’esponente D (nel caso della linea omogenea D=d=1, dove d è la dimensionalità del sistema) ha un valore che può essere frazionario. Nel caso del frattale di Koch in una dimensione, si ha D=log4/log3=1,26.
La divergenza della lunghezza è riflessa nella dimensionalità più grande di 1. Il fatto che il concetto di dimensionalità, che siamo abituati ad associare alle tre dimensioni dello spazio, e dunque ai numeri d=1,2,3 a seconda che si tratti di una linea, di un’area, di un volume, rispettivamente, possa essere generalizzato in questo modo strano (dimensioni frazionarie), è una conseguenza delle peculiarità degli insiemi di Cantor. Per quanto ci riguarda, l’esponente D può essere correttamente visto proprio come un esponente di scala, che caratterizza la particolare simmetria inflattiva del frattale.
Abbiamo dato uno spazio relativamente ampio alla simmetria inflattiva perché, in primo luogo, ci permette di applicare i concetti di simmetria e delle sue conseguenze alla natura, ai materiali e, seppure non ne abbiamo discusso per brevità, alla struttura delle società umane, poi perché la coscienza del suo ruolo onnipresente in tanti aspetti della natura e della vita è uno sviluppo relativamente recente della fine del 20° sec. e uno degli aspetti più importanti della scienza, come dell’arte, di questo inizio di secolo. Fra l’altro, in questi ultimi anni è nata una nuova forma d’arte che coniuga l’estetica del disegno, dell’immagine, con le nuove tecnologie informatiche, la cosiddetta computer art, con la sua manifestazione più commerciale, la computer graphics. Mediante opportuni software frattali, possono essere create immagini estremamente complesse e astratte, di grande impatto estetico o decorativo, anche di paesaggi più o meno fantastici o più vicini a un’imitazione precisa dei paesaggi reali.
La rottura della simmetria
Abbiamo cominciato la nostra discussione descrivendo la simmetria degli oggetti naturali, facendo rilevare come questa non sia perfetta e come la nostra mente ne astragga comunque la simmetria giusta. Siamo cioè in presenza di una rottura della simmetria. In un certo senso questa rottura è banale, e la sua importanza deriva piuttosto dal fattore estetico che la sua presenza può fortemente influenzare in meglio o in peggio.
Molto diversa è la situazione quando le simmetrie vengono rotte nelle leggi della natura. In effetti l’Universo e il mondo che noi vediamo sono in larga parte il risultato di rotture delle simmetrie fondamentali della natura. Anche questa conclusione è il risultato scientifico del lavoro degli ultimi decenni e, originariamente, si è basata sul grande periodo di studi teorici e sperimentali riguardanti le transizioni di fase nella materia. Sono ben noti i passaggi fra lo stato solido, liquido e gassoso; altre transizioni sono quelle magnetiche, quelle strutturali, la superconduttività, la ferroelettricità e così via.
Fondamentalmente lo stato di un sistema fisico si ottiene risolvendo un’opportuna equazione differenziale (per es., l’equazione di Schrödinger). Tale equazione possiede la simmetria dell’operatore hamiltoniano che descrive il sistema. In linea di principio le soluzioni dell’equazione (dunque gli stati del sistema) devono avere la stessa simmetria. In questo quadro le transizioni di fase continue, ossia i passaggi spontanei di un materiale da una fase ad alta simmetria a una di simmetria più bassa, che avvengono senza soluzione di continuità semplicemente variando la temperatura, ponevano una grande sfida concettuale: com’è possibile questo apparente passaggio spontaneo da una fase che ha la simmetria del sistema a una che non la ha?
Come detto, le rotture di simmetrie erano evidenti nella fenomenologia della materia condensata. Un caso classico è la transizione ferromagnetica: se noi consideriamo un pezzo di ferro ad alta temperatura, questo, riflettendo la simmetria dell’hamiltoniana che descrive le interazioni magnetiche, avrà magnetizzazione nulla e sarà paramagnetico (alta simmetria). Però, raffreddandolo, si arriva a una temperatura (temperatura di Curie) alla quale si passa a una fase con una magnetizzazione macroscopica diversa da zero (bassa simmetria), la fase ferromagnetica, in cui gli spin (momenti magnetici) elettronici degli atomi di ferro sono prevalentemente orientati in una specifica direzione; si ha cioè la creazione di una fase ordinata, con un’anisotropia macroscopica. Data la simmetria isotropica delle interazioni, perché a un certo punto gli spin decidono di allinearsi definendo una specifica direzione nello spazio per la risultante magnetizzazione? Perché proprio quella direzione, senza nessuna apparente indicazione esterna che la favorisca?
La risposta, in questo come negli altri casi di rotture di simmetrie, è che in realtà la simmetria non viene rotta spontaneamente dal sistema, perché questa riguarda le equazioni (leggi della fisica) che ne regolano il comportamento: qui la simmetria non si rompe. Una soluzione particolare può avere una simmetria più bassa, ma il complesso di tutte le possibili soluzioni no. Infatti, se noi ripetiamo l’esperimento del ferromagnete tante volte, potremo trovare ogni volta una magnetizzazione macroscopica che punta in una specifica direzione; però, se il circondario è perfettamente isotropico, questa direzione varierà di volta in volta e, se il numero di prove è sufficientemente alto, la distribuzione delle direzioni della magnetizzazione sarà isotropica: la simmetria dell’hamiltoniana e delle relative equazioni è rispettata. Una variante di questa fenomenologia è la seguente: sotto il punto di Curie la magnetizzazione è zero. Ciò non perché non c’è stata la transizione di fase, ma perché si sono formati i cosiddetti domini ferromagnetici, ossia la parte fondamentale della transizione (i momenti magnetici elettronici tendono collettivamente ad allinearsi parallelamente gli uni agli altri) avviene ma, essendo il sistema comunque isotropo, in una zona i domini si allineeranno paralleli a una direzione, in un’altra paralleli a un’altra, e dunque riprodurranno la distribuzione isotropica della magnetizzazione dell’esperimento precedente, la quale però ora condurrà a una magnetizzazione macroscopica risultante nulla. La dimensione tipica dei domini è a sua volta connessa con quella che viene detta lunghezza di correlazione, ossia la scala spaziale tipica all’interno della quale il comportamento collettivo degli spin riesce a tenerli allineati rispetto a una data direzione, in competizione con l’agitazione termica che tende a disordinarli.
Se però ora rompiamo la simmetria dall’esterno, per es. applicando un campo magnetico anche piccolissimo, al punto di Curie i momenti magnetici si allineeranno parallelamente gli uni agli altri, e tutti parallelamente al campo magnetico esterno, formando il ferromagnete monodominio. Da questo esempio possiamo capire che più che di simmetria rotta, si dovrebbe parlare di sistema infinitamente suscettibile alla rottura di simmetria.
Volgendo ora l’attenzione a questioni ancor più centrali, possiamo discutere brevemente un effetto che illustra in maniera molto chiara dal punto di vista formale che cosa s’intenda per simmetria rotta e quali siano le sue conseguenze: l’effetto Jahn-Teller (J-T). Nel 1937 Hermann A. Jahn ed Edward Teller dimostrarono un teorema riguardante l’instabilità strutturale di molecole che, a causa della loro simmetria, avevano uno stato elettronico fondamentale degenere (cioè con più stati quantici con la stessa energia): una molecola con uno stato elettronico fondamentale degenere si distorcerà spontaneamente a uno stato fondamentale di simmetria più bassa in cui la degenerazione elettronica sarà rimossa. Per molti anni questo teorema ebbe una vita oscura, come se interessasse un aspetto molto particolare della fisica molecolare. In seguito agli sviluppi della nuova fisica alla fine del 20° sec., in particolare la comprensione fondamentale delle transizioni di fase nella materia (con una generalizzazione alle particelle elementari o all’Universo primordiale) e il ruolo principe assunto dalla simmetria come base per le nuove teorie, ci si è accorti che, nel caso molto semplice della rottura della simmetria in molecole con stati elettronici degeneri, e nel connesso teorema di Jahn-Teller, erano già contenuti aspetti fondamentali delle teorie quantistiche di campo sull’unificazione delle interazioni della natura. Infatti in questa visione più generale il teorema può essere riformulato in questo modo: la rottura della simmetria è sempre associata a una degenerazione (Weinberg 1995-2000).
Consideriamo allora una molecola altamente simmetrica (per es., a simmetria ottaedrica, MX6, gruppo di simmetria Oh). In tale simmetria le direzioni x,y,z sono equivalenti, e gli stati elettronici connessi con funzioni d’onda caratterizzate da queste tre direzioni dovranno avere pertanto la stessa energia. Lo stato fondamentale elettronico potrà essere dunque triplamente degenere (cioè a simmetria T1g); questo è il caso, per es., di alcuni metalli di transizione (M). Gli atomi che costituiscono la molecola non stanno fermi, ma fluttuano attorno alle loro posizioni di equilibrio. Queste fluttuazioni possono essere descritte matematicamente mediante i modi di vibrazione, che corrispondono a precisi schemi di spostamento collettivo degli atomi i quali, sovrapponendosi a ogni istante, ciascuno con la sua fase, danno luogo alla configurazione istantanea degli atomi fluttuanti. Nell’ambito della teoria quantistica si parla di un campo vibrazionale, le cui eccitazioni sono i quanti di energia vibrazionale.
In linea di principio la funzione d’onda globale della molecola sarà un mescolamento inestricabile degli stati elettronici e vibrazionali, ossia, nel linguaggio della teoria dei campi, le eccitazioni del sistema saranno descritte da un unico supercampo, elettrovibrazionale o vibronico. Questa complicazione avrebbe reso molto difficili teorie quantistiche della materia, ma giunse in soccorso l’approssimazione di Born-Oppenheimer (elaborata nel 1927), secondo la quale si può ancora parlare separatamente di elettroni e di vibrazioni, in quanto gli elettroni, avendo massa trascurabile rispetto agli atomi, sono caratterizzati da una dinamica molto più veloce. Si può dunque fare un’approssimazione per cui le funzioni d’onda elettroniche seguono ‘adiabaticamente’ i moti degli atomi, ossia non ci sono transizioni da uno stato elettronico a un altro in seguito alle vibrazioni. Tutto questo però cade quando consideriamo stati elettronici degeneri, o molto vicini in energia. In tal caso la loro separazione corrisponde a una scala temporale simile a quella che caratterizza la dinamica vibrazionale e l’approssimazione di Born-Oppenheimer non vale più, per cui elettroni e vibrazioni non possono più essere considerati come particelle separate: i campi che descrivono gli elettroni e le vibrazioni sono ora fusi nell’unico campo ‘vibronico’. La distorsione strutturale rimuove la degenerazione elettronica e abbassa la simmetria, ma in realtà la simmetria degli stati elettronici è sostituita dalla simmetria vibronica, e qui gli stati mescolati elettrovibrazionali sono ancora in numero di tre e sono degeneri, proprio come richiesto dalla simmetria ottaedrica dell’hamiltoniana.
L’energia di stabilizzazione EJT è data dalla differenza fra il potenziale nella configurazione simmetrica e il valore raggiunto in seguito alla distorsione. Se EJT≫kT, si ha l’effetto J-T statico: la configurazione distorta può vivere un tempo sufficientemente lungo rispetto al tempo di misura da sembrare stabile. In realtà, però, sia per l’agitazione termica sia per l’effetto tunnel quantistico, in un tempo sufficientemente lungo il sistema avrà sondato tutti i minimi equivalenti, e dunque all’equilibrio la simmetria non è rotta.
Se ricordiamo che gli elettroni sono fermioni, mentre i quanti vibrazionali sono bosoni, abbiamo un esempio di unificazione fra queste due classi di particelle, molto usato nelle teorie della superconduttività ad alta temperatura critica. Ma c’è di più: la particella vibronica è il primo esempio di mescolamento di particelle molto diverse fra loro, che in seguito è stato riproposto, per es., nella teoria elettrodebole. Consideriamo, infatti, un’altra importante simmetria interna, quella che corrisponde al cosiddetto spin isotopico. Protone e neutrone sono in realtà due stati diversi (spin) di un’unica particella: esiste pertanto una simmetria interna che, venendo rotta, fa apparire le due particelle come individualmente separate. Una delle due particelle, il neutrone, non è stabile: in circa venti minuti si disintegra in un protone, un elettrone e un neutrino. La forza che causa questo effetto è l’interazione debole, una forza che agisce solo su una scala di lunghezza dell’ordine di 10−29 cm, ossia molti ordini di grandezza più piccola della dimensione del nucleo, e il cui effetto è appunto la trasmutazione di una particella in un’altra.
Si è potuto arrivare a una teoria fondamentale che spiegasse in modo semplice il perché di questa interazione e, allo stesso tempo, si è potuto dimostrare che tale interazione e l’interazione elettromagnetica erano in realtà manifestazioni di un’unica forza, dovute alla rottura di una simmetria interna della materia che è visibile solo sulla scala di 10−29 cm, utilizzando in modo coraggioso il nuovo paradigma della fisica: invece di cercare di interpretare la fenomenologia delle forze, si ipotizzò una nuova simmetria nella natura, della cui rottura le forze sono il necessario risultato. La nuova simmetria era l’invarianza locale di gauge.
Per analizzare una più semplice simmetria di gauge, quella globale dell’invarianza rispetto alle traslazioni spaziotemporali, consideriamo un osservatore che si muove di moto rettilineo uniforme, e spostiamolo lateralmente: lo spostamento non dovrà indurre cambiamenti nelle osservazioni fatte. Questa è la simmetria di gauge globale dello spazio-tempo. Consideriamo ora una simmetria di gauge locale. In questo caso, la traiettoria che prima era rettilinea e uniforme, ora non lo sarà più; l’osservatore si troverà sballottato, soggetto a varie forze sconosciute. Per preservare la simmetria delle leggi della natura rispetto a questo tipo di trasformazione sarà necessario che si attivi un campo (nello specifico, la gravitazione) che punto per punto rimetta le cose a posto in modo che l’osservatore continui a osservare le stesse cose. Un esempio semplice è la trasformazione di gauge da moto rettilineo uniforme a moto circolare, che produce una forza centrifuga per l’osservatore. Facciamo ora girare l’osservatore attorno a un pianeta: come gli astronauti nelle capsule spaziali, si ritroverà nella condizione di essere non soggetto a forze, proprio come lo era prima della trasformazione. In questo caso la simmetria è preservata dal campo gravitazionale del pianeta. Ecco, nella nuova fisica le forze sono il modo con cui la natura garantisce che certe simmetrie vengano rispettate. Una completa rivoluzione copernicana!
Tornando all’interazione elettrodebole, l’unificazione implica che in qualche modo elettroni e neutrini siano la stessa cosa, o meglio siano connessi con l’esistenza di una simmetria per la quale a loro succede la stessa cosa che accade per elettroni e vibrazioni nell’effetto J-T: la particella di questa simmetria è un mescolamento di neutrinicità e di elettronicità.
Qual è la causa dell’anisotropia che precipita la rottura della simmetria? Ossia l’analogo dell’interazione elettrone-vibrazione dell’effetto J-T? È il campo bosonico, la cui eccitazione è il bosone di Higgs, ipotizzato fin dal 1960, ma a tutt’oggi mai osservato, anche perché la sua massa prevista è troppo grande per gli acceleratori attuali. Questo bosone però è l’analogo dell’energia EJT, e pochi dubitano della sua esistenza, proprio perché garantisce la validità di una teoria fondamentale bella, elegante e che contribuisce fortemente a dare una risposta ai perché: con questa teoria le interazioni fondamentali si sono ridotte a tre e gli sviluppi basati sugli stessi principi hanno portato, sebbene non in forma così sicura, all’ulteriore unificazione dell’interazione elettrodebole con l’interazione forte, nelle teorie GUT (Grand Unification Theory). Ora abbiamo ridotto le quattro interazioni fondamentali a due: non male come risultato dell’inversione del paradigma.
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