Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel XVIII secolo l’estensione delle competenze dell’amministrazione pubblica comporta il rafforzamento sistematico di una rete di controllo sociale: istituzioni esemplari sono le case di lavoro forzato, gli orfanotrofi, gli ospedali, i manicomi, il carcere. Qui lo Stato sorveglia, cura e punisce la parte “malata” della società, al fine di garantire la massima funzionalità di quest’ultima.
La crescita dell’amministrazione pubblica
Nel corso del Settecento in tutti i Paesi europei si manifesta un processo di disciplinamento sociale che trova il suo presupposto nella crescita e nell’articolazione territoriale degli apparati statali. La centralizzazione delle funzioni politiche nello Stato territoriale coincide, infatti, con l’estensione dei compiti attribuiti all’amministrazione pubblica. L’una e l’altra vengono largamente tematizzate da specifiche dottrine, la più importante delle quali – la scienza cameralistica tedesca – proclama come necessaria l’aderenza del comportamento individuale alla pianificazione elaborata dallo Stato, per il benessere economico di quest’ultimo e della società.
Johann Heinrich Gottlob von Justi, uno dei cameralisti più importanti, paragona lo Stato a una macchina e l’amministratore a un medico che ha il compito di guarire le malattie della società.
Obiettivo delle nuove e imponenti amministrazioni statali burocratizzate, che sottraggono competenze alle precedenti giurisdizioni basate sul ceto (feudi, corporazioni, autoamministrazioni cittadine, giurisdizioni ecclesiastiche), è quello di imporre generalizzati modelli di ordinamento e di comportamento, per facilitare il controllo dello Stato sui sudditi.
La scienza di polizia, che in quest’epoca si dispiega in un ventaglio di applicazioni molto largo, tanto da poter essere definita la scienza generale dello Stato nella sua prassi sociale, è oggetto sin dall’inizio del secolo di una fitta trattatistica. Del 1705 è il Traité de la police del commissario francese Nicolas Delamare, opera in cui si può nitidamente intravedere un progetto teso ad attribuire alla polizia il coordinamento centrale di tutti gli interventi disciplinari dello Stato.
Controllo e repressione dei marginali
Una particolare attenzione, ai fini del disciplinamento sociale, viene riservata ai mendicanti, ai vagabondi, ai malati, agli orfani, agli infermi e in generale alle fasce marginali della società, per le quali vengono approntate istituzioni di controllo e di assistenza, intonate a principi di razionalità ed efficienza.
Tra queste istituzioni di controllo vi sono le case di lavoro forzato e gli istituti di correzione, dove soprattutto mendicanti e vagabondi vengono rinchiusi e obbligati a pagare il proprio mantenimento con prestazioni lavorative. Li si vuole sottrarre alla carità privata, ancora largamente praticata soprattutto nei Paesi cattolici, e piegare a un’etica del riscatto attraverso la fatica. Tali reclusori sono quasi sempre collegati con manifatture tessili; così all’interno di questi luoghi svolgono la propria attività mastri tessitori e filatori intenti a insegnare a malfattori, vagabondi, prostitute e orfani un facile mestiere, medicina contro l’ozio e l’infingardaggine per gli uni, e viatico di un’istruzione tecnica capace, in prospettiva, di emanciparli per gli altri.
Nelle case di lavoro forzato (nel 1766 ne viene eretta una a Milano e una delle più famose è istituita nel 1771 da Maria Teresa d’Austria a Gand) si vive in spazi polverosi, in condizioni igieniche precarie che spesso non consentono una separazione tra l’ambito del lavoro e quello del riposo; di frequente chi non produce abbastanza viene punito con percosse oppure si vede prolungata la pena.
Negli orfanotrofi, invece, oltre alla disciplina lavorativa si impartiscono anche le nozioni elementari del leggere, dello scrivere, del far di conto, della dottrina e dell’igiene. Il regolamento di un orfanotrofio tedesco del 1756 prevede che i piccoli reclusi si lavino i piedi ogni quattro settimane e che ogni otto giorni provvedano alla pulizia del collo. Tanto nelle case di lavoro e di correzione quanto negli orfanotrofi la mortalità è per tutto il secolo molto alta, toccando talvolta punte del 20-30 percento annuo.
Carceri, ospedali e manicomi
Allo stesso contesto culturale appartiene l’affermazione tardosettecentesca della pena carceraria come castigo per eccellenza, dopo che nel primo Medioevo erano prevalse le pene pecuniarie e nell’età moderna quelle corporali, fino alla pena capitale.
Le dottrine penali che accompagnano l’ascesa dello Stato amministrativo tendono a suggerire che per gli individui sorpresi a violare le norme sociali è proprio l’internamento prolungato a offrire le migliori potenzialità di trasformazione interiore. A fine secolo un simile intento disciplinante si manifesta nella messa a punto di soluzioni architettoniche che favoriscono quanto più possibile l’isolamento del detenuto, ritenuto lo strumento più idoneo per il pentimento. Interessato ai problemi del sistema carcerario e ispirandosi alle tesi di Cesare Beccaria, nel 1786 il filosofo utilitarista inglese Jeremy Bentham teorizza un tipo di prigione modello – il Panopticon – costruita in modo tale da consentire il controllo di ogni parte dal centro dell’edificio. Sulla falsariga di questo modello di organizzazione spaziale, nei nuovi penitenziari edificati a fine secolo in Inghilterra (Gloucester, 1792) e negli Stati Uniti d’America (Filadelfia, 1786) si dorme e si lavora in isolamento, all’interno di celle con inferriate; queste si snodano nello spazio circolare intorno a una torre, da dove il personale può sorvegliare con facilità e continuità i detenuti.
Nella stessa epoca, anche in edifici destinati a fini diversi da quelli afflittivi si riscontrano le medesime tendenze a facilitare la vigilanza: ad esempio nelle strutture ospedaliere, buona parte delle quali vengono statalizzate e impongono ora norme di igiene in precedenza sconosciute o inapplicate. Esse si organizzano in reparti divisi l’uno dall’altro, gestiti da personale specializzato e sottoposti alla visita quotidiana dei medici. Vengono così prendendo forma, all’interno dei nuovi edifici di cura, vere e proprie cittadelle, anch’esse organizzate sulla base della valorizzazione di un sistema cellulare: nel 1727 la Charité di Berlino è in grado di ospitare duemila ricoverati; nel 1784 Londra può vantare trenta ospedali; mentre nello stesso anno l’Allgemeines Krankenhaus di Vienna accoglie e suddivide tremila malati alla volta.
Accanto ai grandi ospedali generali si viene poi dipanando una larga ragnatela di istituzioni terapeutiche specialistiche, in alcune delle quali diventa evidente la sinergia tra utilitarismo sociale e pervasività dell’azione amministrativa dello Stato. Così l’istituto statale di ricovero per le sedotte partorienti, fondato nel 1782 a Copenaghen, serve anche come scuola pratica per le levatrici in formazione; mentre negli istituti manicomiali si praticano terapie come il lavoro forzato, impensabili finché i malati mentali erano ritenuti oggetti di possessione demoniaca e pertanto incurabili.
Case di lavoro e di correzione, orfanotrofi, carceri, ospedali e manicomi: la disciplinata società settecentesca si avvale di istituzioni che sorvegliano e spesso puniscono, sulla base di presupposti schiettamente utilitaristici.
Per la salute economica della società, infatti, è necessario il massimo ordine sociale, a cui contribuiscono in modo decisivo le istituzioni disciplinari. Queste sono dirette dall’amministrazione centrale dello Stato che, per esprimersi efficacemente, ha bisogno di modularità spaziali e architettoniche coerenti e replicabili, idonee a inculcare sentimenti di pentimento e di obbedienza nella coscienza di chi vi è collocato. Nella medesima epoca, inoltre, agli stessi criteri pedagogici si richiamano esperienze che si svolgono in edifici come le scuole, le caserme e le fabbriche, anch’esse caratterizzate da una organizzazione spaziale all’insegna della razionalità e della disciplina.