Il Sahara occidentale è una regione che costeggia l’Oceano Atlantico, stretta tra il Marocco e la Mauritania, e abitata in prevalenza dal popolo Sahrawi. È stato una colonia spagnola fino al 1976, anno in cui la Spagna decretò il ritiro dalla regione, avendone preventivamente concordato la spartizione tra Marocco e Mauritania. Secondo l’accordo stipulato con il governo di Madrid il 15 novembre 1975, al Marocco sarebbero spettati i due terzi settentrionali dell’ex colonia, che Rabat aveva già proceduto a occupare in seguito alla cosiddetta ‘Marcia verde’: 350.000 marocchini inviati da re Hassan II oltre il confine con il Sahara occidentale per accelerare i tempi della smobilitazione spagnola e ristabilire la ‘legittima’ sovranità marocchina su territori sottratti al regno durante la colonizzazione. La Mauritania, invece, annesse la parte meridionale, ma vi rinunciò ufficialmente dopo solo tre anni, aprendo così a Rabat la possibilità di estendere la propria occupazione e le rivendicazioni territoriali anche a questa porzione del Sahara occidentale. Alle pretese del Marocco e della Mauritania si oppose da subito il Fronte Polisario (abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), movimento indipendentista già attivo nella regione dai primi anni Settanta, quando si era distinto nella resistenza contro la presenza spagnola.
Innanzi alla spartizione, il Fronte Polisario reagì tanto militarmente che politicamente, proclamando la nascita della Repubblica araba democratica dei Sahrawi (Rasd), con l’intento di far guadagnare alla causa sostegno internazionale. L’autoproclamatasi repubblica, il cui governo si trova da allora in esilio ad Algeri, avviò relazioni diplomatiche con numerosi stati, soprattutto dell’Africa e dell’America Latina, e nel giro di pochi anni riuscì a ottenere il fondamentale riconoscimento dell’Organizzazione dell’unità africana e un posto di osservatore alle Nazioni Unite. D’altra parte, l’accordo di spartizione del 1975 risultava in contrasto con le posizioni tanto della Corte di giustizia internazionale che dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrambe già pronunciatesi a favore del diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi.
I primi anni di scontri videro il prevalere del Fronte Polisario - forte dell’appoggio della popolazione Sahrawi e del sostegno logistico dell’Algeria - sulle truppe marocchine e mauritane, costrette a ritirarsi dalla regione nel 1979. L’esito delle operazioni belliche spinse il Marocco a tentare di stabilizzare la propria presenza nel Sahara occidentale tramite la costruzione del cosiddetto ‘muro marocchino’ (noto anche come ‘Berm of Western Sahara’): fortificazioni di sabbia e rocce, circondate da bunker, fossati e campi minati, che negli anni Rabat ha deciso di erigere a difesa dei propri territori nel Sahara Occidentale, per ostacolare le incursioni portate dai guerriglieri del Fronte. Al primo muro del 1982, che servì a proteggere il cosiddetto ‘Triangolo utile’, cioè l’estremità nordoccidentale della regione, dove si trovano i suoi maggiori giacimenti di fosfati e la sua capitale Laâyoune, seguì l’edificazione di altre cinque barriere difensive che, arrivate a una lunghezza totale di circa 2700 km, segnano ancora oggi di fatto il confine tra i territori che il Marocco è andato progressivamente occupando (pari circa al 85% della regione) e quelli che invece rimangono sotto il controllo del Fronte Polisario. Le contromisure difensive adottate da Rabat indebolirono in maniera rilevante l’agibilità operativa del Fronte e spinsero la situazione verso un sostanziale stallo, che portò nel 1991, dopo 15 anni di guerra e circa 15.000 vittime stimate, a un cessate il fuoco tra le parti. L’accordo ha sancito la fine delle ostilità e ha stabilito che la definizione dello status del Sahara occidentale sarà affidata a un referendum, sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
Proprio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha istituito dallo stesso anno la missione internazionale di peacekeeping Minurso (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara), con l’obiettivo di monitorare la tenuta del cessate il fuoco e la prerogativa esclusiva di preparare il referendum, specie in riferimento alla controversa definizione degli aventi diritto al voto. Dal 2003 l’inviato speciale Un James Baker ha proposto, per sbloccare la situazione di stallo, un piano in due fasi: cinque anni di transizione, durante i quali la regione sperimenti l’autogoverno sotto sovranità marocchina, e un successivo referendum – a tutt’oggi ancora non tenutosi – per la definitiva scelta dell’opzione indipendentista o della integrazione territoriale al Marocco. La proposta di Baker non è stata accettata da Rabat che, seppur disposto ai negoziati (ripartiti dal 2007) continua a ritenere irrinunciabile la sua sovranità sul Sahara occidentale.